Piero Melograni
Quando lo schermo tradisce la Storia
"Mondo Economico"
24 luglio 1993

In queste settimane, a Parigi, si puo' assistere a tre spettacoli cinematografici utili per capire come il cinema riesca talvolta a facilitare e talvolta a ostacolare la conoscenza della storia. I tre film sono Louis Enfant Roi di Roger Planchon, L'Oeil de Vichy di Claude Chabrol e Pe'tain di Jean Marbeuf. Nessuno dei tre e' ancora arrivato sugli schermi italiani.

Il primo descrive alcune vicende dell'adolescenza di Luigi XIV re di Francia, detto il Re Sole, succeduto a suo padre nel 1643, ad appena cinque anni di età. Le vicende del film iniziano quando il re-bambino ha superato da poco i dieci anni e si concludono quando ne ha compiuti quattordici. Il giovanissimo monarca si trova ancora sotto la potestà di Anna d'Austria, sua madre, reggente al trono di Francia, e del cardinale Mazarino, potente primo ministro. La vita di corte è resa turbinosa dal fatto che la Fronda è in aperta rivolta contro l'assolutismo monarchico. Ci sono lotte furiose, battaglie, morti, tradimenti. In piena notte - lo vediamo anche nel film - Luigi, sua maddre e Mazarino sono costretti a fuggire alla volta di Saint-Germain. Ma tante vicissitudini, anziché fiaccare il futuro Luigi XIV, lo fortificano, come una valida scuola di vita e di politica. Il film di Roger Planchon è un grande spettacolo barocco, pieno di ori, di armature, di splendidi costumi e di belle immagini. E' stato girato in luoghi ricchi di suggestione, come il castello di Chambord sulla Loira o il palazzo dei Papi in Avignone. Ma non ci aiuta molto a conoscere la storia. Il regista di un film storico dovrebbe sempre preoccuparsi di ricostruire la verità del passato e viceversa Roger Planchon se ne cura fino a un certo punto. In un'intervista pubblicata da Le Point lo scorso 17 aprile, ha immodestamente dichiarato: <Come Shakespeare, anch'io costruisco favole con la stessa libertà e disinvoltura. L'insieme è vero, non i dettagli. Il mio film è un manuale. E' un sogno>. Ma in un'altra intervista, apparsa nell'Express il 29 aprile, dopo aver detto che la chiave di lettura del film deve essere trovata nel fatto che ognuno desidera il potere, ha addirittura affermato che, nel film su Luigi XIV, il suo desiderio è stato quello di non farsi ben capire. Ci permettiamo di osservare che non si può fare un buon film storico senza possedere un'idea-guida circa le vicende da descrivere. Si possono avere idee-guida sbagliate; ma non ci si può sottrarre alla necessità di abbracciarne una, altrimenti si finisce per mettere in piedi uno spettacolo oltremodo confuso e irritante. Ai registi come Planchon bisognerebbe poi ricordare che la ricerca storica non impedisce all'artista di esprimersi poeticamente. E' anzi vero il contrario, forse anche perché molte volte ''la réalité depasse la fiction'', la realta' supera la fantasia. Un famoso film didattico di Roberto Rossellini, non a caso dedicato allo stesso personaggio che qui ci interessa, La presa del potere di Luigi XIV, girato nel 1967, è un vero capolavoro in cui la poesia si concilia con la ricerca storica, anche se a proposito di questa ricerca storica si può discutere, così come è discutibile e criticabile ogni indagine scientifica. Nello stesso film di Planchon, del resto, c'è una parte molto avvincente che sicuramente si fonda su una documentazione precisa, ed è la parte che si riferisce all'istruzione sessuale del giovanissimo Luigi. Ebbene, all'indomani della notte in cui Luigi ha la sua prima polluzione, la regina istruisce una giovane e bella dama di corte perché inizi immediatamente il ragazzo ai misteri del sesso. L'argomento ha spesso costituito un tabù, ma tutte le corti del mondo si sono sempre preoccupate di istruire sessualmente i giovani principi ereditari. Nel film di Planchon, insomma, la rappresentazione di questo episodio sta a confermare che la fedeltà alla storia può consentire di ricostruire scene di vita poetiche, educative e perfino un po' erotiche.

Il secondo dei film storici visibili a Parigi in queste settimane è, come già abbiamo detto, L'Oeil de Vichy di Claude Chabrol. Autore di numerosi film della nouvelle vague, questa volta Chabrol si è voluto cimentare con un puro e semplice montaggio di documentari cinematografici prodotti a scopo di propaganda dal governo di Vichy, vale a dire dal governo presieduto dal maresciallo Pétain tra il 1940 e il 1944. Ci troviamo dunque di fronte a un'opera che per certi versi costituisce il rovescio del film di Planchon su Luigi XIV. Chabrol non ha inventato nulla ed è stato così rispettoso della realtà da voler soltanto incollare fra loro i numerosi documentari dell'epoca. In apparenza, dunque, tutto sembrerebbe perfetto. E invece, anche in questo caso, la conoscenza della storia non è molto favorita. Incollare l'uno all'altro spezzoni di documentari cinematografici, sia pure operando una scelta intelligente e inserendo varie frasi di commento e di collegamento, equivale a mostrare un'antologia di documenti, senza elaborarli. Per conoscere la storia occorre esaminare lentamente, analizzare, scomporre e ricomporre i documenti, e dunque anche i documentari cinematografici. Mostrare senza soste una serie di immagini, senza sottolinearne i particolari più significativi, senza ripresentare quelle stesse immagini - quando occorre - anche più volte di seguito (come invece è stato fatto in un recente film hollywoodiano sull'assassinio del presidente Kennedy) significa stordire il pubblico e non aiutarlo a riflettere. Con ciò non si vogliono negare i pregi che il lavoro di Chabrol possiede. Il materiale documentario è ben scelto e ricco di stimoli. Le manifestazioni che i collaborazionisti francesi tennero imitando il tenebroso stile nazista suscitano profonda impressione. E le immagini dell'improvvisa visita che il maresciallo Pétain compì il 26 aprile 1944 nella Parigi occupata dai tedeschi fanno nascere molti interrogativi, poiché esse documentano l'accoglienza entusiastica che centinaia di migliaia di parigini tributarono al vecchio uomo di Stato pochi giorni prima che gli anglo-americani sbarcassero in Normandia.

Resta da parlare dell'ultimo film, Pétain, di Jean Marbeuf. Anch'esso descrive alcune vicende del Governo risiedente a Vichy, ma non utilizza neppure un documentario. Tutto è ricostruito in studio. Ci si occupa soprattutto dei difficili rapporti esistiti tra il capo dello Stato, Pétain appunto, e il capo del Governo, Pierre Laval. I due personaggi sono interpretati da eccellenti attori, come appunto sono Jacques Dufilho e Jean Yanne. Alcuni hanno criticato il film, sostenendo che esso presenta sotto una luce troppo favorevole il vecchio maresciallo e magari tutto l'ambiente di Vichy. A noi sembra invece che, nell'insieme, il film risulti abbastanza fedele alle ricostruzioni fatte dai più accreditati storici, come ad esempio Robert Aron. Diremo anzi che, fra le tre pellicole viste a Parigi, questa dedicata a Pétain è la più efficace, almeno dal punto di vista storico. Aiuta infatti a capire quel che accadde, induce a riflettere e mostra i caratteri dei personaggi con le loro ambiguità senza abbandonarsi a forzature. Naturalmente, come ogni film di fiction, anche questo Pétain tradisce in parte la verità. Ma si deve dire la stessa cosa anche per tutti i saggi di storia, pubblicati in ogni epoca dai più eminenti studiosi dopo anni e anni di faticose ricerche archivistiche. Il passato, in qualche misura, è irricostruibile.