--Il Vedovo-------

Tutti a tavola
"Il vedovo" e "L'Italia alle vongole"

1952. Il "boom" è ancora lontano, ma nell'Italia uscita dalla guerra inizia a profilarsi con tratti sempre più precisi ed evidenti il nuovo ceto egemone, che di quell'exploit economico diverrà protagonista, con quel che ne conseguirà in termini sociali e politici. È un nuovo ceto intraprendente senza essere imprenditoriale, benestante senza essere borghese, plebeo senza essere popolare; arruffone, qualunquista, sbrindellato, velleitario e, sotto sotto, fascista. L'altro pezzo di Italia assiste (nauseato, sarcastico, ma in definitiva nemmeno sorpreso) al triste spettacolo. In un simile clima, il 18 ottobre di quell'anno, la più brillante e coerente rivista della "altra Italia", "Il Mondo" di Mario Pannunzio, in un memorabile "Taccuino" raccoglie una provocazione lanciata dall'organo di stampa più ferocemente e costantemente impegnato in quella restaurazione degli eterni malvezzi nazionali: "Il Tempo" di Renato Angiolillo. Quel giornale aveva pubblicato un attacco feroce alla "malapianta azionista", a quello sgradevole "atteggiamento dello spirito" tipico dei "visi pallidi" (anzi, per una volta "verdognoli"), poveri di "palpiti" e di "patriottismo", antipatici, sarcastici ed acidi, in definitiva moralisti, poco italiani, intransigenti con il prossimo. Nell'editoriale di risposta, non firmato, Pannunzio pacatamente replica alle accuse. Insinua il sospetto che in quell'Italia i "visi pallidi" ci siano stati (e ci siano ancora, in tutti i raggruppamenti politici, a dispetto di una ormai acclarata sconfitta partitica) per reazione al trionfo dei "visi rosei", con il loro qualunquismo e la loro retorica patriottarda, "pront[i] a commuoversi se la rappresentativa di calcio perde nel confronto con una rappresentativa straniera, ma indifferent[i] a tutti quei problemi di solidarietà, onestà, buona amministrazione sui quali si fonda, in definitiva, il prestigio di una nazione", pieni di "tolleranza", "comprensione", di un "sentimento" che però "si scioglie, di preferenza, di fronte a un piatto di spaghetti alle vongole". Quel modo di essere condannato da Angiolillo, sotto l'etichetta generica dell'azionismo, "coi suoi calvinismi eccessivi, con la sua amara ironia, e, sia pure, con l'acidità che provoca una battaglia continuamente ingaggiata e continuamente perduta" era la reazione ad un atteggiamento dominante, incomprensibile per "chi invece ha definitivamente optato per l'Italia alle vongole".
1959. L'Italia alle vongole ha ormai trionfato, sgombrando il campo dai "visi pallidi", e si avvia a celebrare il suo distorto, imperfetto, antimoderno decollo economico. I "visi rosei" trovano, alfine, il loro cantore, Dino Risi, ed il loro prototipo, Alberto Nardi. Tutti i vizi denunciati anni prima da Pannunzio, tutte le insofferenze mostrate da Angiolillo si sublimano e raggiungono la perfezione nel "vedovo" che sogna, crede di vivere, e infine progetta la sua scorciatoia per il successo ed il benessere. In questa straordinara parabola dell'Italia del "boom" quelle parole di Pannunzio si rivelano profetiche: tutta la storia, nei suoi passaggi decisivi, è sottolineata e contrappuntata da aspetti culinari. Il senso, in ogni passaggio, è proprio il medesimo di quell'antico monito, perché il riferimento alimentare dimostra sempre ingordigia, disimpegno, disinteresse, volgarità. La scena si apre con la descrizione del sogno della morte di Elvira; e non a caso, Nardi ne attribuisce la causa a "quei gamberetti che abbiamo mangiato ieri sera al Ronchetto delle Rane". L'incontro con il vanaglorioso industrialotto Fenoglio ("70 miliardi") ha luogo a cena, davanti all'ossobuco di Cretinetti e Stucchi. La scusa per l'incontro di Nardi con l'amante Gioia è il pranzo del mercoledì, venerdì e sabato al Circolo degli industriali. Lo scontro violento con Mamma Italia si consuma attorno ai tortellini fatti in casa ("tortellini? boni…", commenta Stucchi allontanandosi). La veglia funebre diventa una luculliana spaghettata, con la quale Gioia celebra metaforicamente il suo subentro al fianco del nuovo vedovo. Questi, per parte sua, inaugura la sua nuova vita da "padrone del vapore" con una visita alle proprietà accompagnato da un fattore, durante la quale assaggia uova fresche (delle quali regala solo il guscio al bimbo: "famoli lavorà, 'sti ragazzini…"), latte appena munto, "n'artra scheggetta de quer pecorino". La scena madre del film, con il riapparire della sopravvissuta, segna il brusco ritorno alla realtà ed il distacco da uno stato di grazia simbolizzato da "una fetta di melone fresco". Il successivo ritiro spirituale è l'occasione per riportare in città alcuni prodotti naturali, raccolti da fraticelli ben poco francescani. La fase di elaborazione del progetto di eliminazione fisica di Elvira è punteggiata da una colazione, nella quale ci si litiga il cornetto ma ci si guarda bene dal pagare. L'Italia alle vongole, insomma, pari pari sette anni dopo: stesso senso, stessa metafora. Poi, improvvisamente, il parallelo si interrompe. Tutto il crescendo finale, nel quale Nardi mette in opera il suo piano, per fallire miseramente e morire in luogo della sua vittima, vede sparire questo continuo sottofondo alimentare. E un motivo, probabilmente inconscio, c'è. Quel finale è l'unico momento di pura fantasia del film. È la proiezione dei desideri mai realizzati dell'altra Italia, del sogno di questa di vedere i "visi rosei" puniti dalle loro stesse malefatte. Non è accaduto mai, non sarebbe accaduto allora, non accade oggi. Se Nardi fosse un personaggio reale, Elvira sarebbe da quarant'anni sotto terra, e lui sarebbe oggi un ricco industrialotto sbracato, mille volte fallito e mille volte salvato dalle IRI, dalle banche, dai ministeri di questo maledetto Paese. "Privatizzare i profitti e socializzare le perdite", commentava amaramente Ernesto Rossi, guarda caso proprio sulle pagine del "Mondo" di Mario Pannunzio. In quel finale, l'Italia alle vongole, per uscire sconfitta, non è più tale. E infatti è pura fantasia. Nessun ascensore l'ha mai uccisa; e oggi si prepara, becera e trionfante come sempre, ad entrare nella Terza Rivoluzione Industriale, quella dell'ICT, come sempre in maniera distorta, imperfetta, antimoderna; come sempre dalla porta di servizio, ma invincibile. Guardatevi intorno; è quasi ora di pranzo. Non sentite un profumino nell'aria?