Capitolo II- Videogiochi

Di videogiochi ne esistono tanti, di tutti i tipi...

Un mirino rotondo blu si spostava freneticamente sul monitor, in mezzo a raffiche e missili degli avversari, dietro l’aereo nemico finquando non divenne rosso e apparve la scritta “locked”. Il bersaglio era stato acquisito ed a quel punto venne sparato un missile: circa tre secondi dopo si sentì un’esplosione, l’aereo nemico era stato abbattuto. La ressa di nemici cresceva sempre più e alla fine anche Marco, l’intrepido aviatore, fu colpito. Questi era uno dei ragazzi della nostra IV D e stava aspettando assieme a Gianluca altri amici lì nella sala giochi. Apparve sul monitor la scritta “Game Over” con il solito invito a inserire una moneta entro dieci secondi per continuare. Marco decise di finire lì: per quel giorno aveva speso abbastanza. L’altro, commentando la partita disse:

- Con un briefing migliore saresti arrivato più avanti.- Il briefing nella realtà è quel periodo, precedente il decollo, quando il pilota pianifica il volo: un errore in questa fase potrebbe compromettere tutto. Comunque non mi metterò a spiegare quali fossero stati gli errori di Marco, un grande appassionato di questi giochini. Erano senz’altro il suo secondo divertimento, o forse il secondo motivo della sua vita, e naturalmente è inutile dire qual era il primo. Anche a casa aveva uno di questi potentissimi computer, in grado di progettare un grattacielo in pochi secondi e che usava appunto per i suoi giochi, quando non poteva andare in giro fuori. I suoi ovviamente glielo rimproveravano continuamente: “Potresti anche aprirlo il libro di tanto in tanto, senza perdere sempre troppo tempo con quell’aggeggio” ed infatti l’anno passato era bocciato ed anche quella mattina il compito di Matematica sarebbe andato malissimo se non fosse stato per Stefania.

La nostra amica ebbe in classe un’accoglienza quasi trionfale: sul momento colpì soprattutto i ragazzi per il suo fascino, poi in seguito capirono che lì dentro era l’unica a cavarne qualcosa oltre al “genio” e che nei compiti, al contrario di quest’ultimo, era disponibile a “collaborare”. In verità nel compito di matematica di quella mattina si rese necessario anche l’aiuto del nostro amico: infatti Stefania, che appena arrivata fece il compito solo come esercitazione, non era in grado di farlo abbastanza bene e quindi chiese aiuto e il compagno di banco, stranamente, non lo rifiutò. Così accadde che l’arrivo di questa nuova ragazza alzò i voti mediamente del venti per cento e questo la rese simpatica anche agli occhi delle ragazze che fino a quel momento la vedevano come una rivale. Inoltre la sua presenza rendeva senz’altro più sopportabile quella del nostro amico.

- Ma cosa cazzo stanno facendo quei deficienti - disse un po’ arrabbiato Gianluca, guardando l’orologio: infatti erano già le cinque. I citati “deficienti “ sono Antonio e Giuseppe due ragazzi di un’altra scuola, amici da molto tempo di Marco e Gianluca. Quel venerdì avevano deciso, come sempre del resto, di fare la solita passeggiata per le vie del centro, per ammirare le bellezze della città.

I due poveri ritardatari avevano avuto un problema con l’auto: infatti a quell’ora le strade del centro si ingolfano, specialmente se qualcuno posteggia in terza fila. Dopo aver superato quest’ingorgo sorse l’eterno problema: dove parcheggiare? Gira di qua, gira di là, alla fine riuscirono a trovare un posto, grande quasi quanto l’auto, una piccola utilitaria. Comunque anche se l’auto era una scatoletta di tonno, quel posto era troppo piccolo.

- Quei cialtroni hanno parcheggiato larghissimo - disse Antonio riferendosi allo spazio tra una vettura e un’altra. - Scendi, così lo facciamo noi lo spazio! - quindi spinsero le altre auto in modo da farci entrare la loro.

- Ma così c’è un millimetro, non ce la faranno mai ad uscire, ti picchieranno la macchina. - disse Giuseppe

- Tanto è di mia madre: penserà di essere stata lei mentre la metteva in garage. -

Quindi si sbrigarono a raggiungere gli amici con i quali ebbero una discussione sul loro ritardo, ma già era tardi e non volevano certo passare la sera a discutere, quindi uscirono dalla sala giochi e si avviarono verso le affollatissime vie del centro.

In quelle poche strade confluivano pressoché tutti i giovani della città in cerca dell’anima gemella, per così dire, quello era il luogo in cui si poteva fare amicizie, scoprire informazione, sentire l’ultimo pettegolezzo e naturalmente ammirare le vetrine dei negozi, non certo economici. Oggi comunque era solo venerdì e non c’era tanta gente quanto al sabato: qualcuno avrebbe avuto forse qualcosa da fare, ma non i nostri ragazzi che avevano un sabato molto tranquillo a scuola.

Quel giorno anche Stefania cominciava a far parte di quella moltitudine a lei sconosciuta: infatti quel pomeriggio usciva con Giulia e Francesca.  La nostra amica aveva stretto amicizia con Giulia il giorno prima, durante l’ora di ginnastica. Mentre facevano la solita partita di pallavolo le due si erano scontrate cercando di respingere la palla. Giulia si era fatta male quanto bastava per non poter finire la partita, in quanto la nostra amica cadendo aveva appoggiato il piede sulla sua gamba, provocandole una leggera distorsione. Quindi poiché non camminava bene, l’aiutò a tornare nello spogliatoio e lì si misero a chiacchierare fino alla fine della lezione.

- Chissà se con te accanto non diventerà anche lui una persona normale - disse Giulia riferendosi al nostro amico. - Già oggi lo hai convinto a farti aiutare durante il compito di matematica, un vero miracolo! -

- È un tipo davvero strano, eppure non riesco ad immaginarlo così stronzo come me lo avete descritto, con me, tutto sommato, è stato abbastanza gentile. -

- Già! - disse con l’aria di saperla lunga - Si è senza dubbio innamorato di te, poveretto. - concluse quasi dispiaciuta.

- Forse. - quindi aggiunse sorridendo - In fondo anche lui è un ragazzo. -

- Oggi con Francesca facciamo il solito giro in centro, verso le cinque. Vieni anche te, così conosci un po’ di gente? -

- Volentieri. - in effetti uno dei problemi che affrontava in questi casi era quello di trovare un’amica con cui uscire in centro. Seguì un attimo di silenzio: Stefania non sapeva se era il caso di fare quella domanda, poi la curiosità la vinse. - Scusa, ma è vero quello che si sente per cui a Francesca gli piace Marco.- Naturalmente lei lo immaginava, ma non lo aveva mai sentito dire, questo era un trucchetto classico, che tutti conoscevano.

- Gli piace? Stanno insieme, sarà ormai almeno un anno, tra alti e bassi. Ma sta finendo ormai lo ha detto a tutti tranne che a lei, forse gli manca il coraggio. Adesso, per esperienza posso dirti che gli piace un altro genere di ragazze... - la fissò un attimo - più o meno quelle come te. -

Così la nostra amica chiarì anche il secondo dubbio che aveva: certe informazioni era sempre meglio averle prima: permettono di non fare sbagli né in un senso né nell’altro. Lei per adesso non aveva interesse per nessuno in particolare. Comunque tra i ragazzi della sua classe aveva scartato quasi tutti eccetto questo Marco e il suo compagno di banco, già noto come Gianluca.

Quel pomeriggio prima della passeggiata in centro Stefania passò dal nostro amico per riportargli gli appunti di chimica quel pomeriggio, visto che aveva dimenticato di farlo quella mattina. Così non le restò altro che saltare sul suo scooter e raggiungere la sua abitazione in fretta. Se è già uscito, pensava, li lascerò ai suoi o nella cassetta della posta. Dopo un po’ di slalom nel traffico provocando qualche infarto agli sventurati guidatori, costretti a brusche frenate, talvolta per non investirla, talvolta per non investire gli altri, in quanto il suo abbigliamento causava qualche distrazione. Infatti in previsione della girata si era vestita in modo da esaltare, o forse sarebbe più giusto dire, mettere a nudo la sua naturale bellezza. Del resto il giubbotto era lungo quasi fino a coprire la minigonna, anche perché non aveva voluto mettere la più corta.

Comunque in venti minuti arrivò dal nostro amico, suonò il campanello e quasi si stupì di trovarlo in casa. Entrò di corsa e cominciò a salire per le scale senza sentire che l’ascensore funzionava di nuovo, come le aveva detto il nostro amico al citofono.

- Ciao - gli disse salutandolo dalla cima delle scale

- Funziona di nuovo quel maledetto ascensore: si sono finalmente degnati di ripararlo.- disse mentre la faceva entrare in casa.

- Ero venuta a restituirti i tuoi appunti di chimica, stamani me ne sono proprio scordata, scusa. Sai, mi piace essere puntuale. - le disse mentre prendeva un grosso quadernone ad anelli dalla cartella che aveva appoggiato in terra. - Poi, tanto che sono qui, l’hai fatta quella redox, la numero dodici, mi è sembrata un po’ difficile - disse riferendosi ad un esercizio del libro di chimica, quando si accorse che il nostro amico la stava guardando dal basso verso l’alto. Anche lui capì di essere stato notato così la fissò in faccia e alla fine bisbigliò qualcosa, come un “ma” appena in tempo prima che la nostra amica si arrabbiasse: perché la guardava in quel modo? Forse non era stata abbastanza chiara? Era pronta a reagire ad ogni genere di avance, ma quella domanda la sconcertò:

- Ma, ecco, voi donne, non tu in particolare, in genere non avete, che so io, un po’ di freddo ad uscire così? - chiese molto seriamente, tanto che quella non poteva proprio essere una proposta di qualunque genere. Certo non era la prima volta che un ragazzo le chiedeva se aveva freddo, ma questo voleva anche una risposta seria, circostanza assolutamente imprevista e quasi offensiva: il suo vestito non lo scuoteva nemmeno un po’?

- Ecco... Vedi... No, non mi fa freddo, cioè non così freddo da non uscire: le calze a qualcosa servono. - disse. Intanto il nostro amico guardò dalla finestra che dava sul piazzale: voleva sapere se era venuta in motorino e questo lo sconvolse ulteriormente.

- Vai in giro in motorino vestita così? - le domandò quasi ridendo. Anche a questa domanda non sapeva che rispondere: se gliel’avesse fatta suo padre gli avrebbe detto che lei si vestiva come le piaceva e non doveva certo renderne conto a lui, ma in questo caso? Poiché il nostro amico si era quasi messo a ridere, rispose ironicamente:

- Sai noi donne siamo geneticamente più forti di voi uomini! -

- Sarà! Beh, avevi detto che un esercizio non tornava. Quelli di chimica li ho fatti tutti vieni ho il quaderno in camera - disse invitandola a seguirlo. Qui cominciò ad illustrare l’esercizio all’amica quando questa disse:

- Scusa, ma non potremmo accendere la luce? - certo nella stanza c’era un certo buio.

- Sì, sì. - disse accendendo una lampada sopra la scrivania - Non che a me piaccia stare al buio, ma odio accendere la luce durante il giorno: si crea quell’effetto terribile e sembra di vederci meno. È molto più bello accenderla quando è tutto buio, l’effetto è maggiore, quasi un’esplosione. Comunque adesso era proprio l’ora di farlo, sai col tempo mi sono abituato sempre più al buio. - intanto Stefania era piuttosto stranita: trovava un po’ assurdo come il nostro amico riuscisse a filosofeggiare su ogni dettaglio. Poco dopo, finito l’esercizio, si alzò per salutarla: sembrava avesse fretta e anche questo non piacque a Stefania: non doveva essere lei ad aver fretta? Lui, l’innamorato incompreso, doveva trattenerla, cercare in qualche modo di sedurla, provarci insomma e non limitarsi a risolvere l’esercizio per poi buttarla fuori di casa: non era così che funzionava di solito. Così le fece la domanda più ragionevole:

- Anche tu devi uscire? Vuoi un passaggio?

- Oh, no, non devo uscire. - Quello era il primo ragazzo che rifiutava un viaggio sul suo motorino con lei vestita in quel modo. - Stavo sbrigando delle faccende: sai quel libro sfasciato della biblioteca, lo sto ricomponendo: è un lavoraccio, interessante comunque. Dopotutto ognuno ha i suoi svaghi. -

- Già, io preferisco quell’accozzaglia del centro. Stavo andando a fare due passi con Giulia e Francesca, anzi sarà meglio che mi sbrighi: non voglio essere puntuale solo con te. -

- Va bene. Ci vediamo domani, comunque voglio dirti una cosa: Francesca è una ragazza vendicativa, potresti avere qualche problema. - Questo bloccò Stefania in procinto di entrare nell’ascensore. Si girò e gli disse:

- Non ti preoccupare: se anche fosse vero quello che stai pensando - ovvero che lei fosse innamorata o quasi di Marco, com’era vero - stai tranquillo che gestirei la faccenda in modo da non crearmi inimicizie. - Infatti il suo piano era banale: rendere Marco antipatico o comunque non interessante per Francesca e quindi, dopo un certo tempo, catturarlo.

Raggiunse in fretta il centro: passò prima da casa, per rimettersi un po’ in sesto i capelli e per posare la cartella, quindi si diresse verso il luogo dell’appuntamento. Arrivò un po’ in ritardo, ma trovò solo Francesca con la quale prima si scusò e poi chiese informazione dell’altra. Questa rispose che Giulia aveva la brutta abitudine di arrivare sempre in ritardo ed in effetti arrivò circa un quarto alle cinque.

Proprio a quell’ora Marco e compagni uscivano dalla loro sala giochi. Questi nel pomeriggio avevano da affrontare alcuni problemi, detti di Giuseppe, di Gianluca, di Marco. Discussero un po’ su quale avesse la priorità e alla fine lasciarono che fosse il caso a decidere. Giuseppe, dopo una lunga inchiesta, era venuto a sapere che la ragazza che gli piaceva, una certa Elisa, nutriva nei suoi confronti un certo interesse. Sapeva anche che oggi non era in giro, ma sicuramente c’era una sua amica e bisognava scoprire come Elisa pensava di trascorrere il sabato sera, in modo discreto naturalmente; Gianluca invece voleva assolutamente alcune informazioni circa una ragazza, di cui non conosceva il nome, che aveva visto qualche giorno; Marco invece voleva cominciare a preparare l’impresa che lui chiamò SV: era solito infatti usare la prima lettera del nome e del cognome per identificare la fortunata ragazza, in questo caso la V sostituiva Veronesi e vi lasciamo immaginare la S.

La prima impresa dei nostri eroi fu un vero successo: infatti appena usciti dalla sala giochi videro il fratello di Elisa passeggiare assieme a Cristina in un vicolo piuttosto appartato. Questa Cristina ufficialmente stava con Luigi, un buttafuori di una discoteca: un tipo a cui era meglio non toccare la ragazza. Così poterono ottenere l’informazione senza il minimo rischio che Elisa ne venisse a conoscenza: una vera fortuna.

Dopo circa mezz’ora intercettarono anche la ragazza di Gianluca e questo per farsi notare, poiché non aveva il coraggio di rivolgerle la parola, decise di seguirla. Niente di male sennonché stava trascinando tutto il gruppo fuori del centro e questo impediva a Marco di realizzare il suo progetto. Così si divisero. Antonio andò con Gianluca, mentre Giuseppe rimase con Marco. Questi ultimi due dovettero girare non poco prima di trovare il gruppo delle nostre amiche. Quando si incontrano Marco le salutò festosamente e poiché Stefania non conosceva il suo amico glielo presentò.  Quindi continuarono la passeggiata insieme. Anche Marco si era accorto che la presenza di Francesca complicava il gioco: doveva trovare un modo per tagliarla fuori. Nel parlare capì anche che Stefania non doveva essere una ragazza troppo facile. Per ora riuscì con fatica a convincere le tre a farsi accompagnare la sera successiva ad una festa: lui e Antonio avevano la patente, ma né Antonio né Marco disponevano di un’auto: era dei genitori e solo il secondo poteva farsela prestare. Poiché non era possibile mettere sei persone nell’auto di Marco quel numero andava ridotto. Non sapevano che pesci prendere quando seppero che Gianluca aveva agganciato la sua ragazza in modo veramente scandaloso e quindi non sarebbe venuto con loro. Ecco che era successo: la ragazza tornava a casa a piedi con un’amica, innamorata di Antonio. Questa credeva di essere lei quella seguita e questo portò a un grave errore: infatti li fermarono chiedendo

- Perché ci seguite? -

- Tu che dici Antonio, le seguiamo? - disse all’amico strizzando l’occhio: tutti e due riconobbero la ragazza innamorata di Antonio al quale peraltro non dispiaceva troppo. Capirono quindi il loro gioco e si comportarono di conseguenza. Infatti Antonio girò intorno alle due ragazze soffermandosi a guardare soprattutto quella innamorata di lui.

- Sì, direi di sì. - disse dopo essere tornato accanto all’amico.

- Non avevate nient’altro da fare - disse sempre la ragazza di Gianluca.

- No direi di no - riprese Antonio. Dopo una discussione i quattro proseguirono insieme e dopo un po’ Antonio staccò la sua ragazza dall’amica che si ritrovò sola con Gianluca: il resto potete immaginarlo. Così finì quella serata: ognuno tornò a casa sua pensando al giorno successivo.

Sempre quella sera il nostro amico a cui non piaceva troppo uscire in quella che lui definiva una melma, stava ricostruendo, come ho accennato, un libro trovato sfasciato in biblioteca. Non riusciva proprio a trovare il filo: ogni pagina sembrava non avere collegamenti con le altre, tanto erano assurde. Di quel libro aveva salvato solo quella scritta in latino, con la ‘l’ minuscola. Una frase non facile da capire nel suo insieme: si doveva infatti collegare la difficoltà della sua traduzione con il suo significato. Proprio mentre pensava a quella frase ebbe un terribile sospetto: si mise freneticamente a cercare tra i fogli sparsi sulla scrivania le due pagine centrali dello stesso fascicolo: si riconoscono perché sono le uniche ad essere l’una il seguito dell’altra. È lo stesso motivo per cui nei quaderni strappiamo la faccetta dal centro: se togliamo un foglio da un’altra parte, ad esempio l’ultimo, si staccherà anche il primo. In questo caso i fascicoli erano stati tagliati e il libro si era ridotto ad una pila di fogli, ma il nostro amico cercò laboriosamente di ricomporre un foglio centrale di un fascicolo e dopo un po’ ci riuscì: i tagli non sono mai così perfetti. Il dubbio che aveva era fondato: la pagina di destra non era il continuo di quella di sinistra, cioè quel libro era stato mal fascicolato. Un libro che doveva essere riordinato prima di poter essere letto, un po’ come la frase che senza dubbio era una sua naturale introduzione. Perché? Che senso aveva tutto questo? Per adesso non lo sapeva, ma era convinto che col tempo l’avrebbe capito.

La mattina successiva Stefania arrivò in ritardo a scuola e dalla sua faccia si capiva che non stava bene: non era ben pettinata come al solito e aveva due grosse occhiaie tanto che il nostro amico, curioso, le chiese, senza parlare, ma scrivendo sul banco: l’insegnante di chimica mal tollerava il brusio.

- Sei un cencio stamani, colpa del freddo? - in effetti poteva avere l’aspetto da malata di raffreddore.

- No, sto bene: non ha funzionato la sveglia. - Una spiegazione che il nostro amico non trovò troppo credibile, ma lasciò perdere: lui era solo il compagno di banco e lei non era tenuta a dirle tutto. Comunque, se stava bene, era evidente che aveva passato una nottataccia. Questo lo fece riflettere per un attimo: anche le ragazze belle, brave e simpatiche avevano dei problemi, come tutti, anche loro sono esseri umani eppure spesso si tende a dimenticarlo e si pretende che siano sempre belle, brave e simpatiche. Al cambio dell’ora si bagnò con dell’acqua fredda la faccia e poi sembrò stare un po’ meglio.

Stefania verso la fine della mattina  chiese al nostro amico piuttosto preoccupata:

- Hai visto per caso la mia penna stilografica? - questi guardò in terra e controllò se per sbaglio non l’aveva presa lui. Nel frattempo la campanella segnava la fine della lezione e la classe usciva piuttosto velocemente. Marco salutò Stefania dicendole:

- Ciao! Allora ci si vede stasera: passo a prenderti io verso le sette...ma hai perso qualcosa? - le domandò vedendo che guardava in terra.

- Sì, una penna. Ah, ma eccola! Ciao, a stasera. - rispose.

In classe c’erano rimasti solo lei e il nostro amico, il quale con calma si mise il giubbotto dicendo:

- Tu che sei una ragazza normale forse potresti togliermi questo dubbio. -

- Perché tu cos’hai di anormale? -

- Il fatto, per esempio, che mi pongo questa domanda: perché appena suona la campanella tutti scappano, nemmeno avesse preso fuoco l’edificio? -

- Alcuni se non si sbrigano perdono l’autobus, poi uno ha fretta di tornare a casa: perché dovrebbe trattenersi qui? -

- Non dico mica di trattenersi, dico di uscire tranquillamente, senza fretta, evitando quella valanga che si crea all’uscita. Quando al cinema finisce un film nessuno si comporta così. E questa non è nemmeno una prigione, non è un luogo da cui scappare, anche perché non c’è nessun motivo. -

- La scuola è qualcosa che viene concepito come un obbligo, qualcosa che si deve fare, ma si preferirebbe non fare. Anche gli impiegati scappano dall’ufficio quando il lavoro è finito. Forse per te la scuola è un luna park, quindi è ragionevole che tu non abbia fretta di andartene, ma non per gli altri. - discutendo erano arrivati allo scooter di Stefania.

- Allora ci rivediamo alla festa stasera. - le disse, salutandola. La festa in questione, ormai un appuntamento fisso per i giovani, veniva organizzata in un edificio poco fuori città dal nostro amico e da altri. Era chiamata “la festa della pace” e serviva a raccogliere soldi  per varie organizzazioni umanitarie, ma questo non interessava ai partecipanti: loro si limitavano a pagare il biglietto, meno costoso di quello di una discoteca, ed a divertirsi sfruttando ciò che la festa offriva, cioè soprattutto musica da ballare. Naturalmente Stefania questo non lo immaginava affatto: il nostro amico non sembrava proprio il tipo che organizzava feste.

- Perché vieni anche te? - chiese un po’ stupita, poi aggiunse - Non è che mi stai seguendo... - a questo punto il nostro amico, conscio dell’ignoranza dell’amica, disse ridendo:

- Fossi in te non andrei in giro a dire che io vengo a questa festa per stare con te: potrebbero pensare che hai seri problemi psichici. Beh, il mio autobus arriva, devo andare, ci si vede stasera e informati meglio su questa festa: potresti scoprire qualcosa di sconvolgente. - disse salendo nell’autobus.

Quel pomeriggio il nostro amico non avrebbe potuto dedicarsi al suo passatempo, cioè studiare il libro sfasciato: infatti subito dopo pranzo si ritrovava con i circa trenta ragazzi che assieme a lui preparavano la festa: ci avrebbero messo tutto il pomeriggio e come al solito non avrebbero fatto in tempo per le dieci, quando doveva cominciare.

Quella sera, verso le sei, Stefania cominciava a prepararsi per uscire. Dopo la doccia, doveva decidere come vestirsi e questo non era un problema da poco: tutto sommato quella era la prima volta che partecipava ad una festa in quella città e non voleva fare una brutta impressione, quindi doveva vestirsi come al solito in modo elegante, ma non troppo, del resto usciva con Marco e non voleva certo deluderlo, ma neppure fargli venire idee strane: in fondo ancora non aveva deciso nulla e non voleva farsi travolgere dagli eventi, voleva piuttosto decidere razionalmente per quanto possibile. Quindi le serviva un vestito un po’ sexy, ma non troppo. Alla fine optò per un vestito bianco, un po’ scollato, con delle scarpe nere e il giubbotto nero di ieri. Naturalmente perse un po’ di tempo per truccarsi, pettinarsi finendo per far aspettare Marco, che era già arrivato da qualche minuto insieme alle ragazze ed ad Antonio. In auto le ragazze erano insieme di dietro e davanti c’erano i due ragazzi. Durante il viaggio Stefania scoprì, con stupore, che quella festa era organizzata dal nostro amico.

- La prima, mi pare, ci sia stata un paio di anni fa: praticamente costrinse tutti ad andarci e tutti pensavano di andarsene dopo poco, ma quello è tutt’altro che stupido: aveva trovato dei DJ molto bravi ed anche economici, non li paga nulla. Sono in genere dei ragazzi appassionati di musica, con quelle caratteristiche di simpatia e di capacità d’intrattenimento classiche del DJ. Poi, visto che il ricavato va in beneficenza e penso anche per la sua insistenza, riuscì ad avere l’appoggio dei negozi di materiale elettronico di mezza città, quindi anche le luci, l’impianto stereo è tutto quasi gratis. Per di più ci sono varie sale, con musiche differenti, c’è quella dove i complessi di noi ragazzi si esibiscono, vengono organizzati una serie di giochi, un capolavoro. Iniziarono in venti più o meno, adesso saranno almeno cento, tra quelli che preparano prima, smontano e ripuliscono dopo e lavorano durante la festa. - raccontava Marco. La festa comunque cominciava alle dieci, così i ragazzi si diressero prima in una pizzeria, per cenare.

Mangiarono piuttosto bene: quella era una buona pizzeria tanto che Marco e Antonio presero una seconda pizza. Dopo che ognuno ebbe pagato il proprio conto, ripresero l’auto e si diressero verso la festa, dove arrivarono circa venti minuti dopo.

Entrando nel capannone si restava piuttosto impressionati dal volume della musica e dall’organizzazione: non c’era certo pericolo di perdersi, grazie ad una serie di frecce.. I nostri amici dopo aver posato i cappotti si gettarono nella mischia. Stefania era curiosa di vedere dov’era il nostro amico: proprio non ce lo vedeva lì, in mezzo a tale musica ed a quelle luci accecanti a ballare. Dopo un po’, poiché non lo aveva trovato in nessuna sala, avvicinò un disc-jockey, il quale ci mise un po’ per sentirla, alla fine le disse:

- Uhm... non saprei: potrebbe essere in giro a controllare che tutto vada bene, oppure... - guardò l’orologio, non era nemmeno mezzanotte e aggiunse - oppure è di sopra: chiedi a Giovanni od a Luca, loro dovrebbero saperlo. -

Ringraziò, salì di sopra e chiese ad un ragazzo che sembrava dell’organizzazione: stava infatti servendo da bere, un barista improvvisato. Infatti lui era Giovanni e le indicò una porta dietro il suo bancone.

- Dietro la porta, c’è un corridoio, piuttosto buio: alla fine trovi un’altra porta, dovrebbe essere lì. - Seguì le indicazioni e arrivò all’altra porta, dietro si sentiva il nostro amico parlare:

- ... Vedo con piacere che anche quest’anno la Festa della Pace ha avuto un incredibile successo e questo è soprattutto merito vostro. Comunque lasciatemi ringraziare e qui dico l’elenco di tutti quegli scemi, poi se non li nomino mi fanno causa - intanto Stefania ascoltava quasi ridendo. Gli “scemi” erano gli sponsor - Adesso lasciatemi ricordare che l’anno scorso il ricavo ha contribuito alla costruzione di un ospedale distrutto dalle bombe a Mostar! La nostra è stata una goccia che insieme a tante altre ha formato un mare. Chi volesse ulteriormente contribuire può fare un versamento sul conto corrente HPQ213564/52, come trovate scritto nei vostri biglietti e nei volantini sparsi un po’ dovunque. E non abbiate paura di dare poco, per chi non ha nulla sarà già molto. Dunque lasciate che vi ringrazi di cuore a nome dell’organizzazione, ma soprattutto di coloro che aiutate per il vostro contributo alla pace che anche quest’anno sarà record e che vi ricordi che la festa è appena cominciata e anche quest’anno alle due circa ci sarà la solita sorpresa: quindi non abbiate fretta di scappare e divertitevi! - Appena finì Stefania aprì la porta e gli fece un applauso. Vedendola il nostro amico aggiunse leggermente arrossato - Non dovresti essere di sotto a divertirti? -

- Sì, ma volevo salutarti. Mi hanno raccontato tutto, ma del discorso non lo sapevo. -

- Beh, è la parte più noiosa di tutta la festa: chi vuoi che se la ricordi. Io non l’avevo neppure programmato, ma gli sponsor esigevano di essere nominati durante la festa e così aggiungo qualche parola. Adesso è quasi mezzanotte, sarà meglio che torni di sotto, io passerò di qua - disse indicando un’altra porta. - finirò esattamente dietro il palcoscenico dove si esibiscono i “complessi del futuro”, come dice lo slogan. A mezzanotte verrete tutti invitati ad entrare in quella sala e poi farò il mio discorsetto. Poi quest’anno mi hanno quasi costretto a mettere in scena... va beh’ lo vedrai tu stessa -

Così Stefania lo salutò e tornò di sotto e arrivò appena in tempo. Sul piccolo palcoscenico, con sopra uno striscione con scritto “I Complessi del Futuro”, era vuoto. La musica era stata tolta con una dissolvenza piuttosto lenta. Ad un certo punto c’era solo il brusio delle persone che parlavano. Un silenzio quasi irreale, quando improvvisamente si sentì ad un volume che parve più alto del solito l’attacco in fortissimo della quinta sinfonia di Beethoven. Appena finirono i tre accordi dell’attacco, cominciò ad uscire del fumo, le luci psichedeliche iniziarono a lampeggiare, quasi impazzite, e dopo un po’ si sentì il nostro amico dire, con una voce falsata, molto più grave e cupa “La guerra l’odio uccidono il mondo”. Dopo qualche altro secondo  rallentarono le luci, gli aeratori vennero attivati per togliere il fumo e la musica cambiò lentamente dalla quinta di Beethoven alla primavera di Vivaldi. Ed appena le luci diventarono fisse e la musica cambiò completamente il nostro amico gridò con la sua voce “Ma grazie a noi la pace vincerà!”, quindi dal soffitto cadde una pioggia di cartoncini quadrati bianchi. Partì un applauso piuttosto lungo e dopo aver riportato il silenzio pronunciò il suo discorso. Un altro applauso, quindi si dissolse la “primavera” per lasciar posto alla solita musica.

- Non fosse così montato sarebbe un ragazzo simpatico - disse Giulia a Stefania, la quale era rimasta, come si dice di stucco. Infatti chiese:

- Ma è tutti gli anni così? -

- Oh, no. Due anni fa si limitò a ringraziare gli sponsor, senza togliere la musica: non l’avrà sentito nessuno; dall’anno scorso invece ci raduna in questa sala e tiene un discorso; ma finora la pagliacciata dei cartoncini mancava! Accidenti mi ha riempito il vestito! - rispose mentre si scrollava di dosso quei foglietti bianchi.

Quindi le due ritornarono nella festa, girando qua e là. Si stupirono di non riuscire più a trovare gli altri, ma non se ne preoccuparono troppo: la festa era grande, ma non abbastanza. Circa a l’una Stefania restò sola: Giulia infatti aveva trovato a quella festa un suo caro amico e certo voleva restare sola con lui. Così la ragazza andò a cercare Francesca che trovò qualche minuto dopo a girovagare sola piuttosto affranta. La ragazza infatti aveva avuto un’accesa discussione con Marco il quale le aveva solo espresso il proprio pensiero nei suoi riguardi, ma questo lo sopportava: quello che proprio non tollerava era il resto, cioè che stesse baciucchiando un’altra ragazza, tale Simona. Questa era stata una ex di Marco, si erano lasciati di comune accordo, in quanto ognuno aveva trovato di meglio, ma quella sera erano rimasti quasi soli tutti e due, così avevano deciso questo revival.

- Si è messo con quella puttana - disse Francesca. In questo caso, preciso, tale termine è usata al posto di “quella ragazza che ha osato mettersi con il ragazzo che stava con me”. Poi proseguì raccontando certe voci: - Tu non lo sai, ma qualche anno fa c’era la fila per farsi fare un bocchino da lei! E quel porco avrà pensato di approfittarne. - concluse. Anche qui porco significa solamente “quel ragazzo che mi piace tantissimo ma che ha osato andare con quella ragazza”.  Quindi aggiunse - Mi fa schifo, io quello lo odio, lo detesto - e cominciò a piangere. Stefania quindi l’abbracciò cercando di consolarla. Non si sentiva troppo bene: tutto sommato questa Simona aveva soltanto fatto ciò che lei pensava, ma non osava fare, un po’ come i dannati di Dante era stata punita da un contrappasso. Intanto arrivò un’altra amica di Francesca: la stava cercando per salutarla, infatti doveva andare via e considerata la situazione anche Francesca decise di tornare a casa anzitempo.

Stefania si ritrovava improvvisamente sola in mezzo a tante persone che non conosceva: si sentiva sola, quasi fosse in una strada buia e deserta. La musica forte e le luci abbaglianti quasi impedivano ogni comunicazione con gli altri: non riusciva proprio a rientrare nello spirito della festa, forse per Marco, forse per qualcos’altro che neppure lei sapeva. Uscì un attimo, fuori soffiava un freddo gelido vento, che scuoteva gli alberi e sollevava le carte gettate in terra. Vicino sulla superstrada non passavano che poche macchine, sembravano fulmini. Dall’altra parte della strada c’era qualcuno, si avvicinò per capire meglio chi fosse e riconobbe il nostro amico. Attraversò la strada e lo raggiunse. Quel luogo era in collina e da lì si riusciva a vedere la città: adesso era un insieme confuso di puntini luminosi. Il nostro amico aveva visto Stefania con la coda dell’occhio, così senza nemmeno voltarsi disse:

- Guarda laggiù, il nostro mondo: il caos. Certe persone trovano affascinante guardare dall’alto una città nella notte. Invece a me fa star male guardare in basso dove dovrò tornare a vivere e guardare lassù, verso il cielo. Anche lui è pieno di punti luminosi, ma lì vedi l’ordine, la perfezione della natura: un terribile confronto con lo schifo il mondo degli uomini. Ma... Ogni tanto mi perdo in questi pensieri, tu piuttosto che ci fai qui? Non ti piace la festa? -

- No, è bella: davvero fatta bene, mi hai stupito, veramente. Ma tu non partecipi affatto? -

- Sarò sincero: queste feste mi fanno schifo. La organizzo volentieri, anzi mi impegno molto per convincere tutti i commercianti, in fondo è per una buona causa. Beh, bisogna dire che io ho comunque molto da fare, per la buona riuscita della festa, non avrei molto tempo... - guardò l’orologio, erano circa l’una e mezzo - Anzi dovrò andare ad aiutare i miei amici a preparare la sorpresa, mi dispiace lasciarti sola. Anche perché, come dire, non mi sembri del tuo solito ottimo e brillante umore. Beh, potresti aiutarci a preparare i fuochi d’artificio: non sai quanto c’è voluto per convincere i vari negozianti a fornirmeli gratis. -

Stefania lo seguì: era davvero un tipo strano, pensava. La serata si concluse con il magnifico spettacolo di fuochi d’artificio.

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