Michele
’o
biondo
Alle sei del mattino il paese si sveglia ed in punta di piedi
inizia a muovere i primi passi. Una luce tenue rischiara il mare
lasciando intravedere i contorni delle barche ormeggiate a breve
distanza dalla riva; le onde sotto la brezza mattutina si piegano,
spumano dolci, come fuggendo lontano. Sulla terra ferma i netturbini,
sui loro tricicli a motore, danno inizio alla
tortuosa passeggiata mattutina per le strade e i vicoli del paese
armati di scope e di lunghe pompe per innaffiare le aiuole ed i viali
del lungomare.
Le persone che attraversano il paese a quest’ora sono
operai ed impiegati che si dirigono alla fermata dell’autobus,
camerieri che portano i rifiuti ai bidoni della spazzatura, pescatori
che tornano dal mare o che armeggiano vicino alle loro barche da poco
tirate in secco. A quest’ora si vede anche qualche macchina staccarsi
dalla lunga fila delle auto in sosta e prendere la direzione di Salerno.
Un uomo ed una donna, ciascuno per proprio conto, con le mani
incrociate dietro la schiena, passeggiano a piedi nudi sulla battigia
sperando di porre rimedio ai propri disturbi di circolazione alle gambe.
Un temerario, un polacco trapiantato a Minori non più giovanissimo,
avvolto in un lungo accappatoio, si avvia verso la spiaggia per la
consueta nuotata mattutina, reggendo una borsa di vimini con la
cambiata.
D’estate, anche quando il sole già incomincia ad apparire
dietro le colline e i suoi raggi dileguano il mondo magico dell’alba,
nel paese la vita stenta a mettersi in moto. Ancora non anima le strade
la frenetica attività dei villeggianti. Questi, la mattina, fanno
fatica ad alzarsi: la sera, tra cene e spettacoli, c’è sempre una
buona ragione per andare a letto dopo la mezzanotte.
E’ verso le dieci, quando il sole è alto su Capo d’Orso, che
Minori assume l’aspetto di un paese di villeggiatura. Poco a poco le
strade e le stradine del centro, affondate tra due filari di case, da
dove se alzi lo sguardo non scopri che un angolo azzurro di cielo, e i
vicoli, piani o a gradini, a ridosso dei monti che cingono alle spalle
il paese, si riempiono. I negozi si affollano di signore che fanno la
spesa; i mariti, dando una scorsatina al giornale, seguono stancamente
le mogli che accompagnano i bambini al mare; gli anziani trovano ristoro
all’ombra delle palme e degli oleandri sulle panchine del lungomare; i
vecchi pescatori, guardando di tanto in tanto con nostalgia il mare,
giocano a carte sotto i platani a ridosso della discesa per le barche.
A quest’ora, Michele ’o biondo già da un pezzo è
all’opera nella
sua
bottega che dà sulla piccola piazza alla fine del corso principale del
paese. E’ una piazzetta che lentamente hanno costruito la mano
dell’uomo e la mano del tempo. I turisti che soggiornano a Minori per
poco tempo non ne conoscono
neppure il nome, e così pure molti abitanti del luogo. Per indicarla la
chiamano Piazzetta del Crocifisso.
Di forma quadrangolare, più che una piazza, per le sue ridotte
dimensioni può considerarsi un largo; e come Largo Maggiore Garofalo
viene indicata nella toponomastica cittadina.
Sulla piazza, da sud, posta proprio di fronte alla bottega di
Michele, troneggia una croce in legno con Cristo dipinto, incastonata
nella profonda e ampia volta della parete posteriore di un vecchio
edificio la cui facciata principale dà sul lungomare. Dei vasi, alcuni
colmi fino all’orlo di fiorellini variopinti, altri di piante
sempreverdi adornano i gradini ed il terrazzino ai piedi della croce.
Una antica torre
quadrata, come spesso si incontrano lungo tutta la costa, delimita la
piazza a levante. Al tempo dei saraceni, un grosso falò acceso sulla
terrazza alla sommità della torre, segnalando l’arrivo dei terribili
predoni, consentiva agli abitanti del paese di mettersi in salvo sulle
colline circostanti. Oggi, per renderla abitabile, una inopportuna
sopraelevazione l’ha privata della sua aria austera e della dignità
di antico baluardo.
A ponente, la piazza è delimitata dal Corso Vittorio Emanuele,
già Fiume, come recita la targa di marmo posta nel muro dell’edificio
ad angolo. Proprio all’altezza del Largo, la fuga dei palazzi del
Corso è interrotta dalla Calata Ponte, una strada in antico basalto che
porta alla piazza Umberto I. In leggera discesa, la strada rappresentava
la continuazione del ponte che, passando sul fiume Reginna Minor prima
che il suo corso venisse deviato, consentiva di andare da piazza
Cantilena a piazza Umberto I. La mattina presto, l’odore caldo e
saporito del pane recente che dal forno di don Alfonso Apicella si
spande in quel punto nell’aria raggiunge anche la bottega di Michele.
La parete laterale di un vecchio palazzo definisce il lato nord
del largo. L’ingresso principale dell’edificio è dal Corso Vittorio
Emanue-le, mentre nella parete che dà sul largo si aprono due locali.
In quello che si trova più a ridosso della fortezza vi è un negozio di
biancheria. Nell’altro locale, proprio nell’angolo che fa da cantone
con il Corso Vittorio Emanuele, c’è la bottega di Michele o’
biondo, l’ultima bottega di calzolaio del paese.
La bottega è molto piccola, perché sorta dalla frammentazione
in tanti piccoli locali di una galleria non più utilizzata, resa
inservibile dalla nuova strada costruita sull’antico letto del fiume.
Il locale costituiva la parte iniziale di uno stretto e tortuoso
camminamento che, rasentando a tratti il fiume Reginna e passando al
disotto delle abitazioni, terminava il suo oscuro percorso al Largo dei
Pastai. Non è raro ancora oggi, nei paesi della costiera, trovare di
queste gallerie.
Prima di Michele, nel locale teneva la sua attività ze’ Maria,
una donna che, rimasta vedova, aveva tirato su i figli vendendo
caramelle che lei stessa fabbricava.
La porta d’ingresso, composta da due vetrinette tenute sempre
aperte d’estate per dare aria e luce all’interno, copre interamente
la larghezza della bottega. Nell’interno una sedia, a ridosso della
porta, è posta a ristoro dei clienti. Riposarsi per qualche istante e
godere del leggero refrigerio offerto dall’angusto locale, rappresenta
un vero sollievo per chi giunge dalla spiaggia, dove il sole d’agosto
arde fierissimo. Il tavolo da lavoro, la sedia del calzolaio e, alle
spalle, addossato al muro, uno scaffale per riporvi le scarpe da
riparare e i pochi arnesi necessari all’attività, completano
l’arredamento.
‘O biondo è specializzato nel rifare i tacchi alle scarpe e
agli zoccoli dei villeggianti. Questo nei mesi estivi, quando la
popolazione di Minori si triplica e il lavoro è tanto, e va via troppo
tempo per le risuolature. Passata l’estate, ‘o biondo ritorna a
completo servizio degli abitanti del luogo; ed è molto apprezzato perché
riesce a far ritornare nuove scarpe che sembravano da buttare.
Michele per il suo lavoro, preciso e di durata, pretende
pochissimo. I vecchi amici che sono andati via da Minori per motivo di
lavoro, e che puntualmente ogni estate ritornano, restano sbalorditi:
non riescono a credere che possa eseguire le riparazioni a prezzi tanto
più bassi di quelli praticati nei loro paesi d’adozione.
A chi, vincendo la riservatezza, si spinge a chiedere
spiegazioni, risponde:
--- Non vedo perché dovrei alzare i prezzi. Ciò che ricavo
dalla mia attività è sufficiente a far vivere decorosamente me e la
mia famiglia. Io mi contento di poco: un discreto pranzo a mezzogiorno,
una bella passeggiata di sera sul lungomare con gli amici, un piatto di
scialatielli ai frutti di mare accompagnato da un buon bicchiere di vino
la domenica, è tutto ciò che chiedo alla vita. Qui, già soltanto
l’aria ti sana. Quando morì mia madre, e mio padre preferì
trasferirsi in una cittadina dell’entroterra, io, piccolo, mi ammalai.
Il medico, chiamato da mio padre, non volle neppure visitarmi. Fermatosi
a due metri di distanza da me, chiese: << Questo bambino dove è
nato?>> << Sulla costiera amalfitana, a Minori>> --
rispose mio padre. << Ri-portatelo
di nuovo a Minori, e subito si ristabilirà >>.
Così venni a vivere dai nonni materni e non mi sono più mosso
da Minori. Questo è il paese più bello del mondo! Qui è sempre festa,
e il lavoro è uno svago! Del resto, -- continua rivolto agli amici --
voi che siete andati fuori a lavorare, non aspettate tutto
l’anno di godere il mare e il sole di Minori? Io mi considero già
fortunato, perché posso godere di questi doni per l’intero anno.
Spero che il Signore mi conservi questa gioia più a lungo possibile.
Di sera è facile incontrare Michele che, con andatura
dinoccolata ed aria disincantata, in compagnia di amici passeggia sul
lungomare tra l’antica fontana e il nuovo parcheggio delle auto. Alto
di statura, magro, porta capelli cortissimi che tendono al bianco ora
che ha oltrepassato la cinquantina. La sua carnagione chiara e gli occhi
azzurri, però, fanno trasparire che da giovane i capelli dovevano
essere di un biondo oro, cosa peraltro rara in un paese dove gli
abitanti hanno nella stragrande maggioranza capelli neri e cresputi.
La bottega si apre proprio sul Crocefisso. A Michele, mentre è
seduto al tavolo da lavoro, capita spesso di vedere i turisti fermarsi
ad ammirare il dipinto, o di scorgere i paesani che, attraversando la
piazza, dopo una rapida occhiata al Cristo, si fanno frettolosamente il
segno della croce. Anche Michele, tutte le mattine, quando apre la
bottega, e tutte le sere, quando termina la giornata di lavoro, si segna
mandando uno sguardo al crocefisso.
Quest’estate, nel tardo pomeriggio di una calda giornata di metà
agosto, di ritorno dalla spiaggia dopo il bagno pomeridiano, mi sono
fermato alla bottega di Michele per farmi sistemare la fibbia ad un
sandalo. Trovo la sedia riservata ai clienti occupata da una signora,
alquanto robusta, sulla trentina. Bruna e di bell’aspetto, molto
abbronzata, indossa un’ampia scamiciata di colore bianco, finemente
ricamata, e regge sulle gambe una capace borsa da mare.
Non consentendo le ridotte dimensioni del locale l’ingresso di
un’altra persona, nell’attesa mi poggio alla parete a fianco della
porta, con lo sguardo rivolto al Cristo crocefisso e al cielo e ai fiori
dipinti dal Signorino sulla parete retrostante nel restauro eseguito di
recente.
Dalla discussione che si svolge all’interno della bottega,
apprendo che la signora ha portato a rifare i tacchi alle sue scarpe e
pretende, tra le resistenze di Michele, che la riparazione venga fatta
all’istante.
--- Stasera io e mio marito vogliamo raggiungere Ravello in
compagnia di amici, e non so proprio cosa mettere ai piedi – insiste
la signora.--- Al mare non si dispone mai di troppa roba per il
ricambio!
--- Volentieri, signora, vi accontenterei --- dice di rimando
Michele. --- Ma devo finire questi zoccoli ad una ragazza e devo ancora
rifare i tacchi alle scarpe
di una signora. Entrambe da qui a poco verranno a riprendere le loro
calzature
La signora però non si dà per vinta.
--- Ma come la fate difficile! Che ci vuole! Un po’ di colla e
qualche chiodino ed i tacchi sono belli e sistemati --- incalza.
--- Mi dispiace
vedervi insistere! Vi ho detto che ho già preso degli impegni
--- ribatte Michele mentre agita nervosamente
le dita in una scatoletta di metallo alla ricerca di un chiodino
adatto alla riparazione che sta eseguendo.
--- E va be’, vuol dire che me li fate dopo! Aspetterò ---
concede la signora.
--- Dopo quando? Sono già quasi le sette! -- risponde o’
biondo, mentre mena colpi di martello sempre più forti alla scarpa che
ha sulle ginocchia.
--- Perché, a che ora chiudete? -- chiede la signora.
--- E chi ci comanda? Quando mi sono sfastediato, chiudo e vado
via.
-- E a che ora di solito, come dite voi, vi sfastediate? --- gli
fa il verso, con chiaro accento napoletano, la signora.
--- Se viene un’altra signora come voi, mi sfastedeio subito ---
ribatte Michele, imprecando tra sé contro certe signore che non hanno
niente da fare e rompono l’anima a chi lavora dalla mattina alla sera.
E disse l’anima per non dire un’altra cosa.
--- Va be’, va be’, ho capito! -- dice la signora. --- Me ne
vado. Mi raccomando, però, domani mattina le prime scarpe da aggiustare
devono essere le mie!
Visto poi che il calzolaio non risponde, si alza dalla sedia,
raccat-ta la borsa da mare, che le era scivolata dalle gambe, e esce
salutando:
--- Arrivederci! Ci vediamo domani mattina!
--- Buona serata , signora! --- risponde Michele, mentre
girandosi ripone con forza la busta con le scarpe della signora nello
scaffale alle sue spalle.
Mentre la signora frettolosamente mi passa davanti, mi
ricordo all’improvviso di un appuntamento e mi allontano anch’io,
giudicando opportuno ripassare l’indomani mattina.
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