Giubileo e Pace  
 La relazione di Massimo Toschi* durante la festa di S. Massimiliano (14/03/1999)  

* ordinario di storia e filosofia presso il liceo scientifico "Vallisneri" di Lucca, segretario dell'Associazione per lo sviluppo delle scienze religiose in Italia, lavora presso l'Istituto per le Scienze Religiose di Bologna diretto dal prof. Alberigo. Collabora alla rivista "Missione Oggi"
 

(Testo raccolto da registrazione magnetica, non rivisto dall'autore)

Cominciamo con le parole del Vangelo della Messa di oggi perché mi pare che ci aiutino a comprendere in modo cristiano il tema che ci siamo dati. Come voi sapete il Vangelo della Messa di oggi è il Vangelo del “Cieco nato”, c’è il problema di questo cieco dalla nascita, la domanda se aveva peccato lui o i suoi genitori, la risposta che Gesù dà di miracolo (segno) che viene posto, i farisei incontrano questo cieco dalla nascita che adesso vedeva e quindi si apre tutto un dialogo e alla fine questo cieco nato viene espulso dalla sinagoga, espulso dai farisei. Potremmo dire in altri termini che viene come scomunicato, perché diventa discepolo di Gesù e non più discepolo di Mosè, come gli dicono... e l’episodio si conclude con questi versetti:

(Gv 9, 35-41) Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: “Tu credi nel Figlio dell'uomo?”. Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui”. Ed egli disse: “Io credo, Signore!”. E gli si prostrò innanzi. (la ‘proschinesis’ è il gesto per eccellenza, è l’adorazione che si fa a colui che è Signore, la proschinesis era il tipico gesto che i romani facevano verso l’imperatore, quindi è proprio un gesto tecnico, quindi lui riconosce davvero che Gesù è il Signore ) Gesù allora disse: (questi ultimi versetti li poniamo all’inizio di tutto il nostro ragionamento) “Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi”. Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: “Siamo forse ciechi anche noi?”. Gesù rispose loro: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane”.

E’ chiarissima la contestazione di Gesù. Se foste ciechi, se accettaste di essere ciechi, allora non avreste alcun peccato e comunque il vostro peccato vi sarebbe perdonato. Ma siccome dite: “noi vediamo”, il vostro peccato rimane. Cosa vuol dire questo? Semplicemente una Chiesa e dei cristiani che sono senza peccato, e dunque sono i veri peccatori perché non riconoscendo il loro peccato, anzi, sostenendo che non hanno peccato, in realtà impediscono allo stesso Signore di donare la salvezza.

Ecco vedete, il tema del Giubileo è uno dei tipici temi in cui la Chiesa può rischiare di dire, come qui viene detto: “noi vediamo, noi siamo a posto, noi siamo in pari, noi abbiamo le carte in regola, anzi, a nome dei più piccoli e dei più poveri e di quelli che subiscono violenza noi protestiamo, noi gridiamo, noi prendiamo posizione, noi siamo a posto”.

Io ho l’impressione che ci sia molto, troppo trionfalismo in giro. Devo dire che io ho conosciuto loro (gli O.d.C. di Fidenza, NDR), li ho conosciuti in un contesto per cui mi è tornato male dire di no, ma io diffido molto di parlare del Giubileo. Perché in un qualche modo si porta un granello di incenso a questo trionfalismo ecclesiale. Il 2000, il millennio, una grande parata a Roma, grandi folle. Diffido molto di questo, forse perché diffido di me, ma il rischio è di avere le carte in regola. Il tema del Giubileo e della Pace non può essere affrontato con la consapevolezza di avere le carte in regola, ma se qualche frutto di grazia ci sarà è perché, come dire, accettiamo davvero di essere peccatori, allora riconosciamo davvero i nostri peccati, non solo con un gesto nominalistico, ma innanzitutto chiamando i nostri peccati per nome. E poi in forza di questa confessione dei nostri peccati, se il Signore ci fa grazia, di cambiare vita. E quindi capite come questo Vangelo di oggi ci introduca alla nostra meditazione. “Ma siccome dite noi vediamo, il vostro peccato rimane”.

Bene, detto questo entriamo nel tema di oggi e poi alla fine eventualmente riprenderemo. Lo facciamo con un percorso che è molto semplice, di nuovo è la scrittura che ce lo spiega e ce lo introduce; innanzitutto se noi vogliamo riflettere sul tema del Giubileo bisogna andare al capitolo 25 del Levitico vv. 8 e seguenti: lo leggiamo perché è il testo classico, non si può sbagliare, quando noi andiamo a comprendere il mistero dell’anno giubilare, non si può non partire da questo testo, anche se poi noi lo leggeremo in parallelo con un testo del nuovo testamento.

(Lv 25,8-17) Conterai anche sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno del settimo mese, farai squillare la tromba dell'acclamazione; nel giorno dell'espiazione (quindi nel giorno dello Yom Kippur) farete squillare la tromba per tutto il paese. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo (qui c’è il testo costitutivo!); ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché è il giubileo; esso vi sarà sacro; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi. In quest'anno del giubileo, ciascuno tornerà in possesso del suo. Quando vendete qualche cosa al vostro prossimo o quando acquistate qualche cosa dal vostro prossimo, nessuno faccia torto al fratello. Regolerai l'acquisto che farai dal tuo prossimo in base al numero degli anni trascorsi dopo l'ultimo giubileo: egli venderà a te in base agli anni di rendita. Quanti più anni resteranno, tanto più aumenterai il prezzo (cioè se io compro al secondo anno dopo il giubileo e ho 48 anni è chiaro che pagherò di più che se invece ho solo 10 anni in vista del prossimo giubileo, è un conto molto tecnico); quanto minore sarà il tempo, tanto più ribasserai il prezzo; perché egli ti vende la somma dei raccolti. Nessuno di voi danneggi il fratello, ma temete il vostro Dio, poiché io sono il Signore vostro Dio.

Allora innanzitutto questo testo ci dice una cosa: cosa significa “farai squillare la tromba dell’acclamazione”? Il Giubileo inizia con il suono dello Shofar. Lo Shofar è il corno d’ariete da cui in ebraico “ariete” viene “joviel” da cui Giubileo, quindi veniva fatto suonare il corno dell’ariete e il suono che inizia, apre il giorno dello Yom kippur ed è il suono che apre l’anno giubilare. Dunque il Giubileo non è un anno che stabiliamo noi, ma è un appello divino, è l’anno di Dio; non è l’anno nostro, è Dio che chiama,... il suono del joviel, dello shofar, è la chiamata di Dio all’anno giubilare.

Attenzione: quello che fa impressione è che questa apertura dell’anno Giubilare non avviene attraverso un’azione liturgica, un azione cultuale; non c’è un sacrificio che si compie. Se noi guardiamo la liturgia tecnica dello Yom Kippur questa sì prevede dei sacrifici etc., ma l’apertura dell’anno giubilare non è una chiamata al culto in senso tecnico, perché non sono previsti sacrifici, ma in realtà siccome per gli ebrei l’eseguire la parola di Dio è culto, in realtà l’anno giubilare è per Israele la più grande situazione di culto.

Noi siamo abituati a pensare, anche i preti tante volte lo dicono, qualche volta anche qualche papa lo ha detto, che c’è una divisione nella nostra vita tra fede e vita, la grande rottura. In realtà per gli ebrei la fede era vita, per i cristiani la fede è vita, sennò non è fede. Non c’è la fede -e- la vita, perché la fede che non è vita non è fede, è molto semplice

E allora in questo caso il Giubileo non è qualcosa di estraneo al culto, ma la realizzazione del Giubileo è il vero culto. Il problema non sono le parate liturgiche, ma di nuovo il Giubileo è il vero culto perché il Giubileo è l’anno voluto da Dio, convocato da Dio, inaugurato da Dio, in cui si deve fare obbedienza a Dio. E su questo insisto perché poi alla fine dovremo fare un ragionamento: quale è il significato profondo per noi del Giubileo? E’ quello di fare una grande parata? E’ quello di riempire un po’ di piazze romane? “Un milione di giovani a Roma”, e con questo abbiamo risolto il problema della fede? Due piazze per la canonizzazione di Padre Pio, e con questo abbiamo risolto il problema della fede? Ma davvero?

Il Giubileo è riconoscere prima di tutto, innanzitutto e sempre, che la storia è di Dio, non è nostra e dunque il tempo è il tempo di Dio, e il tempo di Dio irrompe nel nostro tempo, non è un tempo di dopo, è già un tempo di ora. Ogni 50 anni per affermare questo c’era il tempo di Dio, e allora ci si fermava perché fosse davvero il tempo di Dio.

Non è vera la concezione che noi abbiamo della storia, che la storia la facciamo noi, che la storia poi ha le sue leggi, che ci sono delle leggi che non cambiano mai ecc., la storia come un grande continuum, che è la concezione che noi abbiamo dall’illuminismo fino ad oggi. No, la storia è di Dio, e Dio irrompe nel nostro tempo, non è che Dio opera dopo. Dio irrompe già da ora e l’anno giubilare ci ricorda questo; è per questo che c’è tutto il resto, tutte le indicazioni: non si miete, non si pota, si restituisce, perché in qualche modo si deve ricostituire la condizione del Sabato che è il grande giorno di Dio nella creazione, che regge tutta la creazione, non è il punto di arrivo. È il punto di arrivo ma è il punto di partenza.

Noi abbiamo di nuovo una scansione sette-sette, abbiamo il settimo giorno e qui abbiamo il cinquantesimo giorno (7x7); i numeri qui davvero hanno grande importanza, dunque il tempo è di Dio, quindi bisogna ricostituire la storia come il Signore l’ha voluta, per meglio dire: ci vuole un tempo che profeticamente anticipi quello che la storia sarà nell’’escatos’. Quando davvero il Signore sarà tutto in tutti come dice Paolo. E dunque il cinquantesimo giorno (o il cinquantesimo anno) è anticipazione profetica di questo e allora non ci sarà più nessun conflitto e tutto sarà come il Signore vuole. Non ci sarà più inimicizia tra uomo e uomo, non ci sarà più divisione e tutti potranno ricevere i doni che il Signore ha messo largamente a disposizione (tutto il riferimento alle vendemmie etc...). Perché? Perché il Signore darà... C’è bisogno di vendemmiare le vigne? Certamente che no, perché il Signore ha già dato abbondantemente con la sua vigna, vi ricordate la parabola della vigna... E c’è bisogno della mietitura? Il Signora ha ben già dato col suo pane, quindi capite la forza di questo paragone.

Dunque la funzione sociale del Giubileo, a partire da questa idea che il Mondo è di Dio e che il mondo va restituito a Dio e che nel mondo siamo gli ospiti di Dio; non è roba nostra; la terra è di Dio, noi siamo ospiti. Significa che l’uomo non è più il padrone del mondo, abbiamo visto, essendo padrone, come lo ha ridotto in tante parti... Ma l’uomo è ospite e dunque finiscono i debiti, le servitù, i crediti, i diritti acquisiti, lo schiavo ritorna libero, i debiti decadono, le case ritornano ai primitivi proprietari, non c’è accumulo di ricchezze e di potere proprio perché l’anno giubilare è profezia di quando il Signore verrà. Noi lo dobbiamo vivere in questa prospettiva escatologica. L’anno giubilare è profezia di quello che è il Signore, e nell’anno Giubilare si esprime davvero di nuovo una condizione di libertà perché tutto avviene per dono di Dio, non si deve lavorare proprio perché è Dio che dona la messe, è Dio che dona la vigna, non bisogna più lavorare. Ovviamente, attenzione! questo non significa una condanna del lavoro, ma significa una misura profetica per giudicare quando il lavoro schiavizza l’uomo, quando in nome della ricerca dei beni si crea violenza ecc...

Come voi sapete l’anno Giubilare non è stato mai applicato sostanzialmente, noi abbiamo pochissimi testi quasi insignificanti che questa cosa abbia funzionato, ma questo non è il problema. Il Giubileo non deve essere una specie di programma sociale, se diventasse un programma sociale finirebbe un attimo dopo; ma il Giubileo è un anno di Dio, è la memoria che la storia appartiene a Dio e che la storia va a Dio e dunque che la memoria e il tempo e la terra non sono nostri ma sono di Dio. E dunque è una indicazione profetica di quello che saremo; dunque della nostra tensione escatologica. Come saremo?

Quando il Signore verrà allora il Giubileo si compirà. Pensate voi che in paradiso lavoreremo? Penso di no! Pensiamo che in paradiso faremo guerra? Speriamo di no, perché sennò... tanto vale stare qua etc. E di nuovo, la storia appartiene a Dio perché è Dio che scandisce il tempo della storia.

E dunque c’è un cinquantesimo anno che non appartiene agli uomini e che giudica la storia degli uomini. Qui davvero non possiamo dire di essere senza peccato, ma guardate un particolare ulteriore: vi faccio fare una piccola esercitazione, come dire, di giorni e di settimane. Se noi andiamo all’inizio del Vangelo di Luca, i vangeli dell’infanzia hanno una scansione temporale che è molto interessante; mi ha colpito che in genere non viene notata, non viene notata anche nella riflessione giubilare, e invece guardate un po’ cosa succede. Come voi sapete il Vangelo dell’infanzia inizia con l’annuncio della nascita di Giovanni il Battista (prima data)... l’annuncio del concepimento di Maria avviene 6 mesi dopo, quindi avviene 180 giorni dopo, poi abbiamo 180 giorni + 270 che sono i giorni del parto, del concepimento di Gesù, poi abbiamo i 40 giorni della presentazione al Tempio.

Se fate la somma dei giorni viene 490 giorni, 7x7=49 e Gesù entra nel tempio a Gerusalemme nella visitazione, portato da Maria e Giuseppe, esattamente nell’anno giubilare, quindi il giorno giubilare non è solo il giorno di Dio ma è il giorno del Figlio di Dio e la venuta di Gesù è l’inaugurazione del tempo giubilare, del tempo nuovo di Dio, un tempo non fuori dalla storia ma che inizia già nella storia. Davvero è il tempo in cui Dio entra nella storia.

Come vedete il riferimento all’incarnazione di Gesù rimanda poi al riferimento al ritorno glorioso di Gesù, noi siamo ormai già nell’anno giubilare perché è l’anno del Messia, l’anno del Figlio. Intendendo per anno giubilare non il giorno in cui è nato Gesù (ammesso che sia 2000 anni fa, che non è vero come sapete bene, per essere esatti Gesù non è nato nell’anno 0, i calcoli non tornano, è tutta una finzione, ma non è una finzione che è venuto il Figlio dell’Uomo) e dunque noi ormai siamo nell’anno, nel tempo del Messia e ne attendiamo il ritorno glorioso. Questo è così vero in Luca che noi abbiamo al cap. 4 il grande discorso alla sinagoga di Nazareth, che di nuovo è un testo che conoscete:

(Lc 4, 16-19)

“Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto:

Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto
messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi,
e predicare un anno di grazia del Signore.”

Gesù colloca la sua venuta all’interno della profezia messianica di Isaia 61 (lo Spirito del Signore è sopra di me...) e coglie il suo ministero pubblico come predicazione e annuncio dell’anno giubilare. Quindi capite che è Gesù stesso che legge il ministero della sua vita, passione, morte e resurrezione, come anno di grazia del Signore, potremmo dire e tradurre del tutto correttamente: anno giubilare.

Quel cinquantesimo anno che nella memoria di Israele rimandava al primo sabato della storia e rimandava ad una storia di Dio che è padrone della storia, ha il suo pieno compimento nella storia, nel mistero di Gesù; dove il problema del Giubileo è ben di più che restituire i debiti, è ben di più.

Al cuore il Giubileo non è solo un programma sociale, è anche un programma sociale. E poi quali debiti? Ci sono alcuni aspetti, però attenzione alle letture troppo “fondamentaliste” perché si rischia davvero di svuotare il senso del Giubileo.

Ad esempio, il famoso problema del debito dei paesi del terzo mondo. Io penso che sia un gesto propagandistico che non serve assolutamente a nulla, o serve pochissimo, non è un caso che ci sia una commissione piena di vescovi per la remissione del debito. Il vero problema della chiesa italiana, io lo dico con franchezza e tanto lo ho anche scritto, non è far rimettere il debito dei popoli del terzo mondo con le grandi agenzie internazionali, ma, detto un po’ semplificando, il vero problema della Chiesa Italiana sono la grande quantità di soldi che ha, è il problema del cardinale Giordano per dirla con una battuta.

Se noi ci dobbiamo fare belli con queste frasi “là rimettevano i debiti, gli schiavi ritornavano liberi”... ma il problema non è degli altri, è nostro. Quale è il problema per la Chiesa, oggi, su questo versante? Questa è la questione, senno è facilissimo, non costa nulla chiedere all’America di azzerare il debito quando la Chiesa italiana prende 2400 miliardi sull’unghia ogni anno dallo Stato Italiano. Quindi di nuovo il versetto da cui siamo partiti, sennò diventa un’opera di propaganda il Giubileo, una grande celebrazione retorica che addirittura ci dà buona coscienza: “siamo anche dalla parte dei popoli del terzo Mondo, che volete di più? più a posto di così...” e invece i conti non tornano!

Ma guardate la forza di questa testo di Isaia, che poi Gesù applica a sé nell’affermazione conclusiva: “oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udito”. Cioè oggi, in me, si è compiuta questa scrittura, in me oggi - il famoso “oggi” che attraversa il Vangelo di Luca, che rimanda all’ “ora” del Vangelo di Giovanni - , “oggi è nato per voi un salvatore”, “oggi si è compiuta la scrittura”, “oggi la salvezza è entrata in questa casa” (vicenda di Zaccheo), “oggi sarai con me in paradiso” (la parola di Gesù sulla croce al ladrone).

Ecco, dicevo l’annuncio del Vangelo ai poveri, la buona notizia ai poveri, proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, rimettere in libertà gli oppressi. Quindi, vedete, il programma dell’anno giubilare è un programma che mette tutti e ciascuno di fronte alle sue responsabilità. L’anno giubilare è l’annuncio della buona novella ai poveri: lo fa la Chiesa? lo facciamo noi?

Stamattina venendo qua in treno, partito da Bologna, c’era un mare di ragazze africane che sono salite sul treno e sono scese verso Parma, Reggio... Da dove venivano e dove andavano mi pareva del tutto evidente. Questo è il problema...

Pensate a questo clima di progressiva paura che sta vivendo il nostro paese, anche per campagne di stampa montate ad arte; cresce la paura nel nostro paese e i cristiani in questo clima di paura che divide e mette gli uni contro gli altri, che tende ad escludere, che segni danno? Abbiamo sentito delle cose sul problema dell’immigrazione... parole di vescovi, che c’è da rimare stupiti per cosa abbiano da spartire col Vangelo.

L’anno giubilare, il problema della vostra vita. Se una vita è egemonizzata dalla paura degli altri o se invece siete capaci di fare della vostra vita un annuncio, una buona notizia, per cui chi è zoppo possa camminare, chi è povero possa riconoscere nella nostra vita l’annuncio che l’amore è più grande della morte, che coloro che vivono le oppressioni possano sentirsi liberati dall’incontro con voi. Questo è il problema vero, questa è la bellezza della vita. Perché rimanere imprigionati nella paure per cui ci si compra e ci si vende, certamente non è una vita evangelica e poi è una brutta vita; quando la gente ha paura vive male, vive angosciata, e invece noi vogliamo vivere bene, felici, tranquilli. Bisogna davvero rifiutare la paura, o per meglio dire portare la paura, ma portarla dentro un’esperienza di speranza. Allora capite che al cuore di questo il Giubileo ha un rapporto strettissimo con la pace.

Innanzitutto perché il Messia è il Messia della pace; il Messia è la pace, quindi se l’anno giubilare è l’anno del Messia allora l’anno giubilare non può che essere l’anno della pace, e poi perché come ci ricorda Giacomo nella sua lettera al capitolo 4 si capisce perfettamente come ci sia un rapporto tra inimicizia, guerra e ingiustizia. Dice il testo:

(Gc 4, 1-4) “Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri. Gente infedele! Non sapete che amare il mondo è odiare Dio?”

Vedete questo legame tra la bramosia, la domanda di avere che poi è sempre una domanda di sicurezza, e le guerre. Nel vangelo è chiarissimo: perché si hanno tanti beni? Perché il bene ci dà sicurezza, è un modo per combattere la paura. E allora riempiamo i nostri granai perché più roba c’è dentro e meno avremo paura. Invece è proprio il contrario: più roba abbiamo e più la difendiamo e più aumenta la paura. Vedete il testo: “non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscita a possedere e uccidete...” e anche se possedete 100 volete possedere 1000, e se possedete 1000 volete 100000... e il meccanismo si riproduce.

Il tema del possesso è legato al tema della guerra. Quindi è legittimo legare il Giubileo e la pace. Vedete, se avete in mente per un attimo il martirio di Massimiliano, ciò che colpisce nella sua vicenda è che non ha paura di morire, semplicemente perché ama il Signore. Quando uno ama non ha paura di morire per l’altro. Una madre non ha paura di morire per il proprio figlio, perché lo ama a tal punto che è disposta a prendere lei il posto del figlio, o del marito. Per amore non c’è paura. E il contrario della paura è l’amore. Dice Marco al capitolo 4 che il contrario della paura è la fede. La vera alternativa è avere fede o avere paura, chi ha paura non ha fede; ma la fede è poi la adesione di amore al Signore quindi di nuovo la fede diventa amore, non è l’adesione dottrinale a chissà quale verità. Quindi, per ritornare, è corretto legare Giubileo e pace.

E anche da questo punto di vista la Chiesa ha le sue colpe, noi abbiamo le nostre colpe. Facciamo qualche piccolo esempio. Innanzitutto abbiamo ancora un Catechismo della Chiesa universale dove c’è legittimata la pena di morte, anche nell’ultima stesura. Poi il papa è intervenuto, etc.., ma in quel documento appare ancora la legittimazione della pena di morte. La Chiesa per secoli ha giustificato la pena di morte. E ancora oggi in questo testo drammatico permane la pena di morte, questo è un punto.

Vedete, noi arriviamo alla fine di un secolo, e se noi guardiamo questo secolo, la prima guerra mondiale, chi ha fatto la prima guerra mondiale? Stati cristiani che si sono combattuti ciascuno dal suo punto di vista, pensate al terribile scontro tra gli Imperi Centrali e la Francia, le potenze dell’Intesa. E fa impressione perché se noi leggiamo la riflessione dei cattolici di questi paesi, ognuno sceglieva il suo paese e stava dalla parte del suo paese.

La seconda guerra mondiale, la tragedia dell’olocausto, ovviamente non è che l’ha generata la Chiesa però certamente di nuovo il nome di Dio è stato usato per legittimare la guerra, non c’è dubbio su questo. È chiaro che la guerra nasceva da molti altri interessi ma certamente il nome di Dio è stato usato. Pensate all’esperienza della Chiesa tedesca sotto il nazismo: pochissimi, con lucidità e pagando a caro prezzo, come Bonhoeffer, pochissimi hanno detto che c’era una incompatibilità tra nazismo e Chiesa, tra regime di Hitler e gli altri.

Noi veniamo da un secolo dove sono morte decine di migliaia di persone e in ogni guerra è stato usato il nome di Dio. Fino alle ultime, pensate a quello che è avvenuto in Irlanda, nei Balcani, ovviamente guerre non legate ad interessi religiosi, ma certamente guerre giustificate dalla religione, in modo nettissimo. Guerre giustificate in nome della fede.

Quindi, torniamo al versetto dell’Evangelo da cui eravamo partiti: “noi vediamo, ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane”. E guardate che questa mentalità non si leva, è qualcosa che ci portiamo dentro profondissimo in noi, perché noi per 1500 anni abbiamo giustificato la guerra e ogni volta che l’abbiamo giustificata l’abbiamo anche avallata. E’ vero che si parla di radici cristiane dell’Europa, ma sono radici insanguinate!

Questo è tanto vero che il papa lo ricorda nella “Tertio millennio adveniente”, quando sia pure in un linguaggio un po’ faticoso si dice: “un’altro capitolo doloroso sul quale i figli della Chiesa non possono non tornare con anima aperta al pentimento è costituito dalla quiescenza manifestata, specie in alcuni secoli, a metodi di intolleranza e perfino di violenza nel servizio della verità. Ma la considerazione delle circostanze attenuanti non esonera la Chiesa dal dovere di rammaricarsi profondamente per le debolezze di tanti suoi figli che ne hanno deturpato il volto, impedendole di riflettere pienamente l’immagine del suo Signore crocifisso, testimone insuperabile di amore paziente e di umile mitezza.”

Capite che ancora oggi noi ci troviamo in grande difficoltà. Pensate per un attimo ai bombardamenti angloamericani nei confronti dell’Iraq, che sostanzialmente non hanno generato nessuna grande reazione collettiva, neanche dei cristiani, eppure hanno scaricato in 4 giorni più bombe di quante ne avevano scaricate durante la guerra del golfo. C’è stato qualche lieve distinguo, ma sembra quasi che il tema della pace non interessi più, o per meglio dire che in nome di rapide e chirurgiche risoluzioni di conflitti, in fondo si possa permettere questo. Mi ha molto colpito, andando in Algeria, la contestazione che facevano gli amici algerini su questo. La lettura che loro davano: “erano bombe dell’occidente cristiano sulla grande nazione islamica.”

Quindi vedete, di nuovo non ci si può sottrarre, ciascuno deve assumere e portare la sua grande responsabilità, e noi come cristiani, perché di nuovo il tema della pace e delle guerra è un tema decisivo per la comprensione della fede.

Si può risolvere tutto con gli obiettori? Evidentemente no perché ormai gli obiettori sono diventati talmente tanti che sono diventati insignificanti. Sembra un paradosso, ma oggi in Italia dove ci sono 50-60 mila giovani che fanno il servizio civile, una discussione sulla pace si fa in maniera più arretrata di 10 anni fa. Questo perché si è acquisito un diritto ma si è persa la coscienza, soprattutto la coscienza evangelica del problema. Vi hanno dato anche un santo protettore, (questo non si nega più neanche al più piccolo degli ordini, c’è anche il santo protettore degli automobili quindi figuriamoci se non si dà anche agli obiettori) ma guarda caso diminuisce la percezione...

E guardate, noi sperimentiamo conflitti sempre più grandi e sempre più vicini, il Kosovo sarà lontano da qui 300-400 Km, che volete che sia? è più vicino il Kosovo di Palermo. Questo pone un problema a noi, anche a noi cristiani.

Allora, per arrivare alla fine, “Giubileo e Pace”: bisogna partire dalla provocazione forte che ci fa l’Evangelo, che noi davvero siamo radicalmente inadempienti. Vedete, come raccontavo prima a qualcuno, sono tornato da tre giorni dal mio quarto viaggio in Algeria, e sono andato a visitare un ospedale di una delle zone a maggiore densità di terrorismo e ho incontrato alcuni ragazzi che dovranno venire poi in Italia, che hanno perso le gambe o le braccia in azioni terroriste. Ce ne sono circa 3000 di ragazzi; quando io sono arrivato là e li ho incontrati, gli psicologi mi hanno detto che l’amputazione di un arto non è la perdita di un arto ma viene vissuta come la perdita della vita, quindi come se uno fosse morto.

Quando sono arrivato laggiù avevamo firmato la convenzione, etc., e per me è stato chiarissimo di essere arrivato radicalmente in ritardo. Potevo dire: “sono stato bravo, no? Abbiamo fatto questo, siamo arrivati, finalmente li possiamo aiutare...” ma la percezione a me chiara era di essere arrivato fuori tempo massimo, perché la domanda di pace, che per questi ragazzi significa rimettersi in piedi, poter camminare sia pure nel modo un po’ stentato con cui si cammina con le protesi, questa domanda era stata avviata con troppo ritardo. Io davanti a loro mi sentivo colpevole, loro mi hanno accolto come se neanche fossi un ministro, ma io mi consideravo colpevole in coscienza.

Ecco, dicevo questo perché davvero il modo proprio di vivere il Giubileo è di viverlo con un senso radicalmente penitenziale. Noi non abbiamo nessun credito da vantare, i primi debitori siamo noi perché siamo debitori rispetto a ciò che il Signore ci ha chiesto e che abbiamo messo tra parentesi; abbiamo messo tra parentesi perché siamo una Chiesa ricca, abbiamo messo tra parentesi perché siamo una Chiesa che usa i poveri solo per fare bella figura, siamo una Chiesa in debito perché fa un’enorme fatica ad accogliere questa soglia mobile dei poveri, per cui abbiamo capito che gli anziani vanno aiutati, un po’ questo l’abbiamo capito.

Ieri sera ho visto in TV del tutto casualmente uno spot sul volontariato: “volontariato fa star bene chi lo fa”, che è la vecchia ritraduzione laica di una parola religiosa: “aiuta i poveri che ti serva alla tua anima”, che è di nuovo un modo per fregare i poveri. Perché basta che io trovi un povero di comodo e ho risolto il problema. Un anziano da andare a trovare a Pasqua, Natale e Capodanno per le feste, e abbiamo risolto il problema. È di nuovo una società che si vuole dare buona coscienza.

Quando io ho visto queste ragazze stamattina sul treno, penso alle ragazze che don Bruno (Frediani NDR) ospita nella sua comunità, e come su questo si fa una enorme fatica, e penso talvolta a una Chiesa che rispetto a questo Paese e rispetto a chi vive i drammi di questo Paese è più disposta a imporre pesi che a portarne.

Allora capite che il Giubileo richiede questo atteggiamento radicalmente penitente. Dovete considerare il duemila non come la sciocchezza di entrare nel terzo millennio, perché come dice la scrittura, mille anni sono come un giorno e un giorno è come mille anni! Quindi abbandoniamo i trionfalismi. Il duemila lo dobbiamo accogliere, se prendiamo la simbologia dell’anno giubilare, come l’anno in cui incontreremo il Signore nella gloria; è l’anno del Regno, e allora che portiamo noi? Solamente i nostri debiti! Non abbiamo niente altro da portare che dei debiti, i debiti sulla pace, sulla giustizia, i debiti sulla nostra vita che non è né pacifica né giusta, che non genera né pace né giustizia, i debiti di una Chiesa che appunto impone pesi e non porta pesi. Ricordate, Paolo dice: “portate i pesi gli uni degli altri”, non “imponete pesi gli uni agli altri”. Quindi noi ci accostiamo al Giubileo con questo; se dovessi dare dei consigli a qualcuno che mi dicesse “come devo pensare al Giubileo?” direi: è come se tu morissi, se tu dovessi portare il tuo conto. È l’anno in cui il Signore si manifesterà nella gloria più piena, allora che porti alla fine della tua vita? I tuoi debiti, perché se anche qualcosa di positivo hai fatto è per grazia di Dio. Non solo i debiti del paese del Terzo Modo, ma i tuoi.

Il testo diceva: “ se foste ciechi non avreste alcun peccato, ma siccome dite: Noi vediamo, il nostro peccato rimane.” Noi siamo una chiesa che dice “Noi vediamo”, e allora una Chiesa che dice: “Noi vediamo” svuota radicalmente il Giubileo, non ce n’è bisogno! “Che c’è bisogno a fare del Giubileo? tanto noi vediamo!” Oppure lo riduciamo ad una grande parata, in termini economici, culturali, sociali...

Un’ultima cosa, lo ha detto anche il papa: invece di andare nei grandi santuari, non andate a S. Pietro che tra l’altro è una brutta chiesa e ci si prega anche male, a parte che è nata sulla questione delle indulgenze, ma lasciamo perdere..., ci sono delle belle chiese dove si prega bene, forse anche la Cattedrale di Fidenza che io non ho mai visto; ma se volete davvero, andate nelle case dei poveri, di chi subisce violenza: è lì che si fa il Giubileo. Il Giubileo si fa andando nelle case di chi il Signore ha scelto per essere visibile oggi nella storia, per ricordarci che oggi è il tempo giubilare. Allora se andate in queste case forse può anche aver senso andare nelle grandi case religiose, ma se non andate in queste case, non andate nei templi, a che serve? È tutta una grande parata.

Dicevamo all’inizio che l’anno giubilare non è segnato cultualmente, perché ciò che rende cultico l’anno giubilare è la perfetta obbedienza al Signore. Portare la buona notizia ai poveri, dare la vista ai ciechi, liberare gli oppressi... e questo lo si fa non con dichiarazioni ma con una vita, la vostra vita, dappertutto. E dico questo perché questo rende bella la vita, davvero la riempie della gioia giubilare, che è la gioia che nasce dal rompere il muro di paura e inimicizia che ci divide.

Quando entrate nella casa di un altro, c’è una frase molto bella che diceva frère Christian (un monaco di Tibarin): “Bisogna accettare che gli altri aprano la maniglia della nostra porta di casa”. Noi vogliamo aprire la maniglia, noi decidiamo chi entra e chi esce. No, bisogna accettare che l’altro apra. Se faremo questo romperemo la logica della paura e allora sarà davvero un anno di gioia. Se noi romperemo la logica della paura avrete voglia di suonare, di ballare, di chiamare Bob Dylan e Gianni Morandi alla fiera di Bologna: non si va da nessuna parte, è acqua fresca...

L’anno giubilare è una cosa seria perché tocca il senso della nostra vita e il momento in cui il Signore ci chiederà conto. Allora va preso sul serio davvero, sennò se deve servire solo per avere buona coscienza, meglio non parlarne.



INTERVENTI E DOMANDE

Io nella mia Diocesi sono molto impegnato, anche nel Sinodo, e queste cose le dico normalmente e mi capita anche di scriverle. Ho scritto anche la brutta copia di lettere di vescovi. Il problema non è questo. Il problema è che ciascuno nella Chiesa è chiamato dal Signore a mettere in comune con gli altri i doni, le grazie che ha, con libertà e senso della comunione, senza autocensure, senza atteggiamenti “ecclesiastici”. Se poi il mio vescovo mi fa una correzione mi va benissimo, non ho problemi, ho sempre detto al mio vescovo: “Vuoi che smetta di dire queste cose?”. Anche perché poi la Chiesa è fatta si dalle cose che diciamo ma molto più dalla vita, dalla nostra obbedienza, dalla nostra povertà, dal cuore unito che possiamo avere per grazia di Dio. Non è fatta solo dai discorsi.

Il fatto di vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, questa è la grande tradizione cristiana. Quando sono andato in Algeria mi dicevano: “Non hai paura?” Ma paura di che? Quando un amico ti chiama vai a casa sua, se hai paura vuol dire che non è tuo amico, e se si va, si va. Uno non può stare blindato in casa sua. Bisogna davvero rifiutare la logica della paura. Mille anni sono come un giorno, e un giorno come mille anni. Noi facciamo molta fatica a pensare che un giorno è come mille anni, siamo più portati a pensare che mille anni sono come un giorno, perché anche noi diciamo “come passa il tempo!”. Vi ricordate la preghiera di Simeone? Non era un vecchio, ma ha detto una cosa straordinaria: che la pienezza della nostra vita è nell’incontro con il Signore! Quando ho ottenuto questo, “lascia Signore che il tuo servo vada in pace”, di più non posso avere. È la preghiera di Simeone che si dice a Compieta, vuol dire che la mia vita può finire oggi e io la consegno al Signore perché l’ho incontrato, e del resto non mi importa.


Acqua fresca! Non voglio essere polemico, ma se io guardo i miei studenti di liceo, coi livelli altissimi di sofferenza che esprimono (in dieci anni le cose sono molto cambiate!)... Si ha l’impressione che questi eventi, forse nel momento in cui ci si va, possono esaltare. Era come quando io andavo allo stadio e tornavo gasatissimo.

Mi impressiona questo discorso: “grande evento, è la Giornata Mondiale della Gioventù”. Ma grande evento è la Pasqua, la Messa della domenica, la morte del Signore! Noi mettiamo al primo posto alcuni grandi fatti collettivi mediaticamente sostenuti, che ci danno l’impressione di essere chissà dove e chissà come... Ma io ho visto i ragazzi che sono tornati da Parigi: passato il momento, fatta l’intervistina al giornale diocesano, poi acqua fresca! Me li sono ritrovati a scuola coi soliti pasticci, problemi, difficoltà. E con l’impressione di aver vissuto sì una cosa bella, con gli amici, in tanti, cantando, ecc... Poi andiamo anche, ma sapendo che è una cosa come quando io andavo a vedere il Milan a San Siro. È per un ragazzo una grande fatto collettivo, una cosa molto esaltante, come un concerto, dà il senso dell’essere in tanti, insieme partecipare a qualcosa di comune. Ma la radicalità dell’esperienza religiosa non si costruisce così, anzi bisogna stare attenti che questo non diventi deviante. Perché davvero le grandi scadenze non sono la Giornata Mondiale della Gioventù. Il problema non è il milione di ragazzi a San Pietro, il problema è che ogni giorno i ragazzi aprano la Scrittura e si mettano davanti al Signore, che la Pasqua sia percepita davvero come l’incontro con il Signore che è morto per loro. Se c’è questo si può anche andare a Roma, danno non fa, altrimenti è davvero un grande inganno.

La responsabilità di educatore è proprio quella di dare la gerarchia, dare radici, farli incontrare col Signore, non col papa. Nel 1989 a Lucca venne il papa. Io andai in un convento di suore di clausura a fare una lettura biblica, e in quel convento venne in visita il papa. Sicché tutto un pulire, agitazione, mi chiesero di fare una lezione sul mistero di Pietro, erano preoccupatissime. Io dissi loro: “ma se venisse il Messia? Io penso che fareste di meno!...” Rimasero sorprese, ma era la verità.


L’idea delle grandi adunate è antica (inizio anni cinquanta); è un cristianesimo attivistico, volontarista, che esibisce molto la sua presenza sociale, che però non mi pare che poi lasci grandi segni. Quando andai a S. Pietro ad un convegno di giovani si cantava una canzone fascista mischiata a qualche parola cristiana, il risultato era una catastrofe, da manicomio: “qual falange di Cristo redentore, siamo arditi della fede, siamo araldi della croce, a un tuo cenno, alla tua voce, un esercito all’altar”.

Poi mi sembra che questa idea delle grandi adunate sia una idea che appartiene a certe aree geografiche e culturali del cristianesimo. Mi ha molto incuriosito, in Algeria, la storia del monastero di Tibarin. A vederlo, è un monastero fatto nel 1938 che è sostanzialmente un forte, più o meno come quelli dei film dei cowboy e degli indiani. Una enorme struttura in muratura che era il segno di un cristianesimo che andava ad occupare l’Islam, ovviamente a convertirlo, sostenuto dalla Francia. Questo monastero in realtà è diventato “parlante” in senso evangelico quando si è come “trasfigurato”, per cui alla fine ci stavano sei o sette monaci in un monastero che a pieno regime ne conteneva centinaia. Sei o sette che addirittura poi sono stati sequestrati e sgozzati, e ora ne resta uno solo. In un territorio dove, in un certo senso, la Chiesa come la intendiamo noi, con strutture e opere sociali, non ha nulla da fare. Non perché c’è persecuzione ma perché le vecchie strutture che c’erano non hanno più funzionato. C’era la cattedrale e ora c’è un distributore di benzina, non perché lo stato algerino perseguita la Chiesa, ma perché non ci sono più cristiani. Andati via i cristiani francesi, sono rimasti in pochissime isole.

Ci si è domandati se aveva senso o meno una presenza di un monaco solo. Se aveva senso chiudere e andare dove le “aziende” si possono ristrutturare. E invece la scelta è stata di rimanere. A Medea c’era un parroco che era anche l’unico cristiano della parrocchia, gli altri sono dell’Islam, le conversioni sono di fatto impossibili. Che si fa, si abbandona? No, si sta! Perché il Signore chiede questo, semplicemente. Non serve a nulla? Grazie a Dio che non serve a nulla, dobbiamo servire a qualcosa come cristiani? No!

Quindi attenzione, a volte abbiamo modelli che sono i nostri, e tendiamo a universalizzarli, a dire: Il cristianesimo in Italia è così, dunque questo è il modello che funziona dappertutto! No, anzi! Pensate che nel 2010 i mussulmani probabilmente saranno più dei cristiani. Non saremo più al primo posto, una cosa bellissima! È improprio per un cristiano essere al primo posto, dovrebbe stare all’ultimo, perché il problema non è la quantità, è il segno. Non è il numero, è il seme. Bisogna pensare che Dio non ami i mussulmani? Che abbia abbandonato la striscia che va dal Magreb fino all’Afghanistan? Penso proprio di no.

È vero che il grano e la zizzania stanno insieme, dentro e fuori di noi. Però il problema non è quello perché questo vale in ogni tempo, quindi è una spiegazione troppo semplice secondo me. Anche perché talvolta noi consideriamo il grano zizzania e la zizzania grano... Se in Italia crescono i mussulmani, lo Stato che costruisce le chiese cattoliche, dovrà costruire anche le moschee. Le chiese vanno benissimo e le moschee no? Distinguere l’olio dal grano è allora molto difficile. Solo Dio lo capisce, perché a volte noi rovesciamo e consideriamo una disgrazia quella che è una grazia e viceversa. Altrimenti bisognerebbe ipotizzare che ci sono periodi in cui il Padre Eterno va in ferie, cosa che mi pare difficile!

Ad esempio, oggi finiscono le vocazioni. Qui siamo in un esempio evidente (nel Seminario vescovile NDR), ma chi è che ha costruito questo? Ed è una disgrazia che ci siano meno preti, o una grazia? Se poi ci sono meno preti ma cresce una ministerialità e un riconoscimento dei carismi più largo, forse è una grazia. Ricordatevi poi che il Signore sceglie sempre la piccolezza (Davide è stato scelto perché era piccolo ed era l’ultimo) che è allora una grazia.

Ciascuno di noi è nella grande Chiesa, dove sicuramente il Signore fa doni grandissimi, ancora oggi. Occorre chiedere innanzitutto, per ciascuno di noi, il dono della chiaroveggenza, di vedere chiaro. Non andare a casa dei poveri per una visita, per prendere l’indulgenza giubilare, ma come atteggiamento profondo e permanente. Questo mi pare un elemento fortissimo da portare anche nella nostra Chiesa, perché reciprocamente ciascuno è un dono per gli altri; e quindi, senza reticenze e senza arroganze, mettere in comune questo. Poi alla fine della vita il Signore ci dirà qual era l’olio e qual era il grano. Ma alla fine, perché ora questo è un riconoscimento incerto, la nostra vita è sempre impastata...

Mi sembra che oggi ci siano questi segni, a partire dalla Parola di Dio, dalle urgenze della storia. Anch’io apprezzo molto quando il papa chiede perdono, ma non mi basta per il passato, perché alla fine può essere un artificio retorico (lo dico per me). Come quando il prete mi dice per confessione di andare ad incontrare come penitenza una persona che mi ha dato problemi, fastidio. E devo dire che mi trovo sempre in grande difficoltà, perché inizialmente mi viene da pensare ad una certa persona, però poi mi domando se questa è una soluzione di comodo. È difficilissimo...

La chiaroveggenza viene a ciascuno di noi dal dono dello Spirito Santo, dalla nostra vita spirituale, dalla preghiera, dal rapporto con i poveri. Sapendo che il problema non è mai il passato ma il futuro della mia vita, non è quello che ho fatto fino ad oggi, ma quello che farò da ora in poi.

Con questo atteggiamento non di arroganza ma di messa in comune, mi sembra che il Signore ci chieda oggi in modo particolarissimo, in un mondo così devastato da ingiustizie e da violenze, di essere un segno di perdono e di condivisione, al prezzo che ci toccherà di pagare in prima persona.

Io non avrei mai pensato di trovarmi, a cinquanta anni, non essendo stato addestrato dalla Caritas quando ero ragazzino, vicepresidente di una associazione di ex ragazze di strada. È l’unica carica che ho e mi pare una cosa bella, anche a cinquanta anni. Oppure incontrare, con il mio moralismo cattolico degli anni cinquanta e sessanta, delle persone omosessuali e vedere che in loro opera la grazia di Dio. Persone che per me erano al bando, per definizione. Perché Dio ama le persone ben prima di noi e più di noi. Allora uno comincia a liberarsi dalle paure, soprattutto quando accetta che gli altri siano i suoi grandi maestri, perché quando capiterà di incontrare un moribondo capite tutte le vostre difficoltà e paure davanti alla morte, perché siete chiamati a dare una parola di consolazione a lui, e che date? Oppure quando incontrate una persona omosessuale che dice di volere vivere la sua vita affettiva, che gli dite? “Guardi che il Catechismo della Chiesa universale dice che...”?

Mi ricordo quando nell’89 andai per la prima volta in un ospedale a trovare dei malati di AIDS, fui incerto fino all’ultimo se tornare lì, avevo una paura profonda. Poi il Signore mi dette una spinta, incontrai S. e dopo per me la vita è cambiata in modo straordinario come orizzonte e atteggiamento profondo. Perché gli altri, soprattutto i poveri, sono dei grandi maestri, ci liberano dalle nostre paure e aggressività perché ce le fanno emergere, le rendono visibili. Per la mia educazione un omosessuale era da evitare. E invece lui era il grano e io ero la zizzania, perché avevo paura di lui.

Allora se devo dare un consiglio, pregate molto ragazzi, custodite la vostra vita spirituale e andate in mezzo ai poveri. Davvero la vita diventerà splendente, ben al di là del Giubileo, dei colori, delle adunate con le magliette... come quando si prende la maglietta della squadra, poi si tira via, è una cosa da bimbetti.


Come sapete c’è questa campagna che in qualche modo anche la CEI sostiene, presieduta da mons. Nicora, sul problema della remissione del debito. Io dico questo: come bandiera va bene, il problema è poi di costruire però dei rapporti uguali; non basta togliere il debito che poi è una finzione. È una cosa scritta lì che serve più ai banchieri di alcune grandi banche per mettere a credito il debito e far tornare il bilancio, quando arriva a certe cifre è una finzione. Sanno benissimo che questi stati non restituiranno mai...

Non basta cancellare il debito con un colpo di penna, certo ha valore come gesto simbolico, ma il problema è costruire dei rapporti economici che non riproducano di nuovo il debito e che permettano a questi stati di uscire da una condizione di inferiorità.

Noi ci troviamo di fronte a situazioni terribili. Parliamo di sud del mondo, ma oggi uno stato dove la gente muore letteralmente di fame è la Russia, uno dei paesi più ricchi del mondo. Succede il finimondo, vuol dire avere la guerra, quella che voi sperimenterete con il possibile collasso della ex Unione Sovietica, che ha il paradosso di essere uno dei paesi più ricchi del mondo e attualmente di essere sull’orlo del baratro e di una guerra civile.

Un altro paese diverso che mi è noto è l’Algeria. Lì ogni volta che diminuisce il prezzo del petrolio (e ormai siamo quasi in caduta libera) questo paese va sotto. Ma lì il problema non è solo economico, come in molti paesi dell’Africa, è il problema di una classe dirigente, di un quadro politico, quindi è ancora più complicato. Non basta azzerare un debito perché tutto funzioni, bisogna aiutare questi paesi a trovare un sistema istituzionale - politico funzionante, creare delle classi dirigenti, e dunque sarà un problema di non brevissimo periodo. Già l’Algeria rispetto al Burkina-Fasu è avanti, gli africani francofoni emigrano in Algeria. Ma il problema è questo, sennò la guerra è all’ordine del giorno...

Quindi il problema del debito è solo un aspetto, neanche il più drammatico, perché tanto questi paesi non lo pagano e basta, ma lo sa anche il Fondo Monetario Internazionale, è un gesto simbolico quello che si fa. Allora si tratta di mettere in moto apporti economici diversi, altrimenti si ripropone a distanza di dieci anni, e poi classi dirigenti e sistemi politici che in qualche modo permettano a questi paesi un minimo di stabilità e dunque un minimo di decollo, altrimenti siamo sempre al punto di partenza. Attenzione che non è solo il sud del mondo, come dicevo prima la Russia è attualmente la situazione più esplosiva, se si spezza non so cosa succede!

Compiamo pure il gesto simbolico che è importante e ha il suo valore, però il problema è più complicato.


Sul piano personale questo discorso non tiene perché se noi facciamo degli incontri questi ci cambiano profondamente la vita. Non è vero quindi che in fondo è bene che i poveri rimangano tali, perché il problema me lo pongo quando incontro quella precisa persona. Quando ho visto quel ragazzo senza una gamba a Medea, quando l’ho visto l’ho visto, poi non si dorme più... Non mi pongo più il problema che è bene che i poveri rimangano, il primo problema che mi pongo è che lui nel più breve tempo possibile abbia una protesi, perché in lui vedo la mia esistenza e lui mi rivela il senso della mia esistenza, come sempre nell’incontro, come stamani io con voi e voi con me.

Queste considerazioni le vedo sempre un po’ come dei giochi nominalistici, perché poi quando incontro una persona, incontro quella persona. È come a scuola, quando diciamo che gli alunni non hanno voglia di studiare e sono dei mascalzoni. Però poi ho il mio alunno che mi racconta la sua vicenda e allora tutto cambia perché poi ho quel ragazzo lì, non i ragazzi... Un conto è leggere le cose sui giornali dove tutto diventa categoria: “ci sono i tossicodipendenti che rompono” ma quando io poi incontro Giovanni, lui non è “i tossicodipendenti” ma una persona con una storia, un vissuto.

A livello macroscopico di fatti collettivi, non più il mio coinvolgimento personale, questi ci toccano e non diventano dei giochi, quando io in una vicenda collettiva rincontro la storia di quella persona.

Nel mio primo viaggio in Algeria con mia moglie siamo capitati in un asilo dove vengono accolti bambini abbandonati dalle ragazze-madri che li hanno tenuti fuori del matrimonio giuridico, e dunque se non li abbandonano queste donne vengono rifiutate, non solo da marito o dal padre ma dalla loro famiglia, quindi sarebbero abbandonate e perse. Quando ho visto quell’asilo, quei bimbi, il problema non sono più i bambini algerini, ma i bambini algerini sono quei bimbi e quei bimbi sono i bambini algerini... L’idea che il fatto collettivo esprime sempre la storia di persone e non di numeri. E nella storia delle persone io incontro una dimensione collettiva di un problema. Questo è fondamentale, sennò si fanno i giochi nominalistici.

Una ragazza di strada è Anna, è Rosemary, allora è quella persona lì e capisco che le ragazze di strada sono persone, non problemi. Faccio un esempio. Un quartiere a Lucca è insorto perché un pezzo della comunità di don Bruno (Frediani NDR) di ragazzi ex-tossicodipendenti va’ ad installarvisi, e la gente protesta dal sindaco perché non li mandi lì. Ma io li conosco, non è che quelli sono tossicodipendenti, sono cittadini come me. Mi può lo stato impedire di comprare una casa in via Cavour? No! Hanno gli stessi diritti miei, ma se io li vedo come tossici, allora li sbatto fuori...

Questo è sempre importante, anche se a volte è difficile farlo. Il grande problema politico generale è “i poveri li avrete sempre con voi”, ma in realtà non esistono i poveri, è una generalizzazione, i poveri sono Giovanni, Maria, Antonio, Rosemary... E se sono persone io sono coinvolto direttamente. Allora anche il problema politico generale è un problema di persone, non di categorie. Quando io creo la categoria, escludo. Se qualcuno di voi va a casa e prova a dire: “Sono stato con delle ex-prostitute” i genitori si allarmano subito. Se invece dite: “Sono stato con Giovanna e Maria, sono mie amiche” allora non c’è problema, perlomeno hanno capito che sono delle persone.

Il rischio oggi è di una politica fatta con le categorie, non con le persone. Io sono convinto che la legge sull’immigrazione è fatta per categorie e non per persone, è una legge sbagliata, perché al tempo stesso non è stata sufficientemente rigorosa contro l’illegalità organizzata e troppo debole nell’aiutare le persone che volevano uscire da certe situazioni. È proprio una legge fatta da gente che non sapeva neanche com’era il problema, ma fatta per contentare e rassicurare pezzi di elettorato, ognuno per la sua parte.

Quindi il problema non sono le categorie ma le persone. Poi le persone si generalizzano, ma si generalizzano delle storie, con cui io ho un rapporto diretto. Quando io trovo una persona che ha bisogno gli dò una mano, perché mi mette in questione. La politica la facciamo tutti. Bisogna fare una politica che assuma i problemi delle persone e non rinchiuda le persone in categorie.


Si, la Chiesa è tutto, però non ci diamo buona coscienza. Gesù andava a Betania, da Lazzaro, da Marta, da Maria, e Betania significa “casa dei poveri”. Le nostre comunità parrocchiali, le nostre assemblee liturgiche sono assemblee di povera gente? Mi pare proprio di no! È dove la povera gente si trova a suo agio? Mi pare di no!

Da dove parto io? Attenzione però che in questo modo alla fine si copre tutto perché ciascuno di noi ha le sue fragilità ed è peccatore. Anche se io parto e cambio, faccio pochissimo. Anche se vado in Algeria sono inadempiente. Detto questo, però, io voglio anche dire in tutta libertà e tranquillità che il cardinal Giordano è la parabola della nostra Chiesa. L’altro giorno quando abbiamo fatto la riunione della commissione post-sinodale, parlando di nuova evangelizzazione, bla bla, ho detto al mio vescovo: “Ma la nuova evangelizzazione l’avete già decisa! Avete pubblicato sul giornale il resoconto dei fondi dell’ 8 per mille dati in via straordinaria per ogni diocesi: tre quarti per fare chiese e un quarto per la carità.” La nuova evangelizzazione è già scritta lì nel bilancio, il resto sono chiacchiere. Invece bisognava fare forse il contrario; possibile che non sappiamo fare altro che case, risistemare canoniche e campanili ecc.? Un po’ si, ma poi c’è la vita della gente che è più importante.

Ciascuno di noi si metta in gioco. Però non bisogna accettare la furbizia di chi dice: “Ma siccome sei anche te peccatore, dunque...” Beh, io sono peccatore però siccome il Signore mi ha dato di vedere questo te lo dico, poi fai quel che ti pare.

Per concludere rileggiamo l’ultimo versetto del vangelo di oggi, da cui eravamo partiti:

(Gv 9, 40-41) Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: “Siamo forse ciechi anche noi?”. Gesù rispose loro: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane”.

 [inizio pagina] [home]