L'Uomo dei Miracoli

08-04-03

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Miracoli. L'uomo dei miracoli

Estratto dal libro
"Sai Baba. L'uomo dei miracoli"

Howard Murphet, noto e rispettato autore australiano, ha investigato i miracoli di Sathya Sai Baba per decenni.  Quello che segue è un estratto dal suo libro, "Sai Baba. L'uomo di miracoli" dove sono raccontati alcune delle sue esperienze incredibili ed affascinanti. (pp. 124-135).
 

  Un pomeriggio, subito dopo il nostro arrivo, andammo a fare una gita e, dopo aver lasciato l’auto, passeggiammo per i declivi rocciosi delle alture. Baba si divertiva a raccogliere frammenti di roccia, giocherellava con essi per un po’ e poi li gettava via. Proprio quando eravamo sulla via del ritorno raccattò una pietra grossa come un pugno e se la portò alla Circuit House.

  Giunti colà ci condusse in una stanza e si accomodò sul tappeto mentre noi ci sedemmo in semicerchio intorno a lui. Egli cominciò a trattare affabilmente di problemi quotidiani, gettando ogni tanto per aria il pezzo di roccia e lasciandolo cadere sul pavimento. Poi lo lanciò all'improvviso nella mia direzione, domandandomi:

  "Puoi mangiarlo?"

  Esaminai la roccia da vicino. Era un granito con alcune venature di colore piuttosto acceso. Risposi che non era commestibile e glielo restituii: egli si trovava a non più di due metri da me.

  Baba raccattò la pietra e proseguendo nelle sue chiacchiere, apparentemente occasionali, la scagliò di nuovo in ria, mentre una dozzina di persone seguivano con attenzione i suoi movimenti. Intuendo che qualcosa di strano stava per succedere non persi mai di vista la pietra. Ora che giaceva sul tappeto potei notare in essa un lieve cambiamento: sebbene le dimensioni e la forma fossero inalterate e si potessero ancora osservare le venature, il colore era molto più vivo di prima.

  Alla fine, Swami la fece rotolare verso di me sul tappeto. "Puoi mangiarla ora?", domandò. Pieno di meraviglia e di gioia constatai che quella non era più una pietra ma zucchero candito. Baba lo fece a pezzi e lo distribuì tra i presenti. Era dolce e delizio0so come un "vero" candito. Era forse un'illusione ipnotica? Così ne misi un pezzo in tasca, che conservo tuttora e che è ancora zucchero candito.

  Mi venne in mente la famosa canzone popolare "Le grandi montagne rocciose candite" e dissi in tono scherzoso a Baba: "Mi piacerebbe che l'intera montagna si trasformasse in candito o in cioccolato". Egli sembrò prendere sul serio la mia richiesta quasi fosse una sfida. Dopo un po' rispose solennemente che non era bene interferire troppo con l'economia della natura.

  Allora capii quanto fosse stata sciocca la mia battuta. Se la forza di volontà, o qualsiasi altro potere, è in grado di trasformare un piccolo pezzo di roccia in una sostanza completamente diversa, perché non operare su scala maggiore? E perché non trasmutare le pietre in qualsiasi sostanza, in oro ad esempio? Compresi allora che un uomo il quale sappia utilizzare le occulte leggi della natura dev'essere al di sopra di essa. Egli deve avere superato le comuni inclinazioni umane per cose come il potere e il guadagno. Altrimenti che cosa potrebbe succedere?

  ...

  Un mattino pieno di luce passeggiavo con Swami e due ragazzi nei giardini della Circuit House. Baba indossava una veste giallo-ocra che gli cadeva armoniosamente dalle spalle fino a terra. Poiché Iris aveva stirato alcune delle sue tuniche un paio di giorni prima, sapevo con sicurezza che esse non avevano tasche o nascondigli dove si potesse celare qualcosa. Le maniche erano diritte e ampie, senza risvolti, e Baba non aveva niente in mano.

  Uno dei ragazzi tornava a Bombay il giorno successivo e voleva scattare alcune fotografie dello Swami, perciò quest'ultimo posò per diverse istantanee. Di quando in quando, mentre passeggiavamo e parlavamo, egli si fermava a raccogliere una bacca o una gemma da uno dei cespugli. Baba la esaminava con la concentrazione e il raccoglimento di un esperto botanico, poi, dopo un po', la gettava via come se non fosse adatta allo scopo che aveva in mente. Alla fine. raccolto un altro bocciolo, lo esaminò e me lo porse soddisfatto dicendomi di tenerlo. Subito dopo ritornammo sui nostri passi verso l'ingresso. Baba non andò verso la sua stanza ma si diresse verso la nostra, mettendosi a sedere su una sedie a braccioli mentre il ragazzo, mia moglie ed io gli facemmo cerchio intorno sul tappeto.

  Swami chiese il bocciolo che mi aveva dato. Glielo porsi ed egli lo tenne tra le dita per un momento, come studiandolo.

  "Che fiore è?" domandò.

  Confessammo la nostra ignoranza. Egli suggerì che poteva essere un bocciolo di rosa e noi ne convenimmo.

  Poi, guardando verso di me, domandò: "Che cosa vuoi che diventi?" Ero troppo confuso per pensarci, perciò risposi: "Qualsiasi cosa vogliate Voi, Swami".

  Tenendolo nel palmo della mano destra, chiuse le dita e vi soffiò sopra. Poi mi chiese di stendere la mano. Rimasi senza fiato, e mia moglie lanciò un grido di gioia quando dalla mano del taumaturgo che teneva il bocciolo cadde nella mia un brillante sfavillante. Le sue dimensioni erano quelle del bocciolo, che etra completamente sparito.

  Baba mi regalò quel sorprendente e bellissimo prodotto della sua magica trasmutazione, e lo conservo tuttora.

  Un mattino eravamo seduti sul pavimento intorno a Baba, aspettando che egli ci rivolgesse la parola, raccontandoci forse una di quelle storie meravigliose della mitologia indiana che conducono la mente a penetrare le verità più profonde della vita. Prima di dare inizio al discorso, ci mostrò una foglia verde e tracciò su di essa alcuni segni con l'unghia. Poi me la porse, ma io non riuscii a capire nulla di ciò che aveva scritto e che egli disse essere un mantra sanscrito.

  Successivamente chiese un libro, e una delle signore presenti gli porse la sua grammatica telegu. Riposta la foglia tra le pagine, chiuse il libro e diede alcuni colpetti con le dita sulla copertina. Poi lo aprì e tirò fuori la foglia. La scrittura c'era ancora, ma la foglia invece di essere verde e fresca com'era stata un momento prima, era bruna e secca tanto che si disfaceva in polvere.

  Baba gettò il libro sul tappeto e, dopo aver parlato un momento lasciò la stanza. Un miracolo del genere non convincerebbe uno scettico - pensai - , la foglia secca avrebbe potuto essere inserita nel libro prima. Così raccolsi il libro e cercai tra le pagine per trovare la foglia verde che mancava, ma non trovai nulla.

  Che motivo c'era che io dubitassi, mi chiesi, quando lo avevo visto fare cose altrettanto incredibili e inesplicabili? Sai Baba aveva in qualche modo disseccato la foglia, come un Altro che stava al di sopra della natura aveva seccato un albero due millenni or sono. Era come se la foglia fosse passata attraverso le fasi dell'estate e dell'autunno nel magico istante in cui Baba aveva tamburellato sul libro.

  ...

  Di questo tipo particolare di telecinesi Sai Baba ci fornì un esempio abbastanza sensazionale a Horsley Hill. Una sera Ramanatha Reddy, il dottore, alcuni ragazzi, Iris ed io eravamo seduti sul tappeto della sua stanza. Swami domandò la mia data di nascita e quando gliela dissi promise che mi avrebbe fatto arrivare dall'America una moneta coniata quello stesso anno.

  Poi cominciò a muovere la mano voltata verso il basso, proprio di fronte a noi, descrivendo nell'aria cinque o sei piccoli cerchi e pronunciando nel frattempo alcune parole: "Ora sta arrivando... Arriva... E' qui!"

  A questo punto chiuse la mano tenendola davanti ai miei occhi, sorridendo come se si compiacesse per la mia febbrile attesa. Quando la moneta scivolò dalla sua mano nella mia, la prima cosa che notai fu che era d'opro massiccio. Esaminandola più da vicino, quale non fu il mio stupore nel constatare che si trattava di una moneta da 10 dollari coniata negli Stati Uniti, con l'anno della mia nascita impresso sotto la figura della Statua della Libertà.

  "E' nata lo stesso anno in cui sei nato tu", disse lo Swami con un sorriso.

  Di fronte a un accadimento del genere gli increduli avrebbero forse potuto immaginare che Baba si fosse portato appresso un certo numero di monete in modo da averne una che si accordasse con l'anno della mia nascita. Ad essi potrei obiettare che, oltre al fatto che queste vecchie monete non sono più in circolazione neppure negli Stati Uniti, sarebbe stato impossibile a chiunque procurarsele in India con i mezzi normali.

  Non c'era dubbio che avevamo assistito a uno dei molteplici e autentici "apporti" operati da Baba. Mentre egli muoveva in cerchio la mano davanti a noi, un "agente" invisibile dietro suo ordine aveva smaterializzato la moneta, e portandola ad una velocità incredibile l'aveva rimaterializzata nella mano di Sai Baba.

  Nessuno avrebbe potuto dire donde venisse, e Baba non lo avrebbe detto a nessuno. Forse essa apparteneva a un antico tesoro nascosto, perduto, dimenticato molto tempo fa e non appartenente a nessun uomo vivente.

  Dal canto mio, ero ormai certo che Baba non era un impostore e che i suoi miracoli avevano il sigillo dell'autenticità; ma gli increduli avrebbero forse potuto avanzare le loro riserve anche su un'altra produzione di oggetti, quelli che il taumaturgo estraeva dalla sabbia. Non che quest'ultimo "mezzo" fosse particolarmente indispensabile, poiché - come mi avevano assicurato numerosi devoti - i medesimi oggetti "creati" dalla sabbia erano stati prodotti in altre occasioni dall'aria.

Tuttavia, a qualsiasi ricercatore nel campo della parapsicologia che voglia essere obiettivo, di fronte a storie del genere verrebbe più che naturale porsi tutta una serie di domande. Gli oggetti non sono "piantati" in precedenza nella sabbia? Baba non ricorre a qualche trucco per nasconderveli prima di scavare e di estrarli? In effetti, "le creazioni di sabbia" più di ogni altro fenomeno potrebbero far sorgere un grosso punto interrogativo nella mente di chiunque non abbia mai assistito ai miracoli di Sai Baba o sentito la commozione spirituale che la sua presenza comunica.

  Nessun osservatore attendibile mi aveva ancora raccontato per intero e in modo esauriente questi eventi. Solo più tardi le osservazioni che io stesso potei fare "sul campo" trovarono conferma da parte di numerosi ed eminenti uomini di scienza indiani; ma non voglio precorrere i fatti.

  Il lettore deve sapere che, durante il viaggio dalla Circuit House alla località in cui sarebbero accaduti i"miracoli della sabbia", io sedevo sul sedile anteriore in compagnia di Sai Baba e del guidatore, Raja Reddy. Posso quindi assicurare che Baba non teneva niente in mano e indossava la sua solita tunica. Nessuno degli oggetti che sarebbero stati prodotti di lì a poco avrebbe potuto essere nascosto sulla sua persona.

  L'automobile di Baba e diversi altri veicoli del seguito si fermarono ad alcuni chilometri dalla Circuit House. Scendemmo e ci dirigemmo verso uno spiazzo di sabbia che avevamo visto durante una gita precedente, e che era situato a circa 400 metri dalla strada.

  Baba domandò ai giovani che facevano parte del gruppo di preparare una piattaforma di sabbia, cosa che essi fecero in poco tempo, allestendo un riquadro ben spianato di circa quattro metri quadrati e alto una trentina di centimetri. Baba si sedette a gambe incrociate nel mezzo e il gruppo gli fece cerchio intorno. Io mi trovavo in prima fila, proprio ai margini della piattaforma. Fantasticai che se qualche oggetto vi era stato seppellito in precedenza, per trovarlo Baba avrebbe dovuto scavare molto al di sotto dello strato di sabbia appena ammucchiato.

  Come al solito cominciò con un discorso spirituale che aveva l'effetto di creare un'armonia tra gli animi dei presenti, purificando al tempo stesso la mente, cosa che costituisce forse una necessaria preparazione ai miracoli. Poi tracciò con il dito un disegno sulla sabbia proprio di fronte a me e mi domandò che cosa fosse. Dal posto in cui ero seduto mi parve di scorgere qualcosa che assomigliava a una figura umana e glielo dissi.

  Ridendo e con l'espressione lieta di un bambino assorto nei suoi giochi, ammucchiò un po' di sabbia formando una montagnola alta una decina di centimetri sopra il disegno. Sempre con l'espressione di chi attende qualcosa di lieto, appoggiò il dito sulla sommità della montagnola, poi, grattando via leggermente la sabbia, mise in evidenza una lucente figura d'argento, simile a quella che aveva disegnato prima. Era una statuetta di Visnu alta otto centimetri. Egli la sollevò perché ognuno potesse vederla, poi la mise da parte spianando la sabbia davanti a lui e ricominciammo ancora una volta a discorrere di questioni spirituali.

  Di nuovo tracciò un disegno sulla sabbia, di nuovo lo coprì con un monticello, questa volta più grande e con la cima piatta. Di nuovo, con un sorriso di felicità, posò la punta del dito sulla sommità e tolse la sabbia. A una profondità di pochi centimetri c'era una fotografia. La estrasse scuotendone via i granelli gialli e la sollevò perché tutti la vedessero: era una fotografia lucida in bianco e nero di sedici per venti.

  Ce la porse perché ognuno di noi potesse vederla da vicino, ed io stesso ebbi modo di esaminarla a mio agio più tardi, quando ritornai nella mia stanza. La fotografia raffigurava gli dèi indù e gli avatara, disposti in piedi su due file, quasi a formare una punta di freccia rivolta in avanti con Krishna in primo piano. Sul corpo del Dio si potevano scorgere delle piccole teste di Satya Sai Baba e di Shirdi Baba come particolari. Potei constatare che questa stampa non era uscita da nessun laboratorio fotografico di questa terra.

  ...

  Altri oggetti, estratti dalla sabbia nello stesso modo, furono regalati a diverse persone nel corso dell'udienza. Il signr Niak, amministratore del distretto di Kolar, ebbe in regalo un bellissimo japamala e un altro funzionario e un altro funzionario ricevette una collana.

  Ma la "creazione" più spettacolare, operata nel piccolo riquadro di sabbia, di cui tutti fummo testimoni, doveva ancora venire. Baba tracciò il solito schizzo, che io identificai questa volta come un piccolo recipiente, poi con ambedue le mani radunò la sabbia formando una collinetta. Alzando il capo verso di noi con un dolcissimo sorriso, ne toccò la cima ed estrasse un piccolo recipiente d'argento. Era un'ampolla con un lungo collo e un coperchio serrato.

  Baba la scoperchiò e un meraviglioso profumo si diffuse nell'aria. Messa da parte l'ampolla ritornò a disegnare e a costruire mucchietti di sabbia. Questa fu la volta di un cucchiaio d'oro con cui agitò il contenuto dell'ampolla, imboccando tutti gli astanti.

  Come gli altri aprii la bocca, mentre Baba vi introduceva il cucchiaio colmo di uno strano liquido. La parola che mi venne subito in mente, non appena ne gustai il sapore, fu "ambrosia". Cos' doveva certamente essere la bevanda degli dèi, e di fatto essa faceva pensare a una mistura di essenze di frutti celestiali, archetipi dei frutti più deliziosi che si possano incontrare su questa terra. Il suo sapore non si può descrivere, e bisognerebbe averlo gustato per farsene un'idea.

  I devoti chiamano questo nettare amrita, che ha lo stesso significato di ambrosia, la bevanda degli immortali. Molti devoti, tra cui Nirmalananda e Gabriela, mi avevano detto che Baba lo produceva in rarissime occasioni e tutti cercavano invano di descriverne l'aroma e il profumo. Altri, tra cui il dotto Sitaramiah, mi raccontarono che Baba poteva produrre amrita, oltre che dalla sabbia, strizzando la mano o in altri modi. Da più di tre anni però nessuno aveva assistito a manifestazioni di amrita, e fui molto grato a Baba per avere concesso a mia moglie e a me la personale esperienza di un prodigio così sensazionale ed emozionante. In quell'occasione vi assisterono circa una cinquantina di uomini e oltre una dozzina di donne. Baba ne distribuì un po' a tutti, ad eccezione naturalmente delle altre donne che erano rimaste alla Circuit House. Tutti poterono averne un cucchiaino e l'ampolla era ancora piena.

  Baba me la consegnò perché la riportassi indietro. Mi sentii molto fiero della cosa e tenni il recipiente con molta cura tra le mani mentre la macchina imboccava l'una dopo l'altra le strette curve della strada che ci riconduceva in cima all'altura. C'era ancora qualche granellino di sabbia attaccato ai disegni incisi su quel metallo che somigliava all'argento, e che era costituito, come mi fu poi detto, da una lega detta pancaloha. Sul terrazzino della Circuit House restituii l'ampolla a Baba ed egli andò diritto e filato a distribuire qualche cucchiaino a tutte le signore che non avevano ancora assaporato il "nettare degli dei".

  Mi domandai più volte che cosa fosse stato della piccola ampolla, e un anno dopo a Bombay un devoto mi disse di aver ricevuto in dono un recipiente di pancaloha qualche giorno dopo che si era verificato l'evento che ho descritto. Esso conteneva ancora un po' di amrita che lui e la sua famiglia avevano gustato, e ora l'ampolla miracolosa faceva spicco nella sua casa.

   A questo punto posso rispondere alle domande di un ipotetico ricercatore di parapsicologia. In primo luogo è da escludere che gli oggetti fossero stati nascosti in precedenza nello spiazzo di sabbia, poiché essi uscivano dalla cima di una montagnola edificata sotto i nostri occhi e collocata su una piattaforma alta trenta centimetri, anch'essa costruita sul momento. In secondo luogo, anche ammesso che Baba avesse portato quella notte gli oggetti nello spiazzo, non avrebbe potuto neanche con il più geniale gioco di mano farvi scivolare, sotto i nostri occhi e senza che ce ne accorgessimo, oggetti come una statuetta lucente, una grossa fotografia, un voluminoso japamala e un'ampolla luccicante. Se egli è in grado di fare una cosa del genere, la sua abilità è superiore a quella del più esperto prestigiatore del mondo e potrebbe acquistare fama e fortuna sui palcoscenici.

  A parte il carattere prodigioso della produzione di tali oggetti, c'è uno strano mistero racchiuso nell'amrita: la sua qualità di ambrosia celeste e la sua capacità (dimostrata in diverse occasioni) di aumentare in modo da essere sempre sufficiente a tutte le persone presenti. Mi chiesi quale fosse il suo vero significato e decisi di domandarlo a Sai Baba alla prima occasione.

   ...

   (Nota  L'intero libro del Murphet è zeppo di racconti di fenomeni miracolosi come i precedenti, a cui l'autore ha assistito.)

Qualche conclusione
(da L'uomo dei miracoli, pp. 287 segg.)

  Gli eventi miracolosi cui ho assistito sono stati tali e tanti che anche quando ne ho sentito parlare da altri testimoni non ho avuto alcuna difficoltà a credervi. La credibilità dei fatti raccontati ha acquistato tanto più valore in quanto ho potuto apprezzare le doti di integrità, intelligenza e dirittura morale dei testimoni stessi. Ma se i miracoli del Sai sono un fatto incontestabile agli occhi dei comuni mortali come me, e di molti eminenti personaggi della società, coloro che hanno avuto la fortuna di assistervi di persona rappresentano soltanto una piccola parte dell'umanità. Ci si può domandare allora come la pensano quei milioni di altre persone, meno fortunate, che non hanno potuto constatare direttamente gli eventi miracolosi. Che dire poi delle masse materialiste e atee condizionate dall'ideologia superficiale della società tecnologica? Vi è la minima possibilità che costoro possano dar credito agli incredibili episodi descritti in queste pagine?

  La mente umana rifiuta e considera per sua natura "impossibile" tutto ciò che trascende la sua capacità raziocinante. Un fenomeno di materializzazione, per esempio, è così fuori dall'esperienza quotidiana che anche quando vi si assiste non è facile ammettere che sia realmente accaduto. Si pensa a un fenomeno di suggestione, e ci si convince di essersi trovati fuori dello spazio e del tempo. Quando invece si ritorna alla dimensione normale, la verità del miracolo sembra svanire, sfumando come la realtà quando ci si sveglia.

  "Il miracolo è realmente accaduto?", si chiede allora l'uomo abituato a pensare in termini razionali. Il gioiello rilucente "venuto dal nulla" è nella sua mano; il sapore del dolce, che un attimo prima era pietra o carta, è innegabilmente sulla sua lingua. Gli effetti sono visibili, ma non riusciamo a trovare le cause che sfuggono all'analisi del nostro pensiero razionale.

  E' probabile che i popoli di tutti i continenti potranno vedere Sai Baba nei prossimi anni. Vi è qualcosa di nuovo nella storia del mondo: un uomo di Dio, un "operaio di miracoli", percorrerà la terra con i più moderni mezzi di comunicazione, e durante la sua stessa vita potrà trasmettere il suo messaggio a tutti i popoli.

  Un tempo ciò non poteva accadere, e la notizia di così sorprendenti avvenimenti raggiungeva la massa dell'umanità attraverso resoconti verbali e scritti che venivano redatti molto tempo dopo che essi avevano avuto luogo. Ora gli scettici e i dubbiosi, incapaci di credere nel più grande come nel più piccolo dei miracoli, possono rendersi conto della loro realtà. Se sono abbastanza audaci possono visitare Prashanti Nilayam per diventarne testimoni: altrimenti possono attendere che Sai Baba in persona arrivi in un luogo più prossimo a quello in cui vivono.

  Se è necessaria la fede per credere nei miracoli di Cristo e di Krishna, quelli di Sai baba possiamo vederli di persona.

Estratto da:

Howard Murphet. Sai Baba, L'uomo dei miracoli, Torino, Edizioni Savitri, 1980

 

     

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Ultimo aggiornamento: 08-04-03