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DDL MORATTI
L’ Italia è ,dopo la Grecia,il
paese europeo che meno investe nella ricerca:appena l’1% del PIL. Prima che di riforme l’università ha bisogno di finanziamenti.E’ ora di iniziare a dirlo con forza,nelle sedi istituzionali come nelle piazze. Il Senato Accademico dell’Ateneo
di Bologna ha ,quindi, il dovere di prendere posizione sui temi dibattuti
a livello nazionale in materia di università, a cominciare dalle
polemiche suscitate dal “disegno di legge delega sul riordino
dello stato giuridico e del reclutamento dei professori universitari”. Proviamo a ricostruire alcuni dei punti nodali della riforma: 1)Il DDL articola la docenza universitaria
in due fasce, mettendo a esaurimento l’attuale ruolo dei ricercatori,da
sostituire con contratti di collaborazione coordinata e continuativa
rinnovabili fino ad un massimo di 8 anni,compreso il dottorato.Dichiarato
fine della riforma dovrebbe essere: favorire l'accesso dei giovani alla
docenza universitaria in modo da garantire qualificato ricambio generazionale
ed assicurare la continuità dell'offerta didattica.Nei fatti
la sostituzione del ruolo di ricercatore con contratti di Co.Co.Co.
si rivelerà un ulteriore iniezione di precariato per una categoria
già bistrattata.Tali riforma,che apertamente si propone di equiparare
la posizione dei ricercatori italiani a quella dei pari ruolo degli
altri paesi europei,non considera la retribuzione media di un ricercatore
in un altro paese europeo,doppia rispetto al ricercatore italiano.La
riforma non prevede alcun aumento di retribuzione:e d’altronde
,come potrebbe,stante l’attenzione di questo governo all’università
e alla ricerca? 2)Il legislatore ,al di là dei
propositi,è ben consapevole del progressivo inaridimento della
ricerca dovuto al disimpegno di tante giovani e brillanti menti al punto
da immaginare,già nel tessuto della riforma gli eventuali sostituti: 3)Il DDL prevede,inoltre,l’abolizione
della tradizionale distinzione tra tempo pieno e tempo definito.Tutti
i docenti dovranno espletare le attività universitarie per 350
ore l’anno,con un trattamento economico costituito da una parte
fissa corrispondente al trattamento economico dell’attuale tempo
pieno,ed una retribuzione variabile relativa ad ulteriori attività,oggetto
di specifico incarico.Anche i liberi professionisti che hanno incarichi
di docenza saranno retribuiti con trattamento di “tempo pieno”. 4)Infine il DDL introdurrebbe nuove
forme di reclutamento dei docenti sulla base di procedure di idoneità
scientifica unificate a livello nazionale:un tentativo ,questo, di superamento
dell’attuale”localismo accademico” che è ,da
tanti stato visto,come fucina di ingiustizie. Non è inutile concludere ripetendo ,per l’ennesima volta,vista la centralità dell’argomentazione,che la riforma, oltre ad essere deficitaria dal punto di vista della copertura finanziaria, è priva di alcuna connessione con il finanziamento delle università pubbliche,vero tema non rinviabile e centrale. Per tali motivi gli studenti non possono non percepire la protesta del mondo della ricerca come la loro.Hanno il dovere di sostenerla e il diritto di chiedere che diventi un tassello di una mobilitazione più ampia che coinvolga tutto il mondo universitario e che pensi all’università come ad un sistema complesso e ricco di esigenze e temi riformatori da affrontare.Senza dimenticare che la ricerca, il diritto allo studio,l’accesso diffuso al sapere come antidoto principale alle disuguaglianze sociali, il sistema nel suo complesso,necessitano di investimenti quanto di riforme.
Documento presentato in Senato Accademico il 19/10/2004
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