KOSOVO: Tutto quello che non ci ha detto la TV
    marzo '99

    Alcuni stralci dal voluminoso "dossier kossovo" redatto dall'Associazione Peacelink - Volontariato dell'informazione [ http://www.peacelink.it - info@peacelink.it ]

    ["Noi ripudiamo la guerra!"] [raccolta per il Kosovo]


    Perché è scoppiato il "problema Kossovo"?
    Perché in Kossovo la grande maggioranza della popolazione (quasi il 90%) è di origine albanese e il governo di Belgrado ha ripetutamente violato i diritti umani della gente del Kossovo che chiedeva una maggiore autonomia e soprattutto maggiore libertà. Ai tempi di Tito il Kossovo godeva di una certa autonomia, grazie alla Costituzione del 1974. "A metà degli anni '80 a Belgrado viene lanciata una campagna in 'difesa dei serbi minacciati del Kossovo'. In quel periodo Slobodan Milosevic approfitta dell'occasione e fa ai serbi locali una celebre promessa: 'nessuno ha il diritto di farvi del male'" (Fonte: Vreme [quotidiano jugoslavo] 9/1/98, Milos Vasic). L'autonomia del Kossovo è stata abolita dal governo di Milosevic il 23 marzo 1989 con un emendamento alla Costituzione che attribuiva alla Serbia il totale potere di controllo della polizia e della magistratura operanti nel territorio.

    Perché le rivendicazioni storiche sono così importanti?
    "I nazionalisti serbi accusano gli albanesi di essersi installati nel Kosovo approfittando della sconfitta del regno serbo da parte dell'impero ottomano. I nazionalisti albanesi rispondono che i loro antenati, gli illiri, designati come fondatori della loro nazione, occupavano quel territorio vari secoli prima delle invasioni slave nella penisola balcanica. Nel XX secolo, la gara di antichità di presenza degli avi ha finito per far entrare persino l'archeologia e l'antropologia fisica nel novero delle scienze di possibile uso nazionalista." (Fonte: Anne-Marie Thiesse, "L'invenzione delle identità nazionali, Le Monde diplomatique giugno 1999, edizione italiana).

    Quali violazioni dei diritti umani sono avvenute con Milosevic?
    "Sono state compiute dalla polizia irruzioni nelle famiglie, maltrattamenti, torture, uccisioni, ruberie. Si calcola che dal 1988 a oggi ogni albanese adulto sia passato tra le mani della polizia, in 584.000 processi 'ufficiali'. Una ventina di albanesi muoiono ogni anno a causa di maltrattamenti o attentati, in cella o nelle strade; circa 400 prigionieri politici giacciono in carcere". (Fonte: G.e V.Salvoldi, L.Gjergji, "Kosovo, un popolo che perdona", Emi, 1997). La situazione è notevolmente peggiorata nel 1998 con gli scontri fra Uck e truppe serbe. "Le vittime kosovare delle battaglie dello scorso anno (almeno 1500, secondo le stime) erano in massima parte civili" (Panorama 18/2/99).

    I bombardamenti hanno favorito o rallentato la pulizia etnica ai danni della popolazione albanese del Kossovo?
    "Secondo una stima pubblicata lunedì 10 maggio dall'Alto commissariato per i rifugiati dell'Onu (Acnur), 900mila albanesi del Kosovo hanno lasciato la provincia dopo gli scontri del marzo 1998, di cui 716mila dopo l'inizio dei bombardamenti aerei della Nato, il 24 marzo. (...) In sette settimane i paramilitari e le unità dell'esercito e della polizia del presidente serbo Slobodan Milosevic sono riusciti a fare su vasta scala quello che avevano appena abbozzato durante il conflitto in Bosnia Erzegovina: cacciare, per mezzo di una politica di terrore e di deportazioni sistematiche, i due terzi della popolazione di etnia albanese che costituiva il 90 per cento degli abitanti del Kosovo". (Fonte: Marie Jego, "Sept sémaines de déportations au Kosovo", Le Monde 12/5/1999)

    Chi si oppone in Kossovo alla repressione?
    Semplificando notevolmente, prima dell'inizio del conflitto nei balcani, gli oppositori alla repressione erano di due tipi: i nonviolenti che seguono il leader Ibrahim Rugova e i guerriglieri che seguono l'organizzazione militare ex-clandestina Uck. Dopo lo scoppio del conflitto tra la Nato e la Jugoslavia la parola è definitivamente passata alle armi. Il movimento nonviolento di Rugova - definito "il Gandhi dei balcani" - si è affermato dieci anni fa ed è cresciuto negli scorsi anni grazie a una politica di pace che sanava i conflitti e educava al perdono, come è documentato nel libro "Kosovo, un popolo che perdona", di Giancarlo e Valentino Salvoldi, Lush Gjergji, edito da Emi. Questo movimento ha messo al centro la questione dei diritti umani in un quadro di autonomia ed autogestione regionale evitando di esasperare le rivendicazioni per l'indipendenza e la secessione. L'Uck è invece nato per la secessione ed è di recente costituzione; ha preso slancio quando la politica nonviolenta di Rugova non ha ottenuto ascolto nella comunità internazionale.

    Perché le trattative di Rambouillet sul Kossovo sono fallite?
    I rappresentanti serbi non hanno sottoscritto il documento finale realizzato dai mediatori del Gruppo di Contatto perché il presidente jugoslavo Milosevic non ha accettato che il rispetto degli accordi fosse affidato ad un contingente Nato da insediare in Kossovo, con possibilità di manovra e presenza militare in tutta la Jugoslavia. Di fronte a queste condizioni, che avrebbero sancito l'occupazione di fatto di tutto il territorio nazionale, sostiene Luciana Castellina, "non c'è da farsi molta meraviglia se Milosevic non ha firmato" in quanto tra l'altro l'accordo "non era per qualche settimana, ma a tempo indeterminato, giacché nell' 'accordo' si dice che fra tre anni si farà una conferenza internazionale per studiare un meccanismo teso a definire l'assetto del Kosovo in base alla volontà del suo popolo" (Il Manifesto 18/4/99). In una intervista pubblicata dalla rivista missionaria "raggio", nel numero di maggio 1999, Don Valentino Salvoldi afferma che "non si sono ancora tentate tutte le vie negoziali. Io giudico le proposte fatte a Rambouillet accettabili solo da pazzi. Insomma, un gioco di politica sporca che non tiene conto delle vittime innocenti che provoca".

    Ma di fronte al fallimento delle trattative di Rambouillet cosa altro si poteva fare?
    Secondo Noam Chomsky "forse si poteva ritoccare l'accordo di Rambouillet sostituendo le truppe Nato che dovevano garantirlo, con un contingente diverso" (Avvenire 28/3/99). Nei contatti diplomatici intrattenuti dal Vaticano erano emerse proposte di un contingente militare di verifica e attuazione degli accordi che comprendesse anche soldati russi. Il tutto sotto l'egida dell'Onu e non della Nato. Inoltre prima dei bombardamenti sulla Repubblica Federale Jugoslava erano presenti in Kossovo centinaia di osservatori civili dell'OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), che avevano il compito di monitorare il rispetto dei diritti umani in Kossovo. Il governo di Belgrado aveva riconosciuto il ruolo degli osservatori OSCE e aveva accettato la loro presenza all'interno del Kossovo. Il credito e la forza diplomatica concessi all'OSCE sono stati un' "arma" negoziale praticamente non utilizzata, e la missione degli osservatori ha dovuto concludersi con una frettolosa evacuazione nei giorni immediatamente precedenti ai bombardamenti. In un articolo pubblicato sul numero 7 del periodico trimestrale "Lo Straniero", Giulio Marcon, il presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS) ha dichiarato che "Altre scelte erano possibili se non si fosse presa la strada dell'intervento armato. A Rambouillet si poteva fare un negoziato vero e, ancora prima, si potevano utilizzare gli accordi di Dayton per affrontare il tema della prevenzione del conflitto in Kosovo. Si potevano ancora prima dell'accordo dell'ottobre scorso tra Milosevic e Holbrooke mandare osservatori internazionali, come fu fatto nel 1993 in Macedonia con l'invio di un corpo di caschi blu in funzione dissuasiva e preventiva. E la situazione della Macedonia non è meno complessa ed intricata di quella del Kosovo". Il vescovo Enrico Antonelli, segretario della Conferenza Episcopale Italiana, ha dichiarato che: "Una forza di interposizione umanitaria, non solo non suscita perplessità, ma in certi casi è doverosa, mentre il bombardamento desta preoccupazione e non risolve" (Liberazione 24/3/99). La Campagna Kossovo ha chiesto "l'intervento di un corpo di peacekeeping ufficiale dell'ONU o dell'OSCE (entrambi organismi cui aderisce anche la Russia e che darebbero maggiori garanzie di obiettività e neutralità)" ed anche "il rientro nell'area dei verificatori OSCE, sensibilmente potenziati nel numero e nelle competenze, integrati da elementi della società civile ben preparati alla mediazione e alla soluzione nonviolenta dei conflitti". Il tutto ovviamente non avrebbe potuto svolgersi senza "l'immediata cessazione dei bombardamenti Nato su tutta l'area, la firma da entrambe le parti (Jugoslavia e Governo Parallelo del Kossovo) di un nuovo cessate il fuoco che comporti l'uscita dal Kossovo dell'esercito jugoslavo fino ai livelli già previsti dall'accordo Holbrooke-Milosevic, con l'interruzione dei combattimenti da parte delle milizie serbe e dell'UCK" (documento Campagna Kossovo 27/3/99, presentato al Presidente della Repubblica, al Ministro degli Esteri e ai Presidenti della Camera e del Senato).

    Quali elementi distinguono un'azione di polizia internazionale da una guerra?

    Azione di polizia internazionale

    Azione di guerra

    Obiettivo

    Proteggere la popolazione

    Vincere

    Mezzi

    Armi selettive

    Armi non selettive (es.mitra, bombe, ecc.)

    Conseguenze

    Auspicabile riduzione del livello di violenza nel contesto a cui si applica l'azione

    Possibile escalation della violenza

    Trattamento dell'avversario

    Infliggere una violenza intenzionalmente non mortale e comunque minima

    Neutralizzare l'avversario anche mediante l'uccisione, in certi casi indiscriminata

    Limiti

    Legge sull'uso delle armi (uso delle armi per difendere il poliziotto o la popolazione, mai per attaccare)

    In guerra "non ci sono leggi", salvo le Convenzioni di Ginevra

    Legalità

    È legale un'azione di polizia internazionale decisa dal Consiglio di sicurezza dell'Onu; l'Onu non può decidere un'azione di guerra ma unicamente un'azione di polizia internazionale

    Per l'Onu è ammissibile solo una guerra di legittima difesa; non è legale una guerra d'attacco


    Ma la guerra non potrebbe far vincere i diritti umani in Kossovo?
    Padre Bartolomeo Sorge, direttore della rivista dei gesuiti "Aggiornamenti sociali", ha fatto osservare che "la guerra non è mai lo strumento adatto per risolvere situazioni in cui siano violati i diritti. La guerra è di per sè un atto disumano perché crea vittime innocenti, si impone con la forza e la violenza genera violenza, l'odio genera odio. Inoltre, nella guerra vince la forza non la ragione. Per esempio, se, per ipotesi, Milosevic fosse più forte della Nato, vincerebbe lui, ma non per questo avrebbe ragione. In secondo luogo, la guerra non è adatta, in particolare, a risolvere il problema dei diritti umani perché questi ultimi non si affermano con la violenza ma con il consenso democratico e delle coscienze. Sostenendo che i diritti umani si attuano con la violenza e non con il consenso, ci metteremmo sullo stesso piano di chi li conculca. Ecco perché insisto sulla riorganizzazione dell'Onu come ente sovranazionale capace di gestire, di prevenire le situazioni di violazione dei diritti umani e di ingiustizia per ristabilirli. Alcuni enti sono stati già creati come la Corte dell'Aja, le Corti internazionali" (intervista rilasciata all'Unità del 31/3/99).

    Perché gli stati occidentali membri del gruppo di contatto hanno riconosciuto l'Uck come il legittimo interlocutore per gli accordi di Rambouillet, anziché fare riferimento alla Lega Democratica del Kossovo (LDK), il partito guidato da Ibrahim Rugova?
    "L'occidente contava sulla propria marionetta-Uck per imporre un accordo fotocopia che avrebbe trasformato il Kosovo in territorio occupato sotto amministrazione occidentale. Ironia della sorte, Robert Gelbard, inviato speciale americano in Bosnia, aveva descritto in passato l'Uck come 'terrorista'". (Fonte: Michel Chossudovsky, "Relazioni pericolose dietro l'Uck", Il Manifesto 16/6/1999) Christopher Hill, capo negoziatore americano e architetto dell'accordo di Rambouillet, "è stato anche lui fortemente critico verso l'Uck per i suoi presunti rapporti col traffico di droga" (Cfr. Philip Smucker and Tim Butcher, "Shifting stance over Kla has betrayed Albanians", Daily Telegraph, 6 aprile 1999).

    C'è stata una iniziativa pacifista per il Kossovo?
    Sì, da sei anni esiste una campagna pacifista di informazione e di sensibilizzazione per la tutela dei diritti umani dei kossovari. Essa ha avuto come scopo la risoluzione non violenta del conflitto in Kossovo e ha scelto la denominazione di "Campagna Kossovo" optando per la dizione "Kossovo" di origine italiana, differente sia dal serbo (Kosovo) sia dall'albanese (Kosova o Kosove). Questa campagna aveva aperto un proprio "ufficio diplomatico" a Pristina, capoluogo del Kossovo, per mantenere i contatti con la resistenza non violenta organizzata da Rugova e per favorire un dialogo con le autorità locali che servisse a tutelare i diritti umani dei kossovari e a promuovere, con i fondi dell'obiezione fiscale alle spese militari, forme di risoluzione non violenta del conflitto. Spiega il prof.Alberto L'Abate, uno degli animatori della Campagna Kossovo: "L'attività di 'diplomazia popolare', o 'dal basso', può essere un potente strumento di prevenzione dei conflitti e di avvio di una politica di pace, a condizione però che ci sia una simbiosi tra essa e l'attività degli stati, e che questi non siano così in ritardo nei confronti della prima, o addirittura non l'utilizzino per portare i propri interessi commerciali e non, invece, una politica di pace e di giustizia. Una scelta cieca perché, oltretutto, gli interessi commerciali vengono bruciati proprio da questa guerra che essi hanno impedito di prevenire".

    Come mai tanta indifferenza in Italia verso le violazioni dei diritti umani in Kossovo?
    Alcune aziende italiane avevano in corso trattative che hanno portato alla stipula di lucrosi contratti commerciali. Ad esempio il rifacimento delle linee telefoniche della Jugoslavia. La Campagna Kossovo nel suo documento del 27/3/99 denuncia il trattamento di favore, nonostante la decennale repressione dei kossovari, accordato alla Jugoslavia "dichiarata per giunta zona di mercato privilegiato, cosa che ha aperto la corsa agli affari a molte nazioni tra cui l'Italia che ne è diventato il primo partner economico attraverso accordi stipulati con STET (telecomunicazioni), FIAT e altre società". In questa gara commerciale non vi fu spazio per gli aspetti etici e per le verifiche preliminari dei diritti umani in Kosovo, chiesti dalle organizzazioni pacifiste. Nel 1995 la Campagna Kossovo, nel suo "Appello per la pace nei Balcani", aveva infatti chiesto che l'abrogazione delle sanzioni verso la Jugoslavia fosse vincolato al rispetto dei diritti umani in Kossovo. L'Appello fu ignorato e la ripresa degli affari con Belgrado mise la sordina a chi invocava il rispetto dei diritti umani: sui giornali e in TV il dramma del Kossovo fu reso "invisibile". A nulla valsero neppure le 10.000 cartoline inviate al ministro degli Esteri Dini. Gli affari italiani ebbero la prevalenza sui diritti umani dei kossovari. "Tra il '96 e il '98, stando ai dati di Eurostat sul commercio estero, l'Italia ha venduto armi leggere a Belgrado per 125 mila dollari", documenta l'economista Francesco Terreri su Famiglia Cristiana (17/99). All'epoca dei fatti in questione, in Italia ha governato il centro-sinistra che attualmente fa guerra a Milosevic definendolo "un criminale".

    L'Occidente ha interessi economici e strategici nella zona dei Balcani?
    Il "Corridoio 8" è un progetto del Fondo Monetario Internazionale (il cui capocommessa è l'Italia), a cui partecipa l'ENI. Si tratta di una linea di comunicazione che prevede il più grande oleodotto nella storia d'Europa, un gasdotto e bretelle stradali e ferroviarie dal Mar Nero all'Adriatico, attraverso Bulgaria, Macedonia e Albania. L'affermazione del protettorato Nato sulla zona balcanica interessata al passaggio del corridoio 8 sottrarrebbe definitivamente alla Russia il controllo dei movimenti di energia. La Russia perderebbe l'ultimo aggancio per esercitare una politica di potenza e per svincolarsi dal ricatto permanente dei prestiti occidentali della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Il generale britannico Michael Jackson ha dichiarato che "siamo qui anche per difendere le vie di comunicazione Est-Ovest e dell'energia". (Fonte: Il Sole 24 Ore 16/5/1999). L'obiettivo inconfessabile delle potenze occidentali è il controllo geostrategico dell'area balcanica: "Il destino del Kosovo era già stato tracciato accuratamente prima della firma degli accordi di Dayton del 1995. La Nato era entrata in un "matrimonio di convenienza" insano con la mafia. 'I combattenti per la libertà' furono messi sul posto, il traffico di droga consentiva a Washington e Bonn di 'finanziare il conflitto in Kosovo' con l'obiettivo finale di destabilizzare il governo di Belgrado e di ricolonizzare completamente i Balcani: il risultato è la distruzione di un intero paese". (Fonte: Michel Chossudovsky, "Relazioni pericolose dietro l'Uck", Il Manifesto 16/6/1999)

    La Costituzione italiana consentirebbe un intervento delle Forze Armate italiane in Kossovo?
    L'art.11 della Costituzione italiana recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Ovviamente ciò non esclude la partecipazione di militari italiani ad un contingente di caschi blu dell'Onu (o ad un altro corpo armato esplicitamente autorizzato dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu) per azioni di polizia internazionale che tutelino le popolazioni del Kossovo. Infatti la seconda parte dell'articolo 11 della Costituzione italiana afferma: L'Italia "consente in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".

    L'azione militare della Nato è legale?
    "Siamo nell'illegalità dal punto di vista del diritto internazionale generale che ha fondamento nella Carta delle Nazioni Unite", ha dichiarato il professor Antonio Papisca, docente di Relazioni Internazionali all'Università di Padova, intervistato da Radio Vaticana (fonte: Avvenire 25/3/99). Olivier Corten, docente di diritto internazionale all'Università di Bruxelles, ha affermato: "L'intervento militare della Nato è contrario al diritto internazionale, perché non c'è stata l'aggressione di uno stato a un altro stato, alla quale la Nato si sia trovata a dover rispondere, e non c'è stata autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell'Onu. La legalità internazionale è questa. Può non piacere, ma finché non si cambiano le regole... Quindi la Nato e gli stati alleati hanno bypassato illegalmente il Consiglio. Giuridicamente la Jugoslavia è uno stato aggredito, quindi avrebbe tutti i diritti di rispondere, di attaccare l'Italia, per esempio, o altri stati aggressori, colpendo, beninteso, obiettivi militari. Gli jugoslavi potrebbero reclamare dalla Nato e dagli alleati il rimborso di tutti i danni causati dai bombardamenti, ponti, edifici distrutti, ecc. Potrebbero perfino rivolgersi al Tribunale dell'Aia per chiedere giustizia dei civili uccisi" (Il Manifesto 21/4/99).

    L'Italia, facendo parte della Nato, è obbligata a entrare in guerra?
    La Nato (organizzazione militare del Patto Atlantico) è un'alleanza difensiva e la solidarietà fra i suoi membri è previsto che scatti solo quando viene aggredito un paese membro, come specificato negli articoli 3, 5 e 6 del Trattato costitutivo della Nato. Questa azione di guerra non rientra negli scopi di difesa per cui la Nato è sorta 50 anni fa e pertanto non dovrebbe obbligare alla partecipazione i suoi stati membri.

    Come mai la Nato è impegnata in un'attacco non previsto dai suoi principi costitutivi?
    Secondo Lucio Caracciolo, direttore della rivista di politica internazionale "Limes", nonché analista favorevole alla Nato, questa guerra è una sorta di "test di fedeltà" e spiega: "Considero questa guerra una follia. Gli americani stanno sperimentando, con questa enorme follia, l'utilità della Nato. Vogliono vedere fino a che punto la Nato gli può servire e fino a che punto gli europei sono disposti a seguirli." (Avvenire 28/3/99)

    I profughi hanno diritto all'asilo politico in Italia?
    L'articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani afferma che "Ogni individuo ha il diritto di cercare e di beneficiare di asilo in altri paesi per sottrarsi a persecuzioni". L'articolo 10 della costituzione stabilisce che "lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge"

    L'Italia ha concesso asilo politico ai rifugiati del Kossovo?
    No. Ai profughi kossovari è stato concesso unicamente un permesso di soggiorno temporaneo fino al 31/12/1999. "Rifiutare di ospitarli qui, in Italia, con la motivazione che dandogli assistenza in Albania si evita di essere strumento della pulizia etnica è pura ipocrisia per nascondere l'inconfessata ragione di bottega: la paura della reazione dell'opinione pubblica razzista di fronte all'arrivo di nuovi profughi (anche se vittime di una guerra crudele) sulle nostre coste, Non è un caso che, nonostante li si definisca vittime di un genocidio, le nostre leggi trattino i profughi kosovari ancora o come immigrati clandestini o come 'richiedenti asilo politico' (sic)". (Fonte: Giulio Marcon, "Contro la doppia guerra", in "Lo straniero" n.7)

    Quanto è stato speso per la guerra e quanto per i profughi?
    In una lettera pubblicata dal quotidiano "Il Manifesto", nel numero del 7/4/1999, Mao Valpiana, direttore della rivista "Azione Nonviolenta", afferma che "un giorno di bombardamenti costa 225 miliardi, quanto il bilancio annuale dell'ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati)". Durante i 78 giorni di bombardamenti abbiamo sprecato quotidianamente quello che le nazioni unite hanno destinato in un anno intero ai profughi di tutto il mondo (non solo ai kossovari)

    Che conseguenze avrà sul nostro paese la partecipazione all'attacco della Nato?
    Secondo il già citato direttore di Limes, Lucio Caracciolo, "siamo dentro una guerra che dal punto di vista della nostra sicurezza e dal punto di vista della nostra collocazione nel mondo, non ha alcun senso. Ed è anche estremamente pericolosa. Quanto all'esperimento della compattezza della Nato, alla fine, i primi a pagarlo saremmo noi, quando arriveranno a decine di migliaia i profughi. Sbarcheranno qui da noi, non certo a Miami." (Avvenire 28/3/99)

    In Europa tutti sono d'accordo con l'intervento Nato?
    "La Svezia si è dissociata e considera illegittimi gli attacchi. L'Austria ha deciso di negare il proprio spazio aereo ai cacciabombardieri Nato. L'Irlanda e la Finlandia si sono trincerate dietro la loro neutralità" (Corriere della Sera 25/3/99). Inoltre la Grecia, nazione della Nato, ha preso le distanze dai bombardamenti. Secondo il presidente dei vescovi degli Stati Uniti Joseph Anthony Fiorenza "l'Europa dovrebbe essere molto più autonoma, non può agire come se tutto dipendesse dall'esercito e dalla strategia politica americana". (Avvenire 28/3/99)

    I piloti italiani uccidono?
    "Il missile esplodendo lancia migliaia di cubetti di tungsteno; è chiaro che chi sta nel bunker può essere ucciso. Se corre alla velocità di 2.500 km all'ora può anche provare a scappare", ironizza il tenente colonnello Giovanni Fuochi. E alla domanda "cosa ne pensate dei pacifisti", risponde: "È semplicistico manifestare davanti alle basi, sarebbe più giusto farlo davanti al Parlamento. Il militare è il più pacifista dei pacifisti perché è il primo a rischiare la pelle. Mi dà fastidio essere chiamato assassino. Se io volo con i missili sotto l'ala so perché lo faccio. C'è un solo modo di fermarmi: impedirmi di volare. E questo spetta alla politica". (Fonte: Il Giornale 1/4/99)

    Perché la Nato non ha sospeso i bombardamenti a Pasqua?
    La Nato ha dichiarato che "fermare i bombardamenti sarebbe inumano". (Il Manifesto 1/4/99)

    Il presidente D'Alema è tra i falchi o le colombe?
    In un'intervista il presidente del Consiglio D'Alema ha affermato: "Noi vogliamo che non si lasci nessuna opportunità intentata, nessuna possibilità di riprendere il cammino di una soluzione politica e negoziale. Ma naturalmente occorre da parte del governo di Belgrado una chiara manifestazione di buona volontà, ponendo fine a questa aggressione contro la popolazione civile del Kosovo" (Il Manifesto 6/4/99). Il giorno dopo il governo di Belgrado ha annunciato una tregua unilaterale per la Pasqua ortodossa. La risposta di D'Alema, giunta tre ore dopo il "no" di Clinton e Blair alla proposta di tregua, è stata: "È insufficiente. È evidente che occorrono ben altre garanzie".

    La guerra in Europa può essere interpretata come una vendetta del dollaro sull'euro?
    "Nel primo trimestre '99 - documenta Giovanni Palladino sul Corriere della Sera - le emissioni obbligazionarie dell'euromercato hanno visto per la prima volta superare quelle in dollari: 181,3 miliardi contro 180,9 miliardi (in dollari). Il successo delle emissioni in euro è sorprendente. Il disavanzo della bilancia dei pagamenti Usa si aggraverà. Vi è pertanto un'innegabile braccio di ferro fra dollaro ed euro; esiste anche una guerra di spionaggio che vede impegnata la Cia nell'intercettare con la sua rete di satelliti spia le conversazioni dei vertici europei, come documenta il Corriere della Sera del 16/4/99 ("Spie sul mercato: il Commercio Usa combatte l'Europa con l'intelligence").

    Quali sono state le emergenze ambientali scatenate dai bombardamenti?
    Il 19 Aprile le bombe della Nato hanno colpito il triangolo petrolchimico del sobborgo industriale di Belgrado. Per la seconda volta in tre giorni a Pancevo scatta l'allarme chimico, e in mancanza di maschere antigas la popolazione civile è stata allertata a chiudere bene le finestre e a tamponarsi occhi, naso e bocca con fazzoletti imbevuti di acqua e bicarbonato. I missili sono piovuti sopra la raffineria Nis, la più grande dell'intera Jugoslavia, la fabbrica di fertilizzanti Azotara e la Petrohemija, impianto di lavorazione di derivati del petrolio. Le sostanze tossiche disperse nell'ambiente comprendono diossina, benzofurani e fosgene, sostanze che impregnano la terra e le acque resistendo per anni. Gli attacchi alle industrie di Pancevo, dove ci sono i pericolosissimi PCB (policlorobifenili), dopo aver provocato una nube tossica che ha appestato migliaia di case nelle periferie di Belgrado, hanno anche convinto i responsabili delle industrie a rilasciare tonnellate di etilene diclorico nel Danubio per evitarne l'incendio, con danni incalcolabili all'ecosistema fluviale. Da non dimenticare che tali bombardamenti, in quanto diretti contro impianti chimici, violano la convenzione di Berna del 1977 (ratificata in Italia nel 1985). Anche per questo tipo di danni ambientali i costi di bonifica sono altissimi... Nell'interrogazione parlamentare presentata il 16/4/1999 al Senato, il Senatore Stefano Semenzato illustra il funzionamento dei proiettili all'uranio: "dopo aver colpito il bersaglio il proiettile rilascia nell'aria l'ossido di uranio che è altamente tossico per l'uomo e inquinante se disperso nell'ambiente. L'effetto delle radiazioni è di due tipi: irraggiamento e contaminazione. L'irraggiamento avviene quando si è esposti al bombardamento di particelle radioattive, mentre la contaminazione può avvenire tramite la manipolazione, l'inalazione o l'ingestione di materiale radioattivo. Da studi delle forze armate americane risulta che quando un veicolo è colpito da un proiettile contenente uranio esausto l'effetto maggiore si ha nel raggio di circa 5/7 metri dal veicolo. Tuttavia se questo tipo di proiettile viene sparato da un aereo il raggio può essere superiore a 25 miglia (42 km). Il tempo di dimezzamento è di circa 4,5 miliardi di anni, questo tipo di arma è in realtà una arma a lunga durata i cui effetti non si conoscono ancora"

    Quali sono state le spese militari che i paesi della Nato hanno dovuto sostenere per l'azione contro la Repubblica Federale Jugoslava?
    "Secondo uno studio del centro studi della BNL, che si basa su uno studio della Lehman Brothers (una banca d'investimenti), l'impegno militare per la guerra aerea contro la Serbia potrebbe costare all'Italia, come quota/paese membro della Nato (totale diviso tra i paesi membri in base al PIL) almeno 730 miliardi di lire fino a giugno. Questo nell'ambito di un costo complessivo per l'alleanza stimato attorno agli 11.000 miliardi così (approssimativamente) calcolati:
    30 missili Cruise lanciati al giorno per 1 mln di $ l'uno, per 90 giorni fanno 2,1 mld di $.
    150 missioni aeree al giorno per 100.000 $ per ogni bomba o missile lanciato, per 90 giorni fanno 1,35 mld $.
    30.000 militari impiegati per 2,4 mld $.
    20/30 aerei NATO persi per 35 mln di $ l'uno - dai 700 milioni di $ a 1,05 miliardi". (Fonte: M. Cristina Zadra e Mario Pianta, "L'economia della guerra", su "Lo Straniero" n.7). Poiché nello studio citato i costi sono stati calcolati prevedendo 90 giorni di bombardamenti, bisogna tenere in conto la durata effettiva dell'azione militare (78 giorni), e quindi queste cifre vanno moltiplicate per un fattore correttivo pari a 78:90 = 0.87. Vanno aggiunte inoltre le spese per gli aiuti umanitari ai profughi. "L'Unione Europea calcola che ogni profugo costi 6 $ al giorno di aiuti umanitari d'emergenza. Ovvero per 1 milione di profughi, 6 milioni di $ al giorno, per 3 mesi fanno 540 milioni di $, in lire fanno 970 miliardi di lire". (stessa fonte). Anche in questo caso il calcolo finale dei costi per le operazioni umanitarie dovrà tener conto del periodo effettivo in cui viene prestata l'assistenza ai profughi, che presumibilmente andrà ben oltre i tre mesi preventivati dall'Unione Europea.

    Qual è la spesa militare aggiuntiva che il nostro Paese ha sostenuto oltre alle spese per l'azione armata nei balcani?
    "I costi della guerra si sommano ai bilanci militari del tempo di pace. L'Italia nel 1999 ha previsto 30.000 miliardi di spesa per il ministero della Difesa, ma i calcoli di fonte Nato valutano la spesa militare italiana in 38.000 miliardi. Il trucco è che molte spese sono nascoste nei bilanci di altri ministeri". (Fonte: M. Cristina Zadra e Mario Pianta, "L'economia della guerra", su "Lo Straniero" n.7) "I dati ufficiali della Nato (NATO review n.1 1998) relativi alle spese militari nell'Alleanza Atlantica mostrano che tra il 1990 e il 1997, gli Stati Uniti hanno ridotto il proprio budget militare del 26,6%, il Regno Unito del 26,8%, la Germania addirittura del 30%, la Francia dell'8,6% e l'Italia solo del 5,5%. La stessa fonte ci dice che l'Italia è l'unico paese tra quelli sopra menzionati ad aver aumentato la percentuale del PIL dedicato alla difesa: dall'1,8% del 1995 all'1,9% del 1996 e 1997." (Fonte: M. Cristina Zadra e Mario Pianta, "L'economia della guerra", su "Lo Straniero" n.7)

    Qual è la proporzione tra le spese militari sostenute in questo conflitto e gli aiuti economici che hanno ricevuto i paesi dei balcani in seguito alla guerra in Bosnia?
    Confrontate con le spese militari elencate precedentemente, le spese per gli aiuti ai paesi colpiti dal conflitto in Bosnia sono state irrisorie, e c'è da aspettarsi qualcosa di analogo per gli aiuti destinati alla ricostruzione del Kossovo e di tutta la Repubblica Federale Jugoslava. " L'entità delle risorse messe in moto dalla guerre contrasta drammaticamente con l'esiguità di quelle finora dedicate allo sviluppo dei paesi balcanici. L'Albania prima del conflitto aveva ottenuto in tre anni solo 1000 miliardi di aiuti internazionali, il Montenegro appena 1,6 miliardi di lire dall'Unione Europea, la Macedonia 400 miliardi dalla Banca Mondiale e 300 miliardi dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERD). Perfino Croazia e Slovenia, i paesi più sostenuti dall'occidente, hanno ricevuto crediti rispettivamente per 2000 e 1000 miliardi di lire dalle stesse istituzioni di cui sopra. Gli accordi di Dayton hanno portato alla Bosnia Erzegovina aiuti per 9000 miliardi di dollari in tre anni. La Repubblica Jugoslava ha interrotto anni fa il rimborso del debito con il Fondo monetario ed è ora tagliata fuori dalla finanza internazionale. Una minaccia all'"ordine internazionale" forse più grave dell'oppressione degli albanesi del Kossovo. Il confronto con la spesa per la cooperazione non serve soltanto ad esprimere un ordine di grandezza; mostra anche il mutamento di strategia economica e politica dell'occidente. Sul piano economico, di fronte alle esigenze di sviluppo dei paesi dell'est e del sud del mondo l'occidente ha sostituito negli ultimi quindici anni la strada della cooperazione con quella dello scontro economico, facendo valere le armi del debito estero e dei piani di aggiustamento del Fondo monetario internazionale come condizione per la concessione di crediti. Sul piano politico, la strada degli interventi militari è sempre più stata utilizzata per mantenere, dalla guerra del Golfo in poi, l'ordine imposto dall'occidente. La guerra nei Balcani rappresenta un drammatica accelerazione di questa strategia nel cuore dell'Europa, destinata a militarizzare i rapporti internazionali, a sottrarre spazio ad un sicurezza fondata sulla coooperazione e lo sviluppo nonché a contenere al massimo il ruolo dell'Unione Europea all'indomani della nascita dell'Euro. E proprio l'Europa dei governi socialdemocratici è la principale sconfitta di questa guerra americana". (Fonte: M. Cristina Zadra e Mario Pianta, "L'economia della guerra", su "Lo Straniero" n.7)

    ["Noi ripudiamo la guerra!"] [raccolta per il Kosovo]

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