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SEZIONE 1                                                                                                                                      
ROMANZI                  La  giornata di un professore

 
 

  sito dello scrittore luigi torino

La giornata di un professore   

 

La sveglia

 

La giornata iniziò bene. Era ancora avvolto nelle lenzuola quando il piccolo Kevin venne a raschiare il copriletto con le zampe. Il barboncino ripeté più volte l'operazione, lino a quando Oreste, spazientito, dopo averlo accarezzato sulla testa, non lo lontano con una spinta decisa.

Visto che Oreste non voleva saperne di alzarsi, Kevin saltellando passò nella stanza successiva, dove dormivano i due figli maschi, per dare anche a loro la sveglia.

Dopo un po', Oreste udì un'imprecazione seguita dal tonfo di una pantofola contro lo stipite, e vide una macchia nera attraversare di gran carriera il vano della porta della sua stanza e rifugiarsi sotto il letto.

La terza cameretta, quella di sua figlia, era territorio esclusivo di Gregory, l'altro cane della famiglia, un barboncino leggermente più alto di Kevin, completamente bianco, che ogni mattina con passo felpato en­trava nella stanza e guadagnava la sua postazione sotto  il   lettino. Non l'avrebbe mollata fino a quando la figlia, terminato di prepararsi, sarebbe scesa giù per la colazione. Gregory, durante questa occupazione, legittima o abusiva a seconda del punto di vista della figlia o della moglie, impediva a chiunque di entrare nella cameretta e se qualcuno tentava di forzare il blocco, rischiava di rimetterci un polpaccio.  

Le lezioni erano oramai finite e, mentre Oreste e i figli si attardavano a letto, la moglie era scesa già da un pezzo al pianterreno a preparare la colazione..........................................  

 

 

il gatto : Maù

 

 

Il pranzo di commiato con gli studenti dell'ultimo anno 

 

     Allora Oreste, che già era in piedi, prese per primo la parola. Parlò delle aspettative dei giovani e delle difficoltà che avrebbero incontrato nel realizzarle. Disse che essi erano nati in un momento difficile, in cui grande era la disoccupazione giovanile in Italia, ma li esortò a non  disperare perché di lì a poco, con l’avvio dell’Euro, le cose sarebbero di certo cambiate in meglio.

      Parlò dell’impegno forte e costante con cui andavano affrontati gli studi universitari, per evitare di rimanere invischiati nelle sabbie mobili dei fuori corso e non riuscire più a laurearsi. Ricordò che la vita è come una moneta, che il Signore ci ha donato al momento della nascita e alla fine della nostra vita ci chiederà conto di come l’abbiamo spesa.

     Erano queste le considerazioni che di solito faceva in tali occasioni. Stavolta, però, era andato oltre. Da un po’ aveva oltrepassato la quarantina ed i suoi occhi vedevano il mondo e gli alunni sotto una luce diversa rispetto a qualche anno prima. Sentì il bisogno di aggiungere:

    -- Questa forse è l’ultima occasione in cui ci ritroviamo tutti insieme. L’anno scolastico oramai volge al termine e molti di voi in questi ultimi giorni smetteranno di frequentare le lezioni per studiare a casa con maggiore impegno in vista degli esami. Con gran parte di voi non mi incontrerò più, tuttavia non vi è gioia maggiore per me di essere riconosciuto e salutato da un “vecchio alunno” del quale, pur non ricordando più il nome, riesco, osservandolo con attenzione, a intravedere nel suo volto le sembianze di quand’era giovane studente. Anche se, come è naturale che sia, dopo la maturità le vostre strade e la mia si divideranno, sappiate che la vostra assenza mi accompagnerà per sempre. Io a voi ho insegnato una cosa che potevate benissimo apprendere da altri: la ragioneria, e una cosa che avreste certamente trovato da soli: il senso critico.  Voi a me avete dato infinitamente di più: mi avete dato la fortuna di unire mestiere e passione, che in questo mondo equivale alla felicità.

     Diede uno sguardo ai colleghi che, abbandonata l’aria scherzosa, avevano assunto un aspetto assorto, serio, come del resto i ragazzi, e riprese:

     -- Se volgiamo lo sguardo indietro e guardiamo a questi anni trascorsi insieme, una cosa risulta subito evidente: questi anni sono stati molto diversi per noi professori e per voi alunni. Per voi sono stati anni di crescita, di emancipazione dai genitori, di scoperta del mondo, degli altri e di voi stessi. Sono questi gli anni più belli della vita, gli anni dell’adolescenza, che non è un tempo diverso dall’età adulta, ma un paese diverso, e può abitarvi soltanto chi è giovanissimo come voi o chi ha una fantasia così grande da conservarsi sempre giovane. Sono anni felici anche se a voi sono apparsi lenti, sono sembrati non trascorrere mai. La maggiore età che tutti  voi avete conseguito in quest’anno è stata più volte agognata. Mancavano pochi mesi e vi sembrava lontanissima. Con essa sarebbe arrivata la patente, la possibilità di ritirarsi più tardi il sabato sera: i genitori non avrebbero avuto più nessuna scusa a cui appigliarsi.

     -- Per noi docenti -- continuò Oreste -- questi anni trascorsi assieme a voi, hanno avuto tutto un altro sapore, perché la vita non è come l’acqua di fontana, che più scorre e più fresca diventa.

 

 

 

 

 Almeno per me, questi anni, a guardarli adesso, appaiono come anni passati velocemente. Sono fuggiti!  Con l’età mi sono reso conto, ancorché gli orologi vogliano convincerci del contrario, che il tempo non scorre sempre con la stessa velocità. Esiste il tempo fisico e il tempo dell’anima. Alla vostra età, il tempo appare lento, impacciato, come andare in salita. E questa sensazione vi resterà fino ai venticinque anni. Poi il tempo sembrerà fermarsi, non per molto però, solo per pochi anni, circa una decina, fino ai trentacinque anni, mettiamo, per qualcuno anche fino ai quaranta. Superata la quarantina, il tempo incomincia a correre. Sembra un treno che, dopo aver percorso un’irta china, raggiunta la vetta, inizia la discesa, dapprima lentamente, poi più veloce: addirittura a volte si ha la sensazione che la corsa sia vorticosa, inarrestabile. E non si vede chiaramente dove conduca questa corsa.

   O non si vuol vedere. E questa discesa, questi anni, vanno affrontati “con coppe ricolme di vino”.

     Qui, versandosi dalla brocca vino nero fino all’orlo, alzò in alto il bicchiere e, invitando gli studenti ed i colleghi a fare altrettanto, disse:

     -- Chi non vede il fondo, non vede il mondo! -- e vuotò tutto d’un fiato il calice di vino. --  E’ un motto, che, qualche anno addietro, -- continuò, -- ho sentito pronunciare ad un vostro compagno in una cerimonia identica a questa  e che ho fatto mio, a riprova che in classe si viene a creare un’osmosi culturale tra insegnanti e discepoli, e non sono solo gli alunni ad apprendere dai professori.

     Concluse, calcando le ultime parole, scatenando così gli applausi di tutti i presenti. 

 

  immagine prof.

(Da "La  giornata di un professore" pag. 67)

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