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RITORNO SUL DON (prima parte)
6 ottobre 1989
La strada, un continuo e lento saliscendi interminabile,
corre verso est.
Da quando aspetto questo momento? Per anni, quando l'età
più giovane mi spronava all'avventura, ho sognato e sperato di poter
agganciare la roulotte e partire alla ricerca di un luogo, di un ricordo
della mia gioventù, ma soprattutto per ritrovare quel mio passato,
per risentire le voci degli amici che non sono tornati, voci che forse
aleggiano ancora nel bosco di Kosharnji e su quella collina di neve digradante
verso il Don.
Sto ritornando sul Don. Sto per realizzare il sogno, il desiderio
di una vita e lo devo al caso di aver incontrato l'amico Bortoluzzi, perchè
è stato lui che ha organizzato questo pellegrinaggio sul Don per
i reduci di Russia di Belluno.
Se non l'avessi incontrato non sarei qui.
Non lo conoscevo ma per me è come aver ritrovato un
amico. Perché con lui ho rivissuto liete memorie di amicizie comuni
ma soprattutto ho ritrovato i ricordi di quella avventura che ci ha accomunati
nei disagi, nei pericoli e nella tragica sorte di molti nostri compagni.
Il viaggio sarà lungo.
Siamo partiti un'ora fa da Charkov e Natascia, la nostra
interprete, ci dice che arriveremo a Rossosh solo verso sera. Il paesaggio
non è molto interessante, la comitiva è piuttosto taciturna
e così il pensiero ritorna alle poche cose che abbiamo potuto vedere
in questo viaggio, forse troppo breve.
Kiev.
A Kiev c'ero già passato. nel febbraio del '43, durante
la ritirata ma ora certo non mi ci ritrovo. Il centro, adagiato su una
collina, assieme ai palazzi risparmiati dalla guerra è occupato
da una serie di grandi edifici pubblici moderni e di piacevole aspetto
che ne hanno cambiato la fisionomia. Così, quando mi ci avventuro
la sera dopo cena assieme a Bortoluzzi, fidando nei miei ricordi, mi viene
incontro una città nuova, dall'aspetto cosmopolita, con le sue ampie
strade ancora vive di folla, ma che non conosco.
Tuttavia lungo i suoi marciapiedi alberati mi sembra di vedere
ancora le bancarelle dove le donne russe vendevano i resti dei nostri magazzini
militari che avevano comprato dai "bravi" italiani delle nostre
Intendenze (e non è improbabile che qualcuno di questi, al ritorno
in Italia, sia stato insignito di medaglia al valore per aver eroicamente
difeso le scartoffie e i beni del regio esercito italiano in terra di Russia).
Kiev mi è rimasta impressa per i grandi boschi che
circondano e penetrano la città, per la maestosità del Dnieper
ampio e calmo che la attraversa, per le meraviglie dei tesori artistici
conservati nelle sue Chiese, alcune delle quali sono aperte al culto.
Io avevo sempre pensato alla Rivoluzione come a un capovolgimento
di valori e a un momento devastatore nei confronti di un sistema e dei
suoi simboli: mi rendo conto, invece, che la Rivoluzione russa ha spazzato
via gli zar e il loro potere ma ha saputo preservare dal saccheggio e dalla
devastazione tanti tesori inestimabili.
Nella Cattedrale di S. Vladimiro, raccolta nella penombra
delle sue navate, una grande folla - e sono le dieci del mattino - prega
attorno alle Sacre Icone illuminate da centinaia di candeline. Una suora
ortodossa, vicino all'ingresso, le vende a cinque per tre rubli (cifra
esorbitante per chi ha una paga media di sei rubli al giorno) e un'altra
raccoglie le offerte per le Messe. Mi pare di essere nella Basilica del
Santo a Padova: si vede che tutto il mondo è paese.
Le compro anch'io cinque candeline e le accendo davanti a
un'Icona dove una dolce e triste Madonna tiene fra le braccia un Gesù
Bambino vestito d'oro.
Mosca.
Dalla finestra dell'albergo, un grattacielo di trenta piani
alla periferia di Mosca dove siamo alloggiati, lo sguardo spazia su un’immensa
distesa di case popolari, tanti e tanti parallelepipedi tutti bianchi e
tutti uguali che si susseguono quasi all'infinito. Il centro non lo si
vede perché è distante forse una ventina di chilometri.
Mosca mi ha lasciato impressioni contrastanti.
Mi ha incantato per la bellezza del Cremlino con le sue cattedrali
dalle cupole d'oro risplendenti al sole della sera, per la meravigliosa
Piazza Rossa chiusa fra le torri e le mura della fortezza da una parte,
il bellissimo Palazzo del GUM dall'altra e, sul fondo, la policroma e mirabile
architettura della cattedrale di San Basilio. Al centro delle mura la rossa
mole del mausoleo di Lenin con la folla dei suoi visitatori, si propone
ancora come fulcro della Rivoluzione Sovietica.
Ma oltre a questo ho l'impressione che non ci sia un gran
che. Il poco tempo a disposizione, che non ci ha consentito di visitare
nessun museo, e il giro panoramico forse non scelto bene mi hanno deluso.
Ci hanno fatto vedere, di passaggio, il teatro Bolscioi e alcuni monumenti,
abbiamo percorso alcune vie né belle né brutte e fatto una
sosta davanti all'Università Lomonosov che assomiglia a una cattedrale.
A Stalin deve essere piaciuta perché ne fece fare altre sei, tutte
uguali... e l'ultima la mandò in regalo alla Polonia.
E poi le "Prospecktive", amplissime strade che
dal centro si dipartono a raggiera e per costruire le quali hanno demolito
gran parte della vecchia struttura urbana. Ai lati di queste "Prospecktive",
posti ogni 200 metri come quinte di scena, altissimi grattacieli tutti
esattamente uguali l'uno all'altro danno un senso di desolante monotonia.
Mi hanno del tutto sconcertato, per l'inutile spreco di ricchezza,
le stazioni della metropolitana decorate e rivestite con grande sfarzo
di stucchi, di marmi, di mosaici, di statue, di bronzi e di lampadari come
nei saloni dei vecchi Palazzi Principeschi. Ma il risultato mi è
sembrato pedante, pesante e piuttosto brutto.
Quando abbiamo chiesto di visitare i Magazzini del GUM, supermercato
e mostra generale della produzione di tutte le repubbliche dell'Unione,
qualcuno ci ha detto che è inutile andarci perché nel GUM
non c'è quasi più nulla da vedere.
Eppure fino a qualche anno fa era una visita obbligata per
i turisti e molto interessante. Ci consigliano piuttosto di andare nella
Via Arbat, bella strada della vecchia Mosca, racchiusa fra alti palazzi,
con molti piccoli negozi e laboratori artigianali. Ai bordi della strada
i pittori espongono le loro opere e le vetrine delle botteghe artigiane
mettono in mostra cofanetti smaltati, matrioske, costumi locali, colbacchi
di pelliccia e souvenirs di tutti i tipi.
In una oreficeria statale i grandi espositori a muro e le
vetrine sui banchi di vendita sono quasi vuoti. Solo qualche orologio di
marca russa, ora di moda anche in Italia, e pochi anelli e orecchini in
oro. I prezzi sono in rubli e nei negozi non accettano valuta straniera;
il cambio "'nero" non è consigliabile su questa strada
che dicono controllata dalla polizia e pagare in rubli al cambio ufficiale
non è sconveniente in questi negozi che forse applicano prezzi "per
turisti stranieri".
Entriamo in un negozio di frutta e verdura. La merce esposta
è poca e di qualità mediocre ma la gente aspetta pazientemente
il suo turno. Ci spostiamo anche nella vicina Prospecktiva Kalininskaja
per visitare i grandi negozi. Entriamo in una ampia "Cafeteria":
non ci sono le tante cose che si trovano nei nostri bar; c'è solo
caffè, tè e qualche dolce. Ma se non altro qui dentro il
locale è riscaldato e vi si trova riparo dal vento freddo e forte
che spazza per il lungo la Prospecktiva.
Sulla via Arbat invece, riparata dai vecchi palazzi, non
c'è vento anche se è freddo. È una strada lontana
dal traffico frettoloso che si trova negli altri quartieri: è una
strada che sa di vita antica, con la gente che passeggia tranquilla, che
si ferma a salutare gli amici, mentre le donne osservano le vetrine, fanno
qualche commento sulla bellezza o sui prezzi delle tante belle cose che
gli artigiani fanno rivivere dalle tradizioni del passato e poi riprendono
il loro quieto camminare.
La gente.
La gente che ti sfiora frettolosa, che riempie gli auto bus
e le metropolitane, non è diversa da quella che si incontra in ogni
città del mondo. Signore e uomini più o meno eleganti, giovani
in jeans e giubbotto, anziani che camminano lentamente tentando di non
farsi trascinare dalla corrente. C'è però una categoria che
qui si distingue fra le altre ed è quella degli alti funzionari
del Partito o dello Stato e degli ufficiali delle forze armate e delle
varie milizie. Hanno un aspetto fisico particolare: tutti belli freschi,
pasciuti, ben vestiti e con l'aria soddisfatta di chi sa di contare più
degli altri. O forse e solo una mia impressione.
A Charkov ci attende una simpatica sorpresa.
In una sala dell'albergo dove campeggia uno striscione tricolore
con la scritta: "Benvenuti a Charkov cari amici italiani", il
direttore ci rivolge un cordiale saluto mentre una ragazza, vestita con
il costume tradizionale, ci offre il pane e il sale simboli di ospitalità.
La cerimonia, nella sua semplicità, ci commuove: in fin dei conti
quella volta eravamo venuti come invasori in questa città che è
stata a lungo martoriata dalla guerra, due volte occupata e due volte riconquistata.
Anche a Charkov ci conducono a fare un giro in pullman. La
città è un grosso centro industriale e il nucleo storico
è modesto: ci sono alcuni palazzi notevoli salvati o ricostruiti
dopo la guerra, alcune vie con le caratteristiche costruzioni dell'800
e tanti monumenti.
Entriamo anche in un Supermercato dove si vende un po' di
tutto, biancheria, articoli da cucina e da regalo, elettrodomestici, ecc.
Faccio così alcuni confronti per capire qual è
il potere di acquisto del rublo che al cambio ufficiale costa 2200 lire,
ma che torme di giovani negli alberghi e per strada ti offrono a 140 lire
contro dollari e a 200 contro lire. Natascia ci ha detto che ha uno stipendio
di 160 rubli al mese, pari a quello di un operaio comune, anche se ha una
laurea in lingue straniere e ci conferma che la differenza fra le varie
categorie non sono alte. Solo gli operai specializzati e i capireparto
nelle industrie di base possono superare i 500 rubli al mese; ingegneri
e medici, anche con diversi anni di servizio, non superano i 200-220 rubli
al mese. Sono stipendi che al cambio ufficiale sembrano più bassi
delle nostre pensioni sociali, ma i prezzi delle merci, soprattutto quelle
più necessarie, e i costi dei servizi, sono molto bassi.
Per noi, qui, sarebbe comunque vantaggioso comperare anche
al cambio ufficiale ma è la qualità dei prodotti offerti
che sembra scadente e così si compra - chi ce l'ha - al cambio "nero"
e si risolve tutto.
Al primo piano del supermercato c'è una caffetteria.
Una cameriera svogliata ci chiede cosa vogliamo: caffè, ma risponde
"niet": tè, ma "niet": limonata, "niet":
ma allora "sciò jest?" chiedo e mi mette davanti un bicchiere
con una bibita color nocciola. Sul banco c'è un piatto con una decina
di paste: assaggio la bibita ma sa di cloro, pago e me ne vado senza bere.
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