Piero Melograni
Pci, se non il nome cambiamo il simbolo
"Corriere della Sera"
8 settembre 1985

La falce e il martello incrociati non sono un simbolo del socialismo italiano. Sono lo stemma dello Stato sovietico.

Prima che nascesse lo Stato sovietico, i socialisti italiani ricorrevano ad altri simboli. Avevano la bandiera rossa e, all'interno di questa, ricamavano nel più curioso disordine i soli nascenti, le vanghe, i martelli, i rastrelli, le falci, le spighe di grano, i compassi, le fiaccole e le spade, ma mai -per quanto fino ad ora mi risulta- la falce e il martello incrociati che siamo abituati a vedere oggi.

Lo stemma con la falce e il martello fu adottato dallo Stato sovietico all'inizio del 1918. Un pittore presentò al governo bolscevico un progetto eseguito ad acquarello dove, oltre alla falce e al martello, era raffigurata anche una spada affilata. "Interessante!... -disse Lenin-ma perché la spada?". E la spada fu tolta.

In Italia, lo stemma dello Stato sovietico fu ufficialmente adottato dal Partito socialista il12 ottobre 1919, all' indomani del Congresso di Bologna che aveva deciso di aderire all'Internazionale comunista. A quel tempo non esisteva ancora un Partito comunista d'Italia e il filo-bolscevico Antonio Gramsci militava nello stesso partito del riformista Filippo Turati.

Sull'"Avanti!" del 13 ottobre 1919, sotto al titolo "Riunione della Direzione del Partito ad Imola. Nicola Bombacci segretario del Partito", si lesse che la nuova direzione aveva deliberato di adottare come simbolo "lo stemma della Repubblica dei Soviet: un martello incrociato da una falce e circondato da due spighe di grano". Il 18 ottobre lo stesso "Avanti!" pubblicò un fondo di Marco Ramperti intitolato "Falce e martello". Ramperti spiegò che il simbolo era stato scelto perché era quello dei "comitati proletari che in Russia contavano due anni di vita".

Un mese più tardi, in Italia, si svolsero le elezioni generali politiche e i candidati socialisti si presentarono per la prima volta con il simbolo della falce e martello. Il 2O novembre, l'"Avanti!" poté annunziare in un grande titolo: "Il simbolo dei Soviet ha vinto!".

Lo stemma dei Soviet si trova ancora nella bandiera del Pci. Ma è sbalorditivo che resti ancora, sia pure in formato ridotto, sotto al garofano del Psi.

I simboli sono importanti. Contengono un messaggio che merita di essere decifrato. In questo caso lo si decifra cercando di capire che cosa sono e che cosa furono i Soviet. Oggi, nell'Urss, i Soviet sono una pura finzione, un inganno. Ma erano un inganno già nel 1918. Fin dal 1918 Rosa Luxemburg, la più eminente figura della sinistra rivoluzionaria europea, poté scrivere: "Lenin e Trotski hanno sostituito ai corpi rappresentativi eletti con suffragio universale i Soviet, come unica vera rappresentanza delle masse lavoratrici. Ma soffocando la vita politica in tutto il paese, è fatale che la vita si paralizzi sempre più nei Soviet stessi. Senza elezioni generali, senza libertà illimitata di stampa e di riunione, senza libera lotta di opinioni, la vita muore in ogni istituzione pubblica, diviene vita apparente ove la burocrazia rimane l' unico elemento attivo."

La falce e il martello sono dunque i simboli di una istituzione che, fin dal 1918, poteva essere giudicata un fallimento per la democrazia. Conservare la falce e il martello nel 1985 vuol dire non aver fatto chiarezza con eventi che, per Rosa Luxemburg, erano già chiari nel 1918.

C' è un ultimo particolare secondario che merita tuttavia di essere ricordato. Gli uomini i cui nomi, nel 1919, più si legarono alla decisione di importare in Italia il simbolo dei Soviet furono, come abbiamo detto prima, il segretario del partito Nicola Bombacci e il giornalista Marco Ramperti. Diventarono fascisti. Finirono tutti e due nella Repubblica sociale. Dopo la caduta del fascismo repubblicano, Ramperti fu arrestato, processato e amnistiato. Bombacci, per chi non lo ricordasse, tentò la fuga nell'aprile '45 insieme con Benito Mussolini, Claretta Petacci e Alessandro Pavolini cercando invano di riparare in Svizzera. Anche lui, insieme con gli altri fuggiaschi, fu fucilato a Dongo dai partigiani.

Sullo stesso tema vedi l'articolo di Piero Melograni, Falce e martello, "Avanti!", 28 marzo 1990.