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RIFORMA DELLO STATO GIURIDICO
DEI DOCENTI UNIVERSITARI

di Olmo ARTALE

 

Ringrazio gli organizzatori dell’assemblea, per primo il Magnifico Rettore.
Ringrazio i professori, i ricercatori e gli studenti intervenuti e presenti oggi.

Mi è stato chiesto perché, come studenti, riteniamo indispensabile soffermarci e pronunciarci rispetto al disegno di legge delega Moratti.
Sono essenzialmente tre le ragioni che ci spingono a farlo.

Tale riforma, come già evidenziato dalla relazione sullo stato dell’Università del presidente della CRUI Piero Tosi , e come si può facilmente intuire dalla lettura dell’art. 3 del ddl stesso, deficita della necessaria copertura finanziaria.
Come siamo già stati abituati dall’attuale governo, si propone una riforma a costo zero.

Il finanziamento agli atenei e alla ricerca in particolare è, infatti, un punto nevralgico che necessita di un ulteriore approfondimento:

Come evidenziato dal già Commissario europeo alla Ricerca, Philippe Bosquin, l’Italia si è classificata ultima per gli investimenti in ricerca nell’anno 2003 fra i paesi dell’Unione Europea a 25.
Il Consiglio Europeo di Lisbona fissava, infatti, per gli stati membri, una previsione di spesa in R&S pari al 3% del PIL. Per onestà nessun paese europeo ha raggiunto tale quota.
L’Italia si attesta, però - secondo l’ultimo rapporto ISTAT - a circa l’1% del PIL. Gli altri paesi quasi ci doppiano. In questa già deficitaria situazione è sconsolante notare come, in tal ambito, l’Italia cresca ad una media dello 0,5% annuo; La Grecia, che pur nel totale sta sotto di noi, cresce del 15% annuo.
Negli anni 1995-2001 la spesa in R&S cresceva del 2,7% rispetto al PIL per anno (contro una media europea del 4,7%). Dal 2001 al 2003, nonostante gli impegni, a parole, dell’attuale Governo, l’investimento pubblico nell’istruzione e nella ricerca è sensibilmente diminuito, in R&S addirittura del 5,3%.
Riteniamo fondamentale che un paese come l’Italia inverta questa pericolosissima tendenza capace di portare ad un totale collasso del sistema produttivo che dovrebbe, al contrario, trovare la propria vocazione principale in R&S.

L’aumento delle risorse per la ricerca, oltre che in chiave economica, deve essere letta in chiave di formazione degli studenti.
Anche su questo punto la lettura del ddl Moratti ci vede profondamente delusi e perplessi.
Noi vogliamo una formazione universitaria di qualità.
La previsione legislativa di abolire l’attuale distinzione fra professori a tempo pieno e a tempo definito, l’apertura dell’insegnamento a liberi professionisti, sovvenzionati anche da privati, provoca in noi serie preoccupazioni sulla qualità della didattica.
Quale attaccamento all’Università e alla ricerca potrà avere un professionista che, assolte le 350 ore, si sentirà libero di coltivare la propria, preferenziale, attività privata ?

Pongo l’attenzione su un ultimo interrogativo.
Ho avuto modo di realizzare quale sarebbe la carriera da ricercatore, con naturale sbocco nella docenza, per uno studente della mia età in applicazione dell’attuale ddl.
Uno stillicidio di contratti a progetto, che pongono in una situazione di precariato (vedi trattamento pensionistico) che mi accompagnerebbero sino alla tenera età di quasi cinquanta anni.
Come se ciò non bastasse la retribuzione media di un ricercatore italiano si attesta fra li 11.000 € e i 14.000 € all’anno. Gli altri grandi paesi dell’unione (per non citare gli USA e il Giappone) prevedono una retribuzione almeno doppia (fra i 20.000 € e i 28.000 € annui).
Se l’interesse del Ministero è quello di avere dei giovani motivati e preparati nella ricerca e nell’Università non vedo di certo in questo ddl uno strumento congruo ed efficace al raggiungimento di tal fine.
Tutto il contrario.

In conclusione, a nome degli studenti, chiedo che il mondo accademico, in maniera unitaria e a tutti i livelli, sia reso partecipe alla discussione e si impegni ad intervenire per sanare questa condizione di grave incertezza e pericolo.

Olmo Artale
Rappresentante in Consiglio di Facoltà
di Giurisprudenza per Sinistra Universitaria