Africa: l’informazione negata marzo ‘98

    Ancora riflessioni sull’Africa, in occasione della festa di S. Massimiliano

    ["i media e l'altro"]

    Per la ricorrenza di S. Massimiliano, patrono degli obiettori di coscienza, abbiamo proposto quest’anno una riflessione sull’informazione, sulle notizie relative al Sud del Mondo e in particolare all’Africa, inserendo così il nostro appuntamento annuale nelle iniziative che hanno caratterizzato “Chiama l’Africa” a Fidenza.
    Il 16 marzo presso la parrocchia di S. Giuseppe, Aluisi Tosolini (giornalista della rivista “Alfazeta”), ha guidato i partecipanti della serata a scoprire la cosiddetta informazione “negata”, o meglio “annegata”, che caratterizza il rapporto tra stampa e sud del mondo.
    Attraverso eloquenti diapositive, e soprattutto grazie alla esperienza vissute in prima persona dal relatore, Tosolini ci ha introdotti ad un argomento difficile ma molto interessante ed affascinante, e cioè le logiche sottostanti il funzionamento dei media.
    Innanzitutto l’informazione ‘annegata’, cioè abbondante, che stordisce il lettore comune e rimane illeggibile, mescolando notizie importanti con inutili e fuorvianti “rumori di fondo”.
    Poi, due fondamentali filoni di ricerca per capirne di più: chi sono gli editori, i padroni dell’informazione? Cosa attira di più l’attenzione del pubblico? (risposta sconsolata: soldi, sesso, sangue, spettacolarizzazione).
    Oggi sappiamo tutto senza conoscere niente. Ritoccare, scontornare, tagliare, cancellare sono le tecniche usate dai media per ‘ridefinire’ la realtà. Ormai anche il ruolo e il modo di lavorare del giornalista è mutato col passare del tempo: non deve più cercare le notizie ma sceglierle fra milioni, renderle accessibili al pubblico, ricostruirle, fornire una interpretazione.



    I MASS MEDIA E “L’ALTRO”:
    SETTE TIPI DI DEFORMAZIONE

    Da “Missione Oggi” / marzo 95

    1 L’uso superficiale o spregiudicato di statistiche solo apparentemente attendibili, in realtà frutto di indagini o di sondaggi molto approssimativi. Il ricorso al linguaggio delle “cifre” aumenta la dose di rigore e di scientificità, ma accade spesso che questi dati statistici sono “costruiti” a tavolino e magari su un campione ridottissimo. Poi si presentano sotto forma di tabelle e diagrammi, dando ad essi un grado di rappresentatività e di generalizzazione che assolutamente non meritano. A quel punto il linguaggio matematico dei numeri diventa la fonte di grave deformazione, perché il lettore inesperto finisce per assumerla come un’informazione scientifica.

    2 Un altro errore è il primato assegnato alla tragedia nella selezione delle informazioni. È la ragione per cui si parla di Africa quando il tasso di drammaticità è così elevato da oltrepassare la soglia del silenzio: ecco allora la Somalia, il Rwanda; ecco, per il Medio Oriente, la guerra del Golfo; ecco, per l’America latina, i ragazzi di strada in Brasile o la rivolta degli indios nel Chiapas, perché non dare anche notizie “positive” di avanzamento, di liberazione, di successo?

    3 Ancora un errore è la “spettacolariz-zazione” e l’esotismo di tante situazioni dei paesi del Sud (ma non solo). Il dato è così evidente che sembra inutile fare esempi.

    4 Inoltre, un errore tra i più diffusi è la tendenza alla “iper-semplificazione” che in parte è tuttavia inevitabile. Mettere tutto il mondo, con tutte le sue sfumature, in due cassetti (Nord e Sud) è nello stesso tempo una verità e una menzogna. Si dovrebbe aver cura a fare distinzioni: il Sud o i Sud del mondo? L’Africa o le Afriche? L’Asia o quel determinato paese e, talvolta, una certa parte di quel paese?

    5 Ancora un errore è quello di presentare gli avvenimenti come se fossero “fatti del giorno”, mentre spesso hanno una lunghissima fase di incubazione. Ci vuole, allora, una maggiore cura per la ricostruzione storica e genealogica dei conflitti e delle emergenze mettendo in risalto le cause endogene, le cause esogene e le interdipendenze tra di esse.

    6 Infine, un errore è quello di utilizzare come immagini di repertorio (di scenario, di “sfondo” abituale) i più triti stereotipi e luoghi comuni, quelli appunto che nell’immaginario comune evocano un certo paese o continente. Se dell’Africa ci faranno vedere solo foreste, savana e capanne, ogni volta che noi vedremo uno che viene dall’Africa saremo portati a pensare che viene da una civiltà illetterata, rurale, nomade, non tecnologica, ecc. In altri termini, parleremo o discuteremo dell’Africa o dell’Asia secondo gli stereotipi che i media ci hanno fornito. Al massimo, dubiteremo di quello che ci viene riferito se sappiamo che la fonte di informazione non è attendibile.

    7 Così pure, nella pubblicità, l’uomo e la donna “di colore” si trasformano di volta in volta nell’insaziabile amante africana, nel simpatico buffone di Tartufon, nella seduzione scontata della Morosita, negli improbabili ridenti raccoglitori di caffè del Kimbo: tutto viene mistificato in una frivola rappresentazione. Non c’è, allora, da meravigliarsi se la ragazza Morosita è entrata nell’immaginario erotico degli italiani, com’è risultato da un’inchiesta. Esiste una corrispondenza tra le immagini prevalenti nei media e gli stereotipi alla base della percezione dei paesi in via di sviluppo presso il pubblico, quasi un incontro tra messaggi trasmessi e aspettative radicate nell’immaginario di chi li riceve.
     
     

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