PROTOCOL #30 - Nightmare’s night

Si risvegliò su una superficie fredda e ruvida che riconobbe immediatamente essere asfalto. Non era rimasto nulla della visione che aveva avuto qualche istante prima e della sensazione di prigionia che aveva provato.

Era rinchiuso in un cilindro di vetro e al di fuori le sagome di una macchina ed una donna, anch’essa prigioniera, che si fissavano in un ambiente senza suoni... poi aveva avvertito una pesante scarica elettrica ed era svenuto.

Scosse la testa e si rialzò velocemente sistemandosi il nodo della cravatta nera e guardandosi intorno.

Pareva essere tornato tutto come prima.

I palazzi incombenti, le strade deserte... ma allora dove diavolo era poco prima?... forse era una semplice allucinazione, ma non riusciva a comprendere da dove derivasse...

Fece per muovere i primi passi verso un centro operativo quando la vide.

Esanime, pallida, il corpo abbandonato sul marciapiede di fronte a lui.

Rimase a fissarla per diversi istanti prima di avvicinarsi. Poteva semplicemente lasciarla lì, prima o poi i suoi compagni sarebbero accorsi e invece le si stava approssimando lentamente.

Ora poteva fissarla dall’alto, in piedi, senza una parola.

Gli ritornò intensamente in mente il loro ultimo incontro... e le sue parole.

Gli aveva detto “odia piuttosto le macchine che ci hanno ridotti in questo stato”.

Perché aveva usato quel “ci”?... voleva intendere forse qualcosa di cui lui non era a conoscenza?... qualcosa che legava entrambi?...

E poi... poi si era permessa di dargli dello schiavo.

La sua rabbia era cresciuta a dismisura e aveva gridato ciò che non voleva rivelare a nessuno, ma che poco dopo aveva ripetuto anche a Morpheus, in preda all’ira. Le aveva urlato che non gli importava nulla di nessuno se non della sua libertà... di odiare tutto di Matrix.

Sentiva quel senso di oppressione da che possedeva memoria. E non lo sopportava.

Se per andarsene da Matrix avrebbe dovuto uccidere milioni di ribelli e l’intera Zion non si sarebbe fatto scrupoli, la libertà prima di tutto.

Ma ora doveva trovare e sopprimere quel dannato ribelle sovversivo che si era lasciato sfuggire. A dopo le ricerche e le spiegazioni sulle parole di quella donna e sulla strana visione; prima doveva eliminare coloro che si frapponevano tra lui e il suo obiettivo.

Il sole al tramonto stendeva gli ultimi suoi raggi sulla città, mentre l’uomo si allontanava dal corpo di Lucyfer, sparendo dietro l’angolo della periferia.

Il luogo gli pareva stranamente deserto, nessuno si aggirava nella metropoli. I suoi dubbi divennero realtà quando si trovò all’imbocco della strada principale. Davanti a sé aveva il vuoto. L’asfalto si snodava per chilometri nel silenzio più inumano.

Aggrottò con rabbia le sopraciglia e partì di corsa verso il centro città, nel tentativo di trovare una spiegazione a ciò che era accaduto.

I minuti e le ore si accavallavano veloci lasciando che una notte senza stelle calasse sugli immensi palazzi.

Smith si trovò a camminare fino alla periferia opposta, senza incontrare anima viva.

- Capolinea.- fece una voce conosciuta, nell’ombra.

Lui rimase in attesa, ed ecco che la sagoma del corpo di Lucyfer si fece largo sotto la luce di un lampione. Si era evidentemente svegliata ed aveva quasi sicuramente compiuto il suo stesso percorso.

- Dove diavolo siamo?!- chiese l’Agente, con rabbia. Fece appena in tempo a scorgere un cenno del capo da parte della donna, che gli indicava di seguire la direzione della sua mano. Si mosse di qualche passo e toccò lievemente il vuoto.

Da quel tocco si sprigionò una scarica d’energia rossastra che partì a racchiudere la città in una gigantesca cupola, sparendo poi nel nulla e lasciando che la notte regnasse di nuovo sovrana.

Smith tornò a fissare Lucy, incredulo.

- Una prigione artificiale?!- ringhiò.

- Direi piuttosto una città-specchio.- rispose lei - É tutto identico al sito in cui operavamo prima, con in aggiunta il piccolo particolare che... è totalmente deserta.-

Prima che l’uomo potesse chiederle perché diavolo si trovassero lì, la bionda intervenne.

- Sei qui perché la scarica sinaptica ricevuta da quel Neo ha rotto le connessioni con il Matrix.-

- In poche parole... non dipendo più dalle macchine?- si stupì lui.

- Non direi.- fu la risposta fredda - Non credo che tu sia mai dipeso da loro.- sorrise ironicamente - Ma a quanto pare Neo ti ha in un certo modo “liberato”. Se provi a togliere l’auricolare e a rimetterlo noterai che non c’è nessuna differenza, non sentirai assolutamente nulla.-

Smith la guardò senza fiducia, e dubbioso si sfilò la cuffietta bianca per poi indossarla di nuovo qualche secondo dopo.

Aveva ragione lei. Non udiva più gli impulsi che Matrix gli inviava.

La donna lo fissava da dietro le lenti scure con un’espressione altera.

- E tu che c’entri?- la domanda a bruciapelo dell’Agente le arrivò quasi come se l’avesse attesa.

- Io...- si tolse gli occhiali scuri, mostrandogli le sue iridi celesti -...sono solo una vittima coinvolta nell’incidente. A quanto pare Mister Eletto ha dosato male le energie.-

- No...- sussurrò lui, assumendo un’aria contrariata -...la Twofold Unity numero uno non può essere la vittima casuale di un incidente.-

Lucy sembrava compiaciuta.

- Oh, allora ora ci credi?- disse con quel tagliente ironico sorriso.

- Voglio la verità.- sibilò Smith.

- Tranquillo, Signor Agente, l’avrà prima o poi.- ripose lei.

- Adesso.- intimò l’uomo, chinando il capo e fissandola con gli occhi nudi al di sopra degli occhiali - Voglio trovare un modo per uscire di qui.-

- Mpfh...- la bionda alzò le spalle - Questo è praticamente impossibile. Siamo finiti qui in seguito ad uno scostamento delle onde elettromagnetiche nei nostri programmi, perciò finché non succederà di nuovo la barriera resterà innalzata e noi qui dentro.-

Smith si avvicinò all’invisibile confine, sferrando un poderoso pugno. In tutta risposta fu scaraventato lontano diversi metri da un fulvo impulso elettrico che ripercorse la cupola come poco prima.

- Quanto più forte la colpisci, quanto più letale sarà l’effetto che ti tornerà indietro. Capisci ora perché io l’ho semplicemente sfiorata?- disse Lucyfer senza muoversi di un passo.

- Parli come se avessi già vissuto tutto questo.- esclamò lui con evidente frustrazione, rialzandosi.

- L’ho vissuto, infatti.- gli rispose lei, lo sguardo fisso nel vuoto.

- Chissà perché la cosa non mi sorprende.- il tono ostile dell’Agente non mutò.

- L’hai detto tu, sono una delle TfU, conoscerai di sicuro la nostra storia. Beh, a causa di un sovraccarico di onde elettromagnetiche sono già finita qui con le unità 2 e 3 dopo essere stati scollegati dal Matrix in quanto in possesso di troppa autonomia. Una volta fuori abbiamo occultato la nostra presenza... ma questa è un’altra storia. Come ho già detto, ci vorrà un’altra scarica sinaptica per uscire.-

Smith rimase muto. Non riusciva a sentire nulla di appartenente a quella donna in sé, eppure erano unità gemelle...

Riusciva semplicemente a riconoscere come un sottile filo rosso che li legava, qualcosa di affilato e misterioso.

Fino a poco tempo prima non avrebbe mai creduto che le TfU esistessero realmente. Pensava semplicemente che fossero un’invenzione dei ribelli, una sciocca leggenda nella quale sperare. Ma ora... ora che si trovava dinnanzi a quella giovane dagli occhi simili ad opachi zaffiri non riusciva a vederla come tale, ma come un indecifrabile essere dagli ignoti scopi.

- Cosa vuoi, veramente?- mormorò con la voce di ghiaccio. Lei rimase impassibile, avvicinandosi fino a poter toccare il suo respiro.

- La cosa che anche tu brami più di ogni altra.- rispose.

Poi si avvicinò al suo orecchio e nel sussurrare lo sfiorò con le labbra, procurandogli un caldo brivido che si espanse in tutto il suo corpo.

- La libertà.-

 

>Protocol#31<