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Rigoletto





Rigoletto, opera in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave tratto da Le roi s'amuse di Victor Hugo ebbe la prima rappresentazione al Teatro La Fenice di Venezia l'11 marzo 1851. Primo violino e direttore d'orchestra, Gaetano Mares; interpreti principali: Felice Varesi (baritono), Rigoletto; Teresa Brambilla (soprano), Gilda; Raffaele Mirate (tenore), Duca di Mantova; Paolo Damini (basso), Sparafucile; Annetta Casaloni (mezzosoprano), Maddalena; Feliciano Ponz (basso), Monterone.
 

 
Rigoletto, uomo deforme e maligno, è buffone alla Corte del Duca di Mantova: ha una figlia, Gilda, che egli tiene chiusa in casa, completamente all'oscuro di quanto egli fa. Durante una festa nel palazzo del Duca, questi si apparta con la contessa di Ceprano, lllmentre Rigoletto irride il marito della contessa. Marullo, uno dei cortigiani, rivela che Rigoletto ha un'amante, che cela gelosamente nella sua casa, e il conte di Ceprano intravede la possibilità di vendicarsi del buffone. Irrompe nei saloni Monterone, che maledice il Duca di Mantova poiché questi ha sedotto sua figlia. Rigoletto lo deride, e Monterone maledice anche lui: il buffone ne rimane turbato. Gilda, da tempo, è corteggiata da uno studente, Gualtiero Maldè, che l'ha avvicinata mentre si recava in chiesa: il giovane è in effetti il Duca di Mantova. Inoltre la fanciulla è spiata dai cortigiani del Duca, che la ritengono l'amante di Rigoletto: una sera, essi organizzano il rapimento di Gilda, coinvolgendo anche il buffone, opportunamente bendato. La giovane verrà condotta al palazzo del Duca, che la sedurrà. Quando Rigoletto scopre il terribile intrigo, libera la figlia e medita la vendetta: pagherà un sicario, Sparafucile, che, con la complicità della sorella Maddalena, dovrà attirare nella propria taverna il Duca, ucciderlo nel sonno e rinchiuderne il cadavere in un sacco che lo stesso Rigoletto, nel cuor della notte, si incaricherà di gettare nel fiume. Gilda riuscirà però a sostituirsi al Duca e, nel sacco, Rigoletto scoprirà la figlia, mortalmente ferita. Con la morte della ragazza, la maledizione di Monterone ha quindi il suo tragico compimento.

Come si è accennato, nell'opera tutti i personaggi vengono presentati con grande maestria, soprattutto per mezzo della musica che commenta con estrema efficacia e incisività i caratteri e i sentimenti dei protagonisti. Alcuni brani dell'opera esemplificano perfettamente la capacità esibita da Verdi nel sottolineare appunto le caratteristiche salienti che contraddistinguono i personaggi:

  • la superficialità, la frivolezza e la fatuità caratterizzano il libertino, cioè il Duca di Mantova. Già all'inizio dell'opera si preannuncia il "carattere" del Duca - e dell'ambiente, leggero e fatuo, che circonda lui e la sua Corte -, nella musica ("Minuetto" e "Perigordino") che si esegue nel corso della festa nel suo palazzo, e che si ispira ai classici "modi galanti" in uso presso le Corti settecentesche. Anche sulla persona del Duca la caratterizzazione è inequivocabilmente tratteggiata, in tutto lo svolgimento dell'azione teatrale, dalla musica: come è agevolmente rilevabile dagli esempi che seguono ("Questa o quella", "La donna è mobile", "Bella figlia dell'amore"), lo schema melodico dei brani a lui destinati nell'opera sono "poveri", scarni e ripetitivi.
  • La sincerità, la dolcezza, l'innocenza, il romanticismo, il sentimentalismo, lo spirito di sacrificio di Gilda ricevono, sempre dalla musica di Verdi, un mirabile contributo in termini di commovente espressività. Tra gli esempi più rappresentativi del carattere di Gilda: il brano "Caro nome", dove le note si percepiscono quasi separate tra di loro da brevi pause, quasi inconfessabilmente languidi sospiri; altrettanto espressivi, "Tutte le feste al tempio", nel quale Gilda narra il suo incontro con il Duca, che lei è convinta essere uno studente "e povero" e, infine, la dolcissima frase che Gilda rivolge al padre disperato, nel finale dell'opera: "V'ho ingannato, colpevole fui".
  • Sui diversi e multiformi aspetti della personalità di Rigoletto la musica di Verdi è altrettanto, se non ancor più, efficace: vero e proprio buffone di Corte, ironico, facile e pronto allo sberleffo, Rigoletto, quando si rivolge ai cartigiani ha, musicalmente, gli stessi "modi" del Duca, privi di contenuti emotivi. Allorché egli è preoccupato per i pericoli e per le insidie a cui Gilda può essere esposta, diviene padre amoroso e l'affetto che lo trasfigura ne modifica profondamente anche il canto ("Veglia, o donna, questo fiore"); la musica lo trasforma ancora in uomo sofferente per la propria situazione morale e fisica ("O uomini!... o natura!..."); o lo rende rabbioso re, allorché vedrà trasformarsi in reale situazione drammatica e tragica le apprensioni manifestate per la sorte della figlia ("Cortigiani, vil razza dannata"). In ogni circostanza è, prevalentemente, proprio la musica che esprime i suoi sentimenti e rende espliciti i suoi stati d'animo: una musica che si rapporta sempre efficamente con tutti i risvolti psicologici del personaggio e li realizza magistralmente.
Il punto più alto della ricerca psicologica e musicale dell'intera opera è comunque raggiunto nel Quartetto (Scena III dell'Atto III): Maddalena e il Duca di Mantova, Rigoletto e Gilda cantano insieme, le loro voci si sovrappongono, ma la musica rispetta, per ciascun interprete, i caratteri distintivi delle singole personalità: Rigoletto ha accenti accorati e canta con tragica consapevolezza; Gilda si esprime con toni accesi dai sentimenti amorosi e dalla commozione; Maddalena canta in modo quasi grottesco, perfino un po' volgare, privo comunque di qualsiasi risvolto sentimentale o che sottintenda emozione; il Duca riprende una delle sue "canzoncine" disimpegnate ("Bella figlia dell'amore"), di contenuto volutamente frivolo e superficiale.
Tutta l'opera è percorsa, infine, dal tema ossessivo della "maledizione", un'idea musicale che ricorda, ogni volta che appare, il peso che esercita il destino rispetto alle vicende del protagonista. Il tema appare nelle primissime battute all'inizio dell'opera, espresso da un "do" ribattuto, e nell'identico modo si ripropone, in termini sempre più minacciosi, sia, ripetutamente, dopo la festa nel palazzo del Duca ("Pari siamo", Atto I, Scena VIII), sia nell'Atto III, dove si ripresenta nelle ultime battute del dramma, allorché Rigoletto constata, con dolore e orrore, l'avvenuta morte della propria figlia, sacrificatasi per salvare la vita al Duca.
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