É notte fonda a Roma, un’umida notte di Agosto. Una grossa Mercedes scura con targa diplomatica varca l’ingresso di Porta Angelica ed entra nella Città del Vaticano. I vetri oscurati non permettono di distinguere l’interno, ma nell’ampio divano posteriore é seduto l’anziano presidente della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinal Ratzinger. Sceso da solo dalla macchina, l’anziano prelato attraversa i Palazzi Apostolici fino a giungere agli appartamenti pontifici. Dopo un brevissimo colloquio riservatissimo (perfino le suore polacche sono state fatte attendere fuori dello studio privato) Ratzinger é di nuovo a bordo della Mercedes che si dirige, ad andatura sostenuta, verso la vicina sede della Caritas Internationalis, a Trastevere. Nel cortile dell’austero palazzo di S.Calisto il cardinale é avvicinato da due giovani preti in abito civile. “Ite, pastor sciet atque vos benedicet” mormora il presule in latino, un po’ per vezzo ed un po’ per dissimulare la tensione. La grossa berlina si allontana silenziosa nella notte.

I due sacerdoti entrano in un piccolo ufficio del primo piano. “Se qualcosa va storto – dice il più anziano – concluderò la mia brillante carriera ecclesiastica come vice-parroco di un paesino dei monti Marsicani, non lontano da Avezzano" “Lo so, padre” risponde l’altro “mentre per me é pronto un bel posticino di cappellano in un lebbrosario che l’ordine dei Premostrantesi gestisce in una delle più piccole isole della Sonda”
“Ma ci sono momenti in cui la nostra missione, la nostra Vocazione, ci obbliga ad agire in nome del superiore interesse del popolo cristiano, quali che siano i rischi o le possibili conseguenze.”
Da un cassetto il prete più giovane estrae un apparato elettronico grande quanto una scatola di sigari che viene collegato ad un telefono, apparentemente un cellulare. In realtà l’aggeggio é uno scrambler, che rende non intercettabile la conversazione, mentre il telefono é un apparecchio satellitare. Attraverso il circuito INMARSAT chiama un numero di una località francese, non lontana da Marsiglia. Appena l’altro lato risponde, senza identificarsi, il prete dice: ”Abbiamo l’autorizzazione. Procedete.” E chiude la comunicazione. (16.700 lire al minuto, cazzo!)

É l’alba, ed un piccolo bimotore Beechcraft si alza da un aeroporto privato dalle parti di Nizza. A bordo, oltre al pilota, tre uomini silenziosi, tratti anonimi e corporatura robusta.
Il piano di volo prevede l’arrivo a Ronchi dei Legionari (TS) dopo circa due ore e mezza, come in effetti accade, in perfetto orario. Le poche parole che i tre scambiano tra loro sono in inglese, anche se un orecchio addestrato riconoscerebbe un accento spagnolo in due di loro  ed un’inflessione slava nel più giovane. Al banco dell’Avis  dell’aeroporto noleggiano un’auto, una Ford Sierra, con la quale in breve tempo attraversano il confine con la Croazia. Hanno pagato la macchina con una carta American Express emessa a favore di una ditta di Dublino, la “McAleese Bros.” in O’Connel St. specializzata in arredi sacri e paramenti liturgici, anche se nessuno di loro, sinceramente,  ha la faccia  di un rappresentante di tovagliette da messa o tonache da prete.

Sono le 14.30 all’orologio del guidatore (avremmo dovuto dire: “un Rolex Daytona  oro e acciaio”, perché lo sanno anche i bimbi più stupidini che i mercenari internazionali sospetti membri di qualche organizzazione paramilitare vicina all’Opus Dei vanno in giro con gli orologi più esclusivi e costosi. Purtroppo il tipo indossa un orrendo orologino di plastica fatto in Cina, avuto in regalo da McDonald’s in occasione dell’acquisto di un Big Mac con patatine. Sul quadrante fa bella mostra di sé un`immagine del Re Leone di Walt Disney, e c’é pure il cinturino di plastica gialla con il disegno della coda del leone!) ed il terzetto entra nella città di Spalato, parcheggiando nelle vicinanze del porto. Una barca di pescatori li porta in rada, dove li attende un veloce motoscafo della Marina Militare Italiana. Un rapido trasbordo e quaranta minuti di navigazione ed i tre sono in vista della “Giuseppe Garibaldi”, corazzata  tutto ponte (in realtà piccola portaerei) ammiraglia della Marina Italiana, in quel momento alla fonda al largo di Lissa, in acque internazionali.
In un hangar immediatamente sotto il ponte principale, due marinai stanno cancellando le insegne e l’immatricolazione da un elicottero Agusta-Bell da sei posti.
I tre sono accolti a bordo dal Capitano di Vascello Luigi Stella che li fa accomodare in una cabina  degli Alloggi Ufficiali, normalmente destinata ad alti gradi o politici in visita.
“Il comandante, ufficialmente, non sa nulla della vostra presenza a bordo” dice Stella.
“Rimarrete in questa cabina fino al momento di partire. Non dovrete parlare né farvi vedere da nessun membro dell’equipaggio. Se qualcosa non filasse liscio, noi non ci siamo mai visti.”
“Non si preoccupi capitano, comunque vadano le cose, lei non ci rivedrà più” dice il più anziano, uno dei due “spagnoli”.
“Cosa vi posso portare, per cena?” domanda uno Stella visibilmente sollevato.

I tre hanno nel frattempo cambiato abbigliamento: due di loro indossano  tuta mimetica e scarponcini anfibi mentre il terzo é in tenuta da pilota elicotterista. Nessuno porta mostrine, gradi o contrassegni di riconoscimento. Al cinturone una pistola automatica di medio calibro e una radio whf con microfono ed auricolare  agganciati all’orecchio sinistro.

Sono ormai le 22 quando  il più giovane dei tre (lo slavo) si siede nel posto del pilota  ed avvia il motore super silenziato dell’Agusta-Bell. Gli altri due salgono dietro.  Un ultimo controllo ai serbatoi supplementari ed in pochi minuti il velivolo decolla dal ponte della “Giuseppe Garibaldi” per dirigersi verso la costa croata. Radio e transponder sono spenti. La quota di volo non supera i 100 piedi.

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