G A I A
Tanto tempo fa, in
un villaggio sperduto tra le montagne viveva un uomo buono di nome Saro.
Era rimasto vedovo da molti anni ed aveva tre bellissime figlie: Serena,
Gioia e Gaia.
Serena e Gioia
erano molto unite e molto simili nel carattere: amavano i bei vestiti ed
erano molto fiere della loro bellezza; aspettavano con ansia per tutto
l'anno il giorno di San Martino, quando tutta la famiglia si recava al
paese per la grande festa.
Gaia, invece, passava
lunghe ore a parlare con gli animali del bosco, a curarli, nutrirli e coccolarli.
Aveva una piccola armonica che il padre le aveva insegnato ad usare quando
era molto piccola e passava ore ed ore a suonarla. Non amava la compagnia,
il chiasso della grande festa, ma solo il silenzio dei boschi, la voce
degli animali e la musica del vento.
Si avvicinava il
giorno di San Martino e nella casa di Saro fervevano i preparativi: Serena
e Gioia davano gli ultimi ritocchi agli abiti che si erano cucite e sognavano
le risa, i balli e gli uomini che avrebbero fatto a gara per invitarle
a ballare.
Gaia pensava con
rammarico che avrebbe dovuto abbandonare per tre giorni il piccolo cerbiatto
ferito che stava curando, e la voce del bosco ed il silenzio della montagna.
Finalmente il giorno
tanto atteso arrivò: la famiglia di Saro si sistemò sul carro
e si avviò verso il paese.
Serena e Gioia
erano eccitatissime e non fecero che chiacchierare per tutto il viaggio.
Gaia, invece, era
silenziosa e triste: a pochi metri da casa già sentiva la nostalgia
della sua solita vita.
Saro amava molto
le sue tre figlie, ma per Gaia provava qualcosa di diverso: lei era così
simile a sua madre Gilda, la donna che lui aveva amato più di ogni
altra cosa al mondo; era preoccupato per lei, sempre così silenziosa
e schiva. Allungò la mano e le fece una carezza.
Gaia sorrise sorpresa
perchè suo padre di solito non era così espansivo.
Arrivarono al villaggio
e presero alloggio alla locanda.
Serena e Gioia,
appena posati i bagagli, si precepitarono in piazza, Gaia, invece, disse
a Saro che non si sentiva molto bene e che quindi avrebbe preferito restare
alla locanda.
Anche Saro uscì
e Gaia rimase sola. Si mise a leggere il libro che la sorella di sua madre
le aveva portato l'ultima volta che era andata a trovarli.
Gaia era così
assorta nella lettura che il rumore improvviso fuori dalla sua porta, la
fece sobbalzare. Si alzò, si avvicinò piano alla porta e
rimase in ascolto. Sentì un debole guaito e piano, con cautela socchiuse
la porta: c'era un grosso cane proprio lì davanti con il muso coperto
di sangue. A Gaia sembrò che lui la guardasse con aria implorante;
gli si avvicinò con cautela e gli posò delicatamente la mano
sul petto: il battito era molto debole e lei si chiese chi potesse aver
ridotto quella povera bestia in quello stato. Lo afferrò per le
zampe e lo tirò, cercando di non fargli male, dentro la stanza.
Poi con una pezza bagnata gli pulì il muso e scoprì, sotto
il sangue una larga ferita proprio sopra l'occhio sinistro. Prese da dentro
la sua bisaccia un po' dell'erba medicamentosa che si portava sempre dietro
e la poggiò delicatamente sulla ferita, poi fasciò la testa
del cane.
In quel momento
sentì, sotto la sua finestra, degli uomini che parlavano a voce
alta, si affacciò e vide un gruppetto di uomini con dei bastoni.
Rimase in ascolto e così seppe che cercavano il cane che lei aveva
soccorso perchè aveva morso il suo padrone.
Si avvicinò
al cane e lo accarezzò: "Sei stato cattivo! perchè hai morso
il tuo padrone? non gli volevi bene?!"
Il grosso cane
aprì gli occhi e guaì e dal suo sguardo Gaia capì
che se aveva morso il suo padrone doveva aver avuto delle buone ragioni.
Quando Saro tornò
alla locanda, trovò la figlia in terra vicino al cane: "Gaia, così
questo povero cane si è rifugiato qui! quel verme del suo padrone,
ubriaco fradicio, ha cominciato a bastonarlo senza alcuna ragione, là
in piazza e lui lo ha morso; poi si è scatenato il finimondo: l'ubriaco
si è messo ad urlare che il suo cane era impazzito, che sicuramente
aveva la rabbia, così la gente ha cominciato ad inseguire il cane
per ucciderlo. E stanno ancora cercandolo!"
"Oh, papà!
è orribile! come faremo a portarlo fuori di qui senza che lo vedano?
non possiamo permettere che lo uccidano!"
"Calmati Gaia,
prima o poi smetteranno di cercarlo e allora ce lo porteremo a casa, va
bene, tesoro?"
"Grazie, papà!"
disse Gaia abbracciando Saro "sei proprio un tesoro!"
Passarono tre giorni
e la festa di San Martino volgeva al termine.
Il cane, che Gaia
aveva chiamato Lupo, si era rimesso e quindi era il momento di partire.
Saro propose di partire quella notte così sarebbe stato meno probabile
che qualcuno vedesse il cane.
Prepararono i bagagli
e si accinsero ad aspettare che il sole calasse.
Gioia e Serena
non provavano molta simpatia per Lupo e ribadirono che secondo loro non
era il caso di correre dei rischi per uno sporco cagnaccio.
Il padre ordinò
loro di stare zitte e guardò Gaia: la ragazza aveva il viso appoggiato
al muso di Lupo e Saro si disse ancora una volta che non era giusto che
lui amasse Gaia più di quanto amava le altre sue figlie, ma Gaia
era così buona, così generosa.....
Finalmente calò
la notte; Saro andò nella stalla, attaccò i cavalli al calesse
e lo portò davanti alla porta della locanda, poi fischiò
per chiamare le figlie. Gioia e Serena presero le bisacce e Gaia si occupò
di Lupo.
Erano appena saliti
tutti sul calesse quando Lupo cominciò a ringhiare.
Gaia seguì
lo sguardo del cane e vide un uomo che si avvicinava barcollando.
Saro le sussurrò
di coprire il cane con qualcosa e di farlo stare zitto perchè quello
che si stava avvicinando era il suo padrone.
Gaia cercò
di coprire Lupo con il suo vestito, ma il cane si divincolò e cominciò
ad abbaiare.
L'ubriaco si immobilizzò
poi cominciò a gridare: "E' qui! correte tutti! il cane con la rabbia
è qui!"
Saro frustò
i cavalli, ma già alcuni uomini con dei bastoni erano scesi in strada
e gli si pararono davanti.
All'improvviso
si sentì il rumore di un galoppo e gli uomini con i bastoni si spostarono
per lasciar passare i cavalieri.
"Il Principe!"
disse qualcuno "è il Principe!"
I cavalieri si
fermarono davanti al carro ed un uomo apostrofò Saro con aria autoritaria:
"Cosa succede? perchè questi uomini non vogliono lasciarvi passare?
cosa hai fatto?"
"Non abbiamo fatto
niente!" intervenne Gaia "questi uomini vogliono uccidere Lupo!"
"Ha la rabbia!"
urlò il padrone del cane "e la legge dice che i cani con la rabbia
vanno soppressi! Quest'uomo" continuò indicando Saro "ha rubato
il mio cane e vuole impedirmi di ucciderlo!"
"Bugiardo!" esclamò
Gaia "mio padre non ha rubato il cane. E Lupo non ha la rabbia!"
"Fate silenzio
tutti!" ordinò il Principe "ora parlerete uno alla volta, così
forse riuscirò a capirci qualcosa! Tu" disse indicando l'ubriaco
"racconta come sono andate le cose."
"Quello era il
mio cane, tre giorni fà, senza alcun motivo mi ha morso, così
ho capito che ha la rabbia perchè, come certo saprete, Principe,
se siete esperto di cani, un cane che non è malato non morde mai
il suo padrone! Beh, dopo avermi morso il cane è scappato e stanotte
lo trovo qui sul calesse di quest'uomo, è chiaro che l'ha rubato!"
Il Principe si
rivolse a Saro e gli disse: "Come mai hai tu il cane di quest'uomo?"
"Fate rispondere
me, Principe" disse Gaia "mio padre non c'entra niente con questa storia!"
"Rispondi, allora"
disse il Principe.
"Tre giorni fa,
ero nella mia camera alla locanda, ho sentito un guaito fuori dalla porta
ed ho trovato Lupo; era tutto coperto di sangue e stava per morire. L'ho
portato nella mia stanza e l'ho curato. Non ha la rabbia, ve l'assicuro,
principe! è un cane dolcissimo ed affettuoso! Poi, quando mio padre
è tornato mi ha raccontato di aver assistito a questa scena, giù
in piazza: un uomo ubriaco fradicio aveva bastonato il suo cane a sangue
e quando questo gli si era rivoltato contro, aveva cominciato ad urlare
che il cane aveva la rabbia. Qualunque cane lo avrebbe morso! chissà
cosa ha dovuto sopportare il mio povero Lupo da quell'orribile uomo!" concluse
Gaia tra le lacrime.
"Porta qui il cane"
ordinò il Principe a Gaia.
Gaia scese dal
carro e Lupo, che non l'abbandonava mai, la seguì. Si avvicinarono
al Principe, ma Lupo ricominciò a ringhiare rivolto al suo vecchio
padrone.
Gaia si inginocchiò
accanto al cane e lo abbracciò dicendogli con voce dolce: "Lupo,
non devi aver paura, ci sono qui io, non permetterò che ti facciano
del male! stai buono, cagnone, buono ..."
Lupo smise di ringhiare
e strofinò il muso sul viso di Gaia.
"Non credo che
questo cane abbia la rabbia: non ha la bava alla bocca e basta una parola
dolce per farlo diventare un cucciolo! credo, invece," continuò
il principe rivolto all'ubriaco "che tu lo abbia maltrattato oltre ogni
sopportazione, perciò dispongo che il cane sia affidato alla donna
che lo ha curato e che tu sia arrestato per aver maltrattato il cane e
per aver fatto perdere tutto questo tempo al tuo Principe!"
"Grazie, Principe"
disse Gaia felice, poi rivolta a Lupo continuò: "Ringrazia il Principe,
Lupo, ti ha salvato la vita!"
Lupo si avvicinò
al Principe e gli si strofinò contro le gambe, poi tornò
vicino a Gaia.
Il Principe rise
e disse a Gaia: "Credo che questo cane abbia finalmente trovato qualcuno
che lo ama davvero! e sono sicuro che saprà ricambiare la tua generosità!"
Gioia e Serena,
rassicurate dal riso del Principe e incantate dalla sua bellezza, scesero
anche loro dal carro e cominciarono a civettare e ad agitarsi intorno a
lui.
Gaia scosse la
testa e sussurrò a Lupo: "Le donne ...."
Il Principe che
aveva seguito la scena scoppiò di nuovo a ridere e disse a Saro:
"Hai delle belle figlie, uomo, e credo che sia pericoloso per te andartene
in giro con loro tutto solo! così io e la mia scorta ti accompagneremo
a casa. Mettiamoci in viaggio!"
Il Principe, arrivati
a casa di Saro, gli chiese la mano di sua figlia Gaia, perchè non
solo era bella e buona, spiegò, ma anche perchè era riuscita
a farlo ridere.
Gaia, chiese consiglio
a Lupo e quando ebbe la sua approvazione decise di accettare.
Così Gaia
ed il Principe si sposarono e vissero per sempre felici ed ebbero tanti
cani.