Dai reperti di cibo carbonizzato si comprende che l'alimentazione dei
pompeiani era a base di verdura, frutta e di pane. La frutta e la verdura
venivano vendute in gran quantità nelle botteghe insieme all'olio,
tanto che Plauto chiamava i romani "mangiatori di erbe".
Tra le specialità dei pompeiani c'era un particolare tipo di
cavolo. Plinio il Vecchio classificò circa 1000 piante commestibili,
con le quali si producevano vari tipi di lattuga, cicoria, cipolle e aglio,
broccoli di rapa, basilico, carote, crescione, porri, meloni, piselli,
ceci, lenticchie, noci, nocciole, mandorle, e diversi tipi di frutta fresca:
mele, melograni, cotogne, pere, uva, fichi e prugne.
Qualche anno prima della catastrofica eruzione del 79 d.C., vennero
importate a Pompei il ciliegio, l'albicocco, e il pesco. Gli ortaggi venivano
conservati per l'inverno in salamoia o in aceto, mentre la frutta si essiccava
e si immergeva nel miele. Quanto al pane, era diffuso già nel II
secolo a.C. Esso era costituito da un frumento più raffinato del
grano usato dai primitivi, e anche dall'orzo.
I panettieri pompeiani sfornavano almeno dieci tipi di pane e addirittura
una specie di biscotto per cani.
Una delizia per il palato dei pompeiani era una salsa di pesce molto
concentrata e dal sapore aspro. Si preparava con le interiora delle sardine,
che venivano mescolare con pezzi di pesce sminuzzati, uova di pesce e uova
di gallina. Il miscuglio, pestato e mescolato a lungo, veniva lasciato
al sole o in un locale riscaldato e poi nuovamente pestato per trasformarlo
in una poltiglia omogenea. Dopo sei settimane di fermentazione, il prodotto
ottenuto, detto liquamen, veniva posato in un cesto dal fondo bucato. Così,
mentre un residuo, considerato commestibile e noto col nome di hallec o
faex, colava dal cesto, vi rimaneva il prodotto finito detto garum dal
nome greco gáron, specie di pesce usato dagli orientali per questa
salsa. Esisteva comunque un gran numero di salse di pesce diverse. Le migliori
erano il garum excellens e il gari flos flos, estratte dalla ventresca
del tonno, dallo sgombro e dalla murena (flos murae). L'hallec, ritenuta
la salsa dei poveri, si preparava anche con le acciughe. Il garum veniva
a volte allungato con acqua o aromatizzato con erbe, forse a motivo del
suo cattivo odore. Scriveva Marziale: "Il fiato di Papilo è così
forte che riesce a trasformare in puzza di garum il profumo più
intenso" (Epigrammi, VII, 94). La salsa era anche un ingrediente importante
nella preparazione delle polpette pompeiane a base di carne di maiale e
pan bagnato nel vino cotto misto a garum. Le polpette si cuocevano infine
in vino cotto insieme a foglie d'alloro. Pompei era rinomata anche per
la produzione di formaggi (casei), affumicati e non, di pecora e di vacca.
per quanto riguarda le abitudini alimentari, i romani solevano fare,
all'alba, una prima colazione ricca e abbondante (ientaculum), a base di
carne. Verso mezzogiorno la famiglia si raccoglieva per il prandium, un
pasto piuttosto leggero: pesci, uova, legumi e frutta. Più tardi,
tra le tre e le quattro pomeridiane, si ritornava a casa per la cena, il
pranzo principale della giornata, a cui si invitavano gli amici, intrattenuti
nell'apposita sala (triclinium) da giocolieri, danzatori, musici, come
racconta Plinio nel 9° libro, lettera 17. Nell'età imperiale
i commensali cenavano sdraiati sui letti tricliniari. Si cominciava con
la gustatio, un antipasto con uova, lattuga, ostriche innaffiate con vino
e miele; poi venivano servite due o tre portate di ogni genere di carne.
Gli ultimi piatti erano i dolci e la frutta. Dopo cena talvolta si beveva
a volontà sotto la direzione di un arbiter bibendi, "re del convito",
eletto con il lancio dei dadi, che sceglieva i vini e stabiliva la grandezza
e il numero delle coppe.
Plinio Caio Gracco