Il giro di boa
di Andrea Camilleri
Editore: Sellerio
Anno: 2003
Collana: La memoria
Pagine: 267
Costo: 10,00 Euro
Quando ho letto "Il giro di boa" di Andrea Camilleri edito da Sellerio
non ho pensato di scriverne una recensione. Questo per due motivi: il
primo è che, essendo questo libro attualmente quello che gli anglosassoni
chiamano un "best seller", non mi andava di unirmi al coro dei recensori
che ho trovato sulla carta stampata e sulla rete in questo periodo; secondo,
di solito recensisco libri che mi hanno fatto scattare qualcosa in testa,
nel bene e nel male, e questo non era successo con "Il giro di Boa", pur
avendolo trovato un buon romanzo.
Vi chiederete allora cosa mi ha fatto cambiare idea. La molla è scattata
quando ho letto un articolo sull'inserto "Sette" del "Corriere della
Sera" di sabato 26 Luglio. L'articolo, in spirito vacanziero, trattava
i libri da rileggere durante il periodo di ferie estive. Il pregevole
articolo di Antonio D'Orrico si soffermava sui classici da rileggere citando
testi quali "I sette pilastri della conoscenza" di T.E. Lawrence e "L'uomo
senza qualità" di R. Musil, tanto per citarne due monumentali. Come però
succede spesso in questo tipo di articoli estivi, a contorno del pezzo
forte si propongono le opinioni di personaggi "importanti" quali intellettuali,
politici, gente dello spettacolo, insomma, un po' di bella gente italiana.
In due di questi interventi, quello del politico Filippo Mancuso e quello
del giornalista Giulio Nascimbeni, si sconsigliava caldamente la rilettura
dei romanzi gialli di Camilleri.
Io, un giudizio del genere, non lo condivido e mi sono chiesto quali
potessero essere i motivi all'origine di una considerazione così netta
che viene da due ambienti diversi: uno letterario ed uno politico.
Una prima ragione potrebbe essere il fatto, meschino lo confesso,
che, nell'ottica di una certa cultura italiana, nel momento in cui uno
scrittore vende e viene letto da molti, egli viene automaticamente declassato
nella graduatoria degli intellettuali. Difatti, in questa visione tutta
italiana, il buon testo "deve essere" caratterizzato da una complessita'
vicina all'incomprensibilita' e da un ermetismo che lo renda pienamente
fruibile solo agli esperti. In altre parole, un buon libro non puo' essere
per la massa.
Una seconda possibile ragione, ben calata nell'attuale clima politico
italiano, e' legata a certi contenuti dei libri di Camilleri. Non è
una novità la fede politica di questo scrittore, o almeno da che parte
batta il suo cuore, ma, in un paese libero, questo non dovrebbe incidere
sulla valutazione della sua opera. L'uomo di lettere, lo scrittore è nella
maggior parte dei casi un contestatore, non solo perché a lui e' data
l'arma della penna che puntata verso il potere ne può, e ne deve, sottolineare
le storture, i difetti, gli eccessi ed i soprusi, ma perché, come dice
Vargas Llosa (Lettere ad un aspirante romanziere, Ed. Einaudi, 1998):
"[...] egli torna alla vita reale (dalla finzione del romanzo ndr.) con
una sensibilità molto più vigile di fronte ai suoi limiti e alle sue imperfezioni,
[...]".
Nel giudicare i buoni o i cattivi romanzi ci si deve svincolare dal
giudizio politico. Questo non significa che non si debba considerare
il contesto socio-politico in cui ha vissuto l'autore, ma certamente non
si possono indossare occhiali con le lenti di un determinato colore per
poi giudicare la qualità delle opere letterarie. Una valutazione fatta
con questo metodo è il primo passo verso la censura.
A questo aggiungo una aspettativa personale e cioe' che un consiglio
proveniente da un intellettuale non sia su cosa non rileggere, ma su cosa
vada assolutamente letto o riletto. In Italia, negli ultimi dieci anni,
abbiamo fatto un gran passo avanti verso la lettura (10 milioni di libri
in piu' venduti ogni anno) e non credo sia il caso di porre ostacoli a
questa macchina virtuosa che, sembra, si sia finalmente avviata. Che sia
il lettore a decidere cosa non leggere e invece chi consiglia sia propositivo
e non nichilista. Parafrasando Pennac ("Come un romanzo", Ed. Feltrinelli,
1994) potrei dire che: è una tristezza immensa, una solitudine nella solitudine
escludere dalla lettura alcuni libri. Anche quelli di cui si può fare a
meno.
Dopo questa prefazione emozionale, ora è meglio passare alla recensione
vera e propria. "Il giro di boa" è l'ultimo episodio, in termini temporali,
delle avventure del Commissario Montalbano e, per questo personaggio,
si rivela un episodio caratterizzato da un travaglio interiore.
La notte insonne con la quale inizia la storia è proprio il primo
segno di un malessere che ha colpito il nostro amato Commissario. Sappiamo
tutti che tipo è Salvo Montalbano: una persona integra che grazie a questa
sua integrità riesce a contrapporsi e a trattare con criminali efferati
senza mai sporcarsi e che usa la sua dignità e la sua parola come armi
vincenti contro i delinquenti. Un uomo che, forse ingenuamente, si aspettava
la stessa integrità da tutti i membri del Corpo di cui fa parte e che invece
apprende dai telegiornali quanto ci sia stato di sporco nelle azioni della
Polizia a Genova in occasione della conferenza dei G8. Bombe molotov sistemate
ad arte nella scuola Diaz per indurre a credere che appartenessero ai manifestanti,
accoltellamenti simulati e attribuiti ai ragazzi che invece se la dormivano
tranquillamente. Una valanga di fango si era abbattuta sul Corpo di Polizia
cui Montalbano, sino al giorno prima, era orgoglioso di appartenere. Il
Commissario si sente tradito, anzi sostiene proprio "di essere stato tradito",
e pensa di dare le dimissioni da un Corpo in cui oramai non crede più.
Con questo spirito "nìvuro" dopo la notte insonne Montalbano decide di
fare un bagno in mare, ma la nuotata nell'acqua gelida davanti a Marinella,
oltre che fargli ricordare che ha superato la cinquantina e che certe uscite
mattutine fuori stagione forse non sono più "ordinaria amministrazione",
gli riserva una strana sorpresa: lontano dalla riva, egli s'imbatte in un
cadavere in avanzato stato di decomposizione. Dopo aver faticosamente portato
a riva il morto e aver dovuto fronteggiare, a sue spese, due anziani, ma
intraprendenti coniugi trevigiani, Montalbano entra nel vivo di una nuova
indagine il cui carattere può essere riassunto da una frase che il dottor
Pasquano dice per telefono proprio al Commissario: "le cose penso che non
stiano come sembrano."
Non voglio dire altro sulla storia perché e' meglio scoprire cosa
succede leggendo il libro che leggendo una pessima recensione, ma, invece,
vorrei soffermarmi sul carattere di questo episodio delle avventure del
Commissario Salvo Montalbano.
In questo romanzo, accadono diverse vicende che mettono Montalbano
davanti ad uno sgretolamento del suo mondo e gli fanno porre delle domande
fondamentali su di sé e sul proprio lavoro.
La prima vicenda, e la più evidente, è la perdita della "fede" nel
corpo di Polizia a seguito delle scottanti rivelazioni sugli avvenimenti
del G8. Poi c'e' lo scontro che il Commissario ha con i suoi limiti fisici
e con i segni dell'età. Questi ultimi non si mostrano solo nella nuotata
mattutina, ma, più avanti nella storia, avranno una manifestazione molto
più drammatica. Quindi c'e' la perdita di un importante punto di riferimento
nella quotidianità del Commissario: la trattoria "San Calogero", sacrario
della cucina per Montalbano, ha definitivamente chiuso; il proprietario
settantatreenne, precettato dal proprio medico, si è ritirato. Se a questo,
che già non è poco, aggiungiamo poi che Catarella comincia a non sbagliare
più i nomi e che a Montalbano quel fiuto particolare che più di una volta
lo aveva aiutato sembra essersi offuscato tanto da fargli sfuggire particolari
fondamentali per le indagini, ci rendiamo conto che il Commissario è in
affanno, annaspa e, arrivato alla boa, intorpidito dagli anni e dai dubbi,
invece di virare tira dritto.
"Il giro di boa" racchiude una storia interessante, non travolgente,
ma articolata e ben costruita. Alcuni degli sviluppi, quando ancora risultano
poco chiari a Montalbano, possono essere intuiti dal lettore più allenato,
ma questo è coerente con lo stato dimesso del Commissario in quest'indagine.
Alcune delle vicende narrate sono prese pari pari dalla cronaca e rendono
il romanzo attuale e ben allacciato all'Italia in cui viviamo. Questo
avvicina ancor di più la fantastica provincia di Montelusa, i suoi odori
ed i suoi sapori mediterranei ed i personaggi che la popolano alla nostra
realtà. Così ci sembrano ancora più veri e reali Livia, l'eterna fidanzata,
che non perde mai la fede nel suo Salvo; Fazio che, pur cedendo alla sua
sindrome da anagrafe, giuoca alla perfezione l'importante ruolo di angelo
custode del suo burbero superiore; Mimì Augello che, da impenitente "fimminaro",
si trova alle prese con Beba in dolce attesa; la biondissima "Svidisa"
che, costante attentato alla fedeltà del Commissario, e' un tassello fondamentale
dell'indagine; Catarella che, "di persona pirsonalmenti", ci fa sempre
sorridere con le sue ingenuità; il dottor Pasquano che, avvalendosi di
una breve comparsata, instilla il dubbio nella mente del Commissario e
innesca la miccia dell'indagine.
Concludo con un ultimo pensiero: riflettendo sulla storia de "Il giro
di Boa" mi e' venuto da pensare che, in qualche modo, in questo episodio
Andrea Camilleri abbia voluto mettere sé stesso e il suo personaggio
più famoso alla prova. Così, Camilleri ha posto Salvo Montalbano di fronte
ad una serie di difficoltà, alcune delle quali hanno portato dei cambiamenti
definitivi nella sua vita, e, guardandolo dritto negli occhi, gli ha
chiesto: "Salvo, ce la facciamo ad andare avanti?" Senza svelarvi nulla
di più, ma passandovi la sola indiscrezione che Catarella ha poi ricominciato
a sbagliare i nomi, io mi sbilancio e vi do la mia opinione: "sì, ce la
faranno".
L'incipit:
"Nuttata fitusa, 'nfami, tutta un arramazzarsi, un
votati e rivotati, un addrummisciti e un arrisbigliati, un susiti e
un curcati. E non per colpa di una mangiatina eccessiva di purpi a strascinasali
o di sarde a beccafico fatta la sira avanti, perché almeno una scascione
di quell'affannata insonnia ci sarebbe stata, invece nossignore, manco
questa soddisfazione poteva pigliarsi, la sira avanti aviva avuto lo stomaco
accussì stritto che non ci sarebbe passato manco un filo d'erba. Si era
trattato dei pinsèri nìvuri che l'avevano assugliato doppo avere sentito
una notizia al telegiornale nazionale: «All'annigatu, petri di 'ncoddru»
era il detto popolare che veniva esclamato quando una insopportabile
serie di disgrazie s'abbatteva su qualche sbinturato. E per lui, che
già da qualche mese nuotava alla disperata in mezzo a un mare in timpesta,
e si sentiva a tratti perso come un annegato, quella notizia era stata
uguale a una vera e propria pitrata tiratagli addosso, anzi una pitrata
che l'aviva pigliato preciso 'n testa, tramortendolo e facendogli perdere
le ultime, debolissime forze."
Una citazione dal testo:
"Pasquano era fatto accussì, era grevio,
'ntipatico, aggressivo, indisponente. Il commissario sapeva però che
si trattava di una forma istintiva ed esasperata di difesa da tutto e
da tutti. Passò al contrattacco, usando il tono che ci voleva.
«Dottore, posso sapere perché mi viene a rompere a casa mia a quest'ora?»
Pasquano apprezzò.
«Perché le cose penso che non stiano come sembrano.»"
Claudio Palmieri, Agosto 2003
Dello stesso autore ho recensito "La mossa del cavallo"
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Claudio Palmieri (M.C.B.) Copyright 2003.
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Pagina pubblicata il 5 Settembre 2003