INTELLIGENZA RAZIONALE E
INTELLIGENZA AFFETTIVA

Dott. ROMEO LUCIONI

 

Il tema dell’intelligenza è, da sempre, un problema insolubile sia per gli addetti ai lavori, sia per il profano. Forse la definizione più consona è quella che ricorda che "... l’intelligenza è ciò che si misura con i test per l’intelligenza", ma una tale definizione non specifica esattamente i contenuti, non chiarifica quali siano le "facce" prese in considerazione per osservare una realtà tanto poliedrica come è appunto l’intelligenza.

Una pubblicazione divulgativa di grande diffusione, dal titolo "Psicologia e vita" riporta una interessante analisi del Prof. R.J. Stemberg per la quale si mettono a confronto le caratteristiche di una persona intelligente scelte da gente comune e da psicologi.

 

Si evidenzia immediatamente come gli specialisti accentuino nell’intelligenza il carattere razionale, mentre per la gente comune è valorizzato maggiormente un certo carattere sociale e relazionale. La dimensione scolastica appare più illumunistica e assume carattere di "verità", di essenzialità e si manifesta come alquanto soggettiva ed egocentrica. La lettura popolare dell’intelligenza pone l’accento sulla relazione, sulle capacità sociali, su preoccupazioni per così dire ecologiche, per le quali l’altro diventa un interlocutore ed un modello con il quale confrontarsi.

Nell’attualità, si stanno sempre più valorizzando gli aspetti sociali ed emozionali della persona, oltre a quelli puramente cognitivi e razionali, per definire il grado di capacità professionale e manageriale.

Se ci riferiamo alla psicologia dell’ Io, troviamo che questo si struttura attraverso funzioni primarie e secondarie:

A - FUNZIONI AUTONOME PRIMARIE (libere da conflitti)

ASPETTI ADATTIVI (non sono aspetti difensivi)

servono ad acquistare la costanza di oggetto.

- intelletto

- pensiero

- percezione

- memoria

- abilità motorie e controllo motorio

- linguaggio

- apprendimento

- consapevolezza

- sviluppo di un Io osservatore che utilizza l’obiettività e l’esame di realtà = rafforzamento dei confini dell’ Io

- sviluppo del pensiero concreto

- sviluppo del pensiero astratto

- capacità di valutare le sequenze causa-effetto

- funzionamento mentale sintetico-integrativo

- senso di realtà: orientamento spaziale - confini corporei chiari - discriminazione

destra - sinistra

- capacità di sublimare le spinte libidiche attraverso: razionalizzazione,

adeguamento agli usi ed ai costumi, solidarietà, elaborazione del senso

dell’umorismo

- capacità di intellettualizzare e di idealizzare

- capacità di stabilire rapporti sociali validi

- sviluppo di sentimenti di utilità

- autoconsiderazione

- dipendenza motivazionale

- opportunismo temporale e situazionale

B - FUNZIONI SECONDARIE - legate agli stimoli interni

aspetti cognitivi

1 - difendersi dagli impulsi primitivi

2 - evitare processi di pensiero primario come: onnipotenza, idealizzazione

primitiva, svalutazione

3 - resistere alle tentazioni evitando l’occasione, il fascino delle cose, il contagio

4 - non tendere alla sublimazione

5 - aver cura degli oggetti a garanzia dell’uso futuro

6 - controllare il carattere del passato

7 - evaporizzare i contributi personali nella serie causale degli eventi

8 - instaurare spontaneamente controlli sostitutivi

9 - restare "ragionevoli" di fronte ad inattese offerte di gratificazione

10 - usare un sano realismo nei confronti di regole ed orari

11 - dare un giusto valore al tempo personale

12 - controllare le proprie reazioni nei confronti di errori, fallimenti, insuccessi

13 - programmare realisticamente

14 - scegliere gli strumenti adatti agli obiettivi

aspetti emotivo-affettivi

15 - acquistare capacità di posticipare la scarica di impulsi

16 - imparare a modulare gli affetti (per es. l’ansia)

17 - tollerare ed affrontare le frustrazioni

18 - far fronte all’insicurezza, all’angoscia, alla paura

19 - contenere l’eccitazione psicologica del collettivo

20 - controllare il panico di fronte alla novità, evitando: delirio di familiarità,

atti aggressivi per padroneggiare la situazione, fare pagliacciate e

mettersi in ridicolo

21 - evitare la disorganizzazione di fronte al senso di colpa

22 - non ricorrere ad immagini gratificanti già vissute

23 - controllare le proprie reazioni a situazioni conflittive

aspetti relazionali

24 - difendere l’integrità dell’ Io di fronte alle pressioni della vita di gruppo

25 - saper valutare la realtà sociale

26 - imparare dall’esperienza

27 - trarre conclusioni da quanto succede agli altri

28 - utilizzare la coscienza per finalizzare il comportamento

29 - imparare a dimensionare il senso del diritto

30 - sviluppare autoconsapevolezza

31 - sviluppare autogratificazione per ciò che uno è

32 - saper giustificare

33 - saper coinvolgere

34 - tenere in considerazione l’ Altro

35 - possedere empatia: cioè la capacità di mettersi nei panni degli altri

Come si può chiaramente evidenziare, anche in questo caso una struttura Ioica viene considerata ben adeguata se possiede qualità elaborative che permettono buone relazioni ed un livello ottimale di integrazione sociale. L’autocoscienza o coscienza dell’ Io non si fonda solo su aspetti conoscitivi della mente, ma anche su quelli appetitivi, affettivi e volitivi.

Tenendo conto di questa schematizzazione, si può pensare a un modello che unisca le risposte psicomotorie agli stimoli ed ai meccanismi psichici. Se però vogliamo rendere maggiormente leggibile una realtà psichica che tenga conto dei processi biologici e i meccanismi psichici, possiamo disegnare:

Questo schema, che ci fa pensare che il controllo o la modulazione degli stimoli venga esercitata solo da processi intellettivi, risulta, sotto molti profili, riduttivo, così che può essere sostituito da:

Un approccio alle emozioni coinvolge, prima di tutto, il mondo delle percezioni o, per meglio chiarire, quello degli "stimoli percettivi". Questi sono un qualche cosa di più della percezione pura, cioè quel processo legato esclusivamente agli organi deputati a trasmettere l’informazione dall’esterno sino al cervello, nell’area specifica. In altre parole, dobbiamo sottolineare come una percezione debba contenere un quid di "sensazione" che la differenzia da una pura e semplice "registrazione": potremmo così parlare di "sensazione-percezione".

Il tema che riguarda il controllo delle risposte emotive interessa sia la sfera biologica, sia la componente psicologica della persona; in altre parole, investe la "mente" nella sua totalità.

Il seguente modello tiene conto poi che ogni performance è il risultato di potenzialità (capacità) e di strutturazioni (esperienze) che si fondamentano sia nell’ambito cognitivo, che in quello emotivo:

In questo schema si vuole rappresentare come l’intelligenza razionale intervenga in una determinata performance attraverso un quoziente intellettivo ed uno creativo che sottendono da un lato una "capacità" (innata e strutturale) e, per altro lato, una "esperienza" che, come tale, arricchisce e potenzia le qualità originali.

L’intelligenza affettiva, in altro modo, interviene nella performance attraverso un quoziente emotivo ed un altro sociale, che, a loro volta, sottendono una "capacità" ed una "esperienza".

Anche un epistemologo come Piaget ha riconosciuto l’importanza dell’affettività nel processo conoscitivo, anche se vedeva in essa una sorta di serbatoio energetico: per lui "l’affettività è l’energia della condotta, mentre il cognitivo ne costituisce la struttura".

Lasciando per la discussione questo tema, dobbiamo però cercare di spiegarci l’intreccio psichico e mentale che interviene nel controllo delle percezioni, basi per la conoscenza.

Per meglio spiegare i processi emotivi e cognitivi che intervengono nel determinismo delle risposte agli stimoli possiamo schematizzare:

In questo schema si può vedere come il processo di risposta ad uno stimolo di qualsiasi natura ed intensità, risponda a delle modalità sviluppate filogeneticamente.

Nello schema leggiamo che le "risposte" possono essere di vario tipo e corrispondere a differenti livelli:

a) - il primo modello di risposta si riferisce ad un processo di causa-effetto per il quale la partecipazione emotiva è intensa e capace di confluire sufficiente energia. Questa risposta risulterà automatica, difficilmente controllabile, immediata (tempo di latenza corto) e può essere intesa come "risposta di difesa". Non abbisogna di filtri o di meccanismi di controllo; è potenziata da atteggiamenti psichici dominati da attenzione, aspettativa, desiderio che si compia una determinata situazione; è rallentata da distrazione, distacco, apatia, confusione mentale, obnubilamento della coscienza.

Si tratta di una risposta automatica che chiamiamo: risposta emotivo-istintiva.

b) - un secondo modello di risposta prevede un filtro, stabilito da un "nucleo reattivo" (personologico o nevrotico), inconscio o preconscio che risulta capace di apportare energia alla risposta che però non risulta né automatica, né immediata, dal momento che richiede un tempo per attivare il "nucleo" psicologico.

Il nucleo reattivo è di diversa indole e si evidenzia come caratteristico delle pulsioni di base: orale, anale o genitale.

Si tratta di una risposta semiautomatica e reattiva che chiamiamo: risposta emotivo-compulsiva.

c) - il terzo modello di risposta presuppone un filtro razionale caratterizzato da "pre-giudizi" e da sistemi appresi, che rispondono ad abitudini, costumi, modelli culturali. Queste risposte sono più o meno automatiche dal momento che la decodificazione-strutturazione risulta più o meno rigida.

Parliamo di risposta "semi-razionale" che chiamiamo: risposta preconcetta.

d) - il quarto modello di risposta presuppone una elaborazione cognitiva sia dello stimolo, più o meno caricato emotivamente, sia dei sistemi di filtro messi in atto in b) e c). Il tempo di latenza sarà più lungo, ma la risposta risulterà "adeguata", dovendo rispettare tutti i filtri ed i sistemi di controllo messi in atti in a), b), c), oltre che dai meccanismi mentali più evoluti, utilizzati dalla mente.

Si tratta di una risposta cognitivo-razionale che chiamiamo: risposta adeguata.

Lo schema sopra presentato dovrebbe anche prevedere sistemi di regolazione intrapsichici. Se da un lato la partecipazione emotiva dà energia e stimola diverse ambiti partecipativi, inconsci, preconsci e consci, dobbiamo prevedere che i meccanismi cognitivi, intellettuali e razionali, devono intervenire a modellare le altre strutture psicologiche.

Un tale meccanismo di controllo è sicuramente adattivo e fa capo a tutto ciò che possiamo chiamare "intelligenza razionale" che, proprio tenendo conto di quanto detto sopra, possiamo anche chiamare "intelligenza riflessiva".

Questo tipo di controllo tiene conto solo del soggetto, delle sue capacità e delle sue "meditazioni" o considerazioni sui costi e sui benefici, sulle opportunità o sull’inadeguatezza. Nella vita quotidiana però, troviamo implicazioni molto più complesse che devono tenere in considerazione la partecipazione di altri, proprio perché il soggetto è partecipe di una vita sociale e quindi relazionale. Proprio per questo prevediamo una schematizzazione differente e quindi avremo:

In questo schema si danno per scontate modalità cognitivo-intellettive capaci di controllare e modulare i processi preconsci e forse anche quelli inconsci, così che vengono messi in evidenza i meccanismi di controllo che fanno capo ad una INTELLIGENZA AFFETTIVA.

Nella letteratura anglosassone (ed anche in quella tedesca), non si parla di "intelligenza affettiva", ma di "intelligenza emotiva", dal momento che nella loro "emotional life" confluiscono sia gli aspetti puramente emotivi, che quelli che noi riportiamo come affettivi, appartenenti cioè al mondo dei valori.

Con ogni probabilità dovremo tornare sul tema di una particolare attitudine-capacità mentale che potremmo anche chiamare "intelligenza emotiva", ma per il momento ci limiteremo a considerare l’intelligenza affettiva ( I.A.) diversa dall’intelligenza razionale ( I.R.).

In un certo qual modo, possiamo leggere nell’ I.A. l’espressione simbolica di un quanto di "ecologico", nel senso che tiene in considerazione le relazioni individuali, di gruppo o tra gruppi, i rapporti con l’ambiente e gli oggetti, la conservazione delle risorse (anche di quelle emotive ed affettive), il pericolo della perdita e dell’inquinamento, soprattutto in rapporto con il futuro, eccetera. Proprio per questa dimensione l’ I.A. assume la sua grande importanza perché supera le qualità adattive dell’ I.R. per produrre capacità evolutive, integrative ed anche quelle che utilizzano la scelta, la volontà, il piacere, il senso di benessere e quel sentimento tanto positivo, oltre che espressione di una vera strutturazione della personalità, basata sulla autostima ed il senso di sé, che è il "narcisismo secondario".

Da questo primo approccio, dobbiamo considerare che il tema dell’intelligenza razionale addossata all’intelligenza affettiva ripropone la questione della predominanza (Piaget) e della eterocronia (Zazzo). Per Piaget l’affettività è comunque sottesa dall’intelligenza e riconosce 6 stadi di questa, accanto ad altrettanti stadi di quella. René Zazzo, d’altra parte, studiando la psicologia dei portatori di handicap, ha messo in evidenza come l’affettività possa essere normale o anche supernormale in presenza di deficit cognitivi.

Prendendo in considerazione tre aree, quella degli interessi, quella delle relazioni inter-individuali (intelligenza socio-affettiva) e quella che riguarda l’autonimia e l’autodirezione (capacità di sbrogliarsela), i collaboratori di Zazzo hanno potuto osservare che i cosiddetti insufficienti mentali nella 3° area dimostravano una capacità superiore alla norma, pur dimostrando riduzioni di performances nelle altre aree.

Si può quindi dire con Zazzo che affettivo e cognitivo non sono indissolubili, ma anzi che le funzioni affettive e quelle cognitive evolvono a velocità diverse, e in modo diverso da un individuo ad un altro.

A nostro modo di vedere queste osservazioni sono di grande interesse e possono essere integrate con altre tratte dall’esperienza con pazienti Alzheimer. Come è ben noto, queste persone presentano una gravissima destrutturazione dell’ Io che accompagna una altrettanto severa perdita della memoria ed una imponente pauperizzazione delle capacità cognitive.

L’incapacità di produrre un ragionamento o, comunque, di agire e pensare attraverso un sistema logico e coerente, viene messa in relazione con i danni neurodegenerativi che la malattia provoca nella corteccia cerebrale in quasi tutte le aree: si potrebbe dire che questi pazienti hanno perso le loro capacità intellettive, la loro "intelligenza razionale".

Per altro lato, se osserviamo le loro reazioni emotive e quelle affettive, troveremo che:

- non sono più capaci di strutturare rapporti interpersonali validi;

- presentano reazioni emotive anche intensissime e per lo più poco controllabili

anche se di breve durata e facilmente "distraibili";

- queste reazioni, di ansia, angoscia e/o terrore, rispondono a stimoli esterni ed

anche interni;

- un viso e una fisionomia possono suscitare sentimenti di piacere, anche se non

vengono riconosciuti, neppure se appartengono a famigliari o a persone che li

accudiscono quotidianamente.

Questa osservazione ci fa dire che la distruzione delle strutture corticali produce sia perdita della I.R., sia della I.A. ed inoltre, integrando le considerazioni fatte, possiamo sostenere che l’ I.A. per potersi espletare abbisogna di una corteccia attiva ed efficiente.

Le funzioni razionali e quelle affettive sono diverse da quelle che sottendono le emozioni e sono legate tra loro in forma piuttosto complessa ed ancora poco chiara. D.N. Stern (1987) ha messo in evidenza, nelle relazioni precoci del bambino, l’importanza della sincronia, dell’interdipendenza, della reciprocità e del vantaggio mutuo. I vissuti legati a queste sensazioni sono sicuramente condizionati e regolati da un senso di benessere che quindi risponde a sentimenti di empatia molto prima di essere controllati da meccanismi mentali razionali.

Alla luce di tali osservazioni, possiamo riassumere che l’ I.A., così come l’ I.R., abbisogna di un cervello sano, nel quale la corteccia cerebrale svolga perfettamente le sue funzioni integrative. Per altro lato, le due strutture psichiche si attivano in forma indipendente anche se possono influenzarsi reciprocamente. In questo modo si possono avere:

- persone con una notevole I.R., ma che posseggono una I.A. meno sviluppata;

- persone con una povera I.R., ma che usufruiscono di una I.A. più sviluppata.

Prendendo come riferimento la comunicazione, ne mettiamo in evidenza 3 modelli operativi:

comunicazione finalità contenuto esempio

a) - standard generica informativo "c’è questa cosa da fare"

b) - efficiente specifica ordinativo "devi fare la tal cosa"

c) - efficace coordinata integrativo "è necessario che tu faccia la tal cosa"

Questo esempio ci dice come il plus messo in atto nel modello operativo c) è quello che compete alla I.A. perché, mentre la comunicazione efficiente tiene conto di una modalità che sarà più o meno attinente alla realtà analizzata attraverso la I.R., la comunicazione efficace tiene conto anche delle interazioni, delle risonanze e del feed back.

Una comunicazione efficace:

- riflette il ruolo personale assunto

- è influenzata dal contesto interpersonale

- rispecchia una atmosfera

- rispecchia una cultura

Ed inoltre:

- rispetta la coerenza

- tiene conto della flessibilità

- agisce con armonicità

- stimola la sintonia

e quindi risulterà integrata; possiede quindi:

finalità consona con gli obiettivi credibile

pragmatismo legata all’esperienza utile

trasparenza si integra con gli schemi comprensibile

mentali dell’interlocutore

capacità di non mette in crisi l’identità confermante

supporto dell’interlocutore

 

Tenendo in conto la psicologia dell’ Io potremmo riassumere il modello di controllo delle percezioni nella seguente maniera:

schema F

Questo modello interpretativo vuole sottolineare come il controllo degli stimoli attraverso meccanismi istintivi e/o preconsci non sia capace di produrre una adeguata adesione alla realtà e, di conseguenza, le risposte risultano "comportamenti disadattati"; il controllo attraverso una elaborazione conscia, e quindi razionale, porta a "risposte adeguate", vale a dire "adattive" e "volitive" che tengono conto dei valori "affettivi" della relazione. Il Senso di Sé e l’autostima, infatti, fanno parte della dimensione affettiva dell’ Io che, in ogni modo, si dimensiona nel rapporto tra l’ Io e l’ Altro nel quale l’analisi, il confronto, la valorizzazione e la dimensione di reciprocità fungono da elementi non solo personali, ma anche relazionali e perciò sociali.

In qualche modo, le risposte inadeguate sono sempre "asociali", non tengono conto dell’Altro, ma solamente dei bisogni dell’ Io o dell’ "ideale dell’ Io"; le risposte adeguate sono, al contrario, sempre "sociali" dal momento che, tenendo conto dell’altro, si adeguano al Super-Io e, soprattutto, all’ Io-ideale (per altri dati su questo tema rimandiamo ad un precedente lavoro: "Tossicodipendenza come epifenomeno di malattia dell’ Idealità", Qualità Culturale, s.n. 1994).

COMMENTO

Il tema dell’intelligenza è sempre stato al centro dell’attenzione per l’uomo, che ne ha fatto anzi l’emblema della propria essenza, capace di differenziarlo da tutto il resto del "creato".

La "razionalità", sinonimo, in qualche modo, dell’intelligenza, ha assunto anche il pregio distintivo di una superiorità sin dal tempo della Grecia classica ha pervaso tutte le espressioni: estetiche, morali, culturali, religiose, economiche, storiche e politiche. In quest’ottica, proprio la cultura occidentale si è dimensionata come prevalente per la sua caratteristica che vuole essere razionale, ma che si propone anche come vera e giusta (un’analisi più dettagliata è riportata in: "Tossicodipendenza e società", Qualità Culturale, gennaio 1996).

La dimensione "razionale" ha accresciuto sempre più la sua importanza a scapito delle altre sfere psichiche come l’emotività e l’affettività che, al contrario, sono state screditate come espressioni di "femminilità".

Nell’attualità, forse anche grazie alle opposizioni espresse dai movimenti femministi, la dimensione emotiva ha riacquistato valore, così che si osservano una miriade di iniziative che spingono ad una integrazione di Yang e Yin, cioè del mascolino con il femminino , del razionale con l’emozionale.

Una dimensione olistica è sicuramente più consona per uno studio ed una presa di coscienza del valore dell’uomo integrato nelle sue parti maschili e femminili, così che la rivalutazione di Venere e Giunone ha ridimensionato il connubio Marte-Giove, per estrapolare una immagine complessa ma equilibrata che forse è simbolizzata da Apollo.

L’equilibrio, la serenità, l’altruismo, la gentilezza, insieme alla dolcezza e alla sensibilità, hanno moderato lo spirito bellicoso e dominante che, attraverso la presunzione di verità e di giustizia, si è andato strutturando come "razionalità". Ed è così che la "emotional life" degli anglosassoni ha conquistato un posto di rilevanza a fianco della fredda ragione: il cuore ha "scaldato" un "turbato cervello".

In questa ottica si pone il presente lavoro che vuole puntualizzare una certa difficoltà interpretativa espressione di un "alone semantico" che l’ "emotional life" crea in chi si esprima nelle lingue latine. Per noi c’è una notevole differenza tra emotivo ed affettivo, così che non ci adattiamo ad una unica espressione idiomatica. Se leggiamo l’interessante libro di Daniel Goleman ("Intelligenza emotiva, che cos’è, perché può rendere felici", Rizzoli 1966) l’ amore viene assimilato alla emozioni e testimoniato come "amore altruista"; "... i sentimenti più profondi, le passioni e i desideri" vengono indicati come l’espressione più chiara di "reazione emotiva".

Nel nostro lavoro separiamo dunque l’emotività dall’affettività non solo come espressioni lessicali, ma come funzioni neuro-psichiche diverse:

- le emozioni sono qualcosa di primitivo, si potrebbero anche dire determinate o controllate dal "paleo-cervello" (cervello antico), oltre che, da un punto di vista psicologico, istintive, preconsce, difficilmente controllabili, patrimonio dell’ Es;

- gli affetti rispondono alle funzioni più elevate del cervello, alla corteccia, al "neo-cervello (cervello nuovo), massima espressione della filogenesi ed inoltre ontogeneticamente al livello più alto; nella dimensione psicologica, si parla di attività conscia, razionale, patrimonio indiscutibile di un Io strutturato.

Nel corso della trattazione, abbiamo anche sottolineato come le emozioni siano frutto degli impulsi, mentre gli affetti rappresentino il mondo dei "valori" e questi si fondano sulle funzioni psichiche più elevate, razionali e cognitive, e, per altro lato, si dimensionano nel sociale, nella relazione, nel rapporto con il mondo e con l’ Altro.

A nostro modo di vedere, questa differenziazione tra risposte emotive e comportamenti affettivi è di fondamentale importanza ed assolutamente confermata per esempio dall’osservazione clinica dei pazienti Alzheimer. Questi conservano la capacità di dare risposte emotive, intense ed incontrollabili, ma hanno perso del tutto la capacità di strutturare "comportamenti affettivi" , nel senso che non riescono più a dimensionarsi nella sfera dei "valori".

Un particolare interesse, anche per le possibilità che offre per una ampia discussione, ci sembra debba essere assegnato al modello schematico del controllo delle risposte. I quattro livelli preconizzati: 1) risposta emotivo-istintiva, 2) risposta emotivo-compulsiva, 3) risposta preconcetta, 4) risposta adeguata, rispecchiano forse altrettante modalità comportamentali che rispettivamente sono:

1 - bagaglio comportamentale innato;

2 - modelli personologici, oltre che spinte nevrotiche e/o psicotiche;

3 - fondamenti culturali e di costume legati anche a preconcetti;

4 - strutture razionali capaci di modellare e controllare le risposte, che quindi appartengono ad un "sistema adattivo".

Tanto per cercare di spiegare una complessità che dovrebbe anche tenere conto del "caso" che, per altro, in qualche modo, ancora ci sfugge, possiamo analizzare l’ormai famoso caso di Matilda Crabtree, uccisa da un colpo di pistola sparato dal padre sotto l’impulso emotivo (... della paura?).

Letta superficialmente, questa storia acquista veramente un significato semantico di risposta incontrollabile, determinata da uno stimolo profondo incontenibile, che può anche essere assimilato alla paura.

Una lettura più meditata ci mette però al confronto con diverse altre componenti, senz’altro più complesse, ma anche sicuramente più vere e più vicine alla realtà o alla realtà umana (dell’ "homo sapiens" che, posto sul gradino più alto, risponde anche ad una complessità neuro-funzionale enormemente più complicata di quella di qualsiasi altro animale).

In primo luogo dobbiamo parlare del Senso di Sé che, pilastro dello sviluppo psichico di ogni persona, si configura come:

- senso di esistere che ha un valore che nel "tempo" si configura nel qui ed ora; nello "spazio" entro i limiti della propria pelle biologica e che in quello psichico che ci fa sentire come "soggetto unico ed indivisibile";

- senso di potere che nel "tempo" si dimensiona nel progetto, nel divenire, nel futuro, mentre il suo "spazio" si dilata nell’ambito sociale e, nello psichico, investe il senso di essere responsabile delle proprie scelte motorie, emotive, affettive, cognitive e volitive.

La dimensione espansiva del senso del potere ha un valore egocentrico e narcisistico che sottende lo sviluppo delle proprie capacità non solo di difendersi, ma anche di attaccare. Ciò significa che di fronte ad uno stimolo ritenuto pericoloso la catena delle risposte sarà:

- attenzione

- tensione

- ansia

- paura

e le risposte potranno essere:

a ) fuga = se l’opponente, valutato dal "senso di sé" , sarà ipervalorizzato;

b ) attacco = se l’opponente risulterà svalorizzato.

Nel caso preso in esame, il colpo di pistola è la risultante di un complesso meccanismo "emotivo", profondo, istintivo che però tiene conto di quel "senso di sé" che è alla base di un comportamento di tensione-paura-fuga o di un altro configurato nella sequenza allerta-tensione-attacco. Non possiamo essere certi che non ci sia una componente di "paura" (come qualcuno riferisce), siamo sicuri però che l’attacco è il risultato finale e questo è sotteso a un senso di sé positivo e poderoso.

Possedere una pistola è certamente un fattore che dilata un profondo senso di potere, soprattutto quando si evidenzia una valenza che potremmo chiamare "senso di poter sparare".

Nell’esempio insito nella storia della povera Matilda, il padre che spara risponde istintivamente a:

- senso di potere supportato dal possedere un’arma

- senso di poter usare un’arma capace di uccidere

- desiderio inconscio di dimostrare il proprio potere (in qualche resoconto il padre portava con sé l’arma)

- desiderio inconscio di "dimostrare" le proprie capacità ed il proprio potere.

Se analizzato in questi termini, il comportamento è stato, secondo il nostro schema, di tipo "emotivo-compulsivo" rispondendo non solo a spinte emotive, ma, soprattutto, ad elementi personologici e nevrotici del tutto personali e caratteristici. In questo caso si può anche dire che la compulsività del carattere ha sopraffatto i meccanismi di controllo razionali che avrebbero dovuto fare valutare la proporzionalità dell’effetto sulla causa, spingere ad osservare l’eventuale aggressore per valutarne le intenzioni, considerare la possibilità certa che ci fosse qualcuno in casa dal momento che forse non c’era nessun segno che facesse riconoscere un angolo di accesso, eccetera.

A nostro modo di vedere, ancora molto c’è da studiare sul mondo delle emozioni, sul loro modo di agire, sui meccanismi neuro-psicologici implicati, ma ancor più c’è da approfondire lo studio sui meccanismi affettivi. L’affettività, così come è stata presentata in questo lavoro, abbisogna di una corteccia cerebrale integra per poter esprimersi, così come l’intelligenza razionale e quindi impone una valutazione sulle correlazioni tra IR e IA. Come abbiamo visto, le due intelligenze sono concomitanti, si influenzano reciprocamente, ma non dipendono l’una dall’altra.

 

Per cercare di comprendere questo complesso intreccio di funzioni psichiche, potremo anche proporre uno schema interpretativo che si riallaccia alla psicologia dell’ Io:

in questo modo la funzione dell’ Io mantiene il ruolo di mediatore anche per quanto riguarda le funzioni psico-mentali più elevate (cognitivo-intellettive) che, in un’interpretazione classica, erano quasi a sé stanti e forse in una dimensione tale per cui l’ Io ne restava subordinato.

Nello schema è stato aggiunto un livello che comprende volontà e adattabilità; ci sembra che proprio i valori della prima, espressione di un atteggiamento affettivo e di amore autoriferito, devono essere presi in considerazione per non ridurre l’uomo ad un soggetto che solamente sa adattarsi. Forse è stato un errore non dare alla "volontà" quel ruolo predominante che qualche autore ha spiccatamente sottolineato.

Il raggiungimento di un Io-ideale e degli obiettivi che in tutti gli ambiti (motorio, sensoriale, relazionale) ci proponiamo quotidianamente, quell’impegno ad "essere noi stessi" e a sentirci veramente soddisfatti di quello che abbiamo raggiunto, per poterci proporre altre mete, ancora più elevate, ancora più difficili, l’inseguire fantasie e sogni, desiderare l’impossibile, sviluppare la capacità immensa di mettere in gioco la nostra stessa esistenza per il raggiungimento di un "ideale", restano come espressioni di una capacità che deve inevitabilmente utilizzare forze riferibili ad una Intelligenza Riflessiva, ma anche ad una Intelligenza Affettiva.

Tutta questa interpretazione non risponde a desideri tizioristici di spiegare una verità, ma viene proposta per ulteriori studi, per nuovi contributi.

Per altro lato, tutto quanto sopra esposto ci sembra riduttivo nei confronti di un "concetto di mente" che forse solamente intuiamo dal momento che troppi interrogativi restano ancora senza risposta. Il primo quesito che ci poniamo è proprio quello che riguarda l’ Intelligenza Emotiva: non dovremo accettare accanto alla I.R e alla I.A. anche una I.E.?

Probabilmente sarà necessario approfondire maggiormente questo tema per poter spiegare quelle risposte intuitive ed apparentemente immotivate, ma legate a profondi sensi di giustizia, di altruismo e di "amore" inteso quasi in una dimensione mistica. Oggi l’uomo sta riproponendo il proprio destino mistico e trascendente, sta cercando di approfondire le problematiche della parapsicologia per comprendere quel "destino cosmico" che, come essere razionale e come entità psico-affettiva, sicuramente gli spetta. Temi come l’ "espansione della coscienza", l’ "inconscio collettivo", gli "archetipi", la "casualità" e la "sincronicità" rappresentano forse il substrato tangibile di una Intelligenza Affettiva che ancora ci sfugge, ma che "sentiamo" come una presenza stimolante e che ci spinge verso conquiste sempre più "alte", nello spirito del mondo, e sempre più "profonde" perché nascoste nell’essenza intima del nostro "essere homo", posto in un "universo espresso come totale".



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