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Messa di requiem





Il Requiem per soli, coro e orchestra, fu eseguito per la prima volta, sotto la direzione di Giuseppe Verdi, il 22 maggio 1874, primo anniversario della morte di Alessandro Manzoni, nel corso di una solenne celebrazione commemorativa nella chiesa di San Marco a Milano: gli interpreti erano tra i più celebri cantanti dell'epoca: il soprano Teresa Stolz, il mezzosoprano Maria Waldmann, il tenore Giuseppe Capponi e il basso Ormondo Maini. L'orchestra e il coro erano quelli del Teatro alla Scala, direttore del coro Emanuele Zarini. 
Poiché la partitura del Requiem comprendeva materiale tematico precedentemente elaborato dal musicista oltre al Libera me già composto per commemorare Rossini, Verdi fu particolarmente attento a rendere uniforme e omogeneo il carattere complessivo della Messa e utilizzò, in particolare, il Dies irae (che viene ripresentato quattro volte nella partitura) quale elemento unificante dell'intera composizione. Inoltre, il musicista ritoccò significativamente il Libera me originario (scritto nel 1869) sostituendo dieci battute della primitiva stesura con trenta nuove battute, all'inizio dell'ultima citazione del Dies irae (inclusa appunto nel Libera me), nella parte affidata al soprano solista. 
Verdi considerò certamente molto prestigioso e impegnativo il lavoro compositivo svolto per realizzare il Requiem, se scrisse a Ricordi, nel periodo in cui si dedicava alla stesura della partitura: "[...] Mi sembra di essere diventato una persona seria, e di non comparire più come un pagliaccio dinanzi al pubblico, gridando: "Avanti, avanti, favorite!... battendo il tamburo e la grancassa" [...]".
 

 
La composizione è introdotta dal tradizionale Requiem aeternam, cantato dal coro, su un intervento leggerissimo degli archi, sottovoce, il più piano possibile, come prescrive la stessa partitura, nel corpo della quale Verdi fa largo uso di indicazioni di pianissimo: le partiture di Verdi sono ricchissime di segni dinamici e di indicazioni di "coloritura", come pure di ulteriori raccomandazioni (per esempio, nel Requiem: "le corde ben tese onde questo contrattempo riesca secco e molto forte"; "allentate le corde"; "estremamente piano pppp con voce cupa e tristissima"; "sempre cupo e pianissimo", ecc.). 
Il coro prosegue con Te decet hymnus, riprende poi brevemente il Requiem aeternam che introduce il Kyrie, nel quale si presentano i quattro solisti (soprano, mezzosoprano, tenore, basso) con brani di appassionata cantabilità. Esplode quindi l'apocalittico Die irae: lo annunciano quattro accordi di tutta l'orchestra, secchi e tesi, seguiti da gruppi di note rapidissime a disegno discendente. Su un lungo tremolo di due note (sol-fa diesis) e nota (sol) tenuta dai bassi della sezione corale, si snodano i cromatismi discendenti dei soprani, contralti e tenori del coro, in unisono: ogni semifrase è intercalata ancora dai quattro accordi (con la grancassa in contrattempo) e dai gruppi di note rapidissime e raccolte in serie discendenti. Si genera in tal modo un clima espressivo acceso di violenza e terrore. Il movimento si chiude con accenti cupi, ai quali segue l'enunciazione del Tuba mirum, contraddistinto dagli squilli delle trombe, sia presenti nell'orchestra, sia celate, così da sembrar lontane; interviene, poi, al verso "Mors stupebit", il basso solista.
Liber scriptus è intonato dal mezzosoprano solista. Una progressione in crescendo degli archi e del coro reintroduce il Dies irae. Al termine di questa seconda ripresa del brano principale, è ancora il mezzosoprano, con l'accompagnamento lamentoso del fagotto, che intona Quid sum miser. Si uniscono gli altri solisti; maestosamente i soli bassi, dapprima seguiti dai tenori poi da tutto il coro, che introducono Rex tremendae majestatis.
Il brano successivo è tutto incentrato su soprano e mezzosoprano, che recitano una preghiera, Recordare, cui fanno seguito un'aria da chiesa per il tenore solista, Ingemisco, dolce e rasserenante, e Confutatis maledictis, per il basso solista, una sorta di implorazione.
Viene repentinamente riesposto il Dies irae, al quale segue il doloroso e lirico Lacrymosa, che si conclude con un reiterato "Dona eis requiem". Dopo l'Offertorio, sereno e contemplativo, nel quale si esibiscono le quattro voci solistiche, il Sanctus pone in primo piano il doppio coro con sonorità splendenti; segue l'Agnus Dei, una arcaicizzante "idea guida" esposta in tono maggiore da soprano e mezzosoprano: si alternano quindi coro e soliste che ripetono la frase iniziale in tono minore e concludono infine il brano insieme ai coristi. Il successivo Lux aeterna è interpretato dai cantanti solisti (escluso il soprano); il basso interviene con frequenti e gravi "Requiem aeternam".
Il movimento finale, Libera me, che si riferisce al Giudizio Universale, si apre con una invocazione del soprano solista ("Libera me, Domine, de morte aeterna, in dies illa tremenda, quando coeli movendi sunt et terra"), che assume accenti disperati, canta sempre più piano (e sulla parola "timeo" le "p" di Verdi divengono quattro); questi toni estremamente sommessi creano la tensione necessaria a far riemergere drammaticamente l'ultima citazione del Dies irae. Il soprano riprende l'implorante Libera me prima che inizi l'episodio fugato condotto dal coro: torna quindi l'invocazione del soprano solista che chiude, alternandosi al coro, l'intera partitura, con rassegnazione, pacatezza e mestizia.

Dal carattere complessivo della Messa sono quasi del tutto assenti quegli elementi mistici legati a una religiosità che pare fosse del tutto esclusa dalla filosofia esistenziale e dall'ispirazione creativa del dichiaratamente ateo e massone Verdi; le toccanti emozioni che si provano all'ascolto di questa composizione, sono legate a sentimenti umani quali il dolore, il terrore, la speranza di consolazione. La componente religiosa è dovuta esclusivamente al fatto che il Requiem verdiano è composto su un testo utilizzato dalla liturgia chiesastica, quello appunto adottato per la celebrazione delle funzioni per i defunti. La partitura di Verdi si avvale di parecchi elementi molto prossimi agli artifici della tecnica teatrale, quali la passionalità, sovente un po' melodrammatica, di alcuni brani solistici, l'uso contenuto della costruzione polifonica, l'effetto fortemente drammaturgico e declamatorio del motivo conduttore (Die irae). Elementi del resto assimilabili ad altrettanti già presenti nel Requiem di Mozart, nella Missa solemnis di Beethoven, nel Deutsche Requiem di Brahms, nella Grande Messe des Morts di Berlioz.
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