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La teoria del ciclo di vita internazionale del prodotto
La teoria del ciclo di vita internazionale del prodotto secondo la versione
di R. Vernon ed S. Hirsch [Falcone]
passa attraverso tre fasi:
-
fase iniziale: il nuovo bene , che nasce in un paese innovatore
ad un alto livello di sviluppo, viene prodotto in piccole quantità,
ad alti costi ed è dipendente da molti fattori esterni (ad es.:
centri di ricerca per le successive messe a punto). Il produttore, in questa
fase, troverà conveniente offrire i propri beni nello stesso paese
che costituisce il primo mercato di sbocco. Quindi, in questa fase non
esiste una domanda negli altri paesi e le imprese innovatrici produrranno
solo per quel mercato.
-
fase intermedia: messo a punto il bene e il processo produttivo
ad esso inerente, il produttore aumenterà la produzione per realizzare
maggiori profitti. Ma, allargandosi il mercato e, quindi, anche la concorrenza,
la domanda perderà la rigidità rispetto al prezzo del prodotto
quando era una "novità", per acquisire, invece, una crescente elasticità
nei confronti del prezzo. In questo contesto diventano determinanti i costi
di produzione. Per ovviare a tale situazione il produttore sostituirà
le vendite sul mercato interno con l'esportazione in paesi dove il prodotto
non è ancora conosciuto, recuperando cioè il tipo di mercato
del primo stadio. In questa fase si esportano surplus produttivi che non
trovano collocazione sul mercato domestico.
-
fase finale: il prodotto raggiunge la maturità nel
paese innovatore e si realizza una diffusione della tecnologia produttiva,
tale da permettere l'entrata sul mercato di produttori interni ai mercati
di sbocco. Diventa così conveniente, per il produttore originario,
produrre direttamente in quelli che erano i paesi di esportazione. Questa
fase può evolvere fino al punto da verificarsi, per la competitività
di quei paesi in termini di costo di produzione, un flusso di esportazioni
in senso contrario, cioè verso il paese primo produttore. L'impresa
multinazionale vende quindi sul proprio mercato d'origine producendo in
paesi terzi, dopo aver effettuato propri investimenti diretti all'estero
(IDE).
Prima di riepilogare sarà bene soffermarsi sulla relazione esistente
tra paesi innovatori (leaders), imitatori (followers) e in
via di sviluppo(PVS):
-
le imprese dei paesi industriali più avanzati, in quanto caratterizzate
da elevate disponibilità di lavoratori e tecnici specializzati,
da un elevato costo del lavoro e da una notevole esperienza industriale,
avrebbero maggiori possibilità e convenienza a introdurre sul mercato
beni nuovi e nel diffonderli anche sui mercati stranieri, attraverso forme
di internazionalizzazione di tipo mercantile;
-
man mano che si va diffondendo la conoscenza di tali beni e delle tecniche
produttive, anche gli altri paesi industriali (imitatori) potrebbero via
via trovare conveniente intraprenderne la produzione grazie anche agli
investimenti diretti da parte delle multinazionali;
-
quando ormai i beni sono diventati maturi, anche i paesi in via di sviluppo
potrebbero vantaggiosamente produrli.
Nell'iniziare il loro processo di industrializzazione è probabile
che questi ultimi paesi preferiscano optare per i settori tradizionali
o maturi in quanto hanno:
-
un vantaggio comparato rappresentato da più bassi costi di mano
d'opera;
-
un minore svantaggio comparato per le tecniche di produzione, ormai standardizzate
e quindi facilmente appropriabili mediante l'acquisto di brevetti, licenze
e macchinari; analogamente ciò vale per le spese di marketing poiché
i prodotti sono già conosciuti grazie alla loro ampia diffusione.
Riassumendo possiamo affermare che la teoria tradizionale considera come
uniche forme di internazionalizzazione l'esportazione e gli investimenti
diretti all'estero (IDE), costituiti dalla produzione diretta, dalla vendita
diretta attraverso proprie strutture distributive e dalla vendita diretta
mediante l'organizzazione di unità aziendali, consociate o affiliate.





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