LA MORTE DEL PADRE.
Giunta Marina
all'età di diciassette anni, vide che il padre era ormai
arrivato all'estremo della sua vita. Eugenio
prima di chiudere gli occhi alla luce di questo mondo per
aprirli a quello che non ha mai fine, così
parlò alla figliuola:
<< Ti
raccomando, o figlia, di ben custodire la grazia divina
della quale il Signore ti ha arricchita; guarda bene che
nessuno conosca il tuo vero essere, fino al termine dei
tuoi giorni; veglia sollecita innanzi agli inganni del
Demonio: questo è il ricordo che ti lascio, il più
opportuno alla tua eterna salute>>.
Marina rimasta
sola dopo la morte del padre, il cui nome è venerato
qual Santo della Chiesa Greca, fu sempre esempio fulgido
di tutte le virtù cristiane, sempre più rigida, sempre
più intenta ad osservare quella regola appresa dal padre
e praticata con lui, apparecchiata e pronta ad accettare
battaglia, caso mai il nemico avesse osato dargliene una.
E una presto gliene diede forte e terribile. I monaci del
monastero di Canobin erano soliti andare per turno, con
un carro tirato da bovi, al mercato del capoluogo, dove
compravano tutto ciò ch'era necessario ai loro bisogni.
Se li avesse
sorpresi la notte, si fermavano presso un albergatore,
devoto del Convento, e la mattina, appena giorno,
riprendevano il cammino alla volta del loro Cenobio.
Ogni volta che
capitava di turno, anche Marino in compagnia di altri
confratelli, doveva scendere alla città di Tripoli (di
Siria) innammorando e destando l'ammirazione di quanti lo
vedevano col suo contegno serio e con l'angelica bellezza
della sua persona.
L'oste, amico
dei frati, aveva un'unica figlia, la quale di nascosto
dei genitori amoreggiando con un soldato, cadde in turpe
peccato e rimase incinta.
Ben presto i
suoi genitori si accorsero del suo stato interessante, ed
affettuosissimi, le domandarono il nome del suo
seduttore. La cattiva donna, certo istigata dallo Spirito
del male, volendo salvare l'amante, disse ch'era stata
sedotta da quel giovane monaco di bello aspetto, chiamato Marino, che si
era trattenuto molte volte a dormire nella loro casa.
A questa
inattesa rivelazione, rimasero assai scandalizzati i suoi
genitori; senza pensare seriamente a quanto aveva
affermato la figliuola, pieni d'ira, corsero al monastero
e con parole aspre riferirono all'Abate la turpe
ingiuria, che dal fratel Marino era stata inflitta al
loro onore e a quello della figliuola, la quale, unica
per essi al mondo, avrebbe dovuto formare la loro
consolazione e la loro gioia.
Stupito l'Abate
di così grave accusa, non volle crederla; era tanta la
virtù di Marino, era illibato il suo costume, la sua
vita era quella di un angelo in carne sulla terra, e a
sbuggiardare gl'insolenti accusatori, chiamò a sè
Marino, il quale, sentendo di che veniva accusato, mentre
avrebbe potuto facilmente difendersi, non rispose subito,
e per qualche tempo rimase sopra pensiero.
In sè intanto
avveniva una battaglia terribile tra la carne e lo
spirito;la parte inferiore ricalcitrava al pensiero
dell'imminente castigo, che prevedeva piombarle addosso;
cercava di persuadersi che non sarebbe poi stata colpa
così grave infrangere il sigillo del suo segreto, in
circostanza così speciale, ma la parte superiore
gagliardamente la spingeva a non dimenticarsi dei
precetti paterni, tante volte ripetuti nel segreto della
propria cella, circa il non svelarsi fino alla sua morte;
la spingeva
ancora a tollerare le prossime penitenze, per amore di
quel Gesù, che tanto aveva patito per Lei.
Alla fine vinse
lo spirito; si ricordò la Santa Vergine dell'Orto degli
Ulivi, del Pretorio di Pilato, della Via Dolorosa, delle
vette del Golgota; ebbe in un attimo innanzi agli occhi
della mente tutta la tragedia della Divina Passione.
Pensò d'imitare la Regina del Cielo e come Essa, che
pernon contravvenire ai divini voleri, sebbene Vergine e
della verginità gelosa e gloriosa custode, nulla curando
i giudizi degli uomini, andò, come tutte le altre donne,
a chiedere la purificazione, così Marina per non
allontanarsi dai consigli paterni, per non manifestare il
suo vero essere, preferì farsi credere rea con una
equivoca e generale rispost, presa dall'Abate in senso
cattivo, ma a lei certo in quel momento suggerita dallo
Spirito Divino, e con le lacrime agli occhi prostrata ai
piedi del Superiore rispose: <<Son peccatore o
padre, pregate per me ed io farò penitenza>>.
Si accese di
sdegno l'Abate a tale risposta, applicandola al caso
presente; era grande il disonore che sarebbe venuto al
Convento per l'errore di quel monaco, lo sgridò perciò
aspramente, lo fece battere con flagelli e protestando
ch'esso non abitasse più tra quelle sante mura e in
mezzo a quei santi monaci, lo scacciò senz'altro dal
monastero, che fino ad allora era stato il dolce nido di
Marina, pura e santa, come una colomba.
|