Lo scrittore de “L’Equilibrio”
Breve introduzione
In un momento della mia vita mi sveglio all’improvviso: sono perso in un deserto, intorno a me non c’era nulla. Sembra esserci soltanto il sole, lassù poco sopra l’orizzonte, splendente in questo cielo limpido... d’improvviso sento un grande frastuono... ah, e' solo la sveglia che mi porta via dai miei sogni. Mi alzo dal letto e penso: ho visto un’alba o un tramonto?
La pioggia, un fenomeno meteorologico capace di tutto...
Era una fredda giornata di Novembre, cadeva una pioggia molto sottile, senza vento: molti uomini neppure l’avvertivano e si meravigliavano di bagnarsi con delle gocce d’acqua invisibili, ad un passo dall’inesistenza così taluni aprivano l’ombrello mentre altri lo chiudevano non sentendo quel consueto scroscio. Comunque ben presto questi dilemmi scomparvero quando e cominciarono a far piovere rumorosamente e copiosamente, così che non c’erano molte differenze tra chi aveva l’ombrello e chi non l’aveva: si bagnavano entrambi. Naturalmente c’erano quelli che sfuggivano a questo triste destino: gli automobilisti. Anzi proprio loro erano causa di altra pioggia, quando incauti tagliavano le pozzanghere ad alta velocità, così che il passante, già abbastanza impegnato a salvare qualcosa del vestito appena lavato e stirato, veniva investito da una massa d’acqua di cui sul momento non comprendeva la provenienza per poi urlare le solite imprecazioni contro l'automobilista ormai lontano.
Proprio in una di queste auto si trovava la nostra amica, Stefania, la cui vita sarebbe stata ben presto sconvolta. Per adesso si stava recando alla nuova scuola con suo padre, un importante dirigente di una grande industria da poco trasferito dalla vicina cittadina. Non era per niente felice, infatti per quanto fosse abbastanza abituata a questi trasferimenti, non li trovava per nulla piacevoli:
- Ma cosa me ne frega che ti aumentino lo stipendio del 30%! Siamo già abbastanza ricchi! Ti starai sempre più avvicinando al top management, ma io non ne posso più di cambiare città ogni due anni! Poi io odio quel posto! Non sono una pedina che può essere spostata a piacere: potevate chiedermelo prima di decidere, ma per voi io non conto nulla, non ho mai contato nulla, tranne che nella denuncia dei redditi - Così qualche mese prima discuteva, o meglio si sfogava, in quanto tutto era stato deciso, con i genitori. Sua madre era, almeno per lo Stato, una casalinga: avrebbe dovuto cioè badare alla casa e ai figli, ma aveva preferito assumere una colf e una baby-sitter, finquando ce n’era stato bisogno. Non aveva per così dire un buon rapporto con il marito, al quale preferiva altri uomini; lui del resto non la pensava diversamente tanto che delle sue segretarie personali aveva sempre stimato soprattutto la lunghezza della minigonna. Talvolta litigavano su chi aveva cominciato a rovinare la loro unione, ma senza frutto peraltro; altre volte discutevano se era il caso di divorziare, ma non riuscivano mai a risolvere la questione degli assegni che il nostro caro papà avrebbe dovuto pagare e non si mettevano d’accordo neppure su chi dovesse tenersi Stefania, particolare non secondario in quanto influenzava non di poco le cifre. Per adesso erano in un periodo di tregua.
Quella mattina Stefania si recava per l’appunto alla nuova scuola e per l’occasione suo padre aveva deciso di perdere qualche minuto.
- Si è messo a piovere per bene... Io, sai, odio guidare con questo tempo. -
- Già. E pensare che stamani il cielo era quasi sereno. Da queste parti non ci mette molto a cambiare. Ora dovrai nuovamente lavare l’auto: non vorrai andare al tuo C.d.A. con la macchina sporca. - Questo era il tipico dialogo, forte e sincero, tra Stefania e suo padre: un chiaro segno della bontà del loro rapporto.
- Assurdo! Assurdo che piova ogni volta che faccio lavare l’auto! Poi c’è questo traffico, terribile! Comunque dovremmo essere quasi arrivati, o no? -
- Sì dev’essere quello - disse dopo aver guardato sulla cartina dove la scuola, l’abitazione ed altri luoghi importanti erano stati cerchiati: per quanto conoscesse bene la città in cui aveva vissuto per dieci anni in questi ultimi anni era riuscita quasi a dimenticarla e così aveva pensato bene di portare con sé una cartina con segnati alcuni riferimenti importanti. Quindi indicò un grosso edificio bianco, rettangolare, disposto su tre piani, circondato da un giardino dove erano stati piantati da poco alcuni alberi: dall’insieme si capiva che era un edificio di costruzione recente. Difatti lei non si rammentava di quella scuola, costruita solo l’anno prima, in sostituzione della vecchia, ormai fatiscente.
Non starò qui a spiegare la trafila burocratica che permise alla nostra amica di iscriversi alla IV D in circa un’ora di fogli, timbri, firme, segnalando piuttosto che quel giorno nella sesta aula della terza scala del secondo piano, anziché la IV D, non c’era nessuno: infatti il giorno prima uno studente era stato sospeso quattro giorni per motivi che il comitato studentesco aveva ritenuto futili e quindi aveva indetto il solito sciopero. Non tutta la scuola, come accade in questi casi, aveva aderito, ma la nostra classe si era dimostrata estremamente solidale e compatta soprattutto ad evitare il compito di Latino, per il quale non erano in molti ad essere preparati, come sempre. In segreteria non sapevano nulla di preciso e dunque non dissero nulla a Stefania la quale andò verso la sua aula con quel timore solito a chi deve entrare in un nuovo ambiente. Non trovò certo strano che in giro non ci fosse quasi nessuno: era una scuola non un centro ricreativo e supponeva che ci fosse lezione ed in effetti in qualche aula lezione c’era. Dopo aver sbagliato alcune volte piano o scala, alla fine trovò l’aula sulla cui porta appariva trionfale la targhetta di plastica blu con scritto IV D. Stava per bussare alla porta, quando qualcuno dall’interno la aprì e fece per uscire. Era un signore in giacca e cravatta, non troppo elegante, adatto, per così dire, alla circostanza: aveva i capelli neri un po’ riccioli, portava gli occhiali legati con una catenina, teneva una borsa di cuoio e un registro sotto il braccio sinistro e non aveva ancora tolto la mano destra dalla maniglia della porta quando disse alla nostra amica:
- Se cerchi qualcuno hai proprio sbagliato giorno: oggi i miei ragazzi hanno tutti fatto festa e con loro anche buona parte dei miei colleghi. Già perché oggi c’è il compito in classe e come il mese scorso hanno deciso di non farlo. Peggio per loro. Adesso sono costretto a comportarmi da professore severo, dovrò fare un compito a sorpresa. Scusa, ma secondo te che altro dovrebbe fare un poveraccio per avere un po’ di voti? Sai che faccio, doman l’altro faccio un compito a sorpresa.- disse il professor Luigi Parotto, insegnante di Italiano e Latino in questa scuola, convinto di parlare nel vuoto.
- Beh ecco professore io sarei stata trasferita qui... - disse, ma il professore la interruppe subito.
- Ma che dici? Io devo andare in banca, quei ladri mi stanno spennando, e poi e poi chi ci va a prendere l’appuntamento per le analisi del sangue del mio genero? Oggi avevo programmato tutto, mi credevi così fesso da non sapere che i miei ragazzi non avrebbero scioperato? Con un compito in classe difficile è quasi automatico ed è anche l’unico modo per avere un minuto libero! Adesso se tu esisti io devo rinunciare a tutto questo e devo fare lezione a te, devono ricercare gli altri insegnanti, et ceteras et ceteras. Quindi adesso cessi di esistere, scompari, non mi hai mai visto e io non ti ho mai visto. - disse piuttosto concitato, mentre si allontanava in fretta da una simile pestilenza. Da lontano soggiunse - Fai sapere che doman l’altro c’è il compito a sorpresa, dì che mi hai sentito parlarne con un collega... - e sparì. Certo un professore piuttosto eccentrico: in giro si diceva che era stato assunto per qualche handicap, del resto lui del latino sapeva che doveva entrarci qualcosa la Roma antica, il colosseo, ma niente di preciso. Ogni anno, naturalmente, veniva denunciata questa situazione scandalosa, qualche volta perfino venivano gli ispettori a controllare, ma poiché le assenze sul registro erano sempre state segnate correttamente, il programma era stato svolto per intero, almeno così lui aveva scritto, non potevano fare nulla.
Stefania restò piuttosto sconcertata da quest’incontro e si stava chiedendo dov’era finita: nell’altra scuola aveva insegnanti molto bravi e lei peraltro amava studiare, ma stavolta forse aveva sbagliato posto. Non che fosse una fanatica, non studiava certo fino alla due di notte, certamente non studiava il Sabato sera o la Domenica. Le piaceva anche divertirsi, certo, in fondo questo è comune a tutte le persone, anche novantenni, quindi in particolare lei che di anni ne aveva solo diciassette, quasi diciotto. Era una ragazza di bell’aspetto, con capelli biondi leggermente mossi, era leggermente astigmatica perciò portava gli occhiali. Dopo aver perso tempo per trovare l’aula, adesso non riusciva più a trovare l’uscita giusta, quella vicina alla fermata del suo autobus. Poiché non aveva intenzione di trascorrere lì tutta la sua vita, cercò qualcuno che potesse indicarle la strada.
La scuola sembrava davvero deserta: solo in qualche aula c’era lezione, ma non poteva e nemmeno voleva disturbare per un motivo simile, quando vide dietro una porta di vetro quella che sembrava essere una biblioteca. Forse lì c’era chi le avrebbe dato l’indicazione di cui aveva bisogno. Certo non immaginava verso cosa andava incontro quando aprì la porta.
Era costituita da un grande ambiente ben illuminato, con molte librerie alte fino quasi al soffitto; c’erano anche dei tavoli ed una lavagna mobile; ciò che comunque non mancava era la polvere sugli scaffali erano pieni. Tutto sommato una bella biblioteca, probabilmente anche utile, se qualcuno l’avesse usata. Sulla destra si sentiva un mormorio, come se qualcuno stesse pensando a voce alta: in effetti era proprio così, il nostro amico stava aspettando che spiovesse per tornare a casa, avendo dimenticato l’ombrello. Era davvero un personaggio curioso, il migliore della classe, forse anche della scuola, appassionato di tutto ciò che era conoscenza, senza distinzioni tra umanistico e scientifico: lui sosteneva che il sapere era uno ed indivisibile. In quel momento stava cercando di tradurre una frase scritta in uno strano latino, non semplice per uno studente, quando Stefania disse:
- Ciao! Sono nuova di qui e non è che potresti indicarmi quale uscita... - si fermò, perché lo sguardo con cui il nostro amico la stava fissando la bloccò: gli occhi che apparivano dietro gli occhiali sembravano dire “Come osi tu comune mortale disturbare il mio ragionamento?”. Comunque ciò che il nostro amico disse, molto pacificamente, fu:
- Finisci, finisci il discorso: ormai hai rovinato il mio lavoro, quindi se mi chiedi quello che volevi e se io so risponderti almeno posso dire di non aver sprecato questo tempo che a qualcuno sarà servito, non ti pare? -
- Oh, beh, volevo sapere qual era l’uscita per la fermata dell’autobus, sono nuova di qui...- La interruppe
- Certo che sei nuova. Se tu fossi, per così dire, vecchia, sapresti bene qual è l’uscita per il tuo autobus. Adesso non che io non voglia risponderti, ma temo che se non sai quale autobus, non arriveremo a nulla. - disse ed in effetti c’erano fermate a due delle sei uscite, per almeno cinque autobus differenti, senza tenere conto della direzione.
- Non è un problema, sono in città da poco, ma mi sono segnata qual è l’autobus che mi porta esattamente a casa, avevo messo un foglietto in cartella. - e si mette a frugare togliendo libri, quaderni e altro - eppure mi pareva di averlo messo nell’astuccio - guardò nell’astuccio, ma non c’era nessun biglietto.
- Qui vicino c’è un’industria viticola, sai quelle del vino, se pensi che ti possa servire la pressa per spremere la cartella e far uscire quel foglietto in un salto ci andiamo. - disse il nostro amico, non troppo di buon umore. Intanto Stefania si stava facendo un’idea non troppo positiva sul suo conto, come chiunque del resto. Alla fine trovò il famoso foglio: era finito ben stretto dentro un quaderno.
- Ecco, devo prendere il 22, quello che va verso il centro. - disse quasi felice mostrando il foglietto al nostro amico che disse molto ironicamente:
- Quello che è appena passato, vorrai dire. Il prossimo c’è fra circa mezz’ora: hai un ombrello? - le chiese, ma non l’aveva - Beh, la fermata non è riparata, dovrai aspettare qui nella scuola. Tu sei nuova, ma non sei di prima? -
- No, no. Sono di quarta - la faccia del nostro amico si scurì - mi hanno messo nella sezione D. Ma che ti succede? - gli domandò, vedendolo quasi cianotico. In effetti in classe quell’anno c’era un numero dispari di alunni, ma i banchi erano per due persone, e poiché il nostro amico aveva litigato con tutti gli altri, era quello solo. Adesso il numero tornava pari e come compagna di banco avrebbe avuto Stefania, cosa che avrebbe reso felice molti ragazzi, ma non lui per due motivi: il primo perché era convinto che con una ragazza accanto non gli sarebbe più stato possibile studiare; il secondo perché riteneva che tutte, proprio tutte senza eccezione, le ragazze tra i tredici e i ventitré anni pensassero solo, in modo esclusivo, al sesso. Non che lui fosse contrario al sesso in principio, ma non rientrava tra quelle che lui riteneva le cose più importanti nella vita. Per di più quella ragazza aveva il difetto di piacergli , perché molto probabilmente lui non sarebbe mai piaciuto a lei. Costretto dagli eventi si presentò e le spiegò la situazione dei dispari che erano diventati pari, senza esporre il suo pensiero, anzi mostrandosi felice per avere finalmente un compagno di banco ed in questo certamente c’era un fondo di verità per quanto avesse difficoltà ad ammetterlo. Quindi le spiegò cosa stava facendo, senza sperare di interessarla, ma evidentemente non la conosceva:
- Stavo facendo qualcosa che a te sicuramente non importerà. Tempo fa tra i libri di questa biblioteca ne trovai uno sfatto, senza rilegatura. Tra le varie pagine rinvenni questa frase, in latino, lingua che tu sicuramente odierai, e da allora cerco di tradurla. -
- Oh, beh, non è certo molto interessante, preferisco altro al latino. Comunque vediamo questa frase, penso proprio di poterti aiutare, sono brava nel latino. Forse senza peccare troppo di modestia sono brava un po’ in tutto, tu come te la cavi? -
- Oh, bene, bene. - restò un po’ sconcertato. Infatti Stefania era proprio una di quelle persone che odiava: quelli che studiano per dovere, senza mettere nemmeno un po’ di cuore in quello che fanno. Viceversa secondo lui nella vita tutto doveva essere fatto per passione. Le ragazze così le odiava particolarmente perché non poteva considerarle galline, in quanto erano intelligenti, ma d’altra parte le considerava galline per come si comportavano. Fece leggere la frase su cui si stava scervellando da un giorno, sembrava scritta solo apparentemente in latino, nel senso che non rispettava i normali canoni del latino, ma ne seguiva altri, suoi propri, non facili da capire. La frase era “Nulla aut non habendi nulla vel nulla nequitur, sed non si nobis tum nulli vel nemini aut melius nemini non vivendum, vivamus.” Stefania, molto sicura di sé e del suo latino, non riusciva proprio a capire cosa volesse dire quella frase. Lui aveva anche elaborato una teoria sulla difficoltà di questa frase:
- Secondo me, Stefania, questa frase è stata fatta apposta intraducibile e non da una persona che usava il latino, come potevano essere i romani o i dotti del medioevo, ma da qualcuno di oggi, che il latin l’ha soltanto letto. Questo è un gioco di forma, cioè non è la frase in sé ad avere un gran valore, ma la difficoltà per tradurla. Un po’ come quando i bambini vanno a rubare le pesche dal vicino: sono uguali alle loro, ma è la difficoltà per rubarle che le rende più buone. Interessante, non trovi? Probabilmente questa per noi è una frase difficile, come ce ne sono tante e non c’è nessun mistero, è solo che non conosciamo abbastanza bene il Latino. -
- A proposito di Latino, ho incontrato il nostro professore, almeno credo. Mi è sembrato un tipo piuttosto stravagante. -
- Il Professor Parotto, un tipo stravagante? No, ma che dici. Fino a due mesi fa era in cura presso il Servizio igiene mentale. – ironizzò - Quello è proprio deficiente, nel senso pieno della parola. Per fortuna ho incontrato la professoressa Pollastrini, lei si che sa il latino. Comunque non voglio chiederle aiuto per tradurre questa frase, mi sembrerebbe di tradire lo spirito di chi l’ha scritta. -
- Ah! Io non mi sarei fatta troppi scrupoli, in fondo tutto quello che hai detto è molto bello, forse anche vero, ma se non saprai cosa significa questa frase non saprai mai quale sia la verità. Io non credo agli idealisti, anche se sarebbe molto bello: la vita è fatta di compromessi... Beh, per quel che mi hai detto l’autobus dovrebbe passare tra poco, sarà meglio che mi indichi l’uscita. - disse. A questo punto il nostro amico prese una decisione alquanto bizzarra: disse che anche lui doveva prendere quell’autobus. Tutto ciò aveva un fondo di verità: infatti anche lui prendeva il 22 per tornare a casa, ma nella direzione opposta.
Un problema non così secondario si presentò quando i due giunsero all’uscita della scuola: infatti la fermata, senza pensilina, era circa cento metri più avanti e il diluvio non era ancora finito: la pioggia continuava a cadere intensamente. Poiché non c’era nessuna soluzione, decisero di aspettare lì all’uscita finché non avessero visto arrivare l’autobus e quindi lanciarsi in una corsa per prenderlo.
- Non ti preoccupare - diceva Stefania - lo prenderemo. Sai che ho corso i cento metri in diciotto secondi e tre decimi? Non male no? Adesso penso di non essere più a quei livelli, non mi alleno ormai da diverso tempo, sai com’è, non si può fare tutto: da bambini si cominciano cento cose ed a diciassette anni ti ritrovi a non avere più neppure il tempo per studiare. Fino all’anno scorso ho studiato pianoforte, ma non mi piaceva molto, infatti adesso ho smesso: era ridicolo sfinirsi per qualcosa che non ti piace. Tu hai fatto qualche sport? -
- Oh, non particolarmente. Beh, da bambino le solite partite di calcio che si fanno, ma non mi ha mai appassionato troppo e non ero neppure troppo bravo, tranne che come portiere. Un brutto ruolo, mi ricordo che non lo volevo fare, anche se era l’unico che sapessi fare: se la squadra vince non hai fatto nulla, se perde è colpa tua. Ci vuole tempo per capire il ruolo del portiere: svolge il suo compito in silenzio, ma contribuisce alla squadra; è la spalla degli attaccanti, perché loro fanno le reti, ma lui li para. E saranno gli altri ad avere la gloria, ma per lui non ci sarà niente. Questo è l’uomo che incontri per la strada, magari un grande finanziere, magari un grande astrofisico oppure il semplice spazzino, ma sempre portieri. E da bambino nessuno vuole quel ruolo, eppure a meno di circostanze per lo più contingenti e imprevedibili, sarà quello il tuo ruolo...- mentre il nostro amico dissertava, Stefania vide arrivare quello che sembrava un autobus. Partirono in corsa sotto la pioggia: lei lo prese in tempo, ma dovette bloccare l’autista perché il nostro amico non era stato altrettanto svelto.
- Forse non vogliono fare il portiere per non perdere l’autobus da grandi e non doverlo aspettare sotto la pioggia - disse Stefania e lui le fece un sorriso ironico.
Dopo un po’ l’autobus giunse alla migliore fermata per la casa di Stefania; visto che erano appena le dieci il nostro amico decise che poteva accettare l’invito della nuova compagna, anche se sulla casualità di questi avvenimenti lei nutriva qualche dubbio, molto ragionevole. Da una prima occhiata comunque aveva già deciso che lui non sarebbe mai potuto essere il suo ragazzo, non era il suo tipo, sebbene non lo trovasse così antipatico come quando gli aveva rivolto la parola per la prima volta. Si chiedeva se aveva già raggiunto il massimo della simpatia nei suoi confronti o se questa doveva ancora crescere. Anche se corsero fino a casa abbastanza velocemente quando arrivarono i capelli erano alquanto bagnati.
La casa di Stefania era all’ultimo piano di un elegante palazzo del centro: in molti le avrebbero invidiato quell’appartamento.
I due si diressero nella camera, almeno in quella che il nostro amico credeva la camera, in realtà quello ero lo studio comunicante con la camera. Indubbiamente molte persone, come appartamento, si sarebbero contentate di queste due stanze. Le fece vedere la camera, abbastanza normale: televisore con videoregistratore, stereo; scaffali qua e là con qualche libro, qualche foto e con i soliti pupazzi che le donne amano tanto; due armadi in legno; un’altra porta per il bagno, piccolo a dire il vero, e naturalmente il letto da una piazza e mezzo, assolutamente perfetto con un piumone blu a pallini rosa, un cuscino rosa a pallini blu e sopra il letto un orsacchiotto. Non lo fece entrare, non voleva che gli venissero in mente strane idee, ma il nostro amico per le idee non aveva certo bisogno di entrare in una camera e per attuarle aveva bisogno anche di qualche birra. Lo studio grande circa quanto la camera: c’era una grande scrivania che poteva essere del presidente, con un computer, dietro questa un’immensa libreria, piena per due terzi. Sul pavimento c’era bellissimo tappeto, non di pregio, per quello che disse Stefania, anche se il nostro amico si stava chiedendo quanto poteva valere in questa casa qualcosa non di pregio. Il nostro amico era alquanto interessato alla libreria, dove sembrava non mancare nulla: come gli fu spiegato era divisa in settori, in modo da non confondere i vari generi, l’ordine era qualcosa di indispensabile per vivere secondo Stefania: il nostro amico invece non era certo un maniaco dell’ordine perfetto, diciamo che teneva in ordine con moderazione. Intanto mentre lui contemplava la biblioteca, estasiato dalla presenza di tanti bei libri e rammaricato dal sapere chi fosse il proprietario, la nostra cara ragazza, lei andò in bagno a prendere un phon: la cultura poteva aspettare secoli, per i capelli bagnati ogni minuto in più era perso. Comunque per non mancare ai suoi doveri di ospitalità, cercò in un altro bagno un altro phon per il nostro amico, il quale si era completamente scordato dei capelli bagnati. Questo li tenne occupati per alcuni minuti: infatti se lui si asciugò i capelli in pochi secondi, pettinandoli, per così dire, vagamente; lei sembrava dovesse asciugare e pettinare un capello per volta, come se ognuno avesse una sua precisa collocazione ed ogni altra fosse scorretta. Una tale precisione fece pensare al nostro amico che lei doveva alzarsi alle sei se voleva mettere tutti i capelli al posto giusto prima di uscire, cosa in effetti non lontana dalla realtà.
Stefania, mentre rimetteva a posto i capelli, pensava ad una soluzione per il famoso problema, anche se difficile da accettare da tutti. Così quando fini la espose al compagno:
- Sai, tempo fa mi regalarono questo cdrom: una raccolta pressoché completa di testi classici. Se la tua frase è stata scritta da qualcuno di allora avremo la traduzione nel tempo di un click. - disse riferendosi al pulsante del mouse, quel simpatico oggetto oggi indispensabile per usare il computer.
- Beh, allora lo chiedevo alla Pollastrini, facevo prima! Non voglio che sia tradotta, voglio essere io a tradurla. Tu devi essere una di quelle persone che quando trova gli indovinelli cerca subito la soluzione, senza pensarci neppure un attimo. - Questo era un argomento che non gli conveniva toccare: infatti lui ci pensava anche per qualche ora, spesso senza trovare la soluzione, così alla fine, anche lui, la leggeva la soluzione; lei invece aveva sempre pensato che nella vita si doveva fare ben altro che non perdere tempo su stupidi enigmi. Comunque visto che lei aveva già acceso il computer preferì scendere ad un compromesso:
- Va bene, cercala. Se la trovi, non ne chiedi la traduzione o comunque non farmela sapere. -
Cercarono un bel po’, ma non trovarono niente. Stefania, tra l’altro, approfittando dell’ignoranza altrui, cercò di usare una specie di traduttore elettronico, tuttavia non ottenne alcun risultato sensato. A questo punto si era incuriosita vagamente anche lei: quel traduttore aveva risolto difficili versioni molte volte, forse non era latino solo nell’apparenza?
Per il nostro amico intanto era arrivata l’ora di tornare a casa: anche perché lui abitava pressoché dall’altra parte della città e l’autobus ci avrebbe messo almeno un’ora. Il problema degli autobus era davvero che andavano aspettati presso la fermata e con la pioggia che cadeva questo era un problema serio, specialmente se si è sprovvisti di un ombrello. Certo Stefania in casa aveva molti ombrelli e ne prestò uno all’amico. Quindi si scambiarono indirizzi e numeri di telefono e si salutarono.
Il bus arrivò dopo un po’, abbastanza vuoto, tanto che il nostro amico riuscii a trovare un posto a sedere. Guardò fuori dal finestrino, ma non si vedeva quasi nulla: la pioggia batteva piuttosto violenta sui vetri e lasciava passare poche immagini sfuocate. Le solite auto quasi impazzite nel traffico, qualche persona senza ombrello che cercava un qualche riparo e quelle con l’ombrello che camminavano veloci sulla strada bagnata. Uscendo dal centro tutto si fece più tranquillo. Dopo un po’ passò davanti alla scuola, quello era l’ultimo autobus prima della fine delle lezioni, salirono infatti solo pochi studenti: tra un po’ anche lì sarebbe scoppiato il finimondo, come sempre quando piove. Infatti non pochi genitori vengono a prendere il figlio per paura che si bagni, bloccando così tutta la strada, l’autobus si riempie fino all’impossibile: clacson che suonano; genitori che urlano e gesticolano cercando di attirare l’attenzione del figlio che non li aspetta; ragazzi che corrono chi verso l’autobus, chi verso l’auto, chi verso casa, un vero caos che di lì a un quarto d’ora si sarebbe scatenato. Per ora l’autobus passa veloce la scuola lasciandosi dietro tutto. Alla fine giunse alla sua fermata, che poi era il capolinea. La casa del nostro amico era circa a quattrocento metri da lì, ma nei giorni di sole poteva prendere una scorciatoia attraversando i vari giardini. Oggi doveva seguire la strada se non voleva rovinare per sempre le scarpe nuove.
La sua casa era in un complesso di palazzi rettangolari bianchi, un tranquillo appartamento di quattro stanze, piuttosto grandi. Una zona piuttosto tranquilla, vicina al centro commerciale più importante della città oltreché all’autostrada, che era a circa mezzo chilometro da casa sua ed aveva sempre pensato che fosse troppo poco. Il suo appartamento, dove viveva felicemente con i genitori, il padre impiegato, la madre commessa del centro commerciale, era al terzo piano. La sua stanza era normalissima: una scrivania, una libreria, il televisore, qualche altro scaffale e una certa quantità di disordine, non troppo a dire il vero. Sua madre lavorava a turni e oggi aveva fatto in tempo a preparare il pranzo che altrimenti, pensate un po’, doveva preparare il nostro amico. Anzi quel giorno era arrivato anche suo padre e poiché il lavoro non aspetta nessuno si erano già messi a mangiare. Durante il pranzo il nostro amico raccontò, per sommi capi, quello che era successo la mattina e suo padre pronunciò la solita invettiva contro gli scioperi.
Finito il pranzo, andò in camera: voleva fare un po’ di esercizi di trigonometria, fra tre giorni c’era il compito di matematica, quello che lo preoccupava di più. Aveva risolto solo qualche esercizio quando qualcuno suonò alla porta: era Stefania. Questa infatti non conosceva praticamente nessuno in questa nuova città e oggi questa pioggia infernale le aveva impedito di rispettare i suoi impegni: pensava di fare quattro passi in centro, magari per comprarsi qualche vestito nuovo, ma non era certo la giornata adatta. Quindi, non sapendo proprio cosa fare, si mise a studiare quella frase e notò un particolare non secondario. Come il nostro amico stamani anche lei prese l’autobus, dimenticando la cartina della città, e senza troppe difficoltà trovò la sua casa. Certo, poveretta, si era ridotta davvero male se il suo unico svago era solamente studiare una frase in Latino. Comunque questo fatto gettò nel panico il nostro amico: cercò di riordinare alla buona la sua stanza e probabilmente l’umanità non ricorda un’attività tanto frenetica. Fortunatamente abitava al terzo piano e non funzionava l’ascensore.
- Ciao. - disse Stefania restando ferma sulla soglia della porta - Posso entrare? - domandò vedendo la faccia un po’ stranita del nostro amico.
- Sì, sì. E che non mi aspettavo di rivederti per oggi. Poi io devo dirti la verità: non amo troppo le improvvisate: ti colgono impreparato quando meno te lo aspetti. -
- Oddio, quello a me sembra un agguato mafioso. - disse entrando - Il fatto è che oggi avevo deciso di andare in giro per acquisti - e questo era vero - e visto che tu abiti qui - anche questo indubitabile - ho deciso di farti una visita. - una menzogna assolutamente vera. In effetti il nostro amico pensava, come chiunque del resto, che gli acquisti li dovesse fare nel centro commerciale che era “qui” e non in centro. Poi continuò - anche perché ho scoperto qualcosa di veramente interessante sulla tua frase. -
Gli spiegò che secondo lei l’autore della frase aveva giocato con i non, sfruttando che, in latino, due negazioni affermano. Comunque anche così non significa niente.
- Così potremmo dare un significato a “Nulla aut non habendi nulla vel nulla nequitur”. Sembrerebbe “Nulla o qualcosa dell’avere o tutto si può”, ma che vuol dire? - disse Stefania.
La questione, senza entrare troppo nel merito, era piuttosto drammatica: mancava un verbo all’infinito e c’era un problema con quel “nulla”. Dopo un po’, forzando un po’ le regole classiche, arrivarono alla seguente “Si può essere (quindi esistere quindi vivere) con niente, qualcosa o tutto ciò che si può avere”, (“dell’avere = ciò che si può avere”). Questa era una specie di premessa, c’era da tradurre il resto, ovvero “sed non si nobis tum nulli vel nemini aut melius nemini non vivendum, vivamus” che dopo un po’, seguendo la loro regola del “non” e altre regole riordinarono in “sed si nobis vivendum (est probabilmente sottinteso) tum vivamus non nulli vel nemini aut melius nemini non.”, di facile traduzione, “ma se dobbiamo vivere allora viviamo per qualcosa, per qualcuno o meglio per tutti”. Il nostro amico aveva avuto una felice intuizione: la bellezza di quella frase era nella difficoltà della sua traduzione. Per ciò avevano perso circa due ore. A Stefania venne una curiosità legittima:
- Come mai ti interessava tanto questa frase? Ora che l’abbiamo forse tradotta non ricordo più perché l’abbiamo fatto. -
- Per il libro sfasciato della biblioteca. Era in un foglio staccato dagli altri, sembra una specie di introduzione, chissà. Vuoi sapere come mai mi sono interessato a quel libro? - l’amica annuì quindi lui continuò - Bene. - disse e cominciò a cercare qualcosa tra i fogli nei cassetti della scrivania - qualche giorno fa andai in biblioteca per cercare un libro su qualcosa che ora non ricordo e trovai vicino a quello che cercavo, in un angolo piuttosto nascosto, questo volume piuttosto distrutto dal quale uscivano due fogli, uno con questa frase e l’altro era questo. - concluse porgendo a Stefania un foglio su cui era scritto un racconto:
Una vita sfortunata
Nacque nel Gennaio 1989 e
già dopo pochi minuti non era più padrona della sua vita. Venne infatti venduta
ad un importante signore, uno di quelli che lavorano nell'alta finanza. Le assicurazioni
del suo padrone attraversavano un momento assai difficile, erano in passivo. Anche
il suo padrone non era mai di buon umore, per lei ogni giorno erano botte.
Inoltre, come se non bastasse, la faceva lavorare 12 ore al giorno: il signor
X, il padrone delle assicurazioni e suo, pretendeva che questi suoi
collaboratori, lavorassero quanto lui, in fondo costava ben poco rimpiazzarli.
Infatti non c'era solo lei in quella situazione, ma in quell'ufficio saranno
state una ventina. Lavorare e basta, senza sindacati, assicurazioni,
pensione,...Per il suo padrone e quindi per lei era tutto un continuo di
firme. Ogni sera era sempre più affaticata.
Per sua fortuna, nel
Settembre di quell'anno in cui era nata, cambiò padrone. Un giorno nell'ufficio
del suo padrone venne un tizio, una strana persona: per più di tre ore chiese
al suo padrone se lo voleva appoggiare nella sua campagna perché aveva bisogno
di una casa. Strano di solito il suo padrone non parlava con quelli che cercano
lavoro, la meravigliò il fatto che ascoltasse questo tizio che voleva una casa:
il suo padrone le assicurava, non le costruiva. Poi gli chiese un aiuto di vari
milioni di dollari, il prezzo delle case era molto alto o forse era questo che
cercava qualcosa di speciale: infatti lui voleva una casa bianca, assolutamente
di quel colore (chissà perché). Il suo padrone non disse né sì né no. Questo
tizio uscendo, affascinato dalla sua bellezza, la prese e la portò con sé.
Da quando il suo nuovo padrone abitava in quella casa, quella bianca, lavorava molto, poi molto meno, ma questi erano tutti lavori importanti. Infatti solo con il suo grande aiuto, il suo padrone riuscì a firmare importanti trattati, a risollevare l'economia del paese. Poveraccia, dopo una vita di stenti, ora che viveva bene, si spuntò e, povera penna, finì in un cestino per la spazzatura.
- La vita del portiere - disse Stefania poi aggiunse - Ha smesso di piovere - guardando fuori dalla finestra. Intanto si era fatto buio.
- Ah, bene! Non se ne poteva più di questa pioggia, ma fossi in te non m’illuderei troppo. Questo cielo senza stelle dice che presto ricomincerà. Comunque non si può sempre pensare al futuro: dovevi andare a fare acquisti, no? Possiamo fare due passi. -
Questa proposta non aveva davvero altri fini, ma spaventò ugualmente Stefania, cui non andava l’idea di uscire con uno sconosciuto di notte in una città che non conosceva: anche lei aveva ragione. Del resto non poteva neppure dirgli di no, senza un motivo valido, così ricorse al solito trucco del cellulare il cui squillo solamente lei può sentire. Così accadde che sua madre, molto premurosa, si era preoccupata del fatto che lei non era a casa e la invitava a rientrare.
- Scusa, ma devo proprio andare. Sai come sono le mamme se non ti vedono ogni trenta secondi pensano che ti stia succedendo chissà cosa. - Il nostro amico ci credette, in quanto era verosimile, ma non vero.
Dopo aver accompagnato l’amica fino alla porta, controllò l’ora: ancora era piuttosto presto, così tornò al suo problema di matematica, ma non riuscì a concentrarsi troppo: era abbastanza sconvolto, per la frase, ma soprattutto per lei: sfortunatamente gli piaceva, anche se era ben conscio che non valeva il viceversa. Decise di non fare assolutamente niente, probabilmente, credeva lui, non avrebbero avuto molte altre occasioni per rivedersi, tranne che a scuola ovviamente. La scuola gli fece tornare in mente il compito di matematica: lei non lo sapeva, doveva avvertirla in qualche modo: aveva trovato una scusa per telefonarle, ma esitò per parecchio e alla fine rinunciò non volendo essere troppo invadente. A cena cercò di evitare l’argomento: sua madre avrebbe avuto una crisi di nervi se avesse saputo che era venuta una ragazza con una casa così mal ridotta e gli avrebbe fatto il solito, inutile, discorso dell’ordine, e alla domanda, fatta piuttosto stancamente, su cosa aveva fatto il pomeriggio, rispose che aveva studiato, il che non era falso: non gli avevano mica chiesto con chi aveva studiato e neppure cosa. Il nostro amico infatti pensava piuttosto spesso che se non fosse stato, così pensava, un mestiere squallido, avrebbe dovuto fare l’avvocato. Ma come spesso accade in queste situazioni il nostro amico fu smentito da un imprevisto: alle nove tutti avevano cenato, lui stava studiando, cercando di recuperare il tempo perso, sua madre stava lavando i piatti mentre suo padre stava seduto e quasi addormentato sul divano, guardava la TV.
In effetti nessuno poteva immaginare cosa era successo a Stefania in quelle tre ore. Appena uscita andò alla fermata dell’autobus che arrivò in pochi minuti, ma dopo un po’ questo dovette fermarsi: la strada era bloccata da un incidente e poiché non si prospettava una rapida soluzione, l’autista fece scendere i passeggeri. Stefania chiese all’autista come faceva a tornare a casa e così, per conforto, venne a sapere non solo che quello era l’ultimo autobus, ma anche che i tassisti erano in sciopero. Decise quindi di telefonare a casa per farsi venire a prendere, ma i suoi non erano ancora tornati: quella sera sarebbero tornati non prima delle nove ed erano solo le sette e mezzo. Si informò quindi su quanto era lontana casa sua, volendoci andare a piedi, ma le dissero che ci sarebbero volute almeno due ore, non valeva la pena, mentre la casa del nostro amico era sola a venti minuti. Così decise di tornare là e di farsi dare un passaggio dai suoi genitori. Ma le disgrazie non finiscono mai: infatti sbagliò strada più volte. Comunque verso le nove arrivò: il portone d’ingresso era aperto così salì le scale e giunse alla porta di casa, dove suonò il campanello. Il padre del nostro amico, quasi addormentato, andò ad aprire, vide Stefania e disse, quasi con gli occhi chiusi, senza farla parlare:
- No, grazie, non serve nulla. - e le chiuse la porta in faccia, senza troppo riguardo. Poi aggiunse, rivolto alla moglie - Adesso vengono a rompere anche alle nov... - si interruppe perché risuonò il campanello. Riaprì dicendo - Spero almeno abbia un buon motivo per farmi perdere tempo. - Intanto il nostro amico si era incuriosito e andò nell’ingresso per vedere chi avesse suonato, Stefania quando lo vide gli corse incontro, dicendo, quasi piangendo:
- Meno male che ci sei. Sono disperata ho sbagliato strada non so quante volte, adesso credevo perfino di avere sbagliato casa. - Suo padre si scusò e cercò con calma di tornare alla TV, sentiva che l’infarto si stava avvicinando: vedere una ragazza che corre verso suo figlio era un’esperienza a cui il suo cuore, peraltro sanissimo, non poteva reggere. Intanto la nostra amica raccontò la storia e si fece riaccompagnare a casa. Tralasciamo l’interrogatorio a cui entrambi vengono sottoposti dai rispettivi genitori: non era credibile che avessero fatto quello che avevano fatto e certo era assurdo che tutto fosse successo per la pioggia.