Bruno Tognolini
    Il lavoro e le opere di uno scrittore multimediale

    Testi per gli spettacoli all'aperto di "INCANTI E MEMORIE"
    Un progetto di Monica Maimone e Valerio Festi
    I Castelli del Trentino, 1992-94

    Castel Toblino, agosto 1992

    ACQUA CHIAMA ACQUA

    di Bruno Tognolini
     
     
     

      Sulla cupa trama di Madruzzo, Principe Vescovo, e della bella Claudia Particella da lui forse amata, e annegata nel lago di Toblino, pare che finanche Benito Mussolini abbia esercitato la drammaturgia. E' vero: ho avuto quel testo fra le mani, ma non l'ho letto e ho raccontato un'altra storia. L'acqua, la sua sostanza cosmica di morte, è venuta al centro di tutto, come il castello al centro del bel lago. Acqua sfacciata e gioiosa nei panni sbattuti e strizzati dalle tre Lavandaie (reminescenza dichiarata di Teatro Settimo), che si raccontano - tra Rashomon e Baruffe Chiozotte - tre diverse versione del fattaccio, dove le colpe ruotano simmetricamente tra lui, lei e l'altro. L'acqua che il cupo Principe Vescovo teme e maledice dalla torre da cui urla, ossessivamente, un salmo che tenevo a mente da anni e anni: "Salvum me fac, Deus, quoniam intraverunt aquae usque ad animam meam...". L'acqua celeste e amniotica, infine, dove trovano pascoli e tempo i due giovani annegati sul fondo infinito del lago, in un duetto ispirato e visionario. E l'acqua che pare sia venuta giù a catinelle la sera del debutto, con grandi maledizioni al sottoscritto da parte dei tecnici che coprivano i fari: "Ma come si fa a intitolare così uno spetttacolo all'aperto!".
     

     

    INDICE
     

      • I Personaggi
      • Scena 1 - PROLOGO
      • Scena 2 - RACCONTO DELLA PRIMA LAVANDAIA
      • Scena 3 - PRIMO SALMO DEL VESCOVO
      • Scena 4 - RACCONTO DELLA SECONDA LAVANDAIA
      • Scena 5 - SECONDO SALMO DEL VESCOVO
      • Scena 6 - RACCONTO DELLA TERZA LAVANDAIA
      • Scena 7 - RACCONTO DEI DUE SPETTRI
      • Scena 8 - INVETTIVA DEL VESCOVO
      • Scena 9 - EPILOGO
      • Scena 10 - APPARIZIONI
      • Il Cast
     

     

    PERSONAGGI

    NARRATRICE
    PRIMA LAVANDAIA ("la Bella")
    SECONDA LAVANDAIA ("la Brusca")
    TERZA LAVANDAIA ("la Pia")
    CLAUDIA PARTICELLA
    VINCENZO PARTICELLA
    Il PRINCIPE VESCOVO
    Un GIARDINIERE
    DUE SGUATTERE (musiciste)

     

    Scena 1^ - PROLOGO

    Il pubblico entra ed occupa il piazzale del castello. Una voce fuori scena presenta i titoli (e l'eventuale cast).

    VOCE FUORI SCENA
    Acqua chiama acqua.
    Ovvero: la Diceria del Lago.
    Le vicende del Principe Vescovo Madruzzo e di Claudia Particella, narrate dalle voci della gente, con parole bugiarde e veritiere, nel teatro dei fatti.

    (eventuali altri titoli e cast)

    Ecco la storia.

    Musica. Mentre la medesima voce fuori scena (o altra) dice di seguito la seguente INTRODUZIONE STORICA, alcune figure (le SGUATTERE) possono entrare e intessere azioni di supporto.

    VOCE FUORI SCENA
    La casata vescovile dei Madruzzo entrò in possesso del Castello di Toblino alla fine dell'anno del Signore mille e quattrocento, con una compravendita arbitraria. Poco dopo, il destino del Castello mutò: era stato bastione di guerra lungo i secoli, rocca di guardia sulla via maestra che da Trento mena alle belle valli dell'alto Sarca e del Chiese; conteso con aspre lotte dai nomi insigni dei Toblino, dei Tirolo, dei Campo. I Madruzzo ne fecero dimora di pigra feria estiva, e di cure salubri ai suoi vapori. Quell'ozio, quell'aria dolce, quei vapori, o l'acqua stessa che qui penetra ogni cosa, suscitarono forse i veleni e gli amori nefasti che diremo; o forse solo i racconti favolosi che dettero loro parvenza di realtà.

    Carlo Emanuele Madruzzo, ultimo erede del suo potente nome, era un uomo mite, un uomo schivo. Il compito spietato del dominio sulle anime e sui corpi scese forse su quel capo come un giogo, che egli tentò di eludere. Ma invano: fu Vescovo, e fu Principe, a suo danno o a suo vantaggio che ciò fosse.
    Condusse il suo ministero senza onta né gloria, beneficando alcuni, e stritolando molti. Molti anni dopo, caduto in amore di una giovane aristocratica del luogo, e in un singulto della coscienza non volendo aggiungere colpa a peccato, impetrò dal Pontefice lo scioglimento dei suoi sacri voti. Ma il mosaico dei poteri era composto, irrevocabile, intorno alla sua tiara, e l'agognata remissione non venne.
    Come i più gli consigliarono, allora, tolse la bella e dotta Particella a concubinaggio qui, nella sua dimora estiva, insieme al fratello di lei, un giovane blando e infermo.
    Ma per menare vita sacra e profana a un tempo, occorreva cuore più saldo, o forse orecchie più sorde delle sue: le voci inevitabili del volgo, e delle corti vicine, che articolavano in mille varianti la stessa maldicenza, esasperarono in breve le sue notti.
    In tale scenario cadde l'incidente: una sera estiva, nel corso di un'amena gita in barca, la favorita del Vescovo e il fratello trovarono la morte: un'oscura morte per acqua, lì, in quel lago. I sussurri della maldicenza si fecero allora grida possenti e continue, additando in lui, in lei, nell'altro, in tutti e in nessuno, gli artefici di quello che a tutti parve subito, e irrevocabilmente, un assassinio.

    Un segno musicale marca l'inizio dell'azione teatrale vera e propria. Il GIARDINIERE fa il suo ingresso, conducendo una donna molto vecchia, la NARRATRICE, che prende il proscenio.
    La scena presenta TRE PIANI: in primo piano una parte del piazzale che resterà libera (proscenio), al centro del quale ora la NARRATRICE fronteggia il pubblico; in secondo piano il declivio col viale in salita, su cui sono disposte le tre vasche del Lavatoio; in terzo piano il Castello con la Torre che svetta. La Narratrice esordisce, di seguito alle ultime parole dell'Introduzione.

    NARRATRICE
    Un assassino.
    Così dissero le voci.
    La bocca fa fatica a raccontare,
    gli occhi guardano e vedono nebbia,
    le mani toccano il fondo,
    e tornano vuote.
    Claudia, Vincenzo, ragazzi, dove siete?
    Eminenza, posso servire cena, dove siete?
    Dove siete andati tutti, ora...
    Io son rimasta qui.
    Io, che ho veduto quei giorni: io sola.
    Le voci dei ragazzi suonavano come liuti nelle sale.
    Nel giardino ai giochi del cerchio,
    nelle camere coi sussurri della notte.
    E il Vescovo levava lo sguardo dai libri,
    con un breve sorriso.
    Canti, preghiere, pranzi.
    Giorni e notti.
    Io non so di lussurie, di peccati,
    di assassini.
    Io vidi ogni cosa, e non so.
    Sì: forse i miei occhi erano chiusi,
    dalla giovinezza, dalla devozione, dall'incanto.
    Occhi di serva: io vidi ma non so.
    Sa chi non vide nulla.
    Sa e parla.
    E la sua voce è la canzone dei racconti,
    che taglia il tempo
    come una risata.

    Risuona alle spalle della NARRATRICE un piccolo e violento grido di donna. Ma il segno è immediatamente rovesciato: da dietro i Lavatoi corrono fuori TRE LAVANDAIE, strillando e ridendo. Giocano: quella tra loro che ha gridato fugge, gridando ancora, e le altre la inseguono cercando di colpirla con panni bagnati. La NARRATRICE si volge a guardarle. L'azione è molto breve: subito le tre si radunano in secondo piano, chine su un gran mastello di panni, chiacchierando e ridendo di tanto in tanto. Dopo l'interruzione, anche la NARRATRICE cambia registro: accennando brevemente verso loro, presenta ed indica i tre luoghi dell'azione.

    NARRATRICE
    Ecco, vedete: tutto è cambiato, ormai. Da questa parte della corte, un tempo, si apriva la piazza d'armi, risonante di acciaio e litanie. Ora i nuovi Signori hanno voluto disporvi i Lavatoi, che echeggiano di quest'altro responsorio.

    (risate)

    Laggiù splendeva di rigoglio il Giardino, chiuso agli sguardi da verzure e muri d'acqua, Orto Mistico di giochi e di preghiere, che forse sono atti fratelli. Ora un boschetto avaro apre le sue povere fronde a ogni sguardo e ogni vento, abitato soltanto dai fantasmi.
    E lassù, sulla torre: dove un tempo l'uomo di Dio saliva per abbreviare la distanza dal suo cielo, ora prega solo il vento, desolato.

    Appare alla Torre il VESCOVO, e intona il suo salmo. La NARRATRICE lo guarda.

    VESCOVO
    Salvum me fac, Deus:
    quoniam intraverunt aquae usque ad animam meam.
    Infixus sum in limo profundi:
    et non est substantia.
    Veni in altitudinem maris:
    et tempestas demersit me.
    Laboravi clamans, raucae factae sunt fauces meae:
    defecerunt oculi mei, dum spero in Deum meum.

    NARRATRICE e VESCOVO
    Salvum me fac, Deus...

    Dopo queste parole dette insieme, la voce del VESCOVO si fa brontolio salmodiante di fondo, e la NARRATRICE prosegue rivolta ancora al pubblico.

    NARRATRICE (di seguito)
    "... quoniam intraverunt aquae usque ad animam meam". Fammi salvo, o Signore, poiché le acque sono orami arrivate fino alla mia anima: Salmo 69, dall'Offizio del Mercoledì Santo da Sera.
    Questa preghiera diceva, e solo questa, ogni notte e per tutta la notte, negli ultimi anni.
    "Le acque fino all'anima": è così, è una storia di acque che narriamo. Sono svaniti nell'acqua i quando, i come, i perché. E noi narriamo, ancora un'altra volta, perché i fatti di questo castello svaniscano nei nostri racconti, come acqua nell'acqua, e così restino presso di noi, fino alla fine.

    VESCOVO
    Amen.

    VOCI DEI DUE SPETTRI (invisibili, dall'Hortus)
    Amen.

    VOCI DELLE TRE LAVANDAIE (ridendo)
    Amen.

    Musica. Le TRE LAVANDAIE invadono la scena, mentre la NARRATRICE si ritira in disparte. Sarà per tutto il resto dell'azione una presenza assente, un testimone che interviene con brevi interiezioni: depositaria e Nostra Signora dei Racconti.


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    Scena 2^ - RACCONTO DELLA PRIMA LAVANDAIA

    Subito dopo il loro derisorio "Amen", con un violento colpo visivo, le TRE LAVANDAIE hanno preso d'impeto la scena, spiegando un grande lenzuolo, sollevando spruzzi, ed esplodendo insieme in uno spavaldo canto popolare.

    TRE LAVANDAIE (cantano)
    E lava e lava l'acqua
    bugia e verità,
    ciò che non lava l'acqua
    neanche il fuoco laverà.
    E brucia e brucia il fuoco
    il dannato peccator,
    ciò che non brucia il fuoco
    lava l'acqua dell'amor.

    La PRIMA LAVANDAIA, "la Maliziosa", si stacca dal coro con una risata e prende la ribalta, mostrando un lenzuolo macchiato, mentre le altre due tornano in secondo piano ai Lavatoi. E' graziosa e vivace, e gli accenti del suo racconto oscillano tra un superficiale biasimo e un più profondo compiacimento (appunto "malizioso") dei passi piccanti della storia.
    Durante questo e i successivi due racconti solisti, le due LAVANDAIE rimaste di controscena intrecciano presso i Lavatoi varie azioni e giochi d'acqua, in parte di mero supporto visivo, in parte di rappresentazione degli eventi narrati (mimo giocoso etc.). Talvolta queste azioni interrompono la narrante: alcune di queste interiezioni vengono suggerite nel testo, altre si potranno inventare.
    Il GIARDINIERE con le sue tre SGUATTERE (musiciste) continuano per tutto il tempo un'azione di contrappunto nei campi lunghi e larghi: un misterioso lavorio d'irrigazioni, costruzioni, manovre d'acqua, che prenderà senso e forma più tardi. Di seguito alla canzone:

    PRIMA LAVANDAIA
    Eccole, ve l'avevo pur detto, eccole qua! To', provate a lavare! Né con l'acqua né col fuoco si lavano via, queste macchie: macchie d'amore... le conoscete, eh? Sì sì: tutta la conosciamo questa storia, noialtri di Pergolese. Ce la raccontano le vecchie a noi ragazze, quando viene il suo tempo. Ecco: magari era proprio questo il lenzuolo delle sue notti libertine, altro che povero infermo! E' stato lui, il finto fratellino, l'animaccia di tutto! State a sentire la vera storia che vi dico...

    SECONDA E TERZA LAVANDAIA
    Vera la storia e finto il fratellino,
    e Pergolese tira l'acqua al suo mulino!

    PRIMA LAVANDAIA
    Sì, finto, proprio! Non era suo fratello, e sentite questa: era un povero servo come noi! Uno stalliere di casa Particella che strigliava i cavalli, ma nel suo cuore ambiva a strigliare ben altro, uh sentirete! Perché quel giovanotto, striglia striglia, da servo di bassa stalla divenne palafreniere; e guidava i cavalli dei signori; e poi alla fine solo il cavallo della Claudia, e galeotto, quel cavallo lì! Perché in cento cavalcate luminose, tra questi stessi boschi qui d'attorno, sbocciò tra la contessina e il servo un amore... mmmmm!... che amore! Alle corte: non era cosa da portare in chiesa neanche per confessione, e mi capite!

    NARRATRICE
    Lui era bello e bianco come il maestrale: ma dagli occhi mandava fiamme scure, e dal petto un profumo di notti. Lei era bianca e bella come un cigno, e molto sapeva di libri e di latino...

    PRIMA LAVANDAIA
    ... ma poco sapeva ridere del mondo, e meno ancora degli uomini buffoni, ed insomma cascò!

    SECONDA E TERZA LAVANDAIA (giocando)
    Plufff!

    PRIMA LAVANDAIA (ride)
    Ah sì! Plufff plufff per almeno tre anni, che si fossero almeno divertiti, colombelli! Lui sì, si divertiva, non c'è dubbio: ma lei niente, sempre torva e in pena, sempre lì a guastarsi gli occhi sui libri di devozioni, di giorno, e a guastarsi il cuore di notte con quello che dico io!
    Insomma, basta: quando le arrivò l'offerta d'amore del nostro Vescovo di qua, lei voleva redimersi e pensò: "Ora mi libero da questa scura carne, e mi elevo all'amore spirituale, addio cuor mio!"... Be', addio un corno: quello, che fa? Scappa dal castello dei Particella, la raggiunge qui dopo neanche tre giorni, si finge suo fratello e per giunta malato, lei non può dire verbo o lui scopre tutta la tresca, e via avanti ancora per tre anni!

    SECONDA E TERZA LAVANDAIA (giocando)
    Uno... due... e tre!

    NARRATRICE
    Mala vita, povera Claudia, malo amore!

    PRIMA LAVANDAIA
    Povero fiore, annaffiato da due giardinieri diversi, e con che acque! Ma ci pensate? Magari qui stesso, ad ogni siepe, dietro ogni cantone: baci rubati, amor - per non dir peggio!
    Insomma, fatto sta che dopo quella dei sensi, al diavolaccio monta su la gran smania degli onori, dei titoli, e dei forzieri. Bene: onori e titoli non so come pensasse di acchiapparli, ma i forzieri eran là, a portata d'artiglio, e lui lo allunga, quell'artiglio, eccome! E' presto fatta: il finto fratello trama nell'ombra, spilla il veleno, prepara la carrozza, e poi dice all'amata: "tu ed io per sempre, su in alto nella ruota della sorte, ed il Vescovo giù ai vermi della morte!"

    SECONDA E TERZA LAVANDAIA (giocando)
    Sù... e giù!... Sù... e giù!

    VOCE DEL VESCOVO (dalla Torre)
    Giù... nel limo profondo...

    NARRATRICE
    Ahi Claudia Particella disgraziata! Cos'altro poteva fare per evitare quella nuova empia macchia, e d'un colpo lavar via le vecchie? Cos'altro le restava?

    PRIMA LAVANDAIA
    Niente: l'acqua! E in quell'acqua fidò. Chiamò il suo amante diabolico ad un'ultimo sollazzo, un giro in barca sul lago, la stessa notte fissata al delitto. E quando fu al largo, fece giustizia del bell'infame, e di se stessa: un ultimo abbraccio mortale li confisse entrambi nel limo del fondo.
    E lì, da allora, vivono in eterno, fantasmi d'acqua condannati a far l'amore, un amore di fango! Che interrompono solo nelle notti di luna, quando emergono e vagano sull'acqua, tenendosi per mano. Lui cerca ancora il tesoro e la carrozza della fuga, scrutando senza occhi le rive, e lei gli cammina al fianco sottomessa; ma non appena la luna è tramontata, inesorabile, di nuovo e per sempre lo trascina giù.

    SECONDA E TERZA LAVANDAIA (giocando)
    Giù... giù... e giù!

    VOCE DEL VESCOVO (dalla Torre)
    Sù... Più sù!... Più sù!


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    Scena 3^ - PRIMO SALMO DEL VESCOVO

    Mentre la PRIMA LAVANDAIA torna ridendo alle compagne, un cambio di luci porta in primo piano visivo il VESCOVO, in una finestra alta della torre. L'uomo si tende in alto, tenta di arrampicarsi, di salire. Aggancio con la battuta precedente.

    VESCOVO
    Più sùùùù!
    Troppo breve questa torre! Per Dio, presto!
    Fate venire mille servi con le pietre,
    chiamate gli architetti!
    Voglio che cresca come una Babele,
    di più, più sù, più sù!
    Alle stelle!
    Dove io possa fuggire queste acque,
    che crescono, con un grido ogni notte.
    Con un tuffo ogni notte, con un'onda,
    come se ogni notte altri due corpi
    venissero sprofondati nelle acque,
    e si aggiungessero laggiù in un mucchio orrendo
    che cresce sempre di più, sempre più sù...

    Cambio di ritmo. Il Vescovo, in qualche modo, si ricompone, e prega. Il brano che segue è una sorta di "Responsorio", in cui ai versetti del salmo il Vescovo alterna riflessioni, o chiose, o risposte alla litania.

    VESCOVO
    - Fammi salvo, o Signore, poiché sono entrate le acque fin dentro la mia anima.
    - Avrei dovuto capirlo. Le mani degli uomini son due.
    - Infixus sum in limo profundi: et non est substantia.
    - Con una ho tenuto lo scettro del Principe. Con l'altra il bastone del Vescovo.
    - Veni in altitudinem maris: et tempestas demersit me.
    - E l'anima, non avevo più mani per tenerla. E dov'è, ora?
    - Laboravi clamans, raucae factae sunt fauces meae.
    - Ho comandato, ho imposto, ho giudicato. Ho detto messe in onore di assassini coperti d'oro, coperto d'oro io stesso.
    - Defecerunt oculi mei, dum spero in Deum meum.
    - Ho suscitato rancori, maledizioni, e non volevo. Ora le acque mi salgono alla gola.
    - Salvum me fac, Deus: quoniam intraverunt aquae usque ad animam meam.
    - La mia anima è lì, è quelle acque. E ora viene, a riprendersi il dovuto.
    - Salvum me fac, Deus...

    Secondo cambio di ritmo. Il Vescovo lancia un ordine disperato.

    VESCOVO
    Arcieri!
    E' il Principe Madruzzo che comanda!
    Tendete gli archi!
    Uccidete quel lago!


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    Scena 4^ - RACCONTO DELLA SECONDA LAVANDAIA

    All'ultimo comando gridato può far eco un possente tonfo d'acque e un lampo di luce. E' il lago colpito? No: l'azione torna ai Lavatoi, dove le TRE LAVANDAIE riaccendono i loro giochi e risse e risate. Hanno gettato qualcosa di voluminoso nelle vasche, schizzando pesantemente la SECONDA LAVANDAIA, che ora si stacca dal coro e viene alla ribalta, seccata dello scherzo. E' "la Brusca", grossolana e venale, invidiosa delle ricchezze e del potere: il suo racconto è spiccio e greve, con frequenti enumerazioni e schematismi.
    Durante la narrazione, i giochi d'acqua si fanno più pesanti, e le tre cominciano a bagnarsi le vesti. Il GIARDINIERE e le sue SGUATTERE proseguono le loro manovre d'acqua.

    SECONDA LAVANDAIA
    Ohi no! Basta! Cosa parlate, voialtre di Pergolese, che vedete pruriti e amori dappertutto! Lasciala dire a me, ché a Ranzo la sappiamo più lunga fin da allora, puoi scrivertelo su un foglio! Altro che amori loschi e lussuriosi: oro, mia cara! Oro, titoli, comando sulla gente sciocca come voialtre, una e due!
    Prima di tutto il fratello era fratello, e non altro. Fiacco e bamboccio, magari anche malato, questo sì: ma fratello creato, di sangue. Lei invece, la dolce contessina Particella, tutta libri e latino, lei sì che era una bell'acqua: acqua di gora!?

    PRIMA E TERZA LAVANDAIA (cantando)
    E lava lava ancora
    bugia e verità,
    di fonte oppur di gora
    sempre l'acqua correrà.
    Conta la vera storia
    conta la verità,
    se non è vera storia
    come l'acqua passerà.

    SECONDA LAVANDAIA
    Vera storia come la vera croce! Noi di Ranzo la contiamo dritta e brusca, quando dev'esser detta: e voi ascoltate.
    Aveva la faccia di una bimba gentile e sapiente, la bella Claudia, ma il cuore di un brigante dei bivi, avido di ricchezza e di comando! E siccome non era destino che una donna, e nemmeno una nobile par suo comandasse un bel niente - se non quattro sceme cameriere per tirarle le braghe di dietro - allora lei cosa fa? Si trova un maschio fiacco burattino, da poter far ballare a piacimento, se lo porta nel teatrino giusto, e il gioco è fatto!

    NARRATRICE
    Povero figlio, sottile come un'aria, non eri nato per ballare questa giga furibonda, suonata dal demonio...

    SECONDA LAVANDAIA
    Era lei che era nata a cantar messa, ma in volgare però! E come introibo comincia a tormentare il nostro Vescovo buonanima, con la scusa delle confessioni. E glie ne dice, e glie ne dice, e glie ne dice: di quelle da far arrossire un soldato, con la bocca che dice miserere, ma con gli occhi che dicono ben altro. Insomma, non ci vuole mica tanto per quei lavori, vero comare mia, che lo sai bene? Per far breve: nel tempo di una stagione, il Vescovo, prima resiste, poi vacilla, e poi...

    PRIMA E TERZA LAVANDAIA (con un gioco d'acqua)
    Plufff!

    SECONDA LAVANDAIA
    E plufff con l'aggiunta, e doppia! Che si ritrova in casa sorella concubina e fratello mantenuto - con la scusa della malattia, e che solo lei poteva curarlo, e giù a piangere per pietà e per carità. Ma quali cure vi dico io adesso: in pochi mesi di manovre losche la perfida mette sospetto, pianta zizzania, semina calunnia, e finalmente raccoglie: tutti i parenti del Vescovo ripudiati, tutti gli amici del Vescovo allontanati, tutti i servi fedeli del Vescovo cacciati, e solo il caro fratellino nelle grazie. Lui solo amico, intendente, consigliere, e scrivetevi pure: unico erede di tutte le sostanze!

    VOCE DEL VESCOVO (dalla Torre)
    Et non est substantia...

    NARRATRICE
    Terre, terre... Valli piene di anime e di frutta! Vigna, sù fino al cielo! E giù cavalli e armenti, e calici e paramenti d'oro e gemme, tessuti da sante mani di clausura. E tutto questo non aveva mai bramato!

    SECONDA LAVANDAIA
    Ah, poco danno: c'era chi lo bramava! E chi tesseva con mani meno sante la rete buona per rapirselo alla tasca! E difatti in capo a un mese: giù, scritto su un foglio, testamento!

    PRIMA E TERZA LAVANDAIA (con un gioco d'acqua)
    Giù! Giù! Giù!

    SECONDA LAVANDAIA
    E insomma, come capite, il più era fatto, restava solo un gioco da creature: testamento, veleno, morte, eredità, il povero burattino seduto sullo scranno del Principe, e lei a tirargli la barra della testa per fargli dire sì sì e no no a suo piacere. E che piacere, Claudia Particella! Ti è piaciuto il bastone del comando! Pumf, che il demonio te l'ha dato sulla testa, e grazie a Dio!

    NARRATRICE
    Povero figlio, anima faticosa! Non gli bastava per vivere, il respiro...

    SECONDA LAVANDAIA
    ... e figurarsi per ammazzare, povero piffero suonato dal demonio! No, lui non era un assassino, l'ho pur detto. E se anche era malato per trucco poi lo divenne per serio, dalla pena di coscienza, ché mai osò alzare la voce e perfino l'occhio contro i disegni torvi di colei. Ma il veleno fu l'ultima goccia, anche per quella coscienza crepata, ché dài e dài anche un bacile crepato poi trabocca, o mi sbaglio? E infatti: con quel veleno, traboccò!

    PRIMA E TERZA LAVANDAIA (con un gioco d'acqua)
    Splasshhhhh!

    VOCE DEL VESCOVO (dalla Torre)
    Son salite le acque, e non c'è più sostanza
    intorno a me...

    SECONDA LAVANDAIA
    Sì, proprio quello! Che il burattino, per scampare l'ultima infamia, trovò solo una strada: quelle acque! Ecco che fa: la sera disegnata per il delitto si lamenta di una crisi di petto più brutta del solito; implora la perfida di accompagnarlo a respirare i vapori del lago; giunti al largo rovescia la barca, acchiappa la sorella in un abbraccio, e la trascina giù con sé, sul limo del fondo.
    E lì stanno conficcati ancora oggi, e affiorano solo nelle notti di luna piena, per camminare sull'acqua: lei tende ancora il passo e la mano verso il castello, il veleno, il comando; lui la segue mite e succube, ma al calar della luna, implacabile, di nuovo e per sempre la trascina giù.

    Con un ultimo, violento gioco d'acqua, le altre due LAVANDAIE chiudono il racconto.

    PRIMA E TERZA LAVANDAIA
    Giù... giù... e giù!


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    Scena 5^ - SECONDO SALMO DEL VESCOVO

    Di nuovo luce alla Torre. Specularmente alla precedente apparizione, qui il VESCOVO è proteso verso il basso, dove scruta terrorizzato il pericolo di cui parla, e da cui si ritrae. La struttura del secondo monologo, come quella del primo, è tripartita. La prima parte riprende l'ultima battuta della scena precedente.

    VESCOVO
    E giù, sempre più giù! Sempre più in fondo!
    Conficcati nel limo profondo!
    E ancora sotto, dove non c'è sostanza!
    Dove muoiono per infiniti anni.
    Muoiono e crescono, per tutti questi anni.
    Crescono, pieni d'acqua, un palmo al giorno.
    Pieni di forza, annegati rigogliosi.
    Toccano già coi piedi i miei pontili,
    e con la testa la sponda remota di laggiù.
    Riempiono il lago e già traboccano le acque,
    e sono qui ai miei piedi,
    e non c'è più sostanza e io dove andrò,
    o Signore!!!

    Cambio di ritmo. Seconda parte a "Responsorio".

    - Fammi salvo, o Signore, poiché sono entrate le acque fin dentro la mia anima.
    - Ho usato come non dovevo un potere che non volevo.
    - Infixus sum in limo profundi: et non est substantia.
    - Son due peccati fratelli, questi. Sono loro, i due fratelli della mia vergogna, e non altri.
    - Veni in altitudinem maris: et tempestas demersit me.
    - Questi peccati riempiono quel lago. Io, li ho gettati lì, molti anni fa, per cacciarli dalla mia vista, dalla mia santa eminenza, e dal mio scettro.
    - Laboravi clamans, raucae factae sunt fauces meae.
    - Io li ho annegati. Gli altri annegati, quei due poveri figli, non sono che incidente in questo dramma, povera crusca di questa mietitura.
    - Defecerunt oculi mei, dum spero in Deum meum.
    - La loro morte non ricade su di me. Cercate altrove, le colpe che hanno premuto questa piena, questa morte per acqua che ci incombe...
    - ... usque ad animam meam.

    Cambio di ritmo. Il Vescovo lancia un ordine disperato.

    VESCOVO
    Chierici! Frati!
    E' il Vescovo Madruzzo che comanda!
    Cantate gli inni!
    Portatemi sù, in cielo!


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    Scena 6^ - RACCONTO DELLA TERZA LAVANDAIA
     

    Il grido finale del VESCOVO già si confonde con gli schiamazzi delle tre giovani, e la luce riporta l'attenzione ai Lavatoi. La TERZA LAVANDAIA si stacca dal coro e prende la ribalta. E' "la Pia", bigotta e timorata, che narra cupe oscenità segnandosi e nascondendo la bocca.

    TERZA LAVANDAIA
    No, affatto! Non andò mai così, e quando non sapete fate bene a tacere, a Pergolese come a Ranzo, tutt'e due! Da noi a Sarche, ci sono orecchie più timorate delle vostre, e ben vicine ai confessionali, se mi capite ciò che voglio dire... Be', quelle orecchie l'hanno udita da chi sapeva, la storia; e bocche timorate di Dio l'han ripetuta da quei tempi e per cent'anni, di madre in figlia, e sottovoce, come si narra un esempio da fuggire. Io l'ho sentita da queste bocche sante, per cui tacete, e ascoltate chi sa.

    PRIMA E SECONDA LAVANDAIA (cantando)
    Conta la vera storia
    conta la verità,
    conta chi sa la storia
    e ascolta chi non la sa.
    E lava lava l'acqua
    chi sa e chi non sa,
    e ciò che non lava l'acqua
    dentro il fuoco brucerà.

    TERZA LAVANDAIA
    Il fuoco! Proprio quello, che Dio lo mandi a chi lo merita! Perché non era poi mica uno solo, il peccato del nostro Vescovo, no no! Peccato chiama peccato, legati uno con l'altro vengon via, come i chicchi nel rosario del demonio, Dio ne scampi! Non voglio dire che i due poveri fratelli fossero anime lavate, oh neanche un po'! Ma era lui, Sua Eminenza, la mola che macinava tutto, grano e crusca - macinato sia ora nell'inferno!

    PRIMA E SECONDA LAVANDAIA (giocando)
    Plufff! Plufff! Plufff! Macinato!

    NARRATRICE
    Come il grano innocente, fatto polvere per il pane delle bocche! Macinato! Oh, siamo tutti così: farina per il sacco dei racconti!

    TERZA LAVANDAIA
    State a sentire questa. Il primo peccato tutti lo sappiamo, e non occorre dirne: ché una fanciulla un uomo di Dio dovrebbe guardarla solo con occhi da pastore, e non da lupo. Ma passi, se ne sono viste tante: né tonaca né porpora riescono mai a domarlo, quel demonio che c'è nascosto sotto, Dio mi guardi da lui! Ma ciò che seguì fu peggio. La bella Claudia venne qui a Toblino col fratello, e lo sapete. Questo fratello era bello e bianco, e lo sapete. Be', Santa Maria dei Lavacri, lavami tu la bocca per quello che sto per dire, ché narratore non porta macchia di parole!

    PRIMA E SECONDA LAVANDAIA (sputando due zampilli dalle bocche)
    Pfffffff!

    TERZA LAVANDAIA
    Insomma Sua Eminenza Carlo Emanuele Madruzzo, Principe Vescovo di Trento, e Pastore di Dio, cominciò a guardare questo giovane; e Padre e Figlio e Spirito Santo mi perdonino, lo guardava e vedeva una donna, e basta qua!

    NARRATRICE
    Dove guardi, Pastore sventurato? Attento, attento! Non vedi che mille occhi guardano per vedere dove guardi, stai attento!

    TERZA LAVANDAIA
    Certo dovette combattere, non dico di no. Si narra che le abbia provate tutte: tentò di allontanarlo dai suoi occhi, mandandolo via per ambasciate o con pretesti. Ma la sua bella Claudia, che era legata al povero infermo da grande amore - fraterno, beninteso: non voglio dire le cose che non so - insomma la Particella ne moriva: e siccome il veleno era nel sangue, e ne moriva anche il Vescovo in cuor suo, se lo riprese a casa, e via daccapo!

    PRIMA E SECONDA LAVANDAIA (cantando)
    E via che via daccapo
    e torna a cominciar...

    TERZA LAVANDAIA
    E ancora un'altra: cercò di sprofondarsi di più e di più nell'amore lussurioso di quella, come un verro nel brago: forse pensando che chiodo scaccia chiodo, e sorella scaccia fratello, e nossignore! Oramai non era più chiodo, quello, era fuoco! E fuoco attizza fuoco, a casa mia, e bruci chi se l'è acceso, allora! Insomma, per parlar poco, alla fine il Gran Vescovo bruciò.

    PRIMA E SECONDA LAVANDAIA (cantando)
    E ciò che non brucia il fuoco
    lava l'acqua dell'amor.

    NARRATRICE
    Brucia, Vescovo, adesso. Uomo piccolo, mite, senza fiamma d'ambizione! Chi non è fuoco è legno, nel gioco del dominio. E allora brucia!

    TERZA LAVANDAIA
    Sì, proprio! E bruciarono tutt'e tre... d'un solo amore, il Cielo mi perdoni la parola. Ma aspetta aspetta, perché quel Dio che ha incenerito Sodoma e Gomorra, quel Dio non paga il sabato, si vede: e questi tre diavoli il sabato fecero festa, la domenica fiera, ma il lunedì giù che viene, la penitenza, eccome! Ché il Signore gli mise nel cuore una pena, un orrore, un disgusto, che i giorni gli parevano notti, e le notti colera! Si rose, si pentì, si contorse, e insomma alla fine decise: se non poteva distruggere il peccato, Dio ci salvi, allora avrebbe distrutto i peccatori. Là, dentro all'acqua!

    PRIMA E SECONDA LAVANDAIA (giocando)
    Qua!

    TERZA LAVANDAIA
    Fece bucare la barca da un servo fedele, che poi uccise egli stesso. Assistette egli stesso alla disgrazia, da quegli spalti, non visto da nessuno, mentre le campane per suo ordine suonavano a stormo, perché nessuno sentisse le grida. Fece cercare le salme il giorno dopo, su ogni riva, perché con quelle stesse mani sacrileghe, Padre Figlio e Spirito Santo ci guardino, voleva benedirle: ma fu invano.
    Perché da allora quei due morti malamati se ne stettero conficcati dentro il fondo, come un castigo sta conficcato dentro il cuore; e per castigo se ne tornava lui stesso sugli spalti, ad ogni luna, per vederli saltar fuori dalle acque, tenendosi per mano, e camminare ancora verso lui: finché la collera divina, che ci scampi, di nuovo e per sempre li trascinava giù.

    PRIMA E SECONDA LAVANDAIA (giocando)
    Giù! Giù! E giù!


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    Scena 7^ - RACCONTO DEI DUE SPETTRI

    La luce si spande sul campo largo, e una musica lontana arriva dall'Hortus. Il GIARDINIERE aveva manovrato, nel suo lungo lavorìo di controscena, una strana architettura d'irrigazioni, che con la luce prende ora colore e forma: canali, zampilli, vasche. Guidato da queste corsie d'acqua, e sollecitato dal GIARDINIERE e dalle SGUATTERE musiciste, il pubblico migra verso la sua nuova postazione, nel boschetto dell'Hortus.
    Quando ha raggiunto il suo posto e s'è assestato, la luce rivela l'apparizione di CLAUDIA e del FRATELLO, e gli spettri sereni narrano, in un immobile "duetto".
    Durante il quale, il GIARDINIERE riprende le sue manovre d'irrigazione: irrora con un vistoso getto d'acqua il fondale naturale d'alberi, spostandosi lentamente da un estremo all'altro della scena, nello spazio fra gli attori e il pubblico. Mano a mano che viene irrorata, in un fronte mobile di cambio luci, la scena muta aspetto e colore, assumendo toni di incantesimo subacqueo, come se l'acqua la trasformasse. Il getto passerà sui due Spettri in un preciso momento del loro duetto (segnalato nel testo), e li bagnerà completamente, come se il Giardiniere non li vedesse, e seguitasse a irrorare le fronde dietro loro.

    CLAUDIA e VINCENZO
    Qui, nella Fiaba.

    CLAUDIA
    Ogni affanno ha trovato il suo riposo, ogni parola il suo canto, ogni gesto la sua danza, e la sua fine.

    VINCENZO
    Ho perduto ogni memoria dei perché. Ignoro quali vicende, tristi o amare, abbiano spinto la mia vita fino all'acqua, fino al Tempio dei Fati.

    CLAUDIA e VINCENZO
    So il mio nome.

    CLAUDIA
    Io sono Claudia Particella. Agli annegati è dato ricordarlo.

    VINCENZO
    Io sono Vincenzo Particella. Posso narrare solo ciò che m'è accaduto dopo che l'acqua si richiuse, e lo farò.

    CLAUDIA
    Non vidi subito il Tempio delle Fate. Forse i miei occhi erano gonfi d'acqua, o forse non lo erano abbastanza. Mentre affondavo, agitando le mie mani, vidi teorie di perle luminose, e pensai: le ultime bolle della vita stanno sgranando via dalle mie labbra, ma non erano quelle. Erano le reti delle Tribù, che mi attendevano, e mi cingevano in abbracci. Fu allora che il respiro rassegnato si colmò d'acqua fredda...

    CLAUDIA e VINCENZO
    E allora vidi.

    VINCENZO
    Il Tempio delle Tre Fate era celeste, come ogni costruzione di quaggiù, remoto, e luminoso di finestre. Fui condotto al cospetto della Dama, ancella delle Fate e messaggera, ed essa mi interrogò. Risposi, con pudore ed apprensione, ma lei sorrise benigna, e mi baciava. Fui spogliato dalle sue sacerdotesse, lavato con morbidi getti d'acque calde, e condotto nella grotta del riposo.

    CLAUDIA
    Il viaggio verso il Tempio fu infinito. Nuotavo lieve, in mezzo alle Tribù, verso il fondo, e giunti al fondo verso molte direzioni. Su grandi pascoli d'alghe vidi i cervi bere in sogno le acque, senza fine.

    VINCENZO
    Giunto al Tempio, anche le onde del mio cuore erano calme, senza più traccia d'ossessione. Le Tre Fate sedevano in mezzo allo splendore, e mi parlavano in una lingua misteriosa, che tuttavia compresi, e parlai anch'io.

    CLAUDIA
    Mi spiegarono che cominciava il benvenuto, e che sarebbe durato a lungo, quanto a lungo durava la mia scelta.

    CLAUDIA e VINCENZO
    Dovevo scegliere.

    (Qui il getto d'acqua del GIARDINIERE investe CLAUDIA)

    CLAUDIA (di seguito)
    Dovevo accogliere l'acqua nel profondo, in ogni ultimo recesso del mio corpo, e solo allora annegare finalmente, ed essere ammessa al Tempio, ed alla Fiaba.

    (Il getto ora è giunto al FRATELLO)

    VINCENZO
    Oppure perseverare a rifiutarla, restare terra separata dentro l'acqua, e presto melma marcita, e infine ossa, inutili, bugiarde, forestiere.

    (Il getto passa oltre)

    CLAUDIA e VINCENZO
    E allora scelsi.

    CLAUDIA
    E finalmente, lentamente...

    CLAUDIA e VINCENZO
    ... mi bagnai.

    VINCENZO
    Ed ora, acqua nell'acqua, nella Fiaba, vedo passare il Re Cervo come un sogno, verso le sue dimore luminose.

    CLAUDIA
    Vedo le sei Tribù antiche del lago accendere i falò di mezza estate, e danzare sullo scoglio dei Toblini.

    VINCENZO
    Vedo la Dama, ancella delle Fate, vestita di bianchi vapori, a luna nuova, partire per la cerca di annegati. E quando la luna è piena...

    CLAUDIA e VINCENZO
    ... camminiamo sull'acqua...

    CLAUDIA
    ... e allora vedo, sopra lo scoglio, una curiosa costruzione, dove era il vecchio Tempio, ora sommerso. Talvolta è splendida di fuochi e di soldati, talvolta è deserta e buia, ed abitata da un uomo solo che grida dalla torre.

    VINCENZO
    Certe lune è una chiesa risonante, solenne di cori sacri e di misteri. Certe altre una taverna illuminata, fragorosa di canti d'ubriachi. Certe altre è solo maceria, o non esiste.

    CLAUDIA e VINCENZO
    Ma quando torniamo al fondo...

    CLAUDIA
    ... e nella Fiaba, svanisce ogni ricordo, ogni curiosità, sfuma ogni cura. Custodisco segreti inconsistenti.

    VINCENZO
    Conto le onde che passano sul lago, come inutili storie.

    CLAUDIA
    Conto le stelle sopra le onde, e quelle belle,...

    CLAUDIA e VINCENZO
    ...le contiamo due volte.

    CLAUDIA
    Perché era qui, che riposava l'eco.

    VINCENZO
    Erano qui, le sorelle delle cose.

    CLAUDIA
    Qui ogni stella è due stelle.

    VINCENZO
    Ogni storia è due storie.

    CLAUDIA
    Ogni volta è due volte.

    CLAUDIA e VINCENZO
    Ed ogni morto è due fratelli, e non ha fine.

    Musica.


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    Scena 8^ - INVETTIVA DEL VESCOVO

    Cambio luci: si riaccendono le architetture d'acqua che segnano il cammino per tornare dal bosco ai Lavatoi. Guidato dal GIARDINIERE e dalle sue SGUATTERE, il pubblico si sposta.
    Mentre la musica sfuma, dalla Torre il VESCOVO chiama ed accoglie gli spettatori che stanno giungendo. Questo monologo finale ha la forma di un'omelia rivolta direttamente al pubblico, che diviene ora folla di fedeli, e la sostanza di un'invettiva amara e violenta. La prima parte (l'accoglienza) può esser tenuta più o meno lunga a seconda della necessità.

    VESCOVO
    Venite! Venite avanti, pecorelle!
    Vieni, gregge villano, presentati a capo chino al tuo pastore!
    Patris et Filii et Spiritus Sancti:
    ecco, benedicamus vos, vi benedico!
    Non v'accalcate, non alzate le voci, non spingete!
    Bovi!
    Siete al cospetto del Ministro, giù i cappelli!
    Venite nella modestia, anime vane.
    Ecco, disponetevi con decoro.
    Chetate il cuore, tacete, riposate.
    Siete giunti di lontano, dunque:
    oremus!

    (Qui il pubblico si è assestato)

    Eccovi, siete giunti di lontano.
    Da Pergolese, da Ranzo, da Sarche, vi conosco!
    Spinti dalla paura, dal tremore.
    Spinti dalla malizia, vi conosco,
    razza villana, razza codarda, infida!
    Nata a sputar preghiera e maldicenza
    con una bocca sola!
    Che volete?!
    Che ordini a quel Lago di ritrarsi?
    Che salvi le vostre vigne, i vostri armenti?
    Che fermi questa piena?
    Bene! Ecco!
    Eccomi qui, sono davanti a voi!
    Ecce homo, ecce Piscopus Domini! Avanti!
    Chinate il capo davanti a questa tiara,
    e giù in ginocchio!
    Avete voluto parlare? Giù in ginocchio!
    Avete voluto dir male di me?
    Eccomi qui, davanti a voi! Io sono quello!
    Io sono uno, e dove sono gli altri due?
    La fanciulla e il ragazzo dei peccati,
    le vittime del macello, ma di chi?!?
    Chi ha macellato chi?!?
    Avanti!
    Perché tacete ora?
    Cosa aspettate? La mia benedizione?
    Avete voluto dire male ed ora
    chiedete a me di benedire?
    Pronto!
    Benedicamus vos!
    Padri e figli, madri e figlie, giù in ginocchio!
    E raccontatela in ginocchio ora la storia.
    Non pregate, non chiedete pietà, narrate ancora!
    Ditelo adesso! Qual'è la vera storia?
    Qual'è la verità?
    Di che peccati si è riempito questo lago?
    Di che colpe trabocca?
    Delle mie?!?
    E cosa sai delle mie colpe, gregge cieco...
    Prega, oramai.
    Perché altro non resta.
    Questo Lago si è colmato di qualcosa
    che noi ignoriamo,
    che non possiamo stornare da noi,
    né io né voi.
    Preghiamo insieme allora,
    perché al fondo
    non ci prendano anche le anime le acque.
    Oremus.
    Dall'Offizio del Mercordì Santo da Sera.
    Intuoni il Salmista.
    Salmo 69.

    (Musica)

    Salvum me fac, Deus:
    quoniam intraverunt aquae usque ad animam meam.
    Infixus sum in limo profundi:
    et non est substantia.
    Veni in altitudinem maris:
    et tempestas demersit me.
    Laboravi clamans, raucae factae sunt fauces meae:
    defecerunt oculi mei, dum spero in Deum meum.
    Dum spero in Deum meum...
    In Deum meum....
     


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    Scena 9^ - EPILOGO

    Già durante l'ultima battuta del VESCOVO (il Salmo), la luce s'accende sul Lavatoio, e ci mostra le tre LAVANDAIE radunate ai piedi della NARRATRICE, alta su loro, come in una pittorica adorazione di Maria. Infine, quando la preghiera del Vescovo è diventata un brontolio confuso, un suono a bocca chiusa che persiste, la NARRATRICE lo guarda brevemente, e infine scende verso il pubblico per l'Epilogo.

    NARRATRICE
    Ecco, ora tutti i racconti son compiuti.
    Ora forse attendete
    che io giudichi fra tre storie,
    che io dica quale è vera e quale è falsa.
    Sbagliate.
    Le storie non sono vere, non sono false, non sono tre.
    Io stessa potrei narrarvene altre cento.
    Ma dire quali sian vere, io non so.
    Se delitto vi fu, chi lo ha compiuto,
    spinto da quali demoni, o dolcezze;
    se castigo vi fu, chi lo subì,
    se vaghino gli spettri per il lago,
    o si arrampichi il Vescovo alla torre,
    o viceversa;
    o se ognuno riposi nel suo sogno,
    o trovi requie nei molti Dei antichi,
    o nell'Unico attuale;
    tutto questo non so.
    Però vi dico:
    dove credete che corrano le acque di queste nostre vasche,
    sporche del sudiciume dei padroni?
    E dove credete che corrano le altre,
    le acque di quel giardino, le pure e nobili di illustri geometrie?
    Corrono verso la stessa fine:
    là, in quel lago.
    Là si confonde il puro con l'impuro.
    Là acqua chiama acqua,
    e acqua si fonde con acqua,
    e ciò che resta è acqua, e non c'è altro.
    E' quell'acqua la Madre delle Storie.
    Senza quel lago non si sarebbero narrate.
    Ogni lago narra storie di annegati.
    E non sta a noi sapere se son vere.
    A noi sta raccontarle,
    a voi ascoltarle,
    a lui portarle via nella corrente,
    e portarcene altre nuove,
    da narrare.
    E noi narriamo, non cesseremo di narrare,
    perché i fatti di questo castello,
    ed altri molti,
    svaniscano nell'acqua ferma dei racconti,
    e così restino presso di noi,
    fino alla fine.

    VOCE DEL VESCOVO (dalla Torre)
    Amen.

    VOCI DEI DUE SPETTRI (dall'Hortus)
    Amen.

    TRE LAVANDAIE
    Amen.


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    Scena 10^ - APPARIZIONI

    Condotto dal GIARDINIERE e dalle SGUATTERE danzanti, il pubblico si sposta presso i merli del basso muro di cinta (o in altro punto di osservazione più opportuno), per assistere alle apparizioni degli Spettri e delle altre figure, proiettate su uno schermo d'acqua che sorge dal Lago.


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    IL CAST
     
    "ACQUA CHIAMA ACQUA"
    Una memoria nell'incanto del CASTEL TOBLINO

    Testo di BRUNO TOGNOLINI
    Soggetto di MONICA MAIMONE

    Musiche GIANFRANCO GRISI
    Regista assistente MARCO ZAPPALAGLIO
    Ideazione luci PAOLO BARONI
    Ideazione costumi ANNA CARNELLI
    Una produzione TRAFESTI

    Regia e ideazione scenica di MONICA MAIMONE e VALERIO FESTI

    Narratrice ELEONORA FUSER
    Prima Lavandaia (la Bella) SILVIA BARCO
    Seconda Lavandaia (la Brusca) DONATELLA BERTELLI
    Terza Lavandaia (la Pia) CAROLINA BAGGI
    Claudia Particella SILVANA GASPERINI
    Vincenzo Particella GIOVANBATTISTA STORTI
    Principe Vescovo ENZO CECCHI
    Uomo delle Acque FABRIZIO CARAFFINI

    I Monaci CORO CASTELBARCO DI AVIO diretto da LUIGI AZZOLINI

    Prima rappresentazione a Castel Toblino (TN), 11-12 luglio 1992

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