Piero Melograni
La Resistenza non bastò a convincere il mondo
"Il Borghese"
1° luglio 1994

La crisi politica della Prima Repubblica sta inducendo molti italiani ad esaltare la Resistenza antifascista ed altri italiani a svalutarne l' importanza. Dagli anni della Resistenza è ormai trascorso mezzo secolo e dovremmo pertanto essere capaci di intervenire nella polemica con quel distacco che nelle questioni storiche è sempre opportuno.

Diremo allora che la Resistenza ebbe inizio fin dai primi anni del regime mussoliniano, ma che i resistenti attivi furono molto pochi. Un antifascista come Piero Calamandrei collaborò alla redazione dei Codici mussoliniani. Luigi Einaudi insegnò nelle Università statali e, come tutti gli altri professori, prestò giuramento di fedeltà al regime. Ugo La Malfa lavorò nell'ufficio studi della Banca Commerciale. E perfino un socialista radicale come Lelio Basso, dal 1931 al 1940, svolse liberamente la professione di avvocato, a Milano.

Il Partito comunista, l'organizzazione clandestina di gran lunga più consistente, radunava nel 1934 appena duemila e cinquecento iscritti, la maggior parte dei quali rinchiusi nelle carceri o confinati nelle isole. Agli inizi del 1943, su 21 mila lavoratori della Fiat-Mirafiori, i comunisti erano ottanta, pari allo 0,4 per cento. Fino al 25 luglio 1943, vale a dire fino al giorno in cui il re fece arrestare Mussolini affidando il governo al generale Pietro Badoglio, l'antifascismo militante restò numericamente irrilevante. Mussolini non cadde per opera dei partiti antifascisti, ma grazie alle vittorie militari degli Alleati.

Dopo l'8 settembre 1943, quando Badoglio firmò l'armistizio, vari reparti combatterono contro i tedeschi ma, nel suo complesso, l' esercito italiano si dissolse senza opporre resistenza. Seicentomila soldati furono fatti prigionieri e deportati in Germania. Cinquemila italiani furono uccisi a Cefalonia dai reparti della Wehrmacht. E per vari mesi migliaia di civili ebbero eguale sorte nelle stragi che gli stessi tedeschi compirono a Boves, Marzabotto, Sant' Anna, alle Fosse Ardeatine e in altri luoghi. Tuttavia i partigiani combattenti non furono molto numerosi. Non esistono ancora statistiche precise, ma probabilmente essi furono un po' più di centomila, per salire forse a duecentomila negli ultimissimi giorni. Giorgio Amendola ci ha spiegato che nell' aprile 1945, e in una grande città operaia come Torino, fu un' impresa ardua radunare tremila persone, fra comunisti, socialisti, democristiani e monarchici, per dare inizio all' insurrezione.

Nel 1944-45, inoltre, la Repubblica Sociale Italiana costituiva una realtà capace di organizzare un numero di armati pari se non superiore a quello delle brigate partigiane, così che l' Italia appariva una nazione divisa, in cui due minoranze si combattevano, mentre la grande maggioranza dei cittadini restavano a guardare, in attesa degli eventi. E' vero che tra il '44 e il '45, attorno alla Resistenza antifascista, si estesero le simpatie di una parte sempre più larga di cittadini. Ma è anche vero che alla crescita di queste simpatie non fu estranea la consapevolezza del fatto che la vittoria militare stesse arridendo agli Alleati, alle democrazie e quindi anche ai partigiani.

Oltre alle formazioni partigiane, l'Italia mobilitò forze armate regolari che combatterono contro i tedeschi sul fronte di Cassino e su quello del Po. Cionondimeno il contributo italiano alla guerra contro i nazi-fascisti fu giudicato alquanto limitato dagli Alleati e in particolar modo dai sovietici. A guerra finita, nei negoziati di pace, essi trattarono l'Italia come una nazione sconfitta. Le fecero capire che, come nel luglio del 1943 il governo di Mussolini era caduto per merito loro, anche nell'aprile 1945 la democrazia e la pace venivano restaurate grazie ai loro sacrifici.

Prima che nel 1946 fossero indette libere elezioni, dunque, la classe politica antifascista trasse la sua legittimazione a governare non tanto dalle sue capacità autonome, che pur esistevano, quanto dal collegamento esistente con i governi alleati, che avevano conquistato il dominio del mondo. Anche dopo le elezioni del 1946 le condizioni dell'Italia sconfitta restarono così fragili, incerte e subordinate agli altrui voleri, che ognuno dei tre maggiori partiti di massa finì per rapportarsi ad una delle tre maggiori potenze vincitrici. Il Partito comunista mantenne sempre i suoi legami con la Russia sovietica. I socialisti credettero in un primo momento di trovare protezione a Londra, dove i laburisti erano andati al governo; ma poi si rivolsero anch'essi alla Russia di Stalin. Alcide De Gasperi si recò in America e ottenne il prezioso appoggio degli Stati Uniti.

Le grandi potenze vincitrici si erano spartite l'Europa in zone di influenza e l'Italia era stata inclusa nella zona di influenza occidentale che sarebbe stata dominata dagli Stati Uniti. Per circa un cinquantennio, dunque, la Democrazia Cristiana trasse la sua legittimazione storica non tanto dalla Resistenza, della quale era restata ai margini, quanto dalla scelta filo-americana che De Gasperi aveva compiuta nel 1946-47. E trasse inoltre la sua legittimazione popolare dal fatto che la maggioranza degli elettori approvarono quella scelta.

I comunisti, dopo il maggio 1947, furono esclusi da tutti i governi per volontà degli Stati Uniti, ma anche per volontà dell'Unione Sovietica, quanto mai interessata a non incrinare l' accordo sulle sfere di influenza. Furono autorizzati ad essere "consociativi". Ma non ebbero mai, neppure da Mosca, il permesse di entrare in un governo.

Oggi, con la caduta del Muro di Berlino e il crollo del comunismo, non c'è più l'Unione Sovietica, non ci sono più le sfere di influenza, non ci sono più i veti al Pci. Ma non ci sono più neppure il Pci, la Dc e il Psi. L'intera classe politica prodotta dalla Resistenza antifascista si è logorata. La realtà e le regole sono cambiate, e non ci sembra che le fonti della legittimazione possano essere oggi ritrovate nella Resistenza di cinquant'anni or sono. Non soltanto a causa del logoramento di cui si è appena fatto cenno, ma anche perché fin dalle origini, come abbiamo cercato di spiegare, la Resistenza non bastò né per convincere il mondo, né per accreditare stabilmente tutti i partiti antifascisti alle funzioni di governo. Come è stato ripetuto più volte, inoltre, si poteva essere antifascisti e nello stesso tempo totalitari, come fu il caso dei comunisti.

Non ci sembra, lo ripetiamo, che le fonti della legittimazione possano essere ritrovate oggi nella Resistenza di mezzo secolo fa, ma in valori più grandi e più completi all'interno dei quali la Resistenza, entro i suoi limiti, operò. Debbono essere trovati, in altre parole, nel pieno riconoscimento della democrazia parlamentare e dell'antitotalitarismo, oltre che nella edificazione di un sistema economico-amministrativo moderno, capace di portare a compimento almeno una parte delle promesse periodicamente fatte agli elettori. Tutte le legittimazioni, del resto, farebbero sempre bene a fondarsi sui presenti e sui futuri, più che sui passati inesorabilmente destinati ad allontanarsi e a consumarsi.