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La storia del rock progressivo italiano

 

Etimologia dell'espressione “rock progressivo”

Quando si sente dire – oggi, per la verità, molto raramente – “rock progressivo”, si intende un fenomeno musicale cominciato nei primi anni Settanta e conclusosi, bene o male e con qualche rara eccezione, prima della fine del medesimo decennio. Tuttavia, tale espressione altro non è che un’etichetta molto generica, utilizzata per comodità e che racchiude gruppi musicali anche piuttosto differenti tra loro, ma accomunati solamente dal desiderio di far “progredire” la musica (da qui, appunto, il termine “progressivo”), di andare al di là della canzonetta dai tre accordi e dal facile ritornello, marchio di fabbrica di tutta, o quasi, la produzione musicale in voga fino a quel momento, in particolare del cosiddetto “beat”; e non è un caso, difatti, se i maggiori gruppi italiani del progressive rock quali Le Orme, la P.F.M., i New Trolls, avessero cominciato la loro carriera proprio dal beat per poi evolversi sulla scia dei gruppi anglosassoni, i veri promotori del filone progressivo.

 

I primi vagiti

Questo fenomeno musicale ebbe le sue radici in Gran Bretagna e si diffuse particolarmente in Europa (Inghilterra, Italia, Francia, Germania e un buon seguito anche nella fredda penisola scandinava). Terreno meno fertile trovò invece negli Stati Uniti dove, pressoché unici, i Kansas riscossero un buon seguito di pubblico, pur se il loro progressive era molto influenzato dall’hard rock.

I suoi primi vagiti possono essere riscontrati attorno al 1967 quando, soprattutto in Inghilterra, il rock psichedelico andava per la maggiore grazie a gruppi storici come Soft Machine e Pink Floyd. Proprio questi ultimi, insieme a Procol Harum, King Crimson o Nice, tanto per citarne alcuni, furono in un certo senso gli iniziatori di questo nuovo genere musicale. In particolare, la celeberrima A Whiter Shade of Pale dei Procol Harum, scritta sopra l’Aria sulla quarta corda di J.S. Bach, può, a ragione, essere definita il primo tentativo, magari inconsapevole, di rock progressive; questo coraggioso e ingenuo esperimento di inserire all’interno di una canzone un brano sinfonico era difatti, per l’epoca, un prodotto del tutto originale e dette involontariamente l’impulso per tutta l’ondata progressive successiva.

Da quel momento in poi, una svariata serie di gruppi trasse ispirazione da questo modello per realizzare qualcosa di più imponente e ardito. Il caso più vistoso fu quello dei Nice (band inglese nella quale militava Keith Emerson, tastierista del celebre trio Emerson Lake & Palmer) che, dal ’69 in poi, grazie all’indiscusso talento del loro tastierista-leader, riuscirono a fondere atmosfere classiche e sinfoniche con il rock, attingendo da opere di grandi musicisti come Mozart, Bach, Tchaikovsky e persino dal Rachmaninov. Ma i primi a realizzare un disco progressive a tutti gli effetti furono, nel medesimo anno, i King Crimson con In the Court of the Crimson King, autentica pietra miliare del genere, considerato un vero e proprio cult.

 

Elementi caratteristici

L’elemento distintivo del rock progressivo era costituito innanzi tutto da un’enorme dilatazione dei brani musicali che, rispetto ai tre minuti del beat, arrivano ora a raggiungerne anche venti e, talvolta, anche a superarli. Inoltre, lo strumento che viene privilegiato su tutti è di gran lunga la tastiera, in grado di fornire un campionario di suoni molto più variegato e originale rispetto a quello che poteva offrire la tradizionale chitarra, lo strumento fino a quel momento più utilizzato; le composizioni diventano così sempre più lunghe, complesse e articolate. In particolare, il sintetizzatore – uno speciale tipo di tastiera, strumento principe della musica elettronica tedesca – diviene quasi obbligatorio per un gruppo progressive che voglia farsi rispettare. Di conseguenza, a questo punto, il vinile in 33 giri viene a sostituire nettamente quello, di gran lunga meno capiente, del 45 poiché più adatto a contenere composizioni di tale portata; in queste condizioni i musicisti hanno l’opportunità di sbizzarrirsi e dare maggior sfogo alla loro fantasia, cosa che il formato ridotto del 45 giri non permetteva. I brani perdono così l’ormai obsoleto attributo di “canzone” per trasformarsi invece in “suites”. E ancora, un altro elemento che distingueva questo genere dagli altri, era uno spazio sempre più ampio dato alle parti strumentali a scapito di quelle cantate e la concessione a frequenti e interminabili assolo di chitarre, tastiere o batterie (che quasi mai, tuttavia, risultavano vuoti o fini a se stessi), cosa, fino a quel momento, assolutamente impensabile e intollerabile; venivano in tal modo messe in risalto le qualità e l’eccellente preparazione tecnica dei vari musicisti.

 

La diffusione in Italia e le formazioni più rappresentative

In Italia, i primi a parlare questo nuovo linguaggio, furono gruppi come Le Orme con Collage, i Formula 3 con Dies Irae, gli Osanna con L’uomo e i New Trolls con Concerto grosso per quel che riguarda i più celebri, ma anche alcuni gruppi decisamente marginali provarono molto presto a lanciare i loro primi – e molto spesso anche ultimi – lavori come i Panna Fredda, i Planetarium, i De De Lind e Il Balletto di Bronzo.

 Molto deve, il proliferare di tutti questi complessi dai nomi strampalati e fantasiosi, principalmente ai numerosi festival dell’epoca che si tenevano all’aperto sul modello dei leggendari Woodstock e Isola di Wight, festival che furono organizzati in una breve ma intensissima stagione nei primi ’70: il Davoli Pop – a Reggio Emilia –, il Festival di Genova, il Viareggio Pop, quello di Villa Pamphili – a Roma –, il Palermo Pop, il Festival di Bobbio ed altri ancora. Il pregio di tali concerti era di permettere ai gruppi meno celebri di esibirsi quasi gratuitamente e mettersi anche in luce per un eventuale contratto discografico che all’epoca, peraltro, era piuttosto facile ottenere grazie a giovani etichette molto aperte ed attente alla musica d’avanguardia (Trident, Magma, Bla Bla, Grog ed altre). Fu il caso, ad esempio, degli applauditissimi Semiramis (dove militava l’oggi fortunato cantautore leggero Michele Zarrillo), dei Pholas Dactylus, che destarono interesse e curiosità per il loro originale modo di proporsi o ancora del Biglietto Per L'Inferno il quale, grazie anche al carismatico frontman Claudio Canali – cantante-flautista e attuale monaco eremita di Lecco – riscosse plausi e lusinghe anche da personaggi illustri come Renzo Arbore. Altri, invece, pur rimanendo nella memoria di molti, non trovarono nessuna casa discografica disposta a lanciarli, come nel caso dell’ormai leggendario Buon Vecchio Charlie.

La quasi totalità di tali complessi, alcuni validissimi, altri un po’ meno, avevano comunque il merito di proporre una musica spontanea, il più possibile personale e, soprattutto, senza fini commerciali. Le influenze erano molto varie: c’era chi, naturalmente, attingeva dalla musica classica facendo abbondante uso di pianoforte (Festa Mobile, Reale Accademia Di Musica, Locanda Delle Fate) o facendo delle tastiere lo strumento principale e fondamentale (Corte Dei Miracoli, Murple, Uovo Di Colombo); certi, addirittura, fecero ricorso ad una vera e propria sezione archi per sottolineare maggiormente la loro ispirazione classicheggiante (Il Paese Dei Balocchi) o persino un’intera orchestra (Rovescio Della Medaglia, New Trolls e Osanna, tutti sotto la direzione dell’illustre maestro Luis Bacalov); altri ebbero invece una vena più marcatamente jazz (Cervello, Osage Tribe, Perigeo, Maxophone e Il Volo) ed altri ancora miscelarono il progressive con l’hard rock di stampo tipicamente anglosassone (Il Rovescio Della Medaglia – almeno nei primi due album –, i Teoremi, i Crystals o gli Atlantide). Un’altra importante caratteristica dei complessi pop italiani era costituita dai testi, nella quasi totalità dei casi non banali e, comunque, sempre impegnati: i Procession, ad esempio, parlano dei problemi dell’emigrazione; i Jumbo di sesso, prostituzione, alcolismo, ipocrisia; i Dalton e il Blocco Mentale di ecologia; i J.E.T. affrontano, invece, tematiche religiose; i Semiramis, con testi di ottima fattura, descrivono allegoricamente la triste condizione dell’uomo ridotto in marionetta e così via. Tutti comunque si opponevano alla triste e dilagante banalità di contenuti del panorama musicale coevo.

 

Difetti del progressive italiano e cause della sua decadenza

Purtroppo però l’Italia, come si sa, è sempre stata la patria della tipica canzonetta, e non è certo un caso se proprio qui abbiano proliferato – e proliferino tuttora – concorsi canori come il Disco per l’Estate e Sanremo su tutti; di conseguenza, molti dei gruppi progressive italiani ne furono influenzati, non tanto dal punto di vista musicale ma piuttosto da quello vocale. Innumerevoli furono, infatti, i complessi che partivano da idee musicali interessanti, ma scadevano poi in un cantato eccessivamente melodico e, in alcuni casi, addirittura sdolcinato (vedi ad esempio gruppi come Il Mucchio, i J.E.T., il Blocco Mentale o i Maxophone).

Una nota di rilievo viene anche dal fatto che, almeno il 90% di questi, dopo il primo disco, anche se di notevole fattura, si sciogliessero irrimediabilmente e finissero nel dimenticatoio senza aver neppure raggiunto la celebrità. Questo, probabilmente, per il loro scarso affiatamento, per le polemiche interne, per la fugacità della loro vena creativa ma, nella maggior parte dei casi, per le scarsissime vendite dei loro dischi, a causa sia del marchio decisamente elitario di questa musica, sia della totale incapacità delle case discografiche a promuoverli adeguatamente. Si può infine aggiungere che il rock progressivo ebbe vita intensa ma davvero molto breve e, almeno in Italia, già nella seconda metà degli anni Settanta, con i festival pop ormai in articulo mortis, era praticamente scomparso – se eccettuiamo alcuni illustri gruppi come la Locanda Delle Fate, i Genfuoco, la Corte Dei Miracoli e pochi altri.

 

I gruppi minori

Meritano poi quantomeno la citazione altri gruppi minori ma di indiscusso valore che, certamente, avrebbero meritato molta più considerazione di quanto invece non ne abbiano ricevuta. Parlo del Balletto Di Bronzo, autori di uno dei capisaldi del prog italiano, Ys, perfetto dal punto di vista tecnico, dell’affiatamento tra i musicisti, della coesione tra i vari strumenti e dei testi surreali. Anche i Metamorfosi avrebbero meritato più seguito grazie al loro album Inferno che molto deve all’estro del tastierista Enrico Olivieri e alla voce del cantante Davide “Jimmy” Spitaleri. Degno di essere sottratto all’oblio è certamente anche il Museo Rosenbach che nel ’73 pubblicò l’ispiratissimo Zarathustra il quale riprende nei testi le teorie nietzscheane del Superuomo. Interessante, infine, tra le tante meteore del pop italiano, Quella Vecchia Locanda, la quale realizzò nel ’72 un disco omonimo oggi molto considerato e ritenuto tra le perle del genere progressivo a livello italiano; un lavoro dalle atmosfere fiabesche ed evocative, impreziosito dal magico violino di Donald Lax e dal flauto di Giorgio Giorgi che contribuiscono a rendere questo LP davvero unico e imperdibile.

Un periodo, quello del progressive sinfonico, come si è detto prima, molto breve ma di fondamentale importanza soprattutto per lo sviluppo della musica italiana.

Sarà il fenomeno “punk” che, forse più di altri fattori, contribuirà alla scomparsa di questo affascinante e, a mio avviso, immortale genere. Il punk, appunto, con la sua musica scarna, violenta e fracassatimpani, con la sua “cultura” nichilista dell’autodistruzione, spazzerà via dalla scena il pop progressive. Da non trascurare, inoltre, l’avvento sempre più massiccio della disco music che coinvolgerà in massa i giovani che, stanchi di ascoltare della musica per la mente, prediligeranno invece quella per il corpo, propinata incessantemente nelle discoteche.

 

Piccola ripresa negli anni novanta

Sul finire degli anni Ottanta tuttavia – ma soprattutto dai Novanta in poi – assisteremo – non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo – ad una imprevista ripresa del progressive, forse mai veramente sepolto. In Italia gli Ezra Winston a tratti e i Nuova Era negli anni Ottanta, gli Abiogenesi, i Montefeltro e pochi altri nei Novanta, sono quelli che più di tutti forse hanno conservato la genuinità, la freschezza e la spontaneità del progressive nostrano tipico di tre decenni or sono, senza cercare improbabili misture con l’heavy metal, il dark, il grunge o la new wave (vedi Hyaena, Dunwich, Malombra, Crystal Phoenix tanto per fare qualche esempio). Un revival musicale che, nonostante il grosso seguito in tutto il mondo, nonostante gli arditi tentativi di contaminare tra loro stili musicali tra i più disparati e di rivisitare in ottica moderna questo genere, non ha tuttavia aggiunto praticamente nulla di nuovo o avuto la benché minima influenza sulla musica contemporanea.

 

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