Di tutto un po'
Un mondo maschile
di Eva Figes (1969)

Noi donne nasciamo in un mondo in cui i grandi scopritori, filosofi, artisti e scienziati sono stati quasi tutti uomini. Persino il Dio perpetuato dalla tradizione, e che tuttora assilla i primi giorni della fanciullezza, è maschio. L’intero nostro codice morale è stato elaborato dagli uomini. Naturalmente le cose stanno cambiando, ma il fardello della tradizione non può non continuare a gravare, oltre che sulla nostra, su molte generazioni a venire. Se si trattasse semplicemente di codici sociali, la trasformazione sarebbe già abbastanza lenta, poiché le forme sociali del comportamento cambiano in realtà molto più lentamente di quanto non ci piaccia immaginare, perpetuandosi attraverso la discendenza familiare; ma siamo alle prese con qualcosa di più grave. Infatti, mentre alle poche donne veramente decise, per le quali la parte loro assegnata dal maschio è sbagliata, insufficiente o inconcepibile, tocca combattere una battaglia in condizioni ambientali avverse, in un gioco le cui regole sono state tutte fissate dall’antagonista senza previa consultazione tra le parti ed in cui tutte le mosse determinanti sono già state stabilite ancor prima dell’inizio della contesa, per la stragrande maggioranza delle donne il naturale corso degli eventi prevede la sottomissione supina o condiscendente al ruolo che la tradizione ha voluto assegnar loro.

Virginia Woolf asseriva che uno dei motivi per cui le donne hanno avuto tanta fortuna come autrici di romanzi è che si trattava di una forma artistica relativamente recente, di cui non erano state ancora fissate tutte le regole. E’ abbastanza ovvio che le donne con un minimo di istruzione familiare potessero competere nel campo della narrativa, mentre da ogni arte o scienza che richiedesse una preparazione specialistica esse fossero automaticamente escluse. Quando si considerino le norme esteriori che si riferiscono alla posizione dell’uomo e della donna nella società, al loro rapporto con il mondo esterno e dell’uno con l’altra, la parte maschile della popolazione umana non può trovare una motivazione sufficiente a consentirle un certo distacco per analizzare, sia pure per un momento, le opinioni tradizionalmente accettate. L’uomo non ha mai trovato, né potrebbe trovare nulla da guadagnare, e anzi tutto da perdere, nel rimettere ogni vecchia idea in discussione: perderebbe infatti non soltanto certi vantaggi sociali ed economici, ma qualcosa di ancor più prezioso, quel senso di superiorità che esalta il suo Io nella vita pubblica e privata. John Stuart Mill ha spiegato in modo convincente la mancata trasformazione di certi concetti, affermando che quando viene il momento della rivoluzione politica contro l’autocrazia, solo una minoranza privilegiata ha interesse a resistere con la forza al cambiamento, mentre nel modificare i rapporti tra uomini e donne qualsiasi uomo, ricco o povero, ha solo da perdere.    Continua