The D-form2 Project



16 May 2001, the last release is dated 7 July 2000. It's pretty a long time D-form is not being updated, for several reasons, not to mention my debugger won't run on the G4. In effect a 1.4.0a version existed but it was too buggy to release and without the debugger...
Now I recently installed MacOS X, which is something wonderful. A true revolution, the bigger since PowerPC adoption.
The new OS is so sweet and promising (although it have to be optimized a little more in my opinion), and the developer tools provided in bundle are so nice that the asleep programmer inside my body start to arise... :)
So I started what I call "The D-form2 Project". Such an important sounding name just to mean "a goofy attempt to create a Carbon version of the old buggy D-form".
You should agree with me that the former name is more concise... ;)

What this should mean?
Well, first of, that the 68k version of D-form is arrived at the end of his story. Until it was easy to provide a 68k version, just because the compiler allowed this, I had continued providing it.
But now, Carbon applications won't run on 68k.
And, come on, who uses 68k Macs today... OK, there are some up and running around but certainly not for rendering purpose, and D-form, after all, is a 3D graphics app.
The second thing is that I will take this occasion to do a complete rewriting of the app, because the original source code is pure crap right now (at least some part of it). It will not be an easy task. And it will take lot's of time.
Will D-form run under MacOS 8 and 9. Well... I hope to. But I can't ensure this. I have started studying MacOS X and Carbon just few days ago and, even some Carbon apps runs fine under 8 and 9 (as long as CarbonLib is provided), some other won't. I just don't know why this happens (I guess that the latter apps will use some X specific calls), and I will try to avoid this in D-form2, but I cannot guarantee.
It's not even sure that I will be able at all to produce a working Carbon version of D-form. But I want to try.
I will update this page with news on the ongoing porting, and I'm asking you all for help since now. I will need moral support, and people who will offer themselves as beta tester would be greatly appreciated.
What I ask is people who has a Macintosh with MacOS X installed, and that are aware of what is a HD backup. I won't be considered responsible if bugs eventually mess up your systems...

For those interested in beta testing my address is dkrota@mac.com



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D-form Gallery



I would like to make a gallery with images made with the aid of D-form. If you want to contribute, please send me a mail with the image in attachment. Please ask me confirmation before sending big files (exceeding 300 - 400 Kb). A brief description of the scene making (other apps used, ...) is appreciated but not required. Thank you in advance.



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D-form info



D-form is a tool to apply several kind of deformations to polygonal mesh objects and Bezier-patch objects. D-form is developed with the Persistence of Vision Raytracer in mind but it can be useful also in conjunction with other 3D software. It's available only for MacOS.
D-form can perform the following deformations:

Drag
Twist
Cut
Bend1
Bend2
Shear
Taper
Swirl
Magnet

These deformations can be applied to the whole object or even to a part of it allowing several interesting effects. The file format supported are:

.RAW triangles
.txt Amapi Text
.vtxt Vision-3D Text
.DXF AutoCAD
.b3d 3DMF
.POV triangle and smooth_triangle primitives
.POV bicubic_patch primitive

D-form can browse a .POV file and search for "bicubic_patch" objects and, if found, it would display them in wireframe. After deformation the file can be saved and the new values for the vertices positions for the patches are stored.
Now D-form is still pre-beta. If you want to became beta tester drop me a mail at dkrota@mac.com or download.



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Guitar FAQ



Aggiornato il 12/06/2002

Vi sono in giro un sacco di faq e trattati tecnici di chitarra.
Ho voluto contribuire con una mia personale versione che spero possa essere d'interesse per qualcuno.
Il contenuto è piuttosto tecnico perché ho voluto approfondire un po' di più le spiegazioni più diffuse nella speranza di compiacere chi voglia andare un gradino più a fondo negli argomenti trattati.
Lungi dal pretendere di aver trattato esaurientemente le problematiche toccate (che trovo molto interessanti e affascinanti) spero di aver reso gli aspetti ostici il più chiaramente possibile anche a un lettore senza preparazione tecnica.
Conto di ampliare il numero degli argomenti in futuro man mano che mi si presenta l'occasione.
Come recita uno dei corollari della famosa legge di Murphy ovvero il "Principio di Krota":
"Più si va nel dettaglio, più cazzate si scrivono"
sarò grato a coloro che mi segnaleranno svarioni, omissioni e inesattezze varie.

1) Come funziona un pickup?
2) Com'è costruito un single coil?
3) Comè costruito e come funziona un humbucker?
4) Come vengono collegati i pickup?
5) Come si regola l'altezza dei pickup?
6) Cos'è un pickup attivo?
7) Posso alimentare i miei pedalini con un alimentatore universale anziché a pile?
Non corro il rischio di bruciarli con un alimentatore troppo grosso?
8) Quali fattori influenzano il suono di una chitarra elettrica?
9) Meglio analogico o digitale?
10) Che cos'è un equalizzatore? E un eq grafico? E un eq parametrico?
11) Meglio transistor o valvole?
12) Che tipi di amplificatori per chitarra elettrica esistono?
13) E' vero che i valvolari suonano più forte degli ampli a transistor?
14) Come si effettuano i collegamenti tra finale e casse?


1) Come funziona un pickup?

Un pickup è un trasduttore magnetoelettrico.
Trasforma quindi l'oscillazione di una corda di materiale ferromagnetico in un segnale elettrico alternato.
Per fare questo sfruttiamo un principio fisico detto "induzione elettromagnetica".
Di che cosa si tratta?
Supponiamo di avere uno spezzone di filo di materiale conduttore e di immergerlo in un campo magnetico fisso.
Se applicassimo un misuratore di tensione elettrica ai suoi capi non misureremmo nulla.
Supponiamo ora di variare nel tempo l'intensità del campo magnetico.
Scopriremmo che si forma una forza elettromotrice indotta ai capi del filo (tensione).
L'andamento della tensione segue quello del campo.
Se mettessimo in corto circuito il filo, per esempio chiudendolo in tondo, in esso scorrerebbe una corrente elettrica.
La tensione che si forma nel filo è però di valore molto contenuto.
Per incrementarne il valore si avvolge il filo a spirale, come per fabbricare una molla.
La tensione che misureremo ai capi sarà proporzionale al numero di spire.
Le spire possono toccarsi o sovrapporsi su più strati ma in questo caso il filo (generalmente in rame) dovrà essere smaltato per evitare cortocircuiti.
Vi sono due principali tipi di pickup per chitarra il single coil (bobina singola) e l'humbucker (a bobina doppia).
Esistono pickup a tre bobine ma il loro funzionamento e la loro utilità mi è del tutto sconosciuta.

2) Com'è costruito un single coil?

Presuppongo che la chitarra abbia sei corde.
Per le sette corde valgono le medesime considerazioni ma i magneti sono sette.
Nella sua costruzione più comune consta di sei magneti permanenti di forma cilindrica distanziati più o meno quanto la distanza tra corda e corda.
Attorno al telaio in plastica che tiene assieme i magneti viene avvolta una bobina.
Una variante consiste nell'avere un magnete unico largo al posto dei sei magneti. Il vantaggio di questa soluzione viene identificato nella minora perdita di volume della nota nei bending, visto che la corda si trova sempre ad avere sotto il magnete.
Un'altra variante ancora è di avvolgere una bobina su ogni magnete e collegarle tutte in serie.
I magneti di ciascun singolo avranno tutti i poli rivolti nello stesso verso (cioè tutti i "nord" saranno dalla stessa parte).
Avere un segnale di elevato livello in uscita del pickup ha vari vantaggi, principalmente migliorerà il rapporto segnale rumore e sarà più semplice saturare l'amplificatore.
Per incrementare il segnale si può agire in diverse maniere ma ognuna presenta degli "effetti collaterali" che possono essere indesiderati.
a) Si può aumentare il numero di spire.
Come detto in precedenza aumentando il numero di spire il segnale aumenta in proporzione, ma la bobina è un induttanza e come tale agisce da filtro per le alte frequenze.
I pickup sovravvolti (detti "Texas") presentano un segnale più forte ma hanno meno frequenze alte.
b) Si può aumentare la potenza del magnete o avvicinare il pickup alle corde.
L'effetto negativo è che il magnete attrae la corda e aumentando l'intensità del campo magnetico l'oscillazione di quest'ultima verrà smorzata diminuendo il sustain.
c) Si può cambiare il materiale usato per i magneti.
Generalmente vengono usati i i magneti ceramici o i magneti in alnico (lega di alluminio, nickel e cobalto).
I ceramici incrementano il campo magnetico senza aumentare l'induttanza della bobina.
Quelli in alnico invece aumentano l'induttanza senza grandi incrementi di campo magnetico.
Entrambi hanno vantaggi e svantaggi e forniscono al pickup diverse caratteristiche sonore.
d) Si può utilizzare un humbucker.
L'humbucker, come vedremo, è stato ideato per ridurre il rumore ma presenta come effetto collaterale un aumento del segnale in uscita.

3) Com'è costruito e come funziona un humbucker?

E' un invenzione di un ingegnere Gibson.
Si prendono due single coil di cui uno "normale" e uno RW/RP (reverse wound/reverse polarity).
Se il primo singolo aveva i magneti con il polo "nord" verso l'alto (che chiameremo singolo "nord") il secondo ha i magneti rovesciati e sarà quindi un singolo "sud". Il senso dell'avvolgimento sarà anche al contrario, quindi se nel singolo "nord" le spire erano avvolte in senso orario nel "sud" lo saranno in senso antiorario.
Ora, i due singoli vengono montati affiancati e connessi in "serie".
In realtà, essendo nel singolo sud rovesciati sia la polarità che l'avvolgimento, i segnali elettrici generati dalla vibrazione della corda saranno in fase e andranno quindi a sommarsi.
Il segno del rumore, invece, dipende solo dal senso di avvolgimento della bobina e non dalla polarità del magnete.
Ne consegue che i rumori captati dalle due bobine verranno sommati ma, essendo in controfase, si annulleranno.
Avremo così un segnale in uscita di valore pressochè doppio e assenza di rumore di fondo.
Tonalmente l'humbucker ha un suono diverso del single coil per due motivi principali.
Primo, le due bobine sono in serie quindi l'impedenza è doppia e, come abbiamo visto in precedenza per i pu sovravvolti di tipo "Texas" questo comporterà una perdita di alte frequenze.
Secondariamente i poli dei due singoli componenti l'humbucker sono distanti di vari millimetri, quindi "leggono" le vibrazioni della corda da due posizioni leggermente diverse. I due segnali generati non saranno quindi identici e la loro somma porterà a un segnale alternato che presenterà già una certa quantità di distorsione armonica.
Per accentuare questa caratteristica in alcuni modelli di humbucker i due singoli sono addirittura di costruzione differente...

4) Come vengono collegati i pickup?

Per "wiring" si intende il collegamento dei pickup nella chitarra al resto dell'elettronica, quindi al selettore, ai potenziometri e al jack di uscita.
Vi sono varie soluzioni e non pretendo di prenderle in considerazione tutte.
Non c'è nessuna regola precisa una chitarra potrebbe avere un solo pickup e nessun selettore nè potenziometri.
Ma generalmente la maggior parte delle chitarre presentano da uno a tre pickup, un pot di volume, uno o due di tono e un selettore a tre o cinque posizioni.
I wiring più diffusi sono:
Per convenzione elencherò i pick up e le posizioni del selettore a partire dal manico.

A) SSS-VTT
E' il classico wiring della Fender Stratocaster.
Vi sono tre singoli, un volume e due toni.
Nel wiring "vintage" i due toni agivano uno sul singolo al manico e l'altro sul singolo al centro.
Nelle Strato moderne la regolazione del tono si chiama "TBX". E' un'evoluzione del classico circuito di tono delle chitarre elettriche.
In pratica fino a metà corsa il controllo si comporta come un normale circuito di tono. Da metà corsa in poi il potenziometro (generalmente del valore di qualche centinaio di kilo Ohm, viene sostituito da uno di resistenza molto più elevata. In questa maniera si evita che anche una piccola parte delle frequenze acute venga filtrata, come invece avviene nei circuiti di tono tradizionali.
Il selettore è a cinque posizioni (tranne in alcune vintage) e nelle posizioni "intermedie" i singoli vengono collegati in parallelo.
Nella posizione "2" suoneranno quindi in parallelo manico e centro e nella "4" centro e ponte.
Da un certo anno in poi la Fender ha iniziato a montare i pickup con il centrale RW-RP rispetto agli altri due.
Così nelle posizioni intermedie si ha effetto di humbucker.
(Attenzione! si avrà una riduzione del rumore, non un "suono da humbucker"!)
Purtroppo sono state vendute sia Strato Nord-Sud-Nord che Sud-Nord-Sud e quando andate a comprare i pickup raramente vi chiedono la polarità.
Questo può essere un problema dovendo sostituire uno o più singoli.

B) SS-VT
E' il wiring classico della Fender Telecaster.
Assai raro su altre chitarre.
Il selettore, a tre posizioni, nella "2" collega i singoli in parallelo.
La grande distanza tra i pickup genera un suono caratteristico, leggermente nasale. (Es.: Sisters, Steve Vai)
è la chitarra regina del country.

C) SSH-VT
E' il wiring derivato dalla Strato.
E' forse il più diffuso.
Al ponte abbiamo un humbucker e c'è un solo tono.
Nella posizione "4" il singolo centrale suona in parallelo a uno dei singoli dell'humbucker.
In genere si sceglie il singolo che sia RW-RP rispetto al centrale per i soliti motivi di riduzione del rumore.
E' il wiring che consiglierei a chi vuol suonare del rock (per l'humbucker) e del blues (per il singolo al manico).
Ma è ovviamente questione di gusto personale.
In alcuni wiring, nella posizione "3" vengono si hanno singolo al manico e humbucker splittato in parallelo.
Si emula così il suono Tele.

D) HH-VVTT
E' il wiring classico delle Gibson.
Il selettore è a tre posizioni.
Ciascun volume e ciascun tono agisce su ciascuno dei due humbucker.
Nella posizione "2" del selettore i due humbucker sono collegati in parallelo.
Il suono è meno aggressivo di quello dell'humbucker da solo, ma non ha la brillantezza di due singoli in parallelo.

E) HH-VT
E' il wiring che preferisco.
Tipico (ma non esclusivo) delle chitarre "da metal" prodotte negli ultimi anni.
Si trovano sia con selettore a 3 che a 5 posizioni.
Nel primo caso nella posizione "2" i due humbucker possono essere collegati in parallelo così come sono oppure splittati (cioè si cortocircuita un singolo per ciascun humbucker).
I singoli che suoneranno assieme saranno, al solito, uno "Nord" e uno "Sud".
Su alcune chitarre suonano i singoli "interni". Le due soluzioni portano a una differenza nella sonorità.

F) HSH-VT
E' un wiring "moderno", forse il più versatile in assoluto.
Il selettore a cinque posizioni in genere funziona come nell'SSH presentando nella posizione 4 una soluzione analoga alla 2, collegando in parallelo centrale e un humbucker al manico splittato.
Per la posizione "3" vale la considerazione fatta per le SSH.
Trovo che la soluzione HH sia molto più elegante esteticamente e, con un wiring attento, non si perde molto in versatilità.

G) SH-VT
E' piuttosto raro.
Qualche volta è più estetico che altro, il singolo al manico, spesso montato inclinato, è in realtà un humbucker "single sized".
A qualcuno piace.

Vi sono altre soluzioni che non tratterò e, in alcune chitarre, manca il pot del tono.
Molti lasciano il tono sempre "aperto" e trovano inutile la sua presenza.
Si noti che, anche aperto al massimo, il circuito del tono filtra una piccola quantità di alti, quindi la stessa chitarra senza tono suonerà più brillante.
Trovo la presenza del tono utile e mi sentirei di sconsigliare di farsi fare la chitarra di liuteria senza quest'ultimo.
A volte si scopre dopo del tempo di voler fare qualche passaggio jazz, e allora ci si potrebbe pentire della scelta fatta.
Inoltre, usando un pot push-pull si possono fare interessanti modifiche al wiring in futuro.
Pensateci bene.

5) Come si regola l'altezza dei pickup?

La distanza del pickup dalla corda ha influenza sul suono.
Al diminuire di questa, aumenta il segnale in uscita del pickup.
I magneti vengono però a esercitare la loro attrazione sulle corde in maniera maggiore, con diminuzione del sustain e aumento di altri effetti indesiderati come modifiche all'intonazione, battimenti indesiderati, ecc.
Bisogna quindi trovare il proprio compromesso.
Alcune regole generali comunque ci sono, per potersi orientare almeno a grandi linee.
Alcuni sostengono che premendo la corda all'ultimo tasto, i pickup devono trovarsi a
due-tre millimetri dalla corda.
Inoltre si dovrebbe cercare di equilibrare i volumi tra pickup al ponte e quello al manico, specie nei wiring dove questi si trovano a lavorare assieme.
Oltre alla scelta dei pickup (le case consigliano di avere il pickup al ponte di potenza superiore di quello al manico per compensare la minore escursione che la corda ha nei pressi del ponte), si può agire anche sulla distanza dalle corde per eventuali ritocchi.
Infine il pickup dovrebbe essere più vicino alle corde sottili che a quelle spiralizzate per compensare il minore volume generato dalle prime.
La regolazione del pickup è molto semplice.
Basta agire sulle viti che si trovano alle due estremità di esso.
Se siete alle prime armi segnatevi quanti giri fate fare alle viti e in che senso per poter sempre tornare alla situazione di partenza.
Il senso in cui bisogna girare le viti per muovere il pickup nella direzione voluta dipenda dal tipo di montaggio.
I pickup vengono montati sulla chitarra in due modi principali.
Su mascherina e direttamente sul corpo.
La mascherina può essere un battipenna di grandi dimensioni (pickguard) , come sulle Stratocaster, o piccole cornicette (rings) come sulle Les Paul.
In questo caso avvitando le viti in senso orario il pickup si avvicinerà alla corda.
Nei pickup "direct mounted", le viti vengono fissate direttamente al corpo della chitarra.
In questo caso avvitando le viti in senso orario il pickup si allontanerà dalla corda.

6) Cos'è un pickup attivo?

In elettronica un "elemento attivo" è generalmente un dispositivo che può fornire più energia di quella che gli si sottopone.
Siccome il rendimento di una macchina non può superare il 100% (e, in pratica, neanche raggiungerlo), ne consegue che i dispositivi elettronici attivi necessitano di alimentazione, cioè di una fonte di energia aggiuntiva.
Il pickup tradizionale è passivo in quanto trasforma energia magnetica (a sua volta generata da una vibrazione meccanica generata dal chitarrista che fornisce energia animale :-) in energia elettrica.
Ottenere un pickup ad output elevato costituisce spesso un vantaggio e abbiamo visto i vari sistemi per incrementare il segnale.
Abbiamo anche visto come non si possa aumentare il segnale senza perdere qualche altra caratteristica. Le frequenze alte in un pickup sovravvolto, il sustain in uno dai magneti forti ecc.
L'idea alla base del pickup attivo sta nel concentrarsi sulle caratteristiche sonore del pickup e ottenere il segnale desiderato tramite l'uso di un preamplificatore.
Oltre allo svincolare l'output dagli elementi costruttivi(quindi dalle caratteristiche tonali) si possono ottenere altri benefici.
Come l'adattamento d'impedenza.
In un pickup tradizionale la lunghezza del cavo che trasporta il segnale all'amplificatore non è da trascurare. Un cavo troppo lungo avrà ripercussioni negative sul suono e sul rumore. Per lo stesso motivo un pickup passivo suonerà in maniera diversa su amplificatori diversi, anche in virtù del variare dell'impedenza d'ingresso di questi ultimi.
Nei pickup attivi, grazie al preamplificatore incorporato, si può ottenere un'impedenza di uscita bassa, rendendolo meno sensibile ai problemi appena descritti.
Rivediamo nel dettaglio i principali vantaggi del pickup attivo:
a) Segnale in uscita elevato.
Anche se non sopravvaluterei questa caratteristica, è spesso un vantaggio.
Si può sempre compensare un pickup troppo "hot" allontanandolo dalle corde.
Anche il sustain ne beneficerà.
b) Impedenza in uscita bassa.
Quindi risentiremo meno della lunghezza dei cavi e dell'impedenza di ingresso dell'amplificatore.
c) Maggiore libertà progettuale.
Svincolando il livello di uscita dalle caratteristiche di magneti e avvolgimenti, ci si può concentrare sulla risposta sonora.
I pickup attivi consentono di avere una banda di risposta in frequenza più ampia.
d) Rumore ridotto.
Per le caratteristiche costruttive e per l'uso del preamplificatore.
e) Maggiore sustain.
Per la possibilità di utilizzare magneti di potenza ridotta.
Sul fronte degli svantaggi notiamo subito che il prezzo è sempre elevato.
Il fatto di dover essere alimentati a batteria è anch'esso una complicazione aggiuntiva.
Il montaggio di tali pickup, specie su una chitarra già costruita, è complicato dal fatto che spesso bisogna cambiare anche i potenziometri e il jack di uscita, che funziona da interruttore (ricordatevi di staccare il cavo o vi si scaricherà la batteria!).
Infine trovo che i pickup attivi, almeno quelli che ho provato io, siano meno versatili dal punto di vista del wiring. Gli humbucker (almeno gli EMG) non consentono lo splitting (coil tap) e portano inevitabilmente a un wiring più povero in una chitarra che non abbia già un wiring "alla Les Paul".
Anche se sulla carta i vantaggi sembrano compensare abbondantemente gli svantaggi, un gran numero di chitarristi (tra cui lo scrivente) trova che il suono dei pickup attivi non sia poi quel granché.
Al solito, difetti possono diventare pregi, e alcune delle caratteristiche peculiari dei pickup passivi danno al suono delle sfumature che sembra di non poter trovare nei pickup passivi.
Ma qui si entra nei gusti personali, quindi il mio consiglio consiste nel provare attentamente entrambe le tipologie per scoprire quale incontra maggiormente le proprie necessità.

7) Posso alimentare i miei pedalini con un alimentatore universale anziché a pile?
Non corro il rischio di bruciarli con un alimentatore troppo grosso?

L'argomento è a mio avviso interessante, poiché la conoscenza delle basi dell'elettronica è di grande aiuto in molte situazioni che si incontrano nella vita, non solo quando siamo alle prese coi pedalini.
Purtroppo dare una spiegazione assieme esauriente e concisa è praticamente impossibile.
Si può solo fornire una serie di "dogmi" da seguire con religiosità, senza fornire alcuna giustificazione e senza la partecipazione attiva dell'interessato.
Ma l'esistenza stessa di questo FAQ è dovuta al mio tentativo di andare un passo oltre le stringate e sbrigative risposte dei newsgroup e di altri FAQ, nella speranza di trasmettere quelle quattro cognizioni che, a fatica, ho racimolato nel corso degli anni.
Prendiamo in mano la nostra batteria. Nei pedalini si usano quasi sempre quelle da 9 Volt (in seguito userò il simbolo V). Perché ho detto "batteria" anziché "pila".
La pila è un "elemento" mentre una "batteria" è un insieme di pile.
Si possono mettere assieme più pile per ottenere più tensione o più corrente come vedremo in seguito.
Se aprissimo (non lo fate) una batteria da 9V troveremmo al suo interno sei pilette da 1,5 V. Questo valore ricorre molto spesso poiché è il voltaggio standard delle pile a zinco carbone. Oggi le pile vengono prodotte anche in altri modi (alcaline), ma si è rispettato il potenziale standard perché ormai gli apparati elettronici da alimentare si aspettano quella tensione. Gli accumulatori ricaricabili (nichel cadmio, nichel metal idrato, ioni di litio) hanno altre tensioni ma talvolta sono usabili al posto delle pile tradizionali. Gli accumulatori al piombo sono di uso assai raro in quanto pesanti.
9 V abbiamo detto, ma cosa significa?
Se tra due punti dello spazio si viene a formare un campo elettrico e questi punti sono a tensione diversa, si dice che tra essi c'è una differenza di potenziale.
Se colleghiamo un conduttore tra questi due punti ci sarà movimento di cariche tra i due "poli", quindi passaggio di corrente elettrica.
Quanta corrente elettrica scorrerà? Dipende da tre fattori.
A) La tensione in gioco
B) La resistenza del conduttore
C) Il fattore "tempo"
Per il momento possiamo tralasciare il punto C se consideriamo quanto avviene in un intervallo di tempo breve dopo il collegamento dei poli.
La corrente si può calcolare con facilità usando la legge di Ohm:
V = R x I
Dove V è la tensione [Volt, simbolo "V"], R è la resistenza [Ohm, simbolo "Omega"], I è la corrente [Ampere, simbolo "A"].
Ad esempio collegando un "carico" di 100 Ohm alla nostra pila da 9 V scorreranno:
I = V / R = 9 / 100 = 0,09 A = 90 milliAmpere (mA)
Ok, ma il fattore tempo cosa centra?.
Centra, centra (in elettronica tempo e temperatura centrano sempre...).
Se lasciamo là il nostro circuito, prima o poi la pila si scaricherà e non circolerà più corrente.
Se guardate un accumulatore (sulle pile in genere non lo scrivono), tipo la batteria della vostra auto, è riportato un valore in AmpereOra (Ah).
L'Ah misura "energia" e non "corrente".
Una batteria d'auto da 50 Ah, può fornire, prima di scaricarsi, 50 A per un ora, oppure 25 A per due ore o, ancora, 100 A per mezz'ora.
C'è un limite pratico alla corrente massima che si può ottenere da una batteria, oltre il quale questa risulta danneggiata per surriscaldamento, la cosiddetta "corrente di spunto o spicco".
Quando viene il tizio dell'Enel a leggervi i contatori, legge KiloWattOra (KWh) e non KiloWatt come comunemente sentite dire.
Se attaccate un phon da 1000 W e vi asciugate i capelli quanta energia consumate?
Dipende dal tempo. Dopo un'ora, avete indovinato, un KWh.
(Se vi serve un'ora per asciugarvi i capelli è giunto il momento che ve li tagliate!)
A questo punto posso già rispondere alla seconda delle due domande.
No, non rovinate un apparato elettronico collegandolo a un alimentatore che può fornire più corrente di quanta ne sia necessaria.
Perché abbiamo visto come la corrente che circolerà nel circuito dipende dalla tensione e dal carico. In altre parole, se la tensione è quella corretta, il nostro pedalino si prenderà la tensione che gli serve e niente di più.
L'indicazione 10A che potremmo trovare sul nostro alimentatore si riferisce al massimo assorbimento in corrente che possiamo prelevare da esso senza che si danneggi.
Se vogliamo proprio dirla tutta, solo le marche serie di alimentatori forniscono questo dato in tutta onestà.
Se comprate alimentatori economici da 10 A e vi mettete a prelevare 10 A continui giorno e notte, credetemi, aspettatevi dei problemi...
E' meglio quindi essere generosi e, oltre a scegliere marche affermate, scegliere alimentatori di amperaggio eccedente il valore che abbiamo intenzione di utilizzare.
Torniamo ora al nostro problema iniziale, batterie e pedalini.
Può essere davvero scocciante ritrovarsi con le batterie scariche nel bel mezzo di un solo dal vivo. Prima di ogni concerto sarebbe bene usare batterie nuove e usare le vecchie solo in sala prove, ma la cosa può essere noiosa o dispendiosa.
Inoltre nei pedalini hanno messo quella presa per l'alimentazione esterna. Ci sarà pure un motivo no?
Perché i nostri pedalini siano accesi o funzionanti, la soluzione è semplice.
Si leggono le specifiche di ciascun pedale, si sommano tutti i consumi e si collegano tutti a un alimentatore opportunamente dimensionato.
Attenzione! Il voltaggio dei pedalini deve essere identico a quello dell'alimentatore, altrimenti li bruciate!
Collegati come? In "parallelo", cioè tutti i positivi dei pedali al positivo dell'alimentatore e tutti i negativi al negativo.
Perché ho detto "accesi e funzionanti"? Perché la cosa non è sufficiente da sola a soddisfarci.
Vediamo il perché.
I pedalini per funzionare abbisognano di una tensione continua di tot V.
Per esempio supponiamo che tutti in nostri pedali funzionino a 9 V.
La tensione di 9 V fornita dalla batteria viene detta continua perché per un certo periodo piuttosto lungo (la durata utile della carica, vedete che il tempo torna sempre), la tensione è fissa a un valore stabile di 9 V.
In realtà quando ci attaccate un carico la tensione si abbassa un po' ma qui ci addentriamo in un campo rognoso ed è meglio sorvolare...
La tensione di rete è invece alternata, con andamento sinusoidale e va da un valore massimo positivo a uno minimo negativo (uguale in valore assoluto).
Il valore massimo non è di 220 V ma superiore. I 220 V sono il "valore efficace" ma, anche qui, la cosa vi basti.
L'alimentatore invece preleva tensione alternata dalla rete, quindi 220V alternati e li trasforma in 9 V continui.
Ma sono davvero continui?
Per effettuare la trasformazione la tensione subisce quattro fasi principali.
Raddrizzatura, riduzione, stabilizzazione e filtratura.
La raddrizzatura, realizzata in genere con 4 diodi, trasforma l'onda sinusoidale in un onda ancora variabile ma sempre positiva. Ci vorrebbe un disegno...
La filtratura viene effettuata con grossi condensatori, che si caricano quando il picco di tensione è al massimo e, scaricandosi lentamente forniscono una tensione "circa costante".
La riduzione e la stabilizzazione avvengono in seguito ad opera di componenti elettronici, tipo un integrato 7809.
Segue una seconda filtratura con condensatori.
Ricapitolando:
Raddrizzatura -> tensione sempre positiva
Filtratura -> tensione a un valore "circa costante"
Riduzione -> porta la tensione a 9 V
Stabilizzazione -> fa in modo che la tensione si mantenga a 9 V indipendentemente dall'assorbimento di corrente (entro certi limiti)
Seconda filtratura -> riduce ulteriormente i disturbi
Se tutte la fasi sono state effettuate a regola d'arte possiamo stare tranquilli.
In pratica si trovano in commercio molti alimentatori che non rispondono alle nostre esigenze.
Sono mal filtrati e molti non sono neppure stabilizzati.
Tutto questo si trasforma in rumore. Primo fra tutti quel fastidiosissimo ronzio a 50 Hz (frequenza di rete che, non ben filtrata arriva nel pedale e, dopo una lunghissima trafila, alle nostre orecchie).
Secondo una mia teoria personale che espongo qui in anteprima mondiale il ronzio derivato dal "ripple" di alimentatori non ben filtrati è di 100 Hz.
Aspetto conferme o smentite.
Vale quindi la pena di aver speso tanti soldi in costosi humbucker e pickup "noiseless" per poi rovinare tutto con un "alimentatore universale" preso al supermercato?
Concludendo, con le pile state tranquilli (credeteci o no, ci sono audiofili che alimentano i loro impianti hi-fi casalinghi con batterie di camion), oppure scegliete con attenzione il tipo di alimentatore pagando, se necessario, quel qualcosa in più.
Esistono alimentatori stabilizzati a tensione variabile che potrete riutilizzare per altri scopi.

8) Quali fattori influenzano il suono di una chitarra elettrica?

Degli argomenti che ho trattato finora questo è di gran lunga quello dove le mie argomentazioni hanno carattere di soggettività. Cercherò di evitare l'assolutismo ma tenete presente che sono opinioni personali maturate in seguito alla mia esperienza, gusto e sensibilità, fattori ovviamente diversi da persona a persona.
Il suono, inteso nel senso più largo del termine, è composto dai seguenti fattori:
a)Spettro armonico.
E' l'insieme delle varie frequenze che compongono il suono.
b) Attacco.
E' il modo in cui il suono inizia. Può essere secco e aggressivo o più morbido e rotondo.
c) Sustain.
E' la durata del suono.
d) Pulizia.
E' la purezza del suono da ronzii e disturbi vari.
e) Volume.
Dipende intrinsecamente da alcuni fattori, oltre che dal "volume" dell'ampli.
Vediamo ora come gli elementi costruttivi (ma non solo) influenzino il suono nelle sue componenti fondamentali.
Accanto a ciascun elemento elencherò tra parentesi quadre i punti che possono venire influenzati).
A) Pickup [a, d, e]
E' forse l'elemento che influenza maggiormente il suono.
Cosa sia un pickup lo abbiamo visto in lungo e in largo. Quello che non abbiamo visto (e che, purtroppo, non potremo vedere nel dettaglio) è come la costruzione dei pickup portino a diverse caratteristiche sonore.
Certo, alcune linee generali ci sono come già visto.
Gli humbucker (come dice il nome) avranno meno disturbi dei single coil, maggior volume, un suono con meno frequenze alte e una maggiore facilità a distorcere.
Però tra pickup e pickup della stessa natura vi sono grandi differenze dovute ai materiali usati, alle geometrie costruttive, al numero e e forma delle spire, alla diversa sistemazione del pickup nel corpo della chitarra e alla sua distanza dalle corde.
Capire come suona un pickup leggendone la descrizione sul depliant del costruttore mi sembra impresa assai ardua. Vi sono pickup "famosi" utilizzati per determinati generi e uno può aspettarsi che il risultato sia, almeno a grandi linee, quello desiderato.
Siccome però il suono dei pickup viene influenzato in buona misura dalla chitarra dove viene montato (e, secondo alcuni, anche dal modo) e in maniera ancora maggiore dall'amplificatore che seguirà, penso che solo provandolo direttamente si potrà fare un acquisto che ci soddisfi appieno.
Come accennato, alcuni sostengono che i pickup montati nel modo classico, cioè avvitati a una mascherina suonino in maniera diversa da quelli "direct mounted" ovvero avvitati direttamente nel legno.
Altri sostengono che l'eventuale copertura metallica (tipo i pickup Gibson) sia un altro fattore che può influenzare il suono.
Non mi sento di confermare o smentire queste due teorie.
Infine ricordiamo che i pickup lavorano spesso insieme a qualche altro pickup, quindi la scelta di un pickup va fatta anche tenendo conto di quali altri pickup lo affiancheranno.
Le case consigliano in genere di mettere al ponte un pickup più potente che al manico.
Diversi pickup hanno volumi differenti.
Alcuni, nella scelta del pickup, rivestono un'importanza forse eccessiva al solo parametro "output". E' vero però che mentre la maggior parte dei preamplificatori a rack hanno gain a volontà, alcuni modelli di amplificatori non ne hanno in abbondanza e un pickup "hot" può essere necessario per ottenere la distorsione desiderata.
Infine, i pickup sono i principali responsabili dei disturbi che sentiremo in cassa.
Alcuni di questi, opportunamente controllati come il feedback, possono essere graditi ma il ronzio non lo è mai.
I single coil sono assai più sensibili degli humbucker a questo problema ma non si possono usare sempre questi ultimi.
Esistono in commercio singoli (assai cari) che riducono molto il rumore.
Alcuni snaturano il suono classico del singolo, mentre altri forniscono un ottimo suono vintage con rumore assai contenuto.
Al solito, il prezzo dei pickup è un buon indicatore della lora qualità.
Esiste la possibilità, quando non sia già stato fatto in fabbrica, di schermare con alcuni accorgimenti il vano pickup riducendo almeno in parte il problema.
B) Legni. [a, b, c]
La chitarra è quasi sempre di legno e la scelta di un legno al posto di un altro influenza in maniera notevole il suono.
I legni che tipicamente troviamo nelle chitarre elettriche sono:
Per il corpo:
Ontano (Alder)
Equilibrato. Rosato e raramente "a vista".
Mogano (Mahogany)
Pesante e denso. Scuro con venature assai fini e fitte.
Frassino (Ash)
Si trova più spesso sui bassi. grandi venature esteticamente gradevoli, spesso "a vista"
Pioppo (Poplar)
Leggero. Raramente "a vista" con l'eccezione della splendida radica di pioppo.
Tiglio (Basswood)
Raramente "a vista".
Acero (Maple)
Duro e chiarissimo. In genere non compone l'intera cassa ma solo il "top". Quasi sempre "a vista" nelle sue splendide varianti "fiammato" (flamed) e "marezzato" (quilted).
Si possono trovare altri legni sulle casse o sui top, ma non frequentemente: Koa, Rovere, Sapele, Noce (Walnut), Palissandro (Rosewood), Abete (Sprouce)...
Per il manico:
Acero
Mogano
Per la tastiera:
Acero
Palissandro
Ebano
Ho visto sia manici in acero dove la tastiera era tutt'uno col manico sia con le tastiere incollate.
In linea di principio il suono viene influenzato dal tipo di legno.
Legni duri come l'acero tenderanno a enfatizzare le frequenze acute mentre quelli pesanti come il mogano quelle basse.
Spesso proprio questi due legni vengono impiegati assieme (classica "cassa in mogano con top in acero fiammato), per questioni estetiche e sonore (il top in acero viene definito in questi casi "correttore armonico").
Inoltre la quantità e il tipo di legno usato avrà influenza nel sustain che aumenterà con le dimensioni del corpo e con la densità del legno.
Nella ricerca evolutiva (ma talvolta nella pura ricerca del nuovo e del diverso) si sono sperimentati, con successi alterni, materiali diversi dal legno.
Troviamo corpi in luthite, alluminio, plexiglas, manici in carbonio, tastiere in resina fenolica o in alluminio.
Trovo che in alcuni casi il "calore" della chitarra ne risenta ma è indubbio che alcune soluzioni comportino vantaggi in termini di resistenza alla deformazione.
Bene o male il legno è "vivo" e continua a esserlo, in qualche modo, anche dopo la sua morte. Umidità e temperatura sono suoi nemici e i materiali sintetici rispondono meglio a queste sollecitazioni.

C) Costruzione. [b, c]
Penso che il dettaglio costruttivo che ha maggiore influenza sia l'attaccatura manico-corpo.
Storicamente sono stati adottati i seguenti sistemi in quello che penso sia l'ordine cronologico.
Manico incollato (set-in, glued)
E' la naturale derivazione dalla liuteria classica.
Introdotta dalla Gibson e mai abbandonata.
Ammorbidisce l'attacco e incrementa il sustain.
Manico avvitato (bolt-on)
Introdotto dalla Fender. Ritengo che inizialmente sia stata una scelta dettata da parametri economico costruttivi. Non è un caso che la quasi totalità delle chitarre economiche la adottino.
Il poter verniciare separatamente manico e corpo e assemblarli in un secondo tempo facilita di molto la costruzione.
Come talvolta accade, quello che potrebbe essere considerato un difetto (o meglio una scelta di compromesso), diventa una caratteristica peculiare.
L'attacco secco di tale soluzione risulta largamente apprezzato e quindi non ci si deve stupire nel trovarla su chitarre di tutti i prezzi.
Ha meno sustain delle altre soluzioni perché la giunzione tende a smorzare le vibrazioni.
Inoltre rende difficoltoso raggiungere la parte alta della tastiera, anche se in chitarre di impostazione moderna una particolare sagomatura delle parti ha ridotto di molto questo difetto.
Neck thru body.
E' una soluzione forse nata nei bassi elettrici.
Il manico continua fino alla fine della cassa e il resto del corpo viene attaccato con colla e tasselli.
E' frequente nelle chitarre di liuteria.
Personalmente la trovo una soluzione molto elegante ed è quella che permette con più facilità l'accesso agli ultimi tasti.
Come la set-in l'attacco è più morbido e il sustain superiore, ma non saprei dire tra queste due quale sia l'esatto confronto in tal senso.
Vi sono altre caratteristiche costruttive da tenere conto, come il diapason (la lunghezza delle corde), la distanza tra le medesime, lo spessore del manico.
Probabilmente ogni cosa ha una sua influenza, anche se in certi casi più sulla suon abilità che sul suono in se.
D) Parti meccaniche (Hardware) [a, b, c, d]
Più o meno tutto quanto non sia legno o pickup sulla chitarra.
Hardware di bassa qualità e alcune soluzioni tecniche aumentano la possibilità che la chitarra si scordi. Inoltre è di grande importanza il ponte.
Ve ne sono un'infinità di tipi, raggruppandoli in due grandi categorie: fissi e mobili.
I ponti mobili presentano un sistema (tra i più disparati) che consenta tramite un meccanismo (generalmente una leva fissata al ponte) di cambiare il pitch delle corde per ottenere tutta una serie di effetti sul suono.
Anche quando non viene usata la caratteristica di "mobilità" del ponte, la differente costruzione di questo ultimo e i materiali usati influenzano il suono in maniera anche notevole, in termini di sonorità, attacco e sustain.
Si sono viste anche soluzioni per aumentare il sustain consistenti in piastre di metallo (generalmente ottone) da sistemare nel corpo o dietro la paletta.
E) Corde. [a, e]
Le corde sulla chitarra elettrica sono sei, anche se negli ultimi anni si sta assistendo a una notevole diffusione delle chitarre a sette corde.
Le corde sono sempre in metallo e possono essere spiralizzate (mi, la, re) o lisce (sol, si, mi).
Quelle spiralizzate a loro volta si trovano ruvide, semi ruvide o lisce.
Queste ultime assomigliano a quelle del contrabbasso e sono usate nel Jazz.
Le corde ruvide presentano un suono più aggressivo e il rumore che risulta scorrendo i polpastrelli su di esse, benché tecnicamente un difetto, è così tipico che esiste il suono corrispondente nelle tastiere ("fret noise").
Le corde sono di tre tipi principali.
Al nichel (nickel wound)
In acciaio inox nichelate
In acciaio inox (stainless steel)
Il suono è via via più metallico. Quelle in inox sono state introdotte per le loro caratteristiche di robustezza e resistenza alla corrosione, ma il suono prodotto è così metallico che sono nate le corde in inox nichelate, di sonorità più equilibrata.
All'aumentare del diametro delle corde il suono si ingrossa e aumenta di volume.
La resistenza al bending però risulta aumentata.
F) Accordatura. [a]
Oltre all'accordatura classica si usano talvolta accordature alternative, le più usate delle quali sono le cosiddette "flat" dove tutte le corde vengono abbassate di un certo numero di semitoni.
Uno nel rock (Guns 'n' Roses...), due nel metal ma vi sono complessi che si sono spinti molto più "in basso".
Suonando "flat" il suono si incattivisce, e le corde rispondono in maniera differente.
Qualche volta l'accordatura viene alterata per venire incontro al registro del cantante.
G) Potenziometri di volume e tono [a, c, d, e]
Come il pot del volume influisca sul volume mi pare scontato.
Altrettanto dicasi per il tono e la resa armonica.
Vi sono alcuni effetti collaterali da tener conto.
Come già visto in questo FAQ, tenere il tono al massimo non produce lo stesso suono che togliere del tutto il circuito del tono.
Inoltre abbassando il volume sulla chitarra ha grande influenza sulla distorsione sui bassi (che diminuiscono) e sul ronzio (che è massimo a circa metà corsa, non ne ho mai capito il perché).
Vi sono altri fattori che influenzano il suono e che non sono elementi costruttivi della chitarra.
H) Plettro e dita. [a, c, e]
La maggior parte dei chitarristi elettrici suonano col plettro ma vi sono alcuni illustri esempi che preferiscono il "fingerpicking" al "flatpicking".
La chitarra suonata con le dita, ha un attacco molto caratteristico.
"Money for nothing" non sarebbe stata la stessa suonata col plettro.
Il plettro stesso, il suo spessore e il materiale usato, alterano attacco, sonorità e volume.
I) Cavi [d]
Alcuni sostengono che il suono cambi usando cavi di un tipo anziché di un altro.
Personalmente accomuno la cosa alle leggende hi-fi.
Sicuramente però il cavo ha la sua importanza.
Oltre alle caratteristiche meccaniche di robustezza, il cavo trasporta il segnale non ancora amplificato, ed è quindi importante che la schermatura sia di ottima qualità.
Il rumore che entra nella catena in questa parte del circuito verrà amplificato assieme al segnale quindi è bene porre attenzione.
Vi è poi il problema che i pickup passivi sono in genere piuttosto sensibili alla lunghezza dei cavi, mentre con gli attivi ci si può permettere tratte maggiori.
J) Amplificazione. [a, b, c, d, e]
La trattazione di questo punto richiederebbe un libro intero.
Non mi sento in grado di affrontarla neppure parzialmente, almeno in questa sede.
Dico solo che alcune chitarre funzionano meglio con alcuni ampli per tutta una serie di motivi, quindi è impossibile dire che una chitarra (o un ampli) è la migliore in assoluto.

9) Meglio analogico o digitale?

La domanda è (volutamente) molto generalizzata. Questo perché la trattazione di tale argomento va fatta dapprima in generale. Si applicano poi le considerazioni al campo specifico, nel nostro caso la chitarra.
Tutti parlano di analogico e digitale. Siamo sicuri di aver afferrato bene la differenza tra le due cose?
Il fatto che alcune volte il termine "digitale" vanga accomunato a termini come "freddo", "sterile" e quindi usato in senso negativo, altre venga osannato fino all'eccesso mi fanno sorgere il dubbio che in realtà non sia così.
Vorrei contribuire, nei limiti delle mie possibilità, a fare un po' di chiarezza in un argomento non proprio intuitivo, ma di tale presenza in ciò che ci circonda, che forse varrebbe la pena di approfondirne la conoscenza.
Una grandezza analogica può assumere, in un dato intervallo, qualsiasi valore numerico.
Una grandezza digitale può assumere, in un dato intervallo, solo determinati valori e non altri.
Vorrei che intendeste il termine "grandezza" nel suo significato più ampio.
Supponiamo vi mettiate a registrare ogni giorno la temperatura esterna nel vostro giardino. La temperatura è una grandezza che varia con continuità nell'intervallo -273 gradi centigradi circa (zero assoluto) e infinito. Non c'è una temperatura massima.
Il vostro termometro è tarato in decimi di grado.
Quindi le vostre misurazioni, che farete ogni giorno alla stessa ora saranno:
22.8
23.5
23.1
e via dicendo.
State registrando la temperatura sul vostro quaderno in maniera "digitale".
Già da questo semplice esempio si possono notare due cose:
- La misurazione che effettuiamo è approssimata. La temperatura di 22.786923...
gradi la registriamo come 22.8. Certo potremo comprare un termometro più preciso che misuri i centesimi di grado. Ma anche qui registreremo 22.79 che non è esattamente la temperatura che andiamo a misurare.
- La misurazione è univocamente determinata.
Potete trasmettere l'informazione 22.8 gradi centigradi a chiunque e saprà esattamente "quanto caldo faceva".
Inoltre, essendo una valore numerico, potete trasmetterlo in vari modi, scriverlo su un foglio di carta, dettarlo al telefono, trasmetterlo in codice morse e via dicendo, comunicarlo a gesti.
Finché il destinatario è in grado di ricevere il vostro messaggio correttamente, egli sarà in grado di risalire al valore trasmesso.
Ovviamente bisogna scegliere il metodo migliore, in una discoteca il vostro messaggio arriverà più facilmente scritto o a gesti che parlando.
La manipolazione numerica dei dati quindi ha pregi e difetti.
E' allo stesso tempo imprecisa perché i valori sono approssimati, e precisa per quel che riguarda la conservazione e la trasmissione degli stessi.
Nell'esempio della temperatura abbiamo visto come la approssimazione riduca la precisione della misura. Ma agli effetti pratici di sapere quanto caldo fa in giardino, il decimo di grado è una approssimazione pienamente soddisfacente.
Per un fisico che stia effettuando delle misurazioni può essere invece inadeguata.
Per un uso quotidiano la precisione di un minuto nell'orologio è soddisfacente.
Per uso sportivo occorre scendere al centesimo.
Per uso scientifico può essere necessaria una precisione molto maggiore.
Ecco che un altro elemento entra nel nostro argomento. Il costo.
I fotografi sanno che le macchine fotografiche digitali da due milioni non possono competere con un apparato ottico professionale.
In realtà si potrebbero costruire macchine fotografiche digitali di risoluzione così elevata da eguagliare la grana della pellicola, ma il costo ne renderebbe antieconomico l'uso (e lo stoccaggio delle foto).
Veniamo finalmente al suono.
Il successo del CD audio dovrebbe far riflettere sul fatto che il digitale qualche vantaggio lo deve pur avere. I puristi dell'hi-fi giurano che con un supergiradischi si sente meglio che con un CD. Forse è vero.
Ma è anche vero che i dischi hanno i bassi compressi (altrimenti i solchi sarebbero troppo larghi), che si usurano meccanicamente, che sono voluminosi e delicati, che la separazione tra i due canali non è molto buona. E che nel supergiradischi di cui sopra il fonorivelatore (la "puntina" per noi comuni mortali) costa anche varie migliaia di Euro (!).
Fatti due conti e soppesati pregi e difetti alla fine il CD ha prevalso di gran lunga.
Ancora sul CD, teniamo infine conto che i famosi "44 kHz 16 bit" (di cui vedremo tra poco il significato) sono specifiche di fine anni settanta.
Oggi si potrebbe registrare la musica sul DVD a 96 kHz e 32 bit (qualcosa in tal senso si sta facendo) e penso che i fan del vinile rimarrebbero con poche argomentazioni valide.
Dunque ha poco senso parlare di "digitale" in assoluto se non si tiene conto della sua implementazione pratica.
Per trasformare un suono, per sua natura analogico, in forma digitale occorre campionarlo.
La campionatura non è altro che la registrazione di determinati valori numerici a determinati intervalli di tempo.
Esattamente come facevamo per la temperatura del giardino.
Ma quali valori assegnare? E quale deve essere l'intervallo tra i campioni?
Al solito, occorre scegliere tali valori in base a considerazioni tecnico economiche.
Dando per scontato che la precisione della lettura deve essere "più alta possibile" e l'intervallo "più breve possibile", all'atto pratico sceglieremo il miglior compromesso tra qualità e costo.
A complicare le cose ecco che arriva l'elettronica. I componenti elettronici che manipolano dati digitali lavorano, nella quasi totalità dei casi, in binario.
Cioè, come il computer, usando la base due.
La base due ha due simboli, "0" e "1". A parte questo funziona esattamente come tutte le altre basi.
Ogni cifra binaria viene definita "bit" (contrazione di "binary digit").
Per sapere quanti valori si possono identificare con un certo numero di bit si usa la formula:
valori = base^n
Dove la base vale 2 e "n" il numero di bit.
Con 8 bit abbiamo 256 valori differenti.
Co 16 bit 65536 e così via.
Ecco che già una cosa salta all'occhio. Può sembrare che una apparato "a 20 bit" sia "quasi" come uno "a 24 bit". Abbiamo visto invece che ogni bit aggiuntivo raddoppia il numero di valori ottenibili, quindi il secondo apparato ha una precisione ben sedici volte superiore al primo!
Per uso chitarristico mi pare di vedere che si vada dai 18-20 bit in fascia media e medio alta ai 24 bit in fascia alta.
Per quanto riguarda la l'intervallo tra i campioni, questo viene spesso espresso in termini di campioni al secondo quindi in Hertz (Hz).
Per scegliere il valore adeguato ci viene in aiuto il "teorema del campionamento" che più o meno recita:
"Per campionare una banda di frequenze audio occorre usare una frequenza di campionamento pari ad almeno il doppio della frequenza più alta della banda."
L'orecchio umano percepisce i suoni nella banda tra i 16 Hz ei 16 kHz, ma qualcuno arriva ai 20 kHz.
La chitarra probabilmente non supera gli 8 kHz.
Fortunatamente, in questo caso, quando intervengono i costi a limitarci abbiamo raggiunto il nostro scopo da un bel pezzo.
Un processore tra i più blasonati come il G-Force ha "solo" 40 kHz (quindi campiona suoni fina a 20 kHz).
Numero di bit e frequenza di campionamento possono dare solo un indicazione di massima della qualità di apparato audio.
Vi sono tutta una serie di altri parametri che influiscono sul suono e, alla fine, direi che sono anche più importanti.
Si veda per esempio il caso degli apparati a modellazione fisica.
Benché sia sorprendente la qualità e la versatilità che si riesce a ottenere, specie in registrazione diretta, da uno scatolotto del costo di poche centinaia di Euro, sento spesso fare paragoni con gli amplificatori valvolari che questi apparati emulano via software.
Ebbene permettetemi di dire che se la qualità ottenibile non è ancora paragonabile a quella dell'amplificatore reale, la "colpa" non è da attribuire al "digitale" in se, ma alla modellazione software ancora troppo approssimativa. La simulazione software di un modello fisico non è cosa da poco e gli elementi da tenere in considerazione sono moltissimi.
Guardiamo, per paragone, alla grafica 3D. Se paragonate un film di ultimissima generazione come "Final Fantasy" vedrete che non siamo ancora alla perfetta simulazione della realtà, ma la differenza con i film di qualche anno fa è notevole.
Eppure la "risoluzione" video è sempre quella e le schede grafiche usate sono sempre a 24 bit da anni.
E' il "software" che non è ancora abbastanza evoluto.
Sicuramente, anche nell'emulazione sonora, si potrebbe già oggi avere di più.
Ma l'uso di algoritmi più realistici richiederebbe un processore di potenza superiore.
Il costo dell'apparecchiatura renderebbe più economico l'uso... degli amplificatori tradizionali!

10) Che cos'è un equalizzatore? E un eq grafico? E un eq parametrico?

Lo spettro sonoro viene in genere diviso (arbitrariamente) in bassi, medi e acuti. Si tratta sempre di aria in vibrazione che sollecita i nostri timpani ma suoni di diverse altezze si differenziano per la frequenza dell'oscillazione.
In generale un suono è un insieme di frequenze diverse sovrapposte la cui ampiezza e frequenza relativa provoca nel nostro cervello sensazioni diverse.
Il nostro apparato uditivo è invece poco sensibile alla fase relativa tra le frequenze che compongono il suono (dette appunto "componenti").
Vi sono varie situazioni in cui si possa desiderare di alterare lo spettro sonoro attenuando o enfatizzando determinate bande di frequenze.
L'ascolto di musica in ambienti non idonei porta inevitabilmente all'esaltazione di alcune frequenze e all'attenuazione di altre.
Inoltre i vari elementi dell'impianto, specie se di qualità non eccelsa, possono anch'essi "colorare" il suono di sfumature indesiderate.
E' stato quindi messo a punto un circuito capace di modificare l'ampiezza relativa di alcune bande di frequenze.
Penso che il nome "equalizzatore" derivi proprio dalla necessità di ricreare, compensando i vari squilibri, il suono originale per riottenere una certa linearità nella riproduzione.
In hi-fi, l'elevata qualità delle apparecchiature ha portato a un progressivo miglioramento della riproduzione e ormai alcuni amplificatori sono del tutto privi dei già scarni controlli di tono a due bande (bassi e acuti) presenti sugli amplificatori più diffusi. Anche l'uso del cosiddetto "loudness" (un circuito che esalta le frequenze basse in modo da compensarne la naturale perdita a bassi volumi) va scomparendo.
Ma, mentre in hi-fi l'obiettivo è quello di riprodurre il più fedelmente possibile la musica così come è stata registrata, laddove il suono viene "creato" alterare lo spettro armonico è una delle operazioni fondamentali. la creazione del nostro "suono" di chitarra abbisogna senza dubbio di questa fase.
Agire sull'eq avrà una pesante influenza sul suono generato quindi, una conoscenza almeno basilare è necessaria per raggiungere il risultato desiderato.
Un equalizzatore agisce su un certo numero di bande di frequenze, e permette di attenuare selettivamente l'ampiezza delle medesime, talvolta anche di enfatizzarle (eq attivo).
L'eq in realtà agirà su ogni banda in maniera non lineare. Ci sarà un centro banda, dove l'attenuazione o l'enfatizzazione saranno massime e una "campana" di frequenze dove l'azione dell'eq, in quella banda, sarà man mano meno accentuata verso gli estremi della stessa.
All'aumentare del numero delle bande aumenta la precisione con cui possiamo "modellare" lo spettro armonico, visto che ogni controllo agirà su una banda di frequenze più limitata.
Il primo controllo di tono l'abbiamo quasi sempre sulla chitarra.
Il circuito del tono della chitarra è estremamente rudimentale, costituito da un potenziometro, usato come resistenza variabile, in serie a un condensatore che collegano il "caldo" alla massa.
Quando la resistenza è al massimo solo una piccola percentuale di frequenze acute "scappano" verso massa e non raggiungono l'amplificatore.
Con la resistenza al minimo (in corto circuito) la fuga sarà massima e il suono risulterà molto cupo. Occhio che gli acuti persi in questa fase non si recuperano in seguito.
La regolazione dell' eq per uso chitarristico avviene, a grandi linee in questa maniera.
Si regolano gli acuti a piacere.
La stessa cosa vale per i bassi, anche se in certe situazioni se si eccede con i bassi si può saturare l'amplificatore o il cabinet.
La regolazione dei medi è molto importante e spesso si trovano controlli aggiuntivi per una regolazione più versatile di questa banda.
In generale enfatizzando i medi il suono si arrotonda, addolcendosi sulle prime fino a diventare persino fastidioso.
Togliendo medi invece il suono diventa più secco e aggressivo (mid scooped), dalla caratteristica sonorità metal. Un effetto collaterale è una sensazione di volume inferiore, che andrà compensata agendo, appunto, sul volume.
Nell'amplificatore per chitarra i toni vengono in genere sistemati prima o dopo il preamplificatore, dove viene generata la distorsione.
Vi sono due scuole di pensiero.
Metterlo dopo, "alla Fender", permette ai controlli di avere un'escursione più ampia.
Il problema è che aumentando troppo i bassi si può saturare il finale ottenendo un suono "slabbrato".
Metterlo prima, "alla Marshall" permette di evitare tale problema, anche a regolazioni estreme, ma l'effetto dei controlli sul suono sarà più limitato.
Alcuni costruttori come Mesa Boogie hanno optato per entrambe le soluzioni, proponendo alcuni amplificatori con un pre-eq, a manopole tradizionali e un post-eq grafico.
L'eq "grafico" non è altro che un equalizzatore, generalmente con 5 o più bande, dove i potenziometri usati sono del tipo "a slitta" (sliders).
Si tratta sempre di eq attivi.
I vari sliders sono disposti uno a fianco all'altro.
Con i cursori a metà corsa il suono attraversa l'eq inalterato.
Alzando i cursori si esalterà quella banda di frequenze, mentre abbassandolo la si attenuerà. L'appellativo "grafico" deriva dal fatto che, a differenza degli eq con manopole rotative, si ha la possibilità di avere a colpo d'occhio il riscontro di come lo spettro venga equalizzato. Questo è tanto più necessario se le bande sono in gran numero.
L'eq parametrico è molto potente e permette un controllo veramente notevole sul suono. E' però per sua natura poco intuitivo e di difficile uso.
Una banda parametrica, oltre al controllo per regolare l'intensità della correzione, dispone di un controllo per regolare la frequenza di centro banda di cui parlavo prima.
La "campana" quindi si muoverà in frequenza andando ad agire su una banda si frequenze più grave o più acuta.
E' possibile avere inoltre un terzo controllo dove si agisce sul "Q" della banda.
In parole povere si tratta dell'ampiezza della banda, cioè della larghezza della campana.
A un Q basso corrisponderà una campana larga mentre all'aumentare del Q la campana si restringerà e la banda di frequenze interessate sarà via via minore.
Il tipo più semplice di eq parametrico consta di una manopola denominata spesso "Contour". Questa manopola, a seconda di come viene implementato il circuito, va ad agire sull'ampiezza, sul centrobanda e anche sul Q (o su solo alcuni di questi parametri).
Eq parametrici più completi (e complessi) sono costituiti da un certo numero di bande, generalmente da 2 a cinque, dove una o più bande possono avere i controlli prima descritti.
Non è infrequente trovare alcuni rudimentali eq parametrici su bassi elettrici dalla circuiteria attiva.

11) Meglio transistor o valvole?

Per amplificazione si intende l'incremento della potenza di un segnale. La potenza è il prodotto di tensione e corrente, quindi avremo amplificazione se otterremo un incremento di uno o entrambi i fattori.
Un tempo per amplificare i segnali si usavano le valvole termoioniche dette anche tubi a vuoto ("valves" in UK e "tubes" in USA).
Nella sua forma più rudimentale la valvola è un bulbo di vetro, metallo o ceramica contenente catodo e anodo, due elettrodi posti ad elevata differenza di potenziale.
Una griglia metallica viene interposta tra i due elettrodi.
Il segnale da amplificare viene applicato sulla griglia e questo "modula" il flusso di elettroni. Ritroveremo quindi tra i due elettrodi un segnale che segue l'andamento di quello di griglia ma a tensione molto superiore.
Già da decenni il transistor ha soppiantato la valvola nella quasi totalità delle applicazioni.
Il transistor è costituito da un un pezzetto di silicio opportunamente trattato con processi fisico chimici fino ad ottenere una struttura che "mima" il comportamento della valvola. Ha tre terminali che prendono nomi diversi a seconda del tipo di transistor.
Emettitore, base e collettore ed emettitore nei transistor bipolari a giunzione (BJT).
Source, gate e drain nei transistor a effetto di campo (FET).
Gli unici campi dove le valvole mantengono una sostanziosa presenza sono nel campo delle altissime potenze e negli amplificatori per chitarra.
I motivi del successo dei transistor si possono riassumere in costo inferiore, maggiore durata, minore dispersione delle caratteristiche (sia nel tempo che tra transistor diversi dello stesso tipo), dimensioni assai contenute, superiore robustezza meccanica, minore potenza dissipata, migliore rendimento.
La possibilità di essere rimpiccioliti fino al microscopico ne permette l'integrazione di decine di milioni di unità su una piastrina (chip) di pochi mm quadrati con evidenti vantaggi dal punto di vista informatico.
I vantaggi del transistor vengono meno in applicazioni di elevata potenza dove i transistor diventano antieconomici, e assai meno inclini a sopportare "maltrattamenti" termici ed elettrici.
Perché allora l'amplificazione della chitarra, viste le basse potenze in gioco, ha visto la valvola mantenere una posizione di prestigio?
In hi-fi, dove l'obiettivo è la ricerca della purezza sonora, un amplificatore valvolare offre minimi vantaggi rispetto ad uno "allo stato solido". L'elevatissimo costo degli impianti valvolari "esoterici" ne ha ristretto l'utilizzo a una ristretta cerchia di appassionati.
Nella chitarra elettrica invece si ricerca la distorsione come abbellimento sonoro. Ed è proprio in distorsione che il diverso carattere di valvole e transistor emerge in maniera tutt'altro che trascurabile.
Ma cos'è la distorsione?
Per distorsione in senso stretto si intende una qualsiasi alterazione delle caratteristiche di un segnale, con la sola eccezione della sua ampiezza.
In senso chitarristico invece per distorsione si intende un alterazione ben precisa, difficile da descrivere a parole ma ben nota ad ogni chitarrista.
Storicamente la distorsione è nata per caso, tramite l'utilizzo di amplificatori per voce spinti oltre il loro limite di funzionamento lineare. Riconosciuto l'inconveniente come musicalmente apprezzabile, si è cercato in seguito di riprodurlo di proposito, di migliorarne le caratteristiche e di renderlo disponibile a qualsiasi volume.
Vi sono vari modi per ottenere distorsione, ma il modo più classico consiste nel saturare un elemento attivo.
Abbiamo visto come un elemento attivo amplifichi un segnale, ma sia che si tratti di valvola o di transistor, vi sono dei limiti fisici all'amplificazione che un singolo elemento possa fornire.
Oltre una certa soglia, se continuiamo ad aumentare il segnale di ingresso, l'elemento va in saturazione.
Cosa succede e che ripercussione ha la saturazione sul suono?
Dobbiamo fare qualche passo indietro e aggiungere elementi alla nostra discussione.
Per segnale periodico si intende un segnale variabile che si ripeta nel tempo.
l'intervallo di una ripetizione viene detto periodo (t).
l'inverso del periodo è detta frequenza (f).
f = 1 / t
Il segnale che esce dalla nostra chitarra non è periodico a tutti gli effetti, ma se prendiamo solo brevi intervalli di tempo lo possiamo considerare periodico.
Difatti l'oscillazione della corda si ripete in maniera pressoché identica tra un oscillazione e quella immediatamente successiva.
Esiste una teorema matematico, molto affascinante sebbene assai poco intuitivo, che afferma che una qualsiasi forma d'onda periodica si può scomporre in una somma di un certo numero (a volte infinito) di componenti sinusoidali.
Se potessimo "fotografare" un periodo del nostro segnale di chitarra (e, in pratica, potremmo benissimo disponendo di un oscilloscopio...), vedremmo che assomiglia abbastanza a una sinusoide.
Se lo sottoponiamo al nostro elemento attivo, ci ritroveremo in uscito un segnale il cui periodo avrà la stessa forma, ma di ampiezza superiore di un certo numero di volte.
aumentando via via l'ampiezza del segnale di ingresso a un certo punto l'elemento attivo andrà in saturazione non riuscendo più a seguire l'andamento del segnale in ingresso. Più di tanta potenza non potrà fornire e quindi i picchi positivi e negativi del nostro segnale subiranno la cosiddetta "tosatura" (clipping).
I transistor saturano molto nettamente, e il clipping avviene tagliando di netto i picchi del segnale.
Le valvole invece saturano progressivamente, e i picchi subiranno uno schiacciamento arrotondato che via via tenderà ad appiattirsi maggiormente.
Inoltre la semionda negativa subirà un clipping asimmetrico rispetto a quella positiva.
Se andiamo a vedere la scomposizione armonica delle due onde distorte così ottenute vedremo come quella generata dalla valvola avrà armoniche prevalentemente pari, mentre il transistor prevalentemente dispari.
Le armoniche pari tendono a produrre suoni giudicati più gradevoli di quelle dispari.
Non mi illudo di aver esaurito l'argomento in due parole.
La distorsione è un argomento assai complesso e ho solo graffiato la superficie.
Sebbene non sia vero in assoluto che un ampli a valvole debba suonare meglio di un ampli a transistor in ogni situazione, la cosa viene giudicata vera dalla maggior parte dei chitarristi nella maggior parte dei confronti, e la presenza sul mercato di un gran numero di amplificatori valvolari dovrebbe esserne l'indubbia riprova.
Come ultima nota ricordo che i transistor non sono tutti uguali.
Anche dal punto delle curve caratteristiche (le funzioni corrente-tensione) si può vedere come i MOS-FET (un tipo di FET) presentino curve assai simili ai pentodi (un tipo di valvola), e vengano spesso utilizzati per la loro somiglianza con le valvole al posto dei BJT.
Anche se non mancano amplificatori di pregio a transistor, la maggior parte degli amplificatori a transistor vengono realizzati con lo scopo di contenere i costi ma non solo.
Il costo delle valvole, la loro durata limitata, la loro delicatezza meccanica, il peso e le dimensioni dei circuiti valvolari possono in certi casi far preferire la soluzione a stato solido.
Forse, siccome i finali a transistor non suonano bene in saturazione, se si sceglie il finale a stato solido converrebbe prenderne uno di potenza elevata in maniera da fare il suono col pre e lasciare che il finale lavori in zona lineare.
Tutt'altro discorso meritano infine gli amplificatori digitali, dove i finali sono a transistor mentre il preamplificatore è digitale e la distorsione viene creata tramite emulazione software.

12) Che tipi di amplificatori per chitarra elettrica esistono?

La chitarra elettrica non ha cassa di risonanza. Alcune chitarre possono avere qualche cavità nel corpo, anche piuttosto estese (le cosiddette "semiacustiche") che ne influenzano il suono in maniera sostanziale ma richiedono sempre di essere amplificate per poter essere usabili.
Il segnale che esce dai pickup è piuttosto debole, nominalmente -10dBm. Richiederà quindi un circuito di amplificazione, anche per poter pilotare delle semplici cuffie.
In un sistema di amplificazione hi-fi abbiamo in genere tre elementi fondamentali nella catena di amplificazione.
Preamplificatore, finale di potenza, diffusori acustici (le "casse").
Nessun elemento attivo, transistor o valvola che sia, ha un guadagno così elevato da poter accettare in ingresso un segnale debole come la puntina di un giradischi e fornire in uscita i watt necessari a pilotare gli altoparlanti.
In generale poi, non è solo l'ampiezza del segnale a dover essere aumentata e sarà quindi necessaria una lunga catena di elementi attivi che amplifichino o alterino il segnale dello stadio precedente. In generale il preamplificatore eleva tutti i segnali delle varie fonti a un livello standard ed, eventualmente, è possibile intervenire con i controlli di tono. In seguito il segnale viene sottoposto al finale di potenza che piloterà le casse.
Il finali hi-fi in genere non hanno il controllo di volume che viene effettuato sul pre.
La stragrande maggioranza degli amplificatori hi-fi che ci sono nelle nostre case presentano pre e finale in un unico contenitore, i cosiddetti "amplificatori integrati" (non "a integrati" è un altra cosa...). Esistono anche pre e finali separati, ma sono tutti di qualità (e prezzo) elevati. I puristi del suono ricorrono spesso a tale separazione perché separare i due stadi ha effetti benefici sul rumore, a condizione che i cavi di connessione tra pre e finale siano schermati a dovere. Esistono persino lettori CD di categoria elevata che presentano lettore e convertitore DA in chassis separati.
Nell'amplificazione della chitarra elettrica le esigenze sono diverse e diversa è la funzione cui deve assolvere il pre. Il segnale del pickup è di volume relativamente elevato rispetto ad altre sorgenti. Il pre generalmente eleva il segnale della chitarra dai -10 dBm a +4dBm, ma tali valori non sono assoluti. Alcuni pre permettono di regolare tale valore. Nel pre il suono della chitarra viene "costruito". Viene equalizzato e, spesso, distorto. Non mi viene in mente un pre per chitarra che non abbia almeno un canale pulito e uno distorto. Se proprio ha un canale solo, in genere si può comunque farlo suonare da pulito o da distorto. Nella fase di preamplificazione poi vengono aggiunti gli effetti. Dal semplice riverbero ai vari chorus, delay, flanger e via dicendo.
Alla fine il segnale ottenuto, elevato di livello e alterato a piacere viene sottoposto al finale. Il finale in genere ha un guadagno prefissato e il volume viene regolato dal pre.
Fanno eccezione i finali in formato rack. Sono spesso stereofonici e sovente sono dotati di controllo di volume per ogni canale ed eventualmente di altri controlli come vedremo dopo. Teoricamente il finale dovrebbe amplificare il segnale del pre senza introdurre altra alterazione che aumentarne l'ampiezza. I pratica i finali ci mettono di suo eccome. In ambito chitarristico non si insegue l'alta fedeltà e i finali vengono costruiti in modo da caratterizzare ulteriormente il suono.
La cassa (o cabinet) infine trasforma il segnale elettrico ad alta potenza in movimento alternato del cono di ogni altoparlante presente, mettendo l'aria in vibrazione e producendo quindi il suono che verrà infine captato dalle nostre orecchie.
Vi sono vari sistemi di amplificazione diversi, ognuno adatto a necessità differenti.
a) Combo.
E' la soluzione più datata. Si tratta di una cassa che integra al suo interno preamplificatore, finale e altoparlanti.
Si va dal combo economico per uso casalingo al combo valvolare del costo di parecchi milioni. E' una soluzione pratica, forse la più diffusa tra i chitarristi. Offrono come vantaggio una certa comodità di trasporto e immediatezza di utilizzo. Generalmente hanno due o più canali ed è quasi sempre possibile cambiare canale tramite un'interruttore a pedale, spesso fornito. In genere non hanno effetti ad eccezione del riverbero. Qualcuno ha anche il chorus. Sebbene integrati è spesso possibile solo una parte delle componenti del combo. Per saltare il pre si entra direttamente nel finale in una presa denominata "main in", "power amp", "return" o simili. Oppure si può uscire dopo il pre dalla presa "pre out" o "send".
Sui modelli più grossi è spesso possibile anche usare il solo cabinet, come fosse una cassa oppure aggiungere un secondo cabinet oltre a quello incorporato.

Molti usano aggiungere overdrive, distorsori e effetti a pedale interposti tra chitarra e ingresso del pre. Alternativamente possono essere posti nel loop effetti dipende dalla situazione e da cosa vogliamo ottenere.
I combo valvolari più grossi hanno spesso due coni da 12 pollici o anche 4 da 10 pollici e sono tutt'altro che leggeri.
Il fatto poi che l'ampli sia integrato con il cabinet può causare problemi di microfonicità in quanto le valvole subiscono le vibrazioni dei coni essendo meccanicamente collegate allo stesso chassis.

b) Testata (Head o Stack).
Nella soluzione testata e cassa pre e finale sono inseriti in un contenitore mentre la cassa coi coni in un altro.
La versatilità è superiore al combo per poter abbinare il cabinet preferito. Molti usano la cosiddetta "quattro per dodici", costituita da 4 coni da 12 pollici.
La testata può essere comodamente sistemata sopra la cassa che così, specie sulle 4x12, viene a trovarsi ad un altezza che ne rende piu' accessibili i controlli.
Occorre prestare attenzione al collegamento della cassa.
Ve ne sono di varie impedenze ma generalmente sono da 8 Ohm.
Molte casse però possono essere disposte in serie o in parallelo, quindi l'impedenza totale vista dal finale potrà avere valori differenti.
Per chi volesse calcolare l'impedenza di più casse collegate ecco le formule.
Per due impedenze in serie:
Rserie = R1 + R2.
Es: ponendo in serie due casse da 8 Ohm avremo
Rserie = 8 + 8 = 16 Ohm.
Per due impedenze in parallelo:
Rparallelo = (R1 * R2) / (R1 + R2)
Es: ponendo in parallelo due casse da 8 Ohm avremo
Rparallelo = (8 * 8) / (8 + 8) = 64 / 16 = 16 Ohm.
Nella 4x12 abbiamo 4 coni da 8 Ohm.
La cassa ha anche 8 Ohm in quanto si ha il collegamento in parallelo di due coppie di coni in serie.
Se vi fate i conti vedrete che tutto torna.
Se le due impedenze sono identiche il conto è molto banale, se messe in serie l'impedenza totale è il doppio, se in parallelo l'impedenza totale è la metà.
Perché è importante conoscere l'impedenza della cassa?
Perché nella cassa scorrerà una corrente dipendente dalla sua impedenza. Alcuni finali lavorano con un largo range di impedenze senza problemi e senza nessuna regolazione da effettuare. Altri invece richiedono che si predisponga un selettore a seconda dell'impedenza della cassa. Se si sbaglia di configurarlo si rischia di danneggiare seriamente il finale.
In linea di principio le testate sono simili al combo per quanto riguarda regolazioni e utilizzo. Si trova spesso lo stesso amplificatore in versione testata o combo.
c) Preamplificatore e finale separati in versione rack.
E' la soluzione più moderna.
Il pre e il finale sono separati in chassis di metallo dalle misure standardizzate in maniera da poter essere montati in appostiti contenitori (Fly case).
La versatilità dei collegamenti è massima. La qualità degli apparati i formato rack in genere e da media ad alta.
I preamplificatori rack sono spesso controllabili via MIDI. I più rudimentali permettono solo il cambio canale, mentre altri danno la possibilità di impostare le regolazioni a piacere per poi salvare la configurazione in una serie di locazioni di memoria dette "patch" per poter essere richiamate in seguito tramite un foot controller MIDI.
Vi sono pre che forniscono solo suoni puliti e distorti e altri con il processore di effetti incorporato. Nel primo caso si può aggiungere gli effetti acquistando uno dei numerosi processori di effetti e collegarlo in loop al pre.
I finali rack sono spesso stereofonici. Malgrado la chitarra sia monofonica, molti degli effetti sono stereo.
In genere chi preferisce la soluzione rack alla più classica testata è un chitarrista che ricerca un gran numero di suoni differenti a portata di mano e spesso gradisce che vengano amplificati in stereo.
Sulla carta sembra essere la soluzione migliore eppure la maggior parte dei chitarristi continua ad affidarsi a combo e testate. Perché?
I motivi possono essere vari e non tutti oggettivamente validi.
Vi sono due principali svantaggi dei sistemi rack che ne limitano la diffusione.
Il primo è l'elevato costo. Qualsiasi cosa venga venduta come rack finisce per costare decisamente più di un prodotto di pari qualità in altro formato.
Il secondo è la complessità. Versatilità e semplicità non vano di pari passo.
I preamplificatori MIDI e i multieffetti spesso sono assai complessi e non tutti i chitarristi sono disposti a investire il tempo necessario per imparare a sfruttarli a fondo. I parametri a disposizione sono così tanti, le combinazioni così numerose e l'escursione dei controlli così estesa che se non si sa esattamente come agire si finisce quasi inevitabilmente per produrre suoni di qualità peggiore che rispetto a una buona testata. L'investimento richiesto in tempo e denaro può essere eccessivamente oneroso le soluzioni tradizionali sono ancora le più utilizzate.
d) Emulatori di amplificatori a modelli software.
E' la rivoluzione degli ultimi anni, derivata dai guitar synth.
Il tentativo di replicare il suono tramite un sintetizzatore non è nuova. L'idea alla base di questi apparati è questa.
Un amplificatore riceve in ingresso il segnale della chitarra. Il suono non viene solo amplificato, ma anche alterato più o meno profondamente sia dal pre che dal finale. Poi viene trasformato in suono dal cabinet e ritrasformato in segnale elettrico da un microfono. Infine viene registrato.
Ognuna di queste fasi introduce trasformazioni che avranno, in misura diversa, ciascuna un loro peso nel suono registrato. L'idea è quello di copiare il più fedelmente possibile la trasformazione che il suono subisce in questa catena (con l'esclusione dell'ultima fase, ovviamente). Per fare questo si usa un microprocessore simile a quello dei computer ma specializzato nel trattare segnali digitali, cioè un DSP (Digital Signal Processor).
Osservando come il suono viene modificato dalla catena si scrive un software che possa ricreare il più fedelmente possibile questa trasformazione.
I risultati ottenuti sono incoraggianti e questa tecnologia è promettente. Ho già fatto il paragone con la grafica 3D e tutti possono vedere quali sono stati i progressi nel corso degli anni. Anche nel campo chitarristico questa evoluzione è evidente anche se mi sembra che non si sfrutti ancora appieno le tecnologie già esistenti. Tutti i prodotti sul mercato sono infatti piuttosto economici.

13) E' vero che i valvolari suonano più forte degli ampli a transistor?

Io penso che non sia vero in generale. Può però accadere che un amplificatore abbia una resa sonora diversa da un altro a parità di potenza. Il problema è che la potenza di un ampli è solo una delle sue caratteristiche.
Per fare un paragone si pensi a due autovetture di cui si possa dire che hanno entrambe 60 CV a 4500 giri/min. Questo fatto ci dà un'indicazione solo parziale del comportamento della vettura. La prima potrebbe infatti essere un diesel, con più coppia e la seconda un benzina con più scatto e allungo.
L'orecchio umano ha una sensibilità non lineare a suoni di frequenze diverse. Se ascoltassimo due toni, uno a 100 Hz e l'altro a 1000 Hz da due amplificatori da 1 W, scopriremmo che il tono più grave ci sembrerebbe di volume sensibilmente inferiore al tono acuto.
Ne consegue che se avessimo due ampli da 100 W, di cui il primo progettato per avere più estensione agli estremi della banda sonora e il secondo per avere tutta la ponteza sulle frequenze medie, quest'ultimo darebbe la netta impressione di suonare più forte del primo (e di fatto, sui medi, lo farebbe).
Un'altro fattore che potrebbe influire e di cui pochi tengono conto è l'efficienza degli altoparlanti. Per efficienza si intende il rapporto tra volume sonoro e potenza assorbita. Quindi due altoparlanti di efficienza diversa, attaccati allo stesso amplificatore, suoneranno a volume differente.
C'è un'altra considerazione da tenere presente. Le potenze dichiarate dai costruttori vanno prese con le molle. Esistono varie convenzioni per la misura della potenza e se le specifiche di un amplificatore non riportano la sigla "RMS", non possiamo sapere a primori quanto potente sia l'ampli in questione. In generale se non c'è scritto RMS aspettatevi un volume sonoro inferiore.
Nei finali a transistor, la potenza erogata, dipende dal carico applicato e sarà massima in corrispondenza del minimo carico supportato.
Per fare un esempio un finale da 120 W RMS potrà erogare 120 W su 4 Ohm che scenderanno però a 100 W su 8 Ohm e a 90 W su 16 Ohm.
Nei finali vavolari invece, il trasformatore di uscita presenta adattamenti per vari tipi di carico permettendo di ottenere sempre la potenza massima.
Infine si dovrebbe tener conto di un'ultimo fattore.
Come già visto, le valvole quando vanno in saturazione non tosano subito i picchi in maniera netta come fanno i transistor.
Questo fatto permette al progettista di spingere i finali valvolari un po' di più mantenendo la distorsione armonica entro livelli accettabili e, in ambito chitarristico, la saturazione dei finali è considerata desiderabile in molte situazioni.

14) Come si effettuano i collegamenti tra finale e casse?

Noto parecchie discussioni e richieste su questo argomento e vorrei scrivere due righe con un'importante avvertenza.
L'argomento è particolarmente rognoso e richiede una conoscenza particolareggiata degli apparati e dei cabinet, conoscenza che non possidedo in generale. Il problema va affrontato caso per caso evitando la procedura "provo e poi chiedo" preferendo la più sicura "chiedo e poi provo".
Anche se nel mio FAQ ho cercato il più possibile di restare sul generale, dovrò quì fare riferimento a modelli specifici.
Resto a disposizione per ogni chiarimento ma non mi assumo nessuna responsabilità per danni eventualmente arrecati alle apparecchiature.
Prima di fare qualsiasi collegamento di cui non siate sicuri chiedete agli amici, in Internet, al negoziante, al costruttore. Se avete esperienze su apparati in particolare fatemelo sapere, ve ne sarò grato.
Cominciamo dai cavi.
La maggior parte dei collegamenti tra finali e casse avviene con cavi intestati con jack grandi, come quelli della chitarra elettrica.
Questa scelta è un po' sfortunata perché ha contribuito alla fin troppo diffusa credenza che si possano usare normali cavi "per chitarra" a tale scopo.
Errato. I cavi per chitarra non vanno bene, occorrono cavi di potenza.
Di sicuro se ne trovano in commercio (specificate al negoziante che vi servono per collegare le casse) ma potreste farveli da soli.
Consiglio la cosa solo se si ha dimestichezza col saldatore perché un cavo di segnale fatto male vi darà disturbi ma uno di potenza potrebbe bruciarvi il finale.
Per i cavi di potenza occorre usare un cavo a due conduttori affiancati.
I conduttori devono essere a trecciola di rame e di generosa sezione.
Per gli impianti hi-fi casalinghi si usa sovente la piattina rossonera per alimentatori. Dal punto di vista elettrico andrebbe benissimo, ma io consiglio un cavo con guaina cilindrica di grosso diametro, il più grosso che riusciate a far entrare nella molla dei jack. Questo perché i cavi si calpestano spesso e richiedono dunque robustezza meccanica.
In nessun caso userete un cavo schermato. Non c'è nessun rischio di interferenze, i cavi di potenza trasportano segnali di decine di watt e i segnali di ampiezza infinitesimale che entrano nei cavi tra finale e cassa hanno influenza zero (provate a pensare, se l'avessero, attaccando dei cavi a una cassa spenta si dovrebbe sentire qualcosa, invece no, per muovere un cono ci vuole una potenza minima enormemente superiore a quella del rumore).
Controllate infine che sulla guaina sia riportato la dicitura che il cavo sia di materiale ignifugo.
Per i jack i consiglio connettori in metallo di sicura robustezza.
Fateveli mostrare dal negoziante a svitateli. Preferite i modelli dove il polo caldo vada saldato in una fossetta centrale. I modelli con la "lametta" forata non garantiscono affatto la stessa robustezza meccanica.
Ricordatevi di infilare nel cavo, prima della saldatura, nell'ordine, il cappuccio a vite, la molla, e l'evetuale guainetta che evita che il conduttore caldo tocchi il cappuccio. Se il cavo fatica a entrare nella molla, prima di cedere alla tentazione di buttarla via, provate a lubrificare il cavo con del borotalco. Poi spingete la molla applicando una torsione nel senso necessario ad assecondare la sua dilatazione.
Ora che abbiamo i cavi guardiamo il resto dell'attrezzatura.
In caso di testate le cose non dovrebbero presentare particolari problemi.
Le testate valvolari presentano uno switch per selezionare l'impedenza della cassa (vedere il punto 12) b).
Se la testata non l'avesse (perché a transistor per esempio) controllare sul manuale o sul retro dell'apparato che la cassa rientri nel range di funzionamento dell'amplificatore. A tal proposito sembra che il finale rack a transistor "Marshall 8008" presenti sul retro una scritta che avverta di non usare casse di impedenza inferiore ai 4 Ohm, mentre l'apparato in realtà no gradisce meno di 8 Ohm. Sembra anche che sul manuale questa (grave) svista sia corretta ma spesso i manuali vanno persi, specie per le apparecchiature prese usate.
Per i finali rack invece il discorso si complica parecchio essendo questi quasi sempre stereofonici.
Avendo la sezione multieffetto stereo, l'amplificazione su due canali della chitarra si presta a suoni molto interessanti. Non solo al delay "ping-pong" ma per esempio sugli splendidi chorus stereo, che trovo molto belli e danno al suono una spazialità molto gradevole.
Anche quando non si sfrutti la stereofonicità degli effetti, una coppia di casse 2x12 o anche 1x12 può essere una validissima alternativa alla 4x12 permettendo, a mio avviso, una migliore sonorizzazione dell'ambiente in situazioni live non microfonate.
In queste condizioni le avvertenze sono le stesse, occhio all'impedenza delle casse.
Il problema nasce quando si voglia (o si debba) usare una cassa sola con un finale stereo. Alcuni modelli permettono di selezionare una modalità di funzionamento detta "a ponte". In questa configurazione ogni canale amplifica solo una semionda del segnale.
Vediamo alcuni casi specifici:
a) Rocktron Velocity.
La Rocktron ha prodotto un ampio numero di amplificatori finali rack:
Velocity 150, 300, Valve, 500, 250, 120, 100.
Quest'ultimo è il solo attualmente in produzione.
Con l'eccezione del Valve questi finali si possono configurare per il funzionamento a ponte tramite un interruttore sul retro.
Faccio riferimento diretto al Velocity 120, perché in mio possesso.
Non posso dare per scontato che quanto scrivo valga per tutti i modelli e a tal proposito aspetto segnalazioni da parte vostra.
Il finale è protetto contro i corto circuiti, ma il mio consiglio è di non fare troppo affidamento su questi dispositivi e controllare sempre attentamente i collegamenti prima di accendere il finale.
Sul retro si trovano sei prese jack, due ingressi (per CH1 e CH2) e quattro collegamenti per le casse. In pratica su ogni canale si possono collegare due casse.
Quando si usa il finale in mono, premendo l'apposito pulsante, si connette solo il CH1, attaccando una o due casse alle uscite del CH1.
Ma che impedenza possono avere le casse?
Qui iniziano i problemi. Premetto subito che sul manuale cartaceo che accompagnava il Velocity 120 in mio possesso ci sono scritte cose in seguito smentite dalla Rocktron. Chi avesse uno di tali amplificatori si sacarichi i manuali dal sito. Purtroppo non sono disponibili per tutti i modelli.
In pratica, anche se la Rocktron è più lasca, io consiglio una delle seguenti configurazioni:
Stereo:
Una cassa per canale di impedenza compresa tra i 4 e i 16 Ohm.
Due casse per canale di impedenza compresa tra gli 8 e i 16 Ohm
(Credo che una cassa su un canale e due sull'altro non sia un problema).
Mono:
Una cassa sul canale CH1 di impedenza compresa tra gli 8 e i 16 Ohm.
Due casse sul canale CH1 di impedenza di 16 Ohm.
La differenza rispetto a quanto dichiarato da Rocktron è che io non collegherei due casse da 4 Ohm allo stesso canale. Perché?
Sul FAQ Rocktron spiegano che operare il Velocity 120 in mono su 8 Ohm può portare a spegnimenti dell'unità. Questo perché nel funzionamento a ponte ogni canale vede un'impedenza che è metà del carico. Quindi attaccando una cassa da 8 Ohm in mono equivale (per il carico ai finali) ad attaccarne due da 4 Ohm in stereo.
Sotto i 4 Ohm il Velocity va in protezione, spegnendosi.
Ora se una cassa da 8 Ohm presentasse una impedenza effettiva di, ad esempio 7,8 Ohm, attaccandola al Velocity configurato a ponte, ogni finale vedrebbe un carico di 7,8 / 2 = 3.9 Ohm.
Tale impendenza è inferiore a quella minima sopportabile dal finale e il finale va in protezione.
Ora, io penso che le due uscite di ogni canale siano connesse in parallelo. In questo caso collegare due casse da 4 Ohm allo stesso canale equivarrebbe a collegarne una da 2 Ohm, e non vedo come questo possa andare bene. Ho scritto alla Rocktron per ricevere spiegazioni al riguardo.


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