Devravata
«Tu, siine certa, diverrai mia moglie, non importa chi tu possa essere.»
Così disse il possente re Santanu alla dea Ganga che lo fronteggiava sotto umane
spoglie eccitandogli i sensi con la sua sovraumana avvenenza.
E il re le
offriva con gran calore il suo regno, tutte le sue ricchezze, tutto quanto era
in suo possesso, compresa la vita, in cambio del di lei amore.
Ganga così gli
rispose: «O re, sì, diventerò tua moglie. Ma a certe condizioni: che né tu né
altri mi chieda mai chi io sia né da dove venga. Non dovrai mai intrometterti in
quanto farò, buono o cattivo che sia, né dovrai mai indiganrti con me per
qualsiasi motivo.
Inoltre, non
dovrai mai dire nulla che possa causarmi dispiacere. Se ti comporterai
altrimenti, ti lascierò immediatamente. Sei d'accordo?».
Il re, ebbro d'amore
per lei, fece cenno di sì col capo, ed ella divenne sua moglie e cominciò a
vivere con lui.
Il cuore del re era affascinato dalla modestia e dalla grazia
di lei, oltre che dall'amore tenace che ella gli mostrava. Re Santanu e Ganga
vissero in perfetta felicità, immemori del tempo che trascorreva.
Ella diede
alla luce numerosi figli, e ogni nuovo nato venne da lei portato al Gange e
gettato in quelle acque, e ogni volta tornava dal re con viso calmo e
ridente.
Santanu si sentiva colmare d'orrore e d'angoscia davanti a tale
demoniaca condotta, ma viveva la sua sofferenza in silenzio, memore della
promessa fattale. Sempre più spesso si chiedeva chi essa fosse, dda dove fosse
venuta e perché mai si comportasse come una strega assassina; ma, legato dalla
sua stessa parola e dall'amore devastante che provava per lei, non profferì
parola, rimprovero o rimostranza.
Lei giunse così a uccidere sette figli.
Quando nacque l'ottavo e Ganga fu sul punto di scagliarlo nelle acque del Gange,
Santanu non seppe più resistere alla sua angoscia.
Gridò:«Fermati, fermati,
perché sei tanto decisa a commettere questi orrendi e innaturali assassinii su i
tuoi figli innocenti?». Queste furono le parole con cui il re la fermò.
«O
grande re» replicò allora lei «tu hai dimenticato la promessa fattami, perché il
tuo cuore si sta indirizzando verso questo tuo figlio, e con ciò dimostri di non
avere più bisogno di me. Me ne vado. Non ucciderò questo bambino, però, prima di
giudicarmi, ascolta la mia storia. Io, che sono obbligata a vivere questo ruolo
ingrato per colpa di una maledizione lanciata da Vasishtha, io sono la dea
Ganga, adorata dagli dèi e dagli uomini. Vasishtha ha maledetto gli otto Vasu e
ha fatto sì che nascessero fra gli uomini, ma poi, commosso dalle suppliche
levategli dagli uomini, stabilì che io avrei dovuto fare loro da madre. li ho
partoriti per te, ed è un bene che tutto questo accadesse a te, perchè per
questo servizio che hai reso agli otto Vasu sei destinato ad alte sfere.
Alleverò personalmete quest'ultimo tuo figlio per qualche tempo, e poi te lo
restituirò quale mio dono.» Dopo ever pronunciate queste parole, la dea
scomparve col bambino. E fu proprio questo innocente che un giorno divvenne
famoso con il nome di Bhishma.
Questo fu il modo in cui i Vasu incorsero
nella maledizione di Vasishstha: un giornmo si erano recati, con le rispettive
mogli, in una zona montuosa per trascorrervi un periodo di vacanza, senza sapere
che lì si trovava l'eremitaggio di Vasishtha. Uno di loro vide Nandini, la vacca
di vasishtha, che pascolava nei dintorni. Venne attratto dalle sue forme
divinamente meravigliose, e fu per questo che la indicò alle donne. Tutte loro
si sprecarono in elogi verso quella splendida bestia, e una di esse chiese al
marito che se l'assicurasse per loro.
Al che lui rispose: «Ma quale bisogno
abbiamo noi, i deva, del latte delle mucche? Questa vacca appartiene al saggio
Vasishtha, che è padrone di tutte le terre qui attorno. Un uomo potrebbe
diventare immortale bevendone il latte, me questo non ci sarebbe di alcun
vantaggio, poiché noi siamo già immortali. Vale la pena di sfidare la collera di
Vasishtha solo per soddisfare un capriccio?».
Ma lei non aveva alcun
desiderio di farsi rabbonire. «Nel mondo dei mortali io ho una cara amica. Se ti
faccio questa richiesta è solo per amore suo. Prima che Vasishtha sia di
ritorno, saremo già lontani con la vacca. Io so che tu lo farai per amore mio, perchè questo è il mio desierio più ardente.» Tanto
fece e tanto disse che suo marito cedette. Tutti i Vasu si radunarono e presero
la vacca e il suo vitellino e li portarono via con se'.
Quanto Vasishtha
tornò al suo ashram avvertì subito la mancanza della vacca e del vitello, perchè
questi gli erano indispensabili per i suoi rituali giornalieri. Ben presto,
grazie alla visione interiore indotta dalle pratiche yoga, seppe quanto era
accaduto. Si sentì invadere dal furore, e lanciò una maledizione sui Vasu. Quel
saggio, la cui unica ricchezza era costituita dalla sua rettitudine, comandò che
sarebbero dovuti nascere nel mondo degli uomini. Quando i Vasu vennero a sapere
della maledizione, si pentirono e si gettarono ai piedi del saggio implorando il
suo perdono, ma era troppo tardi.
Vasishtha disse loro: «La maledizione ha da
fare il suo corso. Prabhasa, il Vasu che ha preso la vacca, sarà colui che vivrà
più a lungo nel mondo raggiungendo la massima gloria, gli altri potranno essere
liberati dalla maledizione al momento stesso della nascita. Le mie parole non
possono perdere la loro efficacia, però posso addolcire la maledizione fino a
questo punto». Dopo di che Vasishtha riportò al mente alla abituali pratiche
ascetiche, i cui effetti erano stati a ,alapena scalfiti dall'ira. I saggi che
perseguono la rettitudine acquisiscono la facoltà di scagliare maledizioni, ma
ogni volta che esrcitano questo privilegio riducono la riserva di meriti
accumulata.
I Vasu si sentirono confortati da queste parole, e si rivolsero
alla dea Ganga, che così invocarono: «Ti preghiamo di voler diventare nostra
madre. Per la nostra salvezza, ti scongiuriamo di scendere sulla terra e di
sposare un uomo potente. Gettaci nell'acqua non appena ci avrai dato alla luce,
e liberaci in tal modo dalla maledizione». La dea accolse la loro preghiera,
scese sulla terra e divenne la sposa di Santanu.
Quando la dea Ganga abbe
lasciato Santanu, scomparendo con l'ottavo figlio, il re rinunciò a tutti i
piaceri della carne e governò il regno con spirito ascetico.
Un giorno,
mentre passeggiva lungo le rive del gange, vide un ragazzo cui erano state
concesse la bellezza e la figura di Devendra, il re degli dei. Il ragazzo si
stava divertendo a lanciare una pioggia di frecce attraverso il gange in piena,
giocando col possente fiume come fa un figlio con una madre indulgente. Davanti
al re, rimasto come paralizzato per la meraviglia di fronte a quella visione, si
svelò la dea Ganga, che gli presentò quel ragazzo annunciandogli che ra suo
figlio.
Gli disse: «O re, questo è l'ottavo figlio che ho partorito per te.
L'ho allevato fino a questoi momento. Il suo nome è Devravata. Si è impadronito
dell'arte delle armi, ed eguaglia Parasumara in abilità. Da Vasishtha ha appreso
i Veda e i Vedanta, ed è anche particolarmente versato in tutte le
arti e le scienze note a Sukra. Porta con te questo bambino che è un grande
arciere oltre che un futuro eroe, e in più è anche il maestro nell'arte del buon
governo». Ciò detto benedisse il bambino, mise la sua piccola mano in quella del
padre, il re, e scomparve.
