La mossa del cavallo
di Andrea Camilleri
Rizzoli Editore
Collana: La Scala
Anno: 1999
Per descrivere questo libro voglio partire dalla fine. No, non
smettete di leggere per il timore che vi riveli tutto il meglio.
State tranquilli non sono così sadico e non voglio togliervi il
piacere di leggere "La mossa del cavallo" di Andrea
Camilleri. Ciò che voglio fare e' solo iniziare questa
recensione dall'ultimo capitolo del libro e dalla nota
dell'autore riportata in fondo al romanzo. Queste due parti del
romanzo di Camilleri sono molto utili per coloro che, come me,
oltre che leggere, amano scrivere. Infatti, in esse troviamo
esplicitati due aspetti essenziali della scrittura: il primo e'
l'idea iniziale, il seme da cui la storia narrata nel romanzo
germoglia, il secondo e' l'uso
dell'imitazione.
Nella nota dell'autore, infatti, Camilleri riporta la cronaca
di un fatto di sangue accaduto nel 1876, un omicidio che diviene la
spina dorsale della narrazione di questo romanzo. Tutta la storia
viene costruita a partire da esso ed e' interessante scoprire
come l'autore abbia lavorato attorno a questo fatto di cronaca
per strutturare la narrazione.
Nell'ultimo capitolo, intitolato "Catalogo dei
sogni", invece Camilleri riporta i sogni di tutti i personaggi
del libro, ciascuno narrato ad imitazione ("rubato" dice
lo stesso Camilleri) di testi famosi tra i quali La Bibbia, Le
Metamorfosi di Kafka, Il giorno della Civetta di Sciascia. Questo
bell'esercizio di stile e' una splendida esemplificazione
del concetto che Giulio Mozzi cita nel suo manuale di scrittura
creativa: "l'imitazione non e' una
limitazione".
Ma ora, lasciando da parte queste informazioni di servizio utili
magari a chi si diletta di scrittura, torniamo al romanzo. Esso ci
narra di vicende accadute in Sicilia tra i mesi di Settembre ed
Ottobre dell'anno 1877. I luoghi dei fatti narrati sono
Montelusa e Vigata ben noti a chi ha dimestichezza con i romanzi di
Camilleri.
Nella narrazione, attraverso la descrizione dei paesaggi, dei
sapori della cucina, degli odori dei luoghi e della vegetazione,
Camilleri riesce a calarci in una Sicilia calda e soleggiata della
quale riusciamo persino a sentire il calore del sole sulla pelle ed
il frinire delle cicale.
La storia ruota attorno al Ragioniere Giovanni Bovara, natio di
Vigata, ma trasferitosi in tenera età con i genitori a Genova.
Questi torna nella terra natia per svolgere il ruolo di Ispettore
Capo dei Mulini a Montelusa, ma di quelle parti non ricorda nulla e
tanto meno ne parla il dialetto.
Il romanzo e' infatti prevalentemente scritto in dialetto
siciliano (nella versione addomesticata per i lettori di Camilleri)
quando a parlare sono i personaggi siciliani mentre e' in
dialetto genovese quando la narrazione segue i pensieri del Bovara.
L'italiano viene usato quando a parlare sono il procuratore del
re, i Carabinieri, che sono ovviamente foresti, e nelle lettere che
compongono una breve parte epistolare del romanzo. Questo aspetto
della presenza di "diverse lingue" nella narrazione, come
vedremo, e' fondamentale.
Senza raccontarvi troppo della trama, vi dico solo che il parroco
del paese, donnaiolo ed usuraio, viene assassinato e il Ragioniere
Bovara rimane invischiato nella vicenda ed accusato
dell'omicidio. Il Bovara e' chiaramente innocente, ma si
trova ingarbugliato in una rete che gli viene tessuta attorno ad
arte da una serie di personaggi che gestiscono gli affari loschi
della provincia di Montelusa sui cui il Bovara stava
incidentalmente per far luce.
Il ragioniere per uscire da questo guaio deve entrare nello stesso
gioco che lo ha trascinato ai ferri; Bovara deve riuscire a capire
i meccanismi di quello che c'e' dietro alle apparenze,
imparare il modo di agire di coloro che l'hanno incastrato fino
a poter fare la sua mossa, quella del cavallo appunto.
Quest'ultimo e' un pezzo degli scacchi che si muove
"in un modo davvero speciale", niente affatto rettilineo
e scontato, ed in più esso "può scavalcare qualsiasi altro
pezzo".
E Bovara scopre da sé qual'e' la chiave di volta per fare
tutto ciò: egli deve cominciare a pensare ed a parlare come coloro
che l'hanno incastrato: "Picchi' fino a quannu mi
trovu in chista situazioni penserò e parlerò
accussi'."
Lascio a voi scoprire se e come il Bovara riuscirà a
cavarsela.
La mossa del cavallo e' un libro che si legge d'un fiato.
I tratti in dialetto genovese sono ostici per chi, come me, non
e' di quelle parti, ma il senso e' chiaro. Molto più a suo
agio si trova il lettore fedele a Camilleri in quelle parti (e sono
la maggioranza) in cui l'autore usa il dialetto
siciliano.
I personaggi sono interessanti e, attorno alla vicenda centrale,
Camilleri ha imbastito una serie di storie di contorno che fanno da
giusto complemento e rendono la trama colorita e piacevole. La
presenza inquietante della mafia e' resa molto bene e ci porta
a riflettere su quanto poco certe cose siano cambiate a distanza di
più di un secolo.
Tra l'altro, il padrino di questa storia di mafia, tale
Nicolo' Afflitto, e' un florido imprenditore che ha in mano
i politici locali ed anche qualche deputato in Parlamento. Inoltre,
tramite dei familiari, ha il controllo della stampa locale. Una
similitudine in piccolo di un panorama politico a noi ben più
vicino? Sarà un caso …
Per concludere vorrei sottolineare come in questo romanzo e'
evidenziata l'importanza della comunicazione e del linguaggio.
Le diverse culture ed i diversi modi di pensare vengono
differenziati dai diversi dialetti che rappresentano veri e propri
ostacoli comunicativi, non solo per le ovvie differenze
linguistiche tra un dialetto del nord ed uno del sud, ma anche per
gli inconciliabili contenuti culturali e morali ad essi
associati.
Tale complessità della comunicazione tra diverse culture si
estende anche a quelle situazioni in cui i personaggi si trovano
ad usare tutti l'italiano. Infatti, in tali occasioni, il
significato vero di ciò che viene detto o scritto va sempre
elaborato in funzione di colui che parla. Un caso esemplare e'
rappresentato da ciò che dice il procuratore del re commentando un
articolo comparso sul settimanale locale "La concordia":
"[Tale giornale] ha scritto che - il dottor La Calamita e'
persona di spiccate doti di prudente equilibrio. - Questa frase,
che dalle parti mie ha un preciso significato, da queste parti ne
ha un altro." A voi il piacevole compito di scoprire cosa egli
intendesse …
L'incipit:
"Dominivobisco."
"Etticummi spiri totò" risposero una decina di voci
sparse nello scuro profondo della chiesa, rado rado punteggiato da
qualche lumino e da cannile di grasso fetente.
"Itivinni, la missa è."
Ci fu una rumorata di seggie smosse, la prima messa del mattino
era finita. Una femmina ebbe una botta di tosse, padre Artemio
Carnazza fece una mezza inginocchiata davanti all'altare
maggiore, scomparse di presci nella sacrestia dove il sacrestano,
morto di sonno com'era sempre, l'aspettava per aiutarlo a
spogliarsi dei paramenti.
Una citazione dal testo:
"Padre Artemio Carnazza era un omo che stava a mezzo tra la quarantina e la cinquantina, rosciano, stacciùto, amava mangiari e bivìri. Con animo cristiano era sempre pronto a prestare dinaro ai bisognevoli e doppo, con animo pagano, si faceva tornare narrè il doppio macari il triplo di quello che aveva sborsato. Soprattutto, patre Carnazza amava la natura. Non quella degli acidruzzi, delle pecorelle, degli àrboli, delle arbe e dei tramonti, anzi di quel tipo di natura egli altissimamente se ne stracatafotteva. Quella che a lui faceva nèsciri pazzo era la natura della fìmmina che, nella sua infinita varietà stava a cantare le lodi alla fantasia del Criatore: ora nìvura come l'inca, ora rossa come il foco, ora bionda come la spica del frumento, ma sempre con sfumature di colore diverse, con l'erbuzza una volta alta che sontuosamente oscillava al soffio del suo fiato, un'altra volta corta corta come appena falciata, un'altra volta ancora fitta e intrecciata come un cespuglio spinoso e servaggio."
Claudio Palmieri, Agosto 2002
Dello stesso autore ho recensito "Il giro di boa"
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