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Omaggio allo spettacolo più bello ed affascinante della
natura, con le opere ispirate a chi ne subisce il fascino.
CASA SUL MARE
ll viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l’anima che non sa più dare un grido.
Ora i minuti sono eguali e fissi
come i giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.
Il viaggio finisce a
questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
I soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l’isole dell’aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.
Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l’avara mia speranza.
A’ nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l’offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.
Il cammino finisce a
queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m’ode
salpa già forse per l’eterno.
(Eugenio
Montale, Ossi di seppia)
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L’AGAVE SULLO SCOGLIO
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rabido ventare di scirocco
che l'arsiccio terreno gialloverde
bruci;
e su nel cielo pieno
di smorte luci
trapassa qualche biocco
di nuvola, e si perde.
Ore perplesse, brividi
d'una vita che fugge
come acqua tra le dita;
inafferrati eventi,
luci-ombre, commovimenti
delle cose malferme della terra;
oh alide ali dell'aria
ora son io
l'agave che s'abbarbica al crepaccio
dello scoglio
e sfugge al mare da le braccia d'alghe
che spalanca ampie gole e abbranca rocce;
e nel fermento
d'ogni essenza, coi miei racchiusi bocci
che non sanno più esplodere oggi sento
la mia immobilità come un tormento.
EUGENIO
MONTALE OSSI DI SEPPIA
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Da
“I MALAVOGLIA”
Soltanto
il mare gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai fariglioni,
perché il mare non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo
stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole, anzi ad
Aci Trezza ha un modo tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al
gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe, e par la voce di
un amico.
Giovanni Verga, 1881
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ANTICO
Antico, sono
ubriacato dalla voce
ch'esce dalle tue bocche quando si schiudono
come verdi campane e si ributtano
indietro e si disciolgono.
La casa delle mie estati lontane,
t'era accanto, lo sai,
là nel paese dove il sole cuoce
e annuvolano l'aria le zanzare.
Come allora oggi in tua presenza impietro,
mare, ma non più degno
mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro. Tu m'hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso
e insieme fisso:
e svuotarmi così d'ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso.
EUGENIO MONTALE
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IL NAUFRAGO
Il mare, al buio, fu
cattivo. Urlava
sotto gli schiocchi della folgore! Ora
qua e là brilla in rosa la sua bava.
Intorno a mucchi d'alga ora si dora
la bava sua lungi da lui. S'effonde
l'alito salso alla novella aurora.
Vengono e vanno in un sussurro l'onde.
Sembra che l'una dopo l'altra salga
per veder meglio. E chiede una, risponde
l'altra, spiando tra quei mucchi d'alga...
"Chi è? Non so. Chi sei? Che fai? Più nulla.
Dorme? Non so. Sì: non si muove". E il mare
perennemente avanti lui si culla.
Noi gli occhi aperti ti baciamo ignare.
Che guardi? Il vento ti spezzò la nave?
Il vento vano che, sì, è, nè pare?
E tu chi sei? Noi, quasi miti schiave,
moviamo insieme, noi moriamo insieme
costì con un rammarichìo soave...
Siamo onde, onda che canta, onda che geme...
Tu guardi triste. E dunque tua forse era
la voce che parea maledicesse
nell'alta notte in mezzo alla bufera!
Non siamo onde superbe, onde sommesse.
Onde, e non più. L'acqua del mare è tanta!
Siamo in un attimo, e non mai le stesse.
Ora io son quella che già s'è franta.
Ed io già quella ch'ora là si frange.
L'onda che geme ora è lassù, che canta;
l'onda che ride, ai piedi tuoi già piange.
Noi siamo quello che sei tu: non siamo.
L'ombre del moto siamo. E ci son onde
anche tra voi, figli del rosso Adamo?
Non sono. È il vento ch'agita, confonde,
mesce, alza, abbassa; è il vento che ci schiaccia
contro gli scogli e rotola alle sponde.
Pace! Pace! È tornata la bonaccia.
Pace! È tornata la serenità.
Tu dormi, e par che in sogno apra le braccia.
Onde! Onde! Onda che viene, onda che va...
GIOVANNI
PASCOLI, 1909
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MARE
M'affaccio alla
finestra, e vedo il mare:
vanno le stelle, tremolano l'onde.
Vedo stelle passare, onde passare:
un guizzo chiama, un palpito risponde.
Ecco sospira l'acqua, alita il vento:
sul mare è apparso un bel ponte d'argento.
Ponte gettato sui laghi sereni,
per chi dunque sei fatto e dove meni?
GIOVANNI
PASCOLI, 1892
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