Piero Melograni
Requiem per Lenin
"Mondo Economico"
21 settembre 1991

Ora che i suoi ritratti sono stati lacerati, le sue statue sono state abbattute e la sua mummia sembra in procinto di essere sepolta, dovremmo cercare di esaminare l' avventura terrena di Vladimiro Ulianov, detto Lenin, con quello spirito di pietà che ogni defunto merita. E per iniziare ricorderemo che Vladimiro Ulianov, appena diciassettenne, fu sconvolto dall' arresto e dall' impiccagione di suo fratello Alessandro, di quattro anni più grande di lui, accusato di aver attentato alla vita dello Zar. Vladimiro non era stato mai molto legato al fratello e sembra anzi che lo dispregiasse, ma questo fatto contribuì a esasperare la pena e ad accrescere il senso di colpa. Il giovane Vladimiro prese la decisione di occuparsi di politica per vendicare Alessandro e perpetuarne le idee. Fra i libri letti da Alessandro c' era Il Capitale di Carlo Marx. Vladimiro Ulianov decise di diventare anche lui marxista e rivoluzionario. Da quel momento, fino al 1917, la sua esistenza assomigliò a quella di tanti altri cospiratori russi. Scrisse, polemizzò , divenne un agitatore, adottò lo pseudonimo di "Lenin" (derivato dal nome del fiume Lena, o forse dal nome di una sua compagna di scuola morta assai giovane), fu arrestato e processato, finì in prigione e in Siberia, dovette emigrare. Nel 1917 tornò in Russia e seppe cogliere la grande occasione. On s'engage et puis on voit fu il suo motto alquanto avventuroso: <Si comincia e poi si vedrà>. A quel punto, per conservare il potere, si comportò in modi assolutamente inadatti a sollecitare la nostra pietà. Soppresse l'Assemblea costituente perché i bolscevichi non erano riusciti a conquistare la maggioranza dei seggi. Distrusse ogni forma di vita democratica. Usò il pugno di ferro. Aprì le porte alla violenza e al terrore. Dichiarò che l' alternativa stava nel fucilare o nel farsi fucilare.

FERITO DA DUE COLPI. E tuttavia va ricordato che lui stesso, il 30 agosto 1918, venne ferito da due colpi di pistola sparatigli da Funja Kaplan, una rivoluzionaria antibolscevica. Un colpo gli fratturò una spalla. Un altro gli attraversò un polmone, conficcandosi nell'articolazione sterno-clavicolare. Lenin riuscì a sopravvivere, ma il suo fisico restò minato per sempre. Il capo dei bolscevichi aveva certamente messo nel conto incidenti come questo ma non aveva mai previsto di finire sotto i colpi di una rivoluzionaria che si era battuta in passato contro lo Zar. Proprio in questa fallacia delle previsioni, se vogliamo, possiamo trovare il motivo adatto per avvertire, nei confronti di Lenin, quella pieta' che in occasione di questo requiem sembra opportuno trovare. Se nel 1917 il motto di Lenin era stato quello di cominciare e poi vedere come sarebbe andata a finire, dopo il suo maggior tormento fu quello di misurarsi con una realtà che già sembrava contenere in se stessa il fallimento al quale stiamo assistendo in questi giorni. Gli ultimissimi scritti di Lenin, considerati il suo testamento politico, espressero sentimenti di angoscia, disperazione, smarrimento, impotenza e solitudine. Dichiarava apertamente la sua ostilità nei confronti di Stalin, ed era diffidente anche nei confronti di Trotzkij Kamenev, Zinoviev e di tutti gli altri capi del partito. Molto probabilmente la crisi di Lenin ebbe inizio già nella seconda metà del 1920. La guerra civile si concludeva con una vittoria dei bolscevichi, ma dopo aver provocato 10 milioni di morti e distruzioni immani.

LA NEP. L' economia del Paese era al disastro. Gli operai scioperavano contro la mancanza di generi alimentari, i contadini insorgevano e perfino i marinai di Kronstadt impugnavano le armi contro il bolscevismo. Agli inizi del 1921 Lenin era costretto a introdurre la Nep, la Nuova politica economica, vale a dire un parziale ritorno al capitalismo. La carestia, però , continuava innarrestabile. Tra il 1921 e il 1922, più di 5 milioni di persone morivano di fame, il cannibalismo si diffondeva al punto da far dire al mondo che <i comunisti mangiavano i bambini>. Lo scrittore Mikhail Osorgin, uno degli organizzatori del soccorso agli affamati spiegò che la gente mangiava soprattutto i congiunti, a mano a mano che morivano, i bambini più grandi venivano alimentati, mentre i neonati venivano sacrificati, per quanto magro potesse esserne il ricavato: <Ciascuno divorava nel proprio cantuccio, non alla tavola comune, e nessuno ne parlava>. (M. Geller e A. Nekric, Storia dell' Urss dal 1917 a oggi, Rizzoli 1984, pagina 132). Lenin sapeva. Aveva sognato il paradiso socialista, in cui tutti avrebbero dato secondo le loro possibilità e ricevuto secondo i loro bisogni. E ora assisteva alle immense tragedie del socialismo reale. Nel dicembre 1921, mentre la carestia infieriva, Lenin partecipò ai funerali di Inessa Armand, una donna alla quale era legatissimo. Nel 1898 Lenin aveva sposato una sua compagna di lotta, Nadia Krupskaja, alta, pallida, austera, con i capelli annodati dietro alla nuca, di un anno più anziana di lui. Ma poi si era innamorato di un'altra compagna, Inessa Armand appunto, un po' più giovane di lui, piena di fascino, nata a Parigi, che aveva sposato un russo molto ricco e che prima di abbracciare la causa rivoluzionaria aveva fatto parte della migliore società moscovita. Sul famoso treno speciale che nel 1917 riportò Lenin in Russia, viaggiò anche Inessa. Oltre che ai suoi familiari, Lenin riservò il "tu" soltanto a Inessa. Nel 1921, volle che Inessa fosse sepolta dentro le mura del Cremlino, come i grandi capi del regime.

IRRICONOSCIBILE. Durante i funerali di questa donna tanto amata, Lenin sembrò irriconoscibile, con il berretto calato sul volto, con gli occhi quasi sempre chiusi e il corpo barcollante. Nel seguire il feretro di Inessa, Lenin dovette avvertire la sensazione di partecipare al funerale della rivoluzione. Il suo maggior biografo, Louis Fischer, scrisse che <Lenin, senza figli, dopo la morte di Inessa Armand non amava più nessuno, nemmeno se stesso>. Nell'aprile 1922 le sue condizioni di salute apparvero così preoccupanti che due famosi medici tedeschi furono chiamati a consulto. Nel maggio si verificò un primo attacco di paralisi. Nel dicembre un secondo attacco. Nel marzo 1923 un terzo attacco con la perdita della parola. Fino alla morte, avvenuta nel gennaio 1924, Lenin sopravvisse come un vegetale. Questo nostro requiem dovrebbe includere anche i leninisti. A distanza di molti decenni dal loro eroe, anch'essi piangono, barcollano, si calano il berretto sugli occhi, dietro al funerale della rivoluzione fallita. Alcuni di essi riusciranno a ricostruirsi una vita. Altri invece non ci riusciranno mai più.