A proposito delle pene e dei delitti
Dal sito http://www.osservatoriosullalegalita.org/05/acom/10ott3/2200ravennapena.htm
Eliminare il carcere : proposta,
provocazione, assurdita' ?
di Elisa Mabrito
Ripensare alla pena dententiva ed immaginare soluzioni alternative.
Questa la proposta del dottor Gherardo Colombo ieri a Ravenna,
all'incontro organizzato da tre associazioni, fra cui la nostra, e
cui hanno partecipato in veste di relatori l'avv. Ermanno Cicognani,
vicepresidente dell'Unione Camere Penali della Romagna, la
dottoressa Anna Mori, giudice penale ravennate, e la signora Maria
Angela Barlotti, bibliotecaria ed esperta di progetti librari in
situazione di svantaggio.
Il dott. Colombo ha spiegato che il tema della pena si ricollega a
quello della dignita' della persona, il cui riconoscimento, sotto il
profilo dei rapporti con le istituzioni, puo' farsi risalire
soltanto agli ultimi tempi della nostra storia. In tempi precedenti
era ammessa la schiavitu', quindi anche il riconoscimento della
dignita' era riferito solo alle persone libere. Ogni persona, ha
sottolineato il magistrato, e' titolare di una dignita' riconosciuta
dalla Carta Costituzionale (art 2 e 3) e, successivamente, dalla
Carta dei diritti dell'uomo. Una persona percio' non dovrebbe mai
perdere tali diritti inalienabili.
Sotto il profilo della pena, le posizioni contrastanti venivano
risolte una volta attraverso esclusioni e separazioni, con una pena
di tipo retributivo (cioe' un "pagamento" per gli errori commessi)
che spesso giungeva alla eliminazione fisica del reo, ma che ai
nostri giorni, per la maggioranza delle societa' la pena e' quella
del carcere, che soddisfa contemporaneamente l'esigenza di punire il
reo e quella della vendetta. Qualche decennio fa, il carattere
retributivo della sanzione è passato in secondo piano e, soprattutto
nei Paesi di common law, si è cominciato a considerare la pena come
strumento di correzione (anche in Italia la pena deve tendere alla
rieducazione del condannato).
Il dottor Colombo fa rilevare che ci si trova oggi in una situazione
di forte riaffermazione della retribuzione penale: "Forse il
carcere, riveduto e corretto, è effettivamente ineliminabile come
strumento di neutralizzazione per chi, altrimenti, danneggerebbe
sicuramente i diritti fondamentali delle altre persone: una persona
dimostrata colpevole di una serie di omicidi, che manifesti comunque
il proposito di continuare ad uccidere, non potrebbe che essere
mantenuta separata dagli altri. A fronte di situazioni estreme,
credo che la separazione continuerà sempre ad essere giustificabile.
Ma di queste situazioni limite la popolazione carceraria in Italia,
e credo nel mondo, è composta in parte assolutamente minima".
A giudizio del dottor Colombo, ci sono infiniti modi di aggregarsi,
di organizzare e disciplinare una società. Ad un estremo di questi
"si collocano le società basate su una concezione individualistica e
gerarchica", "modelli più primitivi, che rispecchiano l'aspetto
materiale dell'uomo piuttosto che i suoi lati più spirituali... e'
questa una organizzazione nella quale chi non sta al passo degli
altri viene escluso. E' la selezione della specie. È
l'organizzazione secondo la quale tutte le volte in cui non ci si
riconosce, e capita spesso di non riconoscersi, il non riconosciuto
viene eliminato".
"All'altro estremo sta invece la società organizzata e disciplinata
secondo criteri di solidarietà, e, mi si lasci dire, di giustizia.
Si potrebbe parlare per ore per riuscire a intendersi sul
significato proprio, o meglio, condivisibile del termine giustizia.
Anche perché si è, generalmente, portati a identificare la giustizia
con la sua amministrazione. Purtroppo, quando si pensa alla
giustizia, oggi ci si riferisce ai tribunali, alla amministrazione
della giustizia... Ma giustizia è un termine di ben altro impegno".
Nelle scritture, ricorda il dott. Colombo "quando si tratta di dare
una definizione è il 'giusto' il riferimento, piuttosto che il
termine generale e astratto 'giustizia'. E 'giusto', per quel che
sono riuscito a capire, sta a significare soprattutto armonico, con
se stesso e con gli altri. A questo estremo della gamma sta dunque
una società disciplinata attraverso criteri di solidarietà, e di
giustizia intesa nel senso di armonia con se stessi e con le persone
con le quali si entra in relazione".
A seconda del modello organizzativo scelto, lo stare insieme, " il
vivere in società", sarà disciplinato secondo principi di "conflitto
- esclusione", oppure di "collaborazione - recupero". "Dal modo in
cui la società è organizzata discende il modo di concepire la pena.
La pena, nel primo tipo di società, è retribuzione; nel secondo tipo
di società, è un percorso che porta alla riconciliazione, è
recupero, e quindi guadagno per tutti i membri della società, oltre
che per colui che se n'è distaccato".
Questo è il problema: trovare sanzioni alternative, ma il dottor
Colombo ritiene importante che si cominci a riflettere, a parlarne:
"l'uomo si è avvalso in passato di tutta la sua fantasia per
inventarsi le più crudeli retribuzioni alle devianze; credo che
sarebbe ora che la esercitasse per individuare percorsi, che
possiamo continuare a chiamare 'sanzionatori', ma seguendo i quali
chi ha rotto la regola possa giungere ad apprezzarne i contenuti e a
condividerla".
Alessandro Balducci, che ha portato il saluto delle Associazioni
promotrici dell'iniziativa - patrocinata da Comune e Provincia di
Ravenna - Comitato Emergenza Legalità, Ass. Culturale Legalita' e
Giustizia ed Osservatorio sulla legalita' e sui diritti - ha
ricordato che la Costituzione repubblicana afferma all'art. 27 che
"Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di
umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato".
Egli ha sottolineato che i padri fondatori vollero riprendere il
processo democratico e liberale interrotto con la ventennale
dittatura e, a tal scopo, non poteva non mancare un riferimento alla
pena, visto che ogni regime autoritario si caratterizza
essenzialmente per l'esaltazione dell'aspetto punitivo della
sanzione, che trova espressione, per esempio, nella pratica della
tortura e della pena di morte".
Balducci ha aggiunto che "si potrebbe forse affermare, senza
esagerare, che il grado di avanzamento sociale e giuridico di una
societa' o di un paese puo' essere, in un certo senso, misurato
anche dal modo in cui la societa' sanziona coloro che si allontanano
dalle regole. E da questo punto di vista, le parole pronunciate dal
procuratore generale di Cassazione Favara, in occasione
dell'apertura dell'anno giudiziario 2005, descrivono una situazione
del sistema carcerario italiano caratterizzata da luci ma anche da
molte ombre".
Sostanzialmente d'accordo con il dott. Colombo si dice l'avv.
Cicognani, il quale pero' non e' ottimista sull'evoluzione concreta
del discorso, poiche' vede nel concreto affermarsi logiche che si
muovono invece in direzione opposta a quella analizzata dal dott.
Colombo.
L'avv. Cicognani ricorda che l'avvocatura penale negli ultimi anni
non ha concentrato la sua attenzione sulla pena, ma sul processo,
sulle garanzie e sulla procedura. L'aspetto che ha visto piu'
impegnati i penalisti riguardo al carcere e' quello del 41 bis, il
cosiddetto "carcere duro", alcune misure del quale vengono criticate
sotto il profilo umano e quello dell'effettivo beneficio. Una di
queste e' la regolazione del rapporto con i figli minori, che viene
penalizzato fortemente.
La proposta dell'avv. Cicognani per muoversi nella direzione
indicata dal dott. Colombo e' invece quella di ampliare l'istituto
della "messa alla prova", oggi applicato per i minori ancora non
condannati. La misura della "messa alla prova" viene adottata dal
giudice, sentite le parti, quando ritiene di dover valutare la
personalita' di un minorenne che ha commesso un reato. In tal caso
il processo e' sospeso, insieme al corso della prescrizione.
Con l'ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai
servizi minorili dell'amministrazione della giustizia per lo
svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, di
attivita' di osservazione, trattamento e sostegno e puo' impartire
prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato ed a
promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal
reato. La misura puo' essere interrotta ove il beneficiario violi le
regole.
A parere del penalista, l'adozione di tale percorso potrebbe essere
estesa come forma alternativa alla pena, e comunque per chi sia gia'
condannato si potrebbero trovare soluzioni analoghe.
La dottoressa Mori spiega le difficolta' incontrate dal giudice che
deve comminare la pena. In alcuni casi che la dottoressa ha
esemplificato, infatti, il magistrato e' consapevole che la pena
detentiva e' inutile e persino dannosa, in altri che il condannato
se l'aspetta ma non si trova nelle condizioni di averla, oppure che
per i suoi parametri culturali il comportamento sanzionato non e'
moralmente riprovevole.
E' ad esempio inutile la condanna penale in diversi casi in cui una
persona incensurata e dal comportamento normalmente irreprensibile
abbia commesso un omicidio colposo (ad es. incidente d'auto). In
questo caso, la morte della vittima e' di tale portata, per l'autore
del fatto, da costituire di per se' un deterrente fortissimo che gli
impedira' di compiere in futuro nuovamente questa azione. Pertanto
egli non e' una minaccia per la societa', e la privazione della
liberta' potrebbe solo indurlo alla disperazione o portarlo a fare
incontri negativi.
La pena "malintesa" si riscontra invece nei casi in cui nel processo
siano coinvolti extracomunitari, casi con cui, averte il magistrato,
ci si trovera' a fare i conti sempre piu' spesso e cui si dovra'
dare una risposta che nasca dalla collaborazione e comprensione
reciproca. I nomadi che abbiano commesso piccoli furti ma che
vengono rilasciati perche' incensurati, non capiscono: per loro a
cattiva azione deve corrispondere una punizione, se la aspettano.
Un episodio emblematico di un'altra difficolta' riscontrata e'
quello verificatosi tempo fa a Torino in cui un extracomunitario
musulmano regolare e ben inserito aveva trovato la moglie in
flagrante adulterio. Aveva reagito massacrandola di botte e poi
chiamato le forze dell'ordine per farla arrestare, dato che
l'adulterio della donna e' un grave delitto per la sua cultura. Ma i
Carabineri avevano arrestato lui, che protestava di conseguenza per
quello che riteneva un errore giudiziario.
Il presidente dell'Osservatorio sulla legalita' e sui diritti onlus,
Rita Guma, ha ricordato anche le conseguenze della combinazione fra
il "giusto processo" e la legge "Bossi-Fini" che prevede
l'accompagnamento alla frontiera dell'extracomunitario rinvenuto in
condizione di clandestinita'. Un magistrato torinese che tratta casi
di prostitute dell'Est lamentava che le ragazze, in Italia come
clandestine, denunciando i i loro sfruttatori vengono espulse, non
potendo confermare al dibattimento la testimonianza resa alle forze
dell'ordine.
In quel caso il magistrato ha le mani legate, e non puo' procedere
nei confronti del malfattore, che viene rilasciato e puo' per giunta
vendicarsi con la sua accusatrice. Altro caso di impunita' quello in
cui l'autore del delitto fugga in un Paese balcanico che non abbia
accordi di estradizione con l'Italia. Queste situazioni vengono
vissute dal magistrato con forte frustrazione, sia perche' sono la
negazione della giustizia, sia perche' vanificano di fatto il lavoro
delle forze dell'ordine e della magistratura.
L'ultimo intervento, prima delle domande del pubblico, e' stata
l'illustrazione da parte della signora Barlotti, bibliotecaria della
provincia di Ravenna ed appassionata operatrice delle biblioteche in
carcere, dell'utilita' del progetto "biblioteche fuori di se'"
(regala un libro ad un detenuto, ad un malato, ad un anziano, ad un
disabile), delle positive ricadute e dei presupposti giuridici
internazionali alla sua attivita' in carcere. Ne e' emerso che
avvicinare i detenuti alla biblioteca e' un'impresa non facile, ma
che questi ne vengono poi coinvolti e ne traggono molteplice
giovamento, interessandosi spesso anche ai testi di legge
riguardanti il loro caso.
Altri progetti riguardano poi i libri scolastici per i bimbi che
vivono con le madri in carcere ed i progetti per le donne. I dati
del ministero sciorinati dalla signora Barlotti per fotografare la
realta' carceraria sono impressionanti per mole, per percentuale di
minori e per il dato appunto dei bimbi in carcere. Il che riconduce
al discorso introdotto dal dottor Colombo.
Un intervento dal pubblico sottolinea l'invivibilita' del carcere e
lo sforzo che dovrebbe essere fatto perche' esso sia un luogo di
crescita e non di perdizione o di disperazione. Il presidente
dell'Osservatorio sottoline a tal proposito non solo i progetti
istituzionali in atto, ma anche l'operato delle diverse associazioni
di volontariato che operano all'interno del carcere, con progetti
educativi, laboratori di giardinaggio, di ceramica, di teatro, tutti
finalizzati non solo ad alleviare la disperazione per i detenuti
gia' pentiti o quelli che si ritengono ingiustamente condannati, ma
anche alla rieducazione.
Un altro intervento chiede polemicamente (e forse accoratamente)
conto - nell'ambito della proposta - del dato di chi ha subito un
torto, a volte anche grave, la vittima (o il familiare di chi sia
stato ucciso). La dott.ssa Guma sottolinea l'intervento, ricordando
che anche per i gravissimi torti dell'Africa (Sudafrica, Ruanda)
dove sono stati perpetrati feroci crimini contro l'umanita' e
genocidi, si e' chiesto l'assenso ed il coinvolgimento delle
famiglie per iniziare il percorso di riconciliazione sostitutivo
della pena (in genere insieme ad un risarcimento sotto forma di
indennita').
Non sarebbe possibile, a giudizio del presidente dell'Osservatorio,
pensare di eliminare la carcerazione prescindendo dall'accordo di
chi ha subito il torto, per evitare che subisca torto una seconda
volta. Il dottor Colombo ne ha convenuto, sottolinenando che
l'aspetto importante per la vittima e' che sia riconosciuto dalla
societa' il torto subito, cio'e l'accertamento della verita', che
sarebbe il primo fine del "fare giustizia", fine che la legislazione
attuale non sempre (o quasi mai) permette di ottenere, dato che per
questioni procedurali, per il sistema delle garanzie e per altri
fattori connessi, accade talora che testimonianze e prove non siano
considerate ammissibili.
La dott.ssa Guma ha detto di trovare la proposta del dottor Colombo
su cui si e' incentrata la serata piuttosto rivoluzionaria e
"forte". L'Osservatorio sulla legalita' e sui diritti, infatti, se
vuole difendere i diritti di tutti e pensa alla depenalizzazione
solo per i reati minori (biglietto del tram non pagato), crede anche
nell'inasprimento delle pene per la recidiva, e soprattutto nella
certezza della pena come deterrente al crimine.
E' invece proposta dell'Osservatorio quella di modificare le
condizioni della carcerazione preventiva, oggi consistente di fatto
in una pena detentiva precedente alla condanna. E cio' non come
critica al magistrato che la richieda - oggi considerato a torto
responsabile diretto del suicidio di una persona sottoposta a norma
di legge a custodia cautelare ed anche dei delitti commessi da chi
al contrario non sia stato trattenuto in prigione prima del processo
- ma come prassi di civilta' e riconoscimento della innocenza fino a
condanna.
Tuttavia, per quanto riguarda invece i condannati, e' anche vero il
concetto espresso di recente dal presidente nazionale dell'Unione
Camere Penali, avv. Randazzo, secondo cui le recenti leggi hanno
disegnato un sistema giudiziario forte con i deboli e debole con i
forti, riempiendo le patrie galere di poveracci e condonando (di
fatto o come effetto) i reati dei benestanti e dei potenti. Un dato
preoccupante ricordato anche in un intervento dalla professoressa
Pattuelli.
Ricordava peraltro il dottor Colombo che spesso e' proprio la
societa' a produrre le condizioni per il crimine in alcuni contesti
deboli (ad es. rubare per fame, etc) e non puo' essere corretto
voler punire cosi' severamente il prodotto di tali politiche.
E voi, che
ne pensate?
(clicca e invia la tua opinione)
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Ecco cosa ne penso io, ecco cosa ho spedito all'indirizzo : carcere@osservatoriosullalegalita.org il 23-10-05
A causa di altri impegni (non ultimo quello di informarmi sui fatti del giorno tramite Internet perche' tramite la TV oramai non si ha piu' corretta informazione) sono arrivato alla conferenza-dibattito verso le ore 21:30 mentre parlava il magistrato Anna Mori.
Falso in bilancio, dietrofront Ma Berlusconi è già
salvo
di VITTORIO GREVI Nascoste tra le pieghe del disegno di legge sulla tutela del risparmio, approvato nei giorni scorsi dal Senato, le modifiche apportate alla normativa sul reato di falso in bilancio segnano una svolta per vari aspetti singolare (e, comunque, ricca di significati politici) rispetto alla discussa vicenda legislativa conclusasi con la poco decorosa «riforma» della disciplina di quel reato tra l’ottobre 2001 e l’aprile 2002. Una svolta che, se sarà confermata dalla Camera, costituirà una vera e propria «controriforma», quanto mai opportuna, a fronte delle scelte lassiste allora operate, che tanto danno hanno recato all’immagine (anche internazionale) del nostro Paese, oltreché alla credibilità dei nostri mercati, offuscata da un palese deficit di trasparenza. Ma anche, nel contempo, una svolta - anzi un ribaltamento di indirizzo - che presuppone una obiettiva ammissione, da parte della maggioranza di governo, degli errori commessi sul punto, e il contestuale riconoscimento della esigenza di tornare a una disciplina penalistica più rigorosa in questa non facile materia. Di qui la prevista introduzione, da parte del Senato, di due distinte figure delittuose di falso in bilancio (a seconda che si tratti di società non quotate in Borsa, ovvero quotate e aperte al pubblico risparmio), in entrambi i casi perseguibile d’ufficio come delitto di pericolo concreto, cioè prescindendo dai danni patrimoniali causati a soci o creditori. Di qui, ancora, un cospicuo incremento delle pene detentive e interdittive, nonché delle sanzioni pecuniarie a carico delle società, con il corrispondente aumento dei termini di prescrizione. Di qui, infine, la esclusione del sistema delle soglie quantitative di non punibilità, con riguardo a certe dimensioni percentuali della falsità. Un simile ravvedimento legislativo, nel testo del Senato, deve senza dubbio apprezzarsi, in quanto espressione di un consapevole ripensamento circa l’assetto di un reato che - così come è stato circoscritto e mortificato nella sua struttura e nel suo apparato sanzionatorio - risulta oggi pressoché privo di efficacia deterrente anche a causa dei più brevi termini di prescrizione. E tuttavia non si può non sottolineare che questa «controriforma» (se mai andrà in porto, come ci si augura), si applicherà necessariamente solo ai reati commessi dopo la sua entrata in vigore, quindi senza alcuna incidenza sui processi in corso. I quali, perciò - per effetto dei principi operanti in tema di successione di leggi penali nel tempo - continueranno a svolgersi sulla base della più favorevole disciplina penalistica varata nel 2002, e perciò continueranno a concludersi con sentenze di assoluzione (per essere il fatto «non più» previsto dalla legge come reato, mentre lo sarebbe stato alla stregua della disciplina anteriore), ovvero con sentenze di proscioglimento per intervenuta prescrizione. Come è già accaduto in molte occasioni, con ovvio beneficio di diversi imputati noti (tra i quali, in primo luogo, il presidente del Consiglio, Berlusconi) e meno noti, a dimostrazione che la riforma dell’aprile 2002, una delle prime classiche leggi ad personam , ha puntualmente raggiunto il suo scopo meno confessabile. Ben si spiega, dunque, perché adesso il Parlamento stia ritornando sui suoi passi, con una inversione di tendenza tanto clamorosa quanto sorprendente, alla luce delle opposte premesse cui si era ispirato il legislatore di tre anni fa. Archiviati con sentenze liberatorie alcuni delicati processi per falso in bilancio, e destinati al medesimo epilogo gli altri ancora pendenti, sempre grazie alla applicazione della più blanda normativa penale tuttora in vigore, si può ormai ripristinare una più seria forma di repressione delle falsità nei bilanci societari e nelle altre comunicazioni sociali. Finalmente ci si adegua alle direttive europee dettate nel settore, e alle indicazioni provenienti anche dalla Corte di giustizia di Lussemburgo. Perché non lo si sia fatto subito (e anzi si sia approvata una legge imbelle e insensata come quella del 2002), rimane un mistero unicamente per chi non voglia comprendere le vere intenzioni di quel legislatore, che soltanto a parole proclamava di voler conseguire un «vantaggio per l’intera collettività». |