LA CRONACHETTA DELLE PELLICCE




Nel dicembre del 1884 il ventunenne Gabriele d'Annunzio e' a Roma.
Egli si e' da poco unito in matrimonio il 28 luglio 1883 con la contessina Maria Hardouin Gallese.

Queste nozze hanno fatto scalpore nella Roma "bene" di allora perche' avversatissime dalla famiglia di lei che ha peraltro dovuto, ad un certo momento, far buon viso a cattivo gioco di fronte ad una "fuga d'amore" che ha prodotto notevole scandalo.

La famiglia Hardouin, tuttavia, assorbito lo smacco, procura al contestato genero un lavoro presso il quotidiano "La Tribuna" che proprio allora cambia proprietari, orientamento politico (divenendo anticlericale) e veste tipografica, con l'introduzione di molte nuove ubriche.

Le pubblicazioni iniziano il 26 novembre 1884: d'Annunzio si occupa della cronaca mondana ed in qualita di redattore fisso adempie al suo incarico con notevole assiduita'.

La sua collaborazione durera' dal 2 dicembre 1884 al 30 agosto 1888 (per un totale di circa 270 articoli) e quasi ogni giorno "La Tribuna" pubblica un suo scritto contrassegnato da uno dei tanti pseudonimi facilmente riconoscibili: Happemousche (con cui firmera' questa cronachetta), il Duca Minimo, Vere de Vere, Bull-Calf, Filippo la Selvi, Puck ed altri.

La sua firma, Gabriele d'Annunzio, la riserva alla trattazione di argomenti di critica artistica o comunque di tono un poco piu' elevato.

La cronaca mondana viene riferita nelle rubriche "Giornate romane", "Cronache romane", "La vita a Roma", "La vita ovunque", "Favole mondane", "Storie e Storielle", "Grotteschi e rabeschi", e cento altre che d'Annunzio crea e varia a seconda dell'argomento, intercalandole, abbandonandole e riprendendole di volta in volta con la sua vivida ed irrequieta fantasia.

E' ovviamente un d'Annunzio minore, anzi un d'Annunzio "in nuce" che sta gia pensando ai personaggi de "Il Piacere" dipingendo immagini e persone reali e commentando ora a briglia sciolta, ora con levigatezza formale argomenti come le accademie di scherma, le conferenze, le cacce, le corse, i balli, le inaugurazioni, i costumi di Roma, le riaperture delle Camere, i matrimoni (notevole la descrizione di quello tra Matilde Serao ed Edoardo Scarfoglio) e mille altri.

Riguardo questa attivita' non gli mancano certo i detrattori: il Chiarini su tutti lo definisce sarcasticamente "... I'unico scrittore contemporaneo in grado di consigliare una dama nell'acquisto di damaschi e broccati", ma tant'e', Gabriele d'Annunzio e' una specie di rullo compressore e della critica poco si cura.

"La Tribuna" dell'11 dicembre 1884 conteneva nella rubrica "Giornate romane" il secondo articolo di d'Annunzio dal titolo "La cronachetta delle Pellicce" che qui viene riproposto.

Venne ripubblicato una sola volta, nel 1913, nel volume: "Pagine disperse". Si tratta di un raffinatissimo bozzetto che si snoda con gusto musicale cogliendo qua e la deliziose immagini di nobili signore della Roma Umbertina tanto vicine al poeta quanto lontane da noi: viene automatico l'accostamento della loro immagine letteraria con le foto del conte Primoli, un pioniere della fotografia fin de siecle.

L'eleganza formale de "La cronachetta delle pellicce" va assaporata lentamente, rivivendo le immagini e cercando di cogliere un momento, un respiro di un mondo che, nel bene o nel male, dawero non esiste piu.

Quanto alla mia modestissima fatica essa puo dirsi un atto di devozione, una obbedienza al biblico: "Colligite fragmenta, ne pereant".


LA CRONACHETTA DELLE PELLICCE


Giornate oziose e fastidiose.

La citta' e' oppressa dallo scirocco; e, vista dall'alto, appare come una immensa Pompei seppellita dalle ceneri. Una specie di snervamento malsano invade la gente; una irritazione mal repressa manifestasi in tutti i gesti e in tutte le attitudini.

Per la via del Corso le signore tiberine passano al trotto stanco dei cavalli, distese nelle carrozze a meta chiuse, e sono pallide, per lo piu' nascoste da un velo denso, sprofondate nella mollezza delle pellicce. Salutano lentamente; sorridono debolmente; lasciano che la testa dondoli al moto delle ruote; talvolta paiono assopite, e paiono non avere piu forme, sotto l'amplitudine dei mantelli. Oh bei mantelli di lontra ornati di castoro biondo! II pelo lucidissimo si apre qua e la come una spiga, variando l'egual colore cupo con apparenze d'oro. Nulla e' piu' signorilmente voluttuoso che una pelliccia di lontra gia' da qualche tempo usata. Allora le pelli consentono a tutte le pieghevolezze del corpo femminile; ma non con la leggera aderenza della seta e del raso, si bene con una certa gravita' non priva di grazie e di quelle dolci grazie che li animali forniti di ricco pelame hanno nei loro movimenti furtivi. Sempre una specie di lampo, una specie di lucidita repentina precede od accompagna il movimento, e da al movimento una strana bellezza.

Alla giuntura poi delle spalle, su 'I rovescio delle braccia, in torno ai fianchi, e qua e la su 'I seno il colore prende una tono d'una soavita' antica, quasi morente, simile forse a quello d'un vaso di argento dorato in cui l'argento non anche apparisca schietto e l'oro muoia.

Credo che il piu lungo mantello e il piu magnifico sia quello della Principessa di Venosa. Ieri ella era da Spillmann: chiedeva dei bonbons, forse per il five o' clok tea. Aveva un cappello chiuso, con un piccolo pennacchio d'airone e di struzzo; e su 'l volto un velo mouchete'. Ella parlava indolentemente colla Principessa Borghese; e la sua figura mirabile, dalle spalle ampie e lunate, dai fianchi opulenti, dalla sottilissima vita, tutta avvolta nella lontra odorante di Cypre e di sachet de veloutlne, faceva contrasto con la grave persona, con l'altera nobilta' matronale della interlocutrice.

Anche, un altro mantello celebre e quello della contessa di Santafiora. Quella strana figura di gentildonna s'incontra talvolta improvvisamente, nella mattina, allo svolto di una qualche via urbana, su 'l marciapiede. E' una di quelle visioni che turbano un poco. A traverso il velo molto rado, quella faccia pallida, irregolarmente bella, con la bocca rossa e certe volte quasi dolorosa, con li occhi di Venere Ciprigna, da all'improvviso un'impressione, diro cosi, di fatalita', suscita all'improvviso, diro 'cosi, un sogno di amori misteriosi e procellosi.

Invece, la contessa, quando apre la bocca, e quasi sempre ironica, piuttosto fredda, schiva del sentimentalismo, spesso anche mordace, molto allegra di spirito. Ella porta un cappello nero, composto di merletto e di jais, altissimo, alleggerito da un bouquet di piume. Ha il passo svelto; e tiene i gomiti aderenti alla vita, le mani nel manicotto, il manicotto stretto alla veste.

Un'altra contessa, la Taverna, porta la lontra. Chi non sa il divin pallore della contessa Taverna, ed i capelli neri pieni di riflessi blu ondulati, e i lunghi occhi velati dalle lunghissime ciglia?

La duchessa d'Artalia, la piccola duchessa magra dalli occhi turchini e dai capelli cupi, si distingue per le maniche amplissime, ricchissime; donde escono due minuscole mani candidamente.

La principessa d'Antuni ha una pelliccia breve su cui cade un bel ricciolo nero legato da un nastro azzurro pallido o creme.

La duchessa di Magliano porta una giacca, gittata su le spalle militarmente, con le maniche pendenti, su l'abito di panno marron ornato di soutaches.

Tutte queste signore passano per la via del Corso, entro le carrozze, fra le quattro e le cinque del pomeriggio. E nessuna cosa piu' che una pelliccia di lontra, in tempo piovoso, suscita nei riguardanti il desiderio dell'intimita' dell'amore.





BIBLIOGRAFIA

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