IL RE CHE AMAVA LA GUERRA

C'era una volta un Re molto ricco e potente il cui divertimento più grande era quello di fare la guerra: dichiarava guerra a tutti i regni vicini, seminava lutto e distruzione e vinceva sempre, perché il suo esercito era il più forte ed il meglio addestrato.
Quando tutti i suoi vicini furono sottomessi, il Re Yaso radunò i generali del suo esercito per decidere quale fosse il prossimo regno, cui dichiarare guerra.
I generali cercarono di convincere il Re a desistere, gli dissero che erano stanchi di combattere e di star lontano dalla loro famiglia, ma il sovrano non volle sentir ragioni, ordinò che un manipolo di soldati, travestiti da mercanti, partisse per scoprire quale fosse il regno più ricco e più potente del mondo. Così, disse il Re, in attesa del loro ritorno, i generali avrebbero potuto riposarsi.

Passò un anno e ancora non si erano avute notizie delle spie del Re; i generali e i soldati cominciavano a sperare che non tornassero mai più, ma il Re cominciava a dare segni d'impazienza, radunò il consiglio e chiese ai suoi saggi perché secondo loro, il manipolo non era ancora tornato. I saggi si ritirarono in meditazione e dopo tre giorni, comunicarono al re il loro illuminato parere: le spie non erano ancora tornate perché il regno più potente del mondo era molto lontano e perché gli dei volevano dar tempo al Re, prima della prossima guerra, di mettere al mondo un erede per il suo grande regno.
Il sovrano, che quasi sempre teneva nella dovuta considerazione i pareri dei saggi, decise allora di prendere moglie; ordinò che fossero convocate a corte tutte le figlie e le nipoti dei Re che fino ad allora aveva sottomesso per scegliere la donna che sarebbe stata la madre del suo erede.
Quando tutte le principesse furono al castello, egli ordinò ai suoi saggi di sottoporle a delle prove e di scegliere quella che si fosse rivelata la più degna.
I saggi esaminarono a fondo le pretendenti ed alla fine decisero che erano rimaste in lizza solo due principesse, tra le quali il Re poteva liberamente scegliere.
Allora il sovrano convocò le due donne nella sala del trono: erano tutt'e due ugualmente belle, così il Re disse loro che avrebbe scelto per moglie quella che, con le parole, avrebbe saputo convincerlo.
La prima a parlare fu la principessa Ebe, figlia del re di Càstera: "Mio sovrano," disse "sono forte e sana e sicuramente ti darò un maschio, ti amerò e ti ubbidirò se sarai tanto saggio da scegliere me."
Poi il Re diede la parola all'altra principessa: "Sono Gioia, figlia di Saro e di Mara" disse lei alzando gli occhi per incontrare lo sguardo del re, cosa veramente inconcepibile per l'etichetta di corte, e proseguì: "Non so se potrò darti un maschio e non so nemmeno se potrò amarti, ma se sceglierai me, farò il possibile per renderti felice".
Il Re rimase in silenzio per un po' con gli occhi persi nel blu degli occhi di Gioia, poi si alzò e le si avvicinò, la prese per mano e le disse: "Scelgo te, principessa Gioia, e ti prometto che saremo felici".
I festeggiamenti per il matrimonio durarono giorni e giorni e tutti erano felici perché convinti che non ci sarebbero state più guerre, ora che il Re aveva una moglie così bella e dolce.

Passò un altro anno e il Re radunò il Consiglio per annunciare che la Regina era in attesa di un figlio; furono tutti molto contenti dell'annuncio, perché la Regina era riuscita a farsi amare da tutto il popolo: aveva sempre una parola di conforto per chi soffriva e pregava il Re di essere clemente ogni volta che questi doveva giudicare un suddito. Anche il Re era al settimo cielo e sembrava aver dimenticato le sue velleità guerrafondaie.
Furono chiamati i migliori medici del regno perché seguissero la gravidanza della Regina e il Re le era sempre accanto, perché amava sua moglie più di qualsiasi altra cosa.
Arrivò il giorno in cui la Regina fu pronta a mettere al mondo l'erede; il Re aspettava notizie nella sala del trono, pieno di felicità e di speranza; pensava che mai avrebbe abbandonato la sua Regina e il suo erede, che mai più sarebbe andato in guerra.
Entrò il ciambellano di corte e disse: "Mio Re, hai una figlia, ma... la Regina é morta".
Il Re pianse e si disperò, rifiutò persino di vedere la figlia, perché incolpava lei della perdita della sua amata moglie. La bambina venne chiamata Gioia, come la madre, e fu affidata ad una nutrice, ma il Re, chiuso nel suo dolore, non ne chiedeva mai notizie.

Un giorno, infine, tornarono i soldati che il Re aveva mandato per il mondo per scoprire quale fosse il Regno più ricco e più potente. Il Re sembrò scuotersi dal suo torpore per ascoltare ciò che le sue spie avevano da riferire: il Regno più potente del mondo era molto lontano, in riva all'oceano, era talmente ricco che i suoi monumenti erano scolpiti nell'oro e nelle pietre preziose, il suo popolo viveva nell'ozio e il Re aveva dieci mogli tutte giovani e belle. Quel regno era così ricco e potente, perché il suo Re aveva al suo servizio la maga più potente del creato: Magda, che poteva creare ricchezze inenarrabili e proteggere il Regno da qualsiasi nemico.
Il Re, che aveva ascoltato in silenzio, si alzò e disse: "Non credo che la maga Magda potrà difendere quel regno anche contro il mio grande esercito, ordino che le truppe si preparino alla partenza!"
A niente valsero le parole dei saggi che cercavano di dissuadere il Re da quella pazzesca impresa; in un mese l'esercito fu pronto a partire. Il Re si allontanò dal suo castello, alla testa delle sue truppe, senza neanche voltarsi, senza un pensiero per sua figlia, né un rimpianto.

Passarono molti anni: il Re ed il suo esercito avevano subito sconfitte che avrebbero fatto desistere chiunque, ma il Sovrano continuava la sua guerra contro un Regno felice, lui che felice non sarebbe stato mai più. Neanche una volta, in quegli anni aveva pensato a sua figlia, neanche una volta si era chiesto se lei fosse viva o morta, o che aspetto avesse.
Un giorno, un soldato entrò nella tenda del Re e gli disse che una donna voleva vederlo e che nessuno sapeva come lei avesse fatto ad arrivare fin lì, senza che le sentinelle del campo la vedessero. Quando la donna fu al cospetto del Re disse: "Sono Magda, e ti ordino di ritirare le tue truppe e di tornartene a casa; se domani mattina il tuo campo sarà ancora qui, tramuterò tua figlia in gelido alabastro."
Prima che il Re potesse aprire bocca, la donna era sparita e a nulla valsero le ricerche fatte al campo. Pieno di rabbia, Yaso radunò le sue truppe e sferrò un potente attacco alla cittadella nemica, ma non riuscì a superare le difese avversarie neanche questa volta.

La sera, nella sua tenda, il Re Yaso si trovò a ripensare alle parole della maga e provò un vago malessere; cercò di addormentarsi, ma i suoi sforzi furono vani. Pensò di mandare un manipolo di soldati al suo castello perché si accertassero che tutto andava bene, ma chissà quanto tempo ci avrebbero messo ad andare e tornare, così decise di lasciare la guerra in mano ai suoi generali, almeno per il momento, e di tornare a casa.
Quando Yaso rivide la fertile campagna del suo regno, provò una gioia che mai avrebbe pensato di poter provare, lanciò al galoppo il suo cavallo, sentendosi nel cuore una pace antica. In città la gente si inchinava al suo passaggio, ma nessuno faceva festa per il suo ritorno, il Re lanciò al galoppo il suo cavallo, preso dalla smania di arrivare al castello.
Lo accolsero i saggi con le facce cupe, senza guardarlo negli occhi e Yaso provò una stretta al cuore; chiese di sua figlia, ma nessuno ebbe il coraggio di rispondergli.
La cercò per tutto il castello e quando la trovò rimase annichilito: immobile, con gli occhi tristi era il ritratto della donna che Yaso aveva amato più del suo regno, più della sua stessa vita.
Dopo tanti anni, Yaso pianse. Pianse sulla sua compagna perduta, su sua figlia, sulla sua vita. Pianse incurante dei saggi che gli erano accanto, della sua dignità, pianse per il dolore che provava e per il dolore che aveva cagionato. E le sue lacrime bagnarono le mani della statua che ripresero vita e si posarono sulla testa del Re: "Padre," mormorò Gioia, "solo il tuo dolore ed il tuo amore hanno potuto salvarmi."

Il Re Yaso ritirò le sue truppe dall’assedio al regno felice e visse gli anni che gli rimanevano, insieme a sua figlia, tra i suoi sudditi, felici di aver ritrovato il Re giusto e umano di una volta.