--Il Vedovo-------

Ascensore per l'aldilà
Il Vedovo, una death comedy all'italiana


«I tell you we must die»
Alabama Song (Bertolt Brecht)


Una delle chiavi di volta del passaggio dalla commedia tradizionale alla commedia all'italiana è la comparsa di elementi drammatici che scheggiano la patina uniforme di ottimismo propagata dal neorealismo rosa degli anni cinquanta. Tra questi vi è indubbiamente la morte, che scende bruscamente in campo ne I soliti ignoti (1958), La grande guerra (1959), Il vedovo (1959), Divorzio all'italiana (1961) e Il sorpasso (1962), solo per citare i titoli più noti. Si tratta di decessi violenti, causati da incidenti o da armi da fuoco, che in alcuni casi chiudono le storie. Una contrapposizione al clima superficiale e materialistico messo in moto dal boom economico, un nulla che genera un altro nulla.

Il vedovo si sviluppa nel desiderio, nell'apparenza e nella rivelazione della morte, tre fasi che permeano l'intero film a partire dal suo incipit. Nardi descrive al ragionier/marchese Stucchi il sogno del funerale della moglie (il desiderio). E' un esplicito richiamo alla scena finale che instaura una circolarità quasi perfetta se non fosse che il defunto è un altro. E' notte, l'oscurità avvolge i due personaggi come una minacciosa premonizione. Questa trova conferma immediata nella carrellata ascendente della Torre Velasca, il luogo della tragedia conclusiva (di nuovo un giro in tondo), che la mdp ripercorrerà verso il basso seguendo la caduta di Nardi. Il buio è d'altronde una costante della scansione necrofila sopra citata, ad eccezione dell'apparenza che proprio in virtù della sua assenza di sostanza ha il colore diafano della luce del sole. Ad esempio è dopo una cena all'osteria che si rinnova il desiderio di morte della moglie, che Nardi rivela nuovamente a Stucchi in una passeggiata speculare alla precedente, sia nella posizione e nella direzione dei soggetti che nel loro abbigliamento (fig. 1 a. e b.).

figura 1afigura 1b

Entrambe le sequenze terminano con un accento sdrammatizzante (“…mi sono svegliato nel mio letto, era mia moglie che mi diceva: «Cos'hai cretinetti? Ridi nel sonno?» e “Ha ragione marchese, mi dia una lampadina”), in fondo è sempre una commedia e non bisogna prendersi troppo sul serio.

Il desiderio sembra tramutarsi in realtà poco dopo quando Nardi viene a conoscenza dell'incidente ferroviario che coinvolge il vagone letto (una bara liquida) sul quale doveva viaggiare Elvira Almiraghi. Nel cortile della fabbrica Stucchi legge la notizia sul giornale elencando i nomi delle vittime. La sua presenza fissa nelle tre fasi, sempre vestito di nero, lo fa apparire come una specie di necroforo, un testimone di lutto. La prima volta che indossa una giacca chiara (da caccia, una attività mortuaria) viene redarguito da Nardi, come a ribadire, senza volerlo, un'appartenenza. Egli non può sapere che quell'uomo che lo segue passo dopo passo verso il baratro è un angelo della morte custode, colui che al momento opportuno darà la spintarella decisiva. Così come, segno del potere di decisione dell'ora opportuna del trapasso, la sua telefonata alla stazione salverà la Almiraghi da una fine sicura. Inoltre è sempre Stucchi che sceglie (senza ironia) il 2 novembre come giorno ideale per l'omicidio dell'imprenditrice.

figura 2

Con la notizia dell'incidente ferroviario la morte si rivela per la prima volta, in una brevissima inquadratura della prima pagina del giornale con la foto di due vittime del deragliamento (fig. 2). Una fugace apparizione, un memento mori che ristabilisce, almeno temporaneamente, l'ordine delle cose. Ci si può scherzare sopra ma la morte è ineluttabile. Non infallibile però, visto che su quel treno la Elvira non c'era salita e quindi vana sarà l'attesa della salma (l'apparenza) descritta nella scena più lunga del film che è anche lo snodo essenziale della vicenda. E' uno dei passaggi più grotteschi in cui la società 'bene', ma in definitiva un po' volgare, tenta di capovolgere il significato di quegli atti che accompagnano un defunto verso l'ultimo addio. Il raccoglimento o la disperazione lasciano il campo ad un'adunata che nei suoi elementi (il banchetto, la musica leggera, l'abbigliamento ricercato delle signore, le chiacchiere pettegole e le risate condite di riferimenti sessuali) assume i toni vitalistici della festa. Non sorprende che l'euforia generata dalla apparente crescita porti con sé una leggerezza che non può essere zavorrata da quel senso di sospensione che la morte trasmette. Non potendola rifiutare essa può dunque essere assimilata ad un rito come un altro, magari inserito tra un party e una crociera. L'unica persona che piange è la prèfica di turno che veglia presso un catafalco vuoto o al massimo occupato da un piatto di tagliatelle (fig. 3). Falsità e falso (esplicitato già nel titolo del film) sono strettamente avvinti come l'edera che canta Rabagliati. Eppure la morte vera, come un gas sottile, si sta già espandendo in questa camera apparentemente sigillata. Un segnale premonitore è dato dall'abbigliamento di Nardi all'arrivo in villa, più che a lutto sembra vestito già pronto per il catafalco anzidetto (fig. 4).

figura 3figura 4

Ma soprattutto la ricomparsa della moglie alle sue spalle nel giardino, che sancisce il termine dell'apparenza, genera il meccanismo che è alla base della rivelazione. Il desiderio che per poche ore è stato un simulacro di realtà, ed ha fatto assaporare allo squattrinato commendatore le gioie di una improvvisa ricchezza, diventa ancora più spasmodico al punto di fargli progettare l'uxoricidio. L'ossessione si sostanzia proprio nel luogo in cui Nardi avrebbe dovuto finalmente riflettere sulle proprie miserie ed abbandonare la folle corsa al denaro (la rinuncia). Nel convento di Padre Agostino, immerso nella quiete della campagna, nasce nella sua mente il criminoso 'Progetto Elvira'. Lo stesso sacerdote definisce la morte perfetta letizia per un buon cristiano ed è proprio con questo sentimento che egli lascia il suo confessore dandogli appuntamento a presto, al…funerale della ingombrante signora Almiraghi. Padre Agostino non mancherà, in prima fila dietro il feretro dentro il quale un piano maldestro, tanto quanto i suoi esecutori, ci ha infilato proprio Nardi. E' il tempo della rivelazione. Tuttavia la morte è soltanto intuita dallo spettatore, attraverso un grido in musica che accompagna la verticale verso il basso della mdp all'esterno del grattacielo, ma non gli viene mostrata. Dunque è nascosta, velata. O meglio ri_velata se pensiamo a quella in contumacia della 'povera signora'. Questo in controtendenza con quasi tutti i film citati all'inizio ed in particolare rispetto alla scena conclusiva dell'altro film di Risi, Il sorpasso. Qui il volo fatale di Roberto (Jean_Louis Trintignant) nella Lancia Aurelia è seguito in tutta la sua tragicità, una scelta forte che fu causa di contrasti con il produttore Mario Cecchi Gori (“Tutti i produttori sono terrorizzati dalla morte” ha dichiarato il regista). Più che il pudore residuo della stagione cinematografica rosa di poco anteriore (non vanno dimenticati i 'poveri ma belli') ne Il Vedovo c'è la celebrazione dell'idea di death comedy. Un ossimoro che spiega la contraddizione tra la presenza costante della morte (ne sono segni anche il fallimento della ditta di Nardi o l'indole castratrice, intesa come negazione della vita, di Elvira Almiraghi) e la assenza della sua descrizione cruda e realistica, sostituita anzi da una insistita ridicolizzazione.

Il breve epilogo del funerale ne è una ulteriore prova. Questa volta le esequie sono vere ma identico è l'atteggiamento desacralizzante di chi vi partecipa. Donna Italia sembra catechizzare la figlia Gioia per farle recuperare il rapporto con il ricco Fenoglio, il rag. Lambertoni ha un gesto di stizza probabilmente per la perdita economica e lo stesso zio di Nardi si preoccupa per le 700.000 andate in fumo, nessuno appare sentitamente commosso. Anche la banda esegue un'(auto)ironica marcia funebre ed il dialogo finale con la famosa battuta di Stucchi (“Ma che fa marchese, spinge?”) ratifica il tono da burlesque. Enrico Giacovelli (1) reputa il funerale stravolto dal consumismo uno dei luoghi narrativi nei quali si svolge quella contrapposizione tra individuo e società che è alla base della commedia all'italiana. Egli identifica nel finale de Il Vedovo il primo modello del cambiamento mediante degli elementi comuni ad alcuni film successivi. Innanzitutto il brusco stacco dalla sequenza precedente che per Giacovelli serve a rimuovere ogni significato spirituale al rito, riducendolo a fenomeno meccanico. Poi l'uscita in solitudine della bara mentre dietro impazza il pettegolezzo ed infine lo stacco prima dell'arrivo al cimitero (fig.5).

figura 5


Non è interessante la sepoltura, tanto meno il morto, Il Vedovo sopravvive al corpo. Diremmo un film immortale se volessimo, ancora una volta, giocare con le parole.

(1) Enrico Giacovelli, La commedia all'italiana, Gremese, 1990, pag. 129_131