ti trovi in: Motore Azzurro » il Quaderno » il Quaderno del 17 luglio

il Quaderno del 17 luglio

Prodi/Il soccorso che viene dall'Alto...

Un quotidiano romano titola oggi a nove colonne: "Usano le istituzioni per salvare Prodi".

E' effettivamente così. In prima fila, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che è intervenuto tre volte:

Alle parole del Capo dello Stato si sono aggiunte quelle dei presidenti della Camera e del Senato, egualmente di pressione sulla maggioranza e quindi a supporto del Governo:

Questi tre interventi sono al di fuori dei poteri dei rispettivi titolari, tutti formalmente super partes e, soprattutto, estranei a responsabilità di governo e senza più vincoli di partito. Ma ciò è consentito loro dal sistema confuso e partecipativo della Costituzione che non è stata cambiata.

Prodi/...sfiora l'illecito istituzionale

La scelta dei vertici delle più alte istituzioni, dopo le elezioni politiche di aprile - come è noto - ha privilegiato l'appartenenza politica ai più importanti partiti della maggioranza: alla Margherita (Marini al Senato), a Rifondazione Comunista (Bertinotti alla Camera) e ai Ds (Napolitano al Quirinale dopo il tramonto della candidatura di D'Alema).

Questa lottizzazione dei vertici delle istituzioni, tanto più grave in quanto è avvenuta in una situazione politica che avrebbe richiesto viceversa un metodo di compartecipazione nella scelta dei rappresentanti delle istituzioni, ha finito per condizionare - per la prima volta in modo così vistoso e per certi versi preoccupante - lo stile delle più alte cariche dello Stato.

All'interno di questo quadro generale, tuttavia, occorre fare delle distinzioni.

L'interventismo politico di Franco Marini, ad esempio, si è distinto fino ad ora con qualche discorso generico di buoni intenti e soprattutto nella mancanza di neutralità in occasione dei voti di fiducia al Senato.

Per quanto riguarda, invece, il Presidente della Camera il discorso è diverso. Bertinotti è determinante per la sopravvivenza del governo Prodi. La sua elezione alla Presidenza della Camera ha rappresentato per Prodi la sua assicurazione più importante. Il problema è che il suo partito, Rifondazione Comunista, per continuare a svolgere il suo ruolo di pungolo all'interno della maggioranza senza far cadere il governo, ha bisogno del ruolo politico di Bertinotti.

Ecco che allora il Presidente della Camera, indifferente ai suoi doveri di imparzialità e di rispetto dell'autonomia delle istituzioni, utilizza spregiudicatamente il podio della Presidenza della Camera per massimizzare la rilevanza dei suoi messaggi politici.

La figura del Capo dello Stato, infine, possiede ulteriori motivi di diversità. Napolitano, diversamente da Ciampi, ha un netto profilo politico. Bisogna vedere come intenderà spendere le sue doti politiche in una legislatura che si annuncia complessa e densa di difficoltà. E' assai probabile che Napolitano userà i suoi poteri presidenziali e le sue capacità politiche per evitare i contraccolpi negativi derivanti dalle divisioni dell'attuale maggioranza e per favorire equilibri politici e istituzionali più avanzati.

Prodi/Il programma che non c'è

"Dureremo cinque anni perché tutti i partiti dell'Unione hanno sottoscritto il programma del governo e a questo si atterranno per tutta la legislatura". Parole e musica di Romano Prodi subito dopo il giuramento dei suoi ministri. Ma i buoni propositi del premier si sono subito scontrati con la realtà dei fatti, iniziando dalla politica estera, ossia da uno dei cardini della credibilità di una coalizione e, se supererà lo scoglio dell'Afghanistan, il governo alla ripresa autunnale dovrà affrontare un'altra prova durissima con l'approvazione della legge Finanziaria. Per non parlare del famigerato Corridoio 5, la Torino-Lione, che Prodi ha "dimenticato" di inserire nel suo programma, su ordine della sinistra radicale, giurando però all'Europa che l'opera verrà fatta nei tempi previsti. Insomma, il presidente del consiglio si trova già impossibilitato a mediare tra la babele di posizioni presenti nell'Unione, e deve prendere atto che le trecento pagine di buone intenzioni per riformare l'Italia uscite a suo tempo dall'Officina bolognese sono in gran parte già carta straccia. Forse è per questa ragione che sul sito di Palazzo Chigi risulta impossibile visualizzare il link del programma di governo. La prova? Se si digita l'indirizzo del sito del governo (www.governo.it) emerge un dato curioso: "cliccando" in alto a destra sulla voce "mappa" si accede alla pagina dove si trova la lista dei collegamenti a squadra e attività di governo. Ma qui - ed ecco la stranezza - mentre è possibile accedere a tutte le voci in elenco (che comprendono le biografie del premier Romano Prodi e dei ministri, i comunicati stampa, la Costituzione, la galleria delle foto, eccetera) gli unici link non accessibili sono quelli che riguardano "dichiarazione programmatica" del premier, "il programma di governo" e "l′attuazione del programma di governo". Che si tratti di un problema tecnico non ci crede nessuno. La verità è che il programma di governo non esiste, perché l'Unione non è in grado di realizzarlo...

Prodi/Il segreto di Stato da affrontare

Prodi nelle prossime ore sarà costretto a gestire una nuova crisi che potrebbe causare un difficile full out sui partiti della sua coalizione, in particolare su quelli dell'ala più estrema, cioè la sinistra radicale che ha sempre mal digerito e sopportato il feeling dell'Italia con gli Stati Uniti.

La scintilla che potrebbe provocare il vasto incendio si chiama Nicolò Pollari, il direttore del Servizio Segreto Militare che dinnanzi ai magistrati milanesi che indagano sulla sparizione dell'imam di Milano, Abu Omar, ha invocato il segreto di Stato.

Una mossa, da quello che trapela da Palazzo di Giustizia, che lo stesso generale aveva concordato con il Governo: con il sottosegretario Micheli, che ha la delega sui Servizi, e con lo stesso con Prodi. Perché il premier che già si trova a dover gestire il difficile rapporto tra Italia e Stati Uniti dopo il disimpegno tricolore sull'Iraq e il lento distacco del nostro Paese dall'Afghanistan non vuole avere altre grane con il Presidente Bush sul terreno dell'antiterrorismo: in soldoni, il presidente del Consiglio non vuole mettersi contro l'Amministrazione americana e, soprattutto, contro la Cia. Sa bene che gli Usa, in guerra con gli Stati canaglia dopo l'11 Settembre, non accettano diserzioni su questo campo, considerando alla stregua dei peggiori traditori coloro che cercano di disimpegnarsi da questa lotta senza quartiere.

E sa bene, lo stesso Prodi, che mettersi contro gli Stati Uniti non porta bene come insegnano Craxi e Andreotti, il primo per la vicenda dell'aereo Usa circondato dai nostri carabinieri a Sigonella, il secondo per la politica troppo filoaraba.

Dunque, segreto di Stato. Non sulla preparazione della cattura dell'imam ma sui rapporti tra il Sismi e l'allora governo Berlusconi e sulle relazioni tra Stati Uniti e Italia sia a livello di intelligence sia per quanto riguarda le relazioni diplomatiche e istituzionali.

In sintesi, Prodi dovrà decidere, appena i magistrati glielo chiederanno, se mantenere il segreto apposto da Pollari su questa seconda fase della cattura dell'imam oppure invocarlo anche lui. Mentre il fior fiore degli esperti giuridici sta cercando una via di uscita, o meglio un precedente che possa fare da pezza d'appoggio alla decisione di Prodi di mantenere il segreto di Stato per salvare quel poco che ancora è rimasto del rapporto di fiducia degli Stati Uniti nei confronti del nostro Paese, la maggioranza di governo si interroga su come la vicenda andrà a finire.

Il Guardasigilli Mastella sembra intenzionato a non chiedere l'estradizione degli agenti della Cia coinvolti nella cattura dell'imam; ma Verdi, Comunisti italiani e Rifondaroli - i più accesi antiamericani - non accetteranno la richiesta di segreto di Stato e daranno vita a un nuovo capitolo di forti tensioni all'interno della coalizione.

A riprova ulteriore che il Governo Prodi non solo non riesce a trovare una politica univoca sul terreno dell'economia, ma ogni occasione di politica estera gli si rivolge contro, mettendo a rischio la sua stessa stabilità.

Prodi/La vergogna italiana nel mondo

Prodi ha ingannato gli italiani, quando ha spacciato per alternativa di governo una coalizione infarcita di cultura di opposizione. Non basta un programma comune di 280 pagine per conciliare l'inconciliabile: è come tenere insieme con l'elastico una palla di marmellata. Se davvero lo ha creduto possibile, il federatore del centrosinistra ha ingannato anche se stesso. Inutile scartabellare le 280 pagine alla ricerca di un ragionevole punto d'incontro tra gli opposti, capace di reggere alla prova delle grandi scelte di governo. A cominciare da quelle di politica estera, imposte dalla nuova crisi mediorientale e dal rifinanziamento delle missioni militari di pace.

Scelte tutte riconducibili a un dilemma cornuto: o si crede che l'Italia debba fare la sua parte per la costruzione di un ordine internazionale al riparo dalla minaccia del terrorismo, oppure si crede che l'unica posizione internazionale conveniente per il nostro Paese sia quella neutralista, intonata al pacifismo assoluto. Senza se e senza ma. Non è ammessa una terza posizione, intermedia tra i due corni del dilemma. Il ministro D'Alema dovrebbe ormai essersene reso conto. Nemmeno il tentativo di mettere sul tappeto le sue dimissioni e la crisi di governo, è servito a tracciare un limite invalicabile alla pressione della sinistra antisistema per l'arretramento del governo su posizioni sempre più stravaganti.

La permanenza delle nostre truppe in Afghanistan, sotto il doppio cappello Onu e Nato, è ormai svalutata al rango di un'indecorosa barzelletta. Non basta nemmeno negare rinforzi di uomini, sostegno di copertura aerea, impegno operativo sul fronte "caldo" meridionale. Si pretende la presenza di "commissari politici" per testare modalità d'impiego delle truppe conformi alla pregiudiziale pacifista, nonché l'impegno del governo a contestare la stessa legittimità di una presenza armata per impedire ai terrorismo dei talebani di riprendere il controllo di quell'infelice Paese.

A questo punto, tocca a D'Alema di dimostrare che i suoi baffi sono veri. Dia seguito alla minaccia delle dimissioni, o riconosca che la presenza al governo della sinistra lunatica è incompatibile con qualsiasi impiego di corpi armati e si rassegni a alzare i tacchi anche dall'Afghanistan. Nonché a voltare le spalle all'Onu e alla Nato. Ma non è questo che D'Alema ha in mente. Preso nel vortice dei cedimenti, è in retromarcia anche sul versante di Israele, giudicandone "sproporzionata" la reazione agli atti di guerra commessi ai suoi danni dal territorio libanese, oltre che da quello palestinese.

Israele è di fatto l'avamposto occidentale che subisce il peso maggiore dell'offensiva terroristica, alimentata dal fanatismo islamista al potere in Siria e Iran (a cui può chiedere di fare da mediatore solo l'incoscienza e la smania di protagonismo di Prodi, schiacciato fra l'altro tra le mille diverse linee politiche della coalizione). I suoi nemici sono i nostri nemici. Si dirà che anche la Francia considera "sproporzionata" la reazione israeliana. Ma non è questa la posizione della Germania della Merkel, che ha soppiantato l'Italia di Berlusconi come baluardo continentale dell'Alleanza atlantica. Le riserve tedesche sull'intervento americano in Iraq servirono da alibi all'opposizione di centrosinistra per criticare la solidarietà offerta dal governo Berlusconi agli alleati angloamericani. Difficile, per il centrosinistra al governo, travestire da opzione europeista la scelta di rimpiattarsi in compagnia della sola Francia.

L'ambasciatore d'Israele, Ehud Gol, chiede all'Italia di prendere l'iniziativa perché l'Unione europea si decida a includere Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche.

E' una buona proposta, che certo dispiace a Diliberto, ma è un valido banco di prova per la componente moderata del centrosinistra, allarmata dai continui cedimenti alla protervia dell'ala antioccidentale della coalizione.

Vendette/Parte l'attacco contro la GdF

La notizia del trasferimento in blocco dei vertici della Guardia di Finanza lombarda è arrivata come un pugno nello stomaco in una serata di domenica stravolta dalle notizie provenienti dal Libano.

Si cercava forse di nascondere ciò che doveva apparire come un normale avvicendamento nelle pieghe di una questione internazionale capace di calamitare l'attenzione di molti. Ma non di tutti. E' come quando si aumentano le tasse la notte della vittoria dei mondiali, con l'intera popolazione ubriaca di gioia e di festeggiamenti.

C'è però sempre qualcuno che non si distrae. Specie chi, non è dato sapersi, ha soffiato ai quotidiani lo strettissimo legame tra il cambio della guardia e la vicenda Unipol. Un legame evidente, lampante, indiscutibile. Non è infatti cosa da tutti i giorni che un intero vertice regionale delle Fiamme Gialle venga decapitato, rimosso, trasferito, se non c'è un preciso input politico.

E guarda caso con un governo di sinistra dove il responsabile delle Fiamme Gialle è un diessino doc. Neanche il Corriere della Sera, che certo verso il governo è più che tenero e che del caso Unipol detiene nei cassetti alcuni scottanti verbali, ha dubbi sulla profonda connessione tra le due vicende.

Dunque, il viceministro Visco (esecutore materiale di un'operazione che di certo è stata gestita dall'intero quartier generale della Quercia) batte in faziosità e in spirito vendicativo Prodi, il che è tutto dire.

Ovviamente lo stesso Visco smentisce qualsiasi collegamento. Una smentita fatta solo per questioni di forma, nessuno ci crede. È evidente che ogni killer che si rispetti o usa i guanti gialli oppure cerca di cancellare le impronte digitali lasciate sul luogo del delitto.

Visco non è così raffinato da usare i guanti, neanche quelli di gomma o di lattice, e infatti le tracce del passaggio dei Ds sull'operazione che ha portato al trasferimento del vertice delle Fiamme Gialle lombarde sono più che evidenti. Ecco allora che arriva la smentita.

È chiaro anche il segnale di intimidazione che ispira questo provvedimento: in futuro la Guardia di Finanza dovrà occuparsi solo di Berlusconi e tenersi lontana dalle cooperative rosse, dagli affari dei Ds e dai loro eventuali tentativi di scalare qualche banca.

È solo umoristico, ma è anche il segno dei tempi, che di fronte al dilagare della pubblicazione sui giornali di intercettazioni di tutti i tipi, l'unico caso del quale ci si occupa è quello che ha riguardato l'On. Fassino. Il messaggio è chiaro. Restare in silenzio di fronte a questo scandalo sarebbe un errore gravissimo.

Vendette/Nasce la Pubblica Distruzione

Il nuovo nome del ministero che fu di Letizia Moratti, tanto voluto dal ministro Fioroni dovrebbe essere questo: Pubblica Distruzione". Sul tema della scuola, infatti, la regressione verso il passato procede a grandi passi, naturalmente all'indietro. E basta una bella e approfondita intervista al patriarca di Venezia Angelo Scola, per far rialzare immediatamente le barricate e per rendere sempre più profondo il solco tra il centrodestra ed una sinistra illiberale, corporativa, schiava di un sindacalismo che si fa potere.

Da un lato la CdL e la centralità della liberta e delle libertà, parola chiave irrinunciabile di ogni discorso politico. Dall'altro chi, in nome di entità più o meno astratte, costringe queste libertà e le svuota di significato. Oggi sull'istruzione, punto fondamentale di qualsiasi attività di governo, le parole del cardinale Scola, riaprono l'abisso che separa la modernità e la libertà dal governo di sinistra. Basta leggere le prime reazioni di radicali, socialisti e persino margheritini, tra cui lo stesso Fioroni, per rendersene conto. Il modello di istruzione difeso dalla sinistra, che ha già cominciato a smantellare la riforma radicale voluta dal governo Berlusconi e dal ministro Moratti, è anacronistico, fuori dalla storia, che toglie la scuola dalla sfida della modernità e della globalizzazione, che taglia la famiglia dalla scelte educative che riguardano i propri figli e che rende la società civile solo oggetto passivo di un processo che spetta solo allo Stato.

Le prime mosse del governo Prodi hanno dato l'impressione di un rigurgito "ideologico di statolatria antiliberale" che non ha più senso in una società nuova, aperta e globalizzata. Le parole del cardinal Scola volevano e vogliono sottolineare questo e solo questo. La scuola deve uscire dalla gestione esclusiva dello stato, deve essere il frutto di scelte della società civile. Lo stato deve solo limitarsi a governarla. E' proprio questo il punto, il togliere potere e prerogative esclusive allo Stato che ha causato reazioni prevedibili nella sinistra.

La scuola proposta dal Cardinale di Venezia è la scuola che lancia la globalizzazione. E' un modello di scuola a cui aveva lavorato il governo Berlusconi, con la legge sulla parità scolastica, riuscendo a dare pari dignità e prerogative anche ad istituti di diversa estrazione culturale. La novità importante nelle parola del patriarca di Venezia sta nella proposta di rovesciamento della gestione della scuola: non più lo Stato e nemmeno la Chiesa, ma le famiglie che si organizzano nella società e che si riprendono il diritto-dovere di educare. Questa è stata in questi anni la sfida politica e culturale del centrodestra (basti pensare ai buoni scuola di Lombardia, Piemonte e Sicilia); questo è il punto di maggiore distanza con la sinistra.

Calciopoli/Sentenza politica. Ecco una prova

Agenzia di stampa Agi del 15 luglio, ore 17.51

L'avv. Giuseppe Benedetto, giudice federale della Fgic per il settore giovanile e scolastico (SGS), si e' dimesso dall'incarico, "per il metodo usato nel processo e con il processo", con una lettera al Commissario della Federazione Prof. Guido Rossi e al presidente del Sgs, Dott. Luigi Agnolin. "Ho ricoperto in questi anni l'incarico che il Consiglio Federale ha inteso affidarmi - scrive Benedetto - e ho adempiuto ai miei doveri con quello spirito di lealta' e collaborazione con tutte le componenti del mondo sportivo che ritengo ancora unico bene da tutelare nel mondo del calcio, sia professionistico che dilettantistico. Mai una polemica in questi anni e' seguita ad una nostra decisione e di questo sono orgoglioso, unitamente ai miei preziosi collaboratori che qui intendo ringraziare. Quando si giudicano dei giovani, le responsabilita' sono ancora piu' rilevanti. I giovani calciatori di oggi, censori severi del nostro operato, saranno i consapevoli cittadini di domani. Quale insegnamento i cittadini di domani possono trarre dall'incredibile processo tutto e solo mediatico a cui abbiamo assistito in questi giorni e dall'annunciata sentenza di popolo, pubblicata il giorno prima sul piu' importante giornale sportivo italiano?". "Non intendo - prosegue la lettera di Benedetto - in questa sede approfondire il merito della sentenza. E' il metodo usato, nel processo e con il processo, che mi induce a urlare: il diritto e' un'altra cosa! Ma e' noto, la giustizia tribale non ha bisogno di leggi, essa si nutre del consenso popolare. Che leggi hanno avuto bisogno di applicare gli illustri magistrati (nominati ad hoc) per 'il processo'? Il Popolo dei mass-media aveva deciso. Lei, Signor Commissario, aveva gia' deciso. Se e' vero, come e' vero, che alla vigilia della sentenza si e' erto ad inflessibile censore dei mali del nostro calcio (starei per dire della nostra societa') davanti alla Commissione Parlamentare che l'ascoltava". "Non mi interessa - conclude la lettera di Benedetto - far parte di questo mondo. Voglio continuare a indignarmi. Esercito la professione di Avvocato e intendo continuare a farlo, a posto con la mia coscienza. Si trovi un altro Giudice.

   

« numero precedente