Non è facile con una manifestazione durata poco meno di una settimana, allestita qui, in una delle zone più ricche del pianeta e con i ritmi nostri tutti occidentali, cercare non di assimilare l'insegnamento di un continente, ma almeno porgere l'orecchio verso Sud, il Sud del mondo.
"Ascolta l'Africa" nasce come il tentativo di carpire il grido di dignità che da un popolo e da una storia salgono fino a noi, un grido smorzato e attutito dalla coltre di pregiudizi, luoghi comuni e alibi che la nostra sviluppata coscienza di sedicenti conquistatori ha accumulato tra "noi" e "loro".
A volte però possono bastare gesti semplicissimi e inusitati per cambiare i nostro punto di vista sulla realtà o accorgersi che non siamo soli (due semplici azioni che, a ben guardare, sono una la logica conseguenza dell'altra). Gesti banali come inaugurare un evento che ha comunque coinvolto più di venti associazioni laiche e cattoliche, culturali e del volontariato non in una sala di poltrone che disposte su file ben ordinate guardano al tavolo dei relatori, ma disponendosi in cerchio su un prato, tutti: dalle massime autorità civili e religiose fino ai bimbi, senza posizioni di preminenza così come accade nei villaggi africani. Ed è proprio in un villaggio africano che si è svolta la essenziale cerimonia di apertura di "Ascolta l'Africa" o, per meglio dire, nella ricostruzione di un villaggio che i ragazzi dell'AGESCI hanno allestito e quindi illustrato nel campetto prospiciente il Centro Don Bosco. Il pomeriggio è poi proseguito all'interno del Centro dove un missionario saveriano, Padre Zampese, ha lasciato una sua testimonianza dei 25 anni trascorsi in Congo. Il Congo è uno dei tanti paesi in cui ancora oggi sono evidenti i segni lasciati da una colonizzazione che spesso ha significato sfruttamento non solo di manodopera, non solo di materie prime, ma anche di ingegni. Padre Zampese ha infatti ricordato come nel 1960 in tutto il Congo vi fossero solamente 4 laureati (di cui due sacerdoti) perché chi aveva le possibilità intellettive di proseguire gli studi veniva "invitato" a farlo in Europa.
La presentazione di una mostra fotografica dal titolo "Nero che più nero non si può" con gli scritti di molti profeti dell'interculturalità e dell'integrazione etnica ha concluso l'inaugurazione.
G. M.