La pala di San Zeno

Nota: benchè venga comunemente chiamata "Trittico" in realtà quest'opera è un "polittico", in quanto fanno parte integrante della pala anche le tre piccole scene della predella (Gesù nell'orto, Crocifissione e Resurrezione). Proprio queste ultime sono delle copie ottocentesche poiché gli originali sono stati, come dire?, "presi a prestito" da Napoleone; sono conservati al Louvre ed al museo di Tours.

Quando Andrea Mantegna, nel 1459, venne da Padova per collocare sull'altar maggiore di San Zeno lo stupendo trittico con la Vergine, il Bambino e Santi, il Rinascimento entrò a vele spiegate, e per la prima volta, in Verona. Non a caso s'era spenta, da poco, la parlata ancor gotica del Pisa-nello: da quel momento, comunque, i pittori veronesi si trovarono impegnati nel nuovo e fino allora sconosciuto linguaggio, così ricco di accenti toscani, e si misero a lavorar sodo (qualcuno addirittura, come il Benaglio, copiando il Mantegna) per venirsi a trovare anch'essi a la page. La grande pala, capolavoro del protorinascimento veneto, era stata commessa al Mantegna, nel '57, da Gregorio Correr, abate di San Zeno, ed eseguita nell'atelier padovano del pittore. Tutto quanto il Mantegna aveva imparato a Padova da Donatello è presente nel dipinto insigne: dalla ben organizzata partitura architettonica alle " quinte " prospettiche, alla sciolta e plastica naturalezza delle figure, agli angioletti imparentati con l'altare del Santo, a quell'amore per l' "antico" che divenne poi per il Mantegna una specie di fissazione. Certo che poi la grande tradizione veneta doveva prendersi - e qui l'ha fatto - la rivincita, con quel colore terso e fuso, cantante, prezioso, con quegli accostamenti cromatici prodigiosi, con quell'atmosfera pacatamente lirica in che s'immergono i personaggi.

da "Incontro con Verona" di Renzo Chiarelli - Bonechi 1971