Albano: zona di produzione vicino al lago oggi chiamato Albano; se ne producevano due tipi, uno dolce ed uno piuttosto aspro. Sono comunque vini bianchi e nella graduatoria delle preferenze dell’epoca occupavano il terzo posto. Secondo i produttori erano vini che giungevano alla perfezione dopo 10-15 anni d’invecchiamento.
Anconetano: buon vino corposo che prendeva il nome dalla zona di produzione;
Barino: bianco secco d’origine incerta, forse proveniente dalle regioni sabine;
Caleno: originario della regione di Cales in Campania, era un vino rosso leggero, ed era il vino prediletto dai patrizi. Di questo vino parla anche Orazio in un’ode dedicata a Mecenate che era un appassionato di questo vino, molto simile al Falerno, ma meno inebriante;
Cecubo: vino rosso prodotto nei dintorni di Fiuggi, e più a sud fino al golfo di Gaeta. Un vino molto generoso che ubriacava facilmente e dal gusto un po’ amaro che si attenuava con l’invecchiamento. Secondo Plinio l’invecchiamento doveva essere lungo e il migliore era quello prodotto ad Amicle vicino a Terracina, perché il terreno era palustre e nella zona crescevano i pioppi a cui si sposava la vite; questo vino era prediletto anche da Orazio il quale sosteneva che con l’invecchiamento divenisse più dolce e più forte. L’annata migliore del Cecubo fu durante il consolato di Opimio nel 121 a.C. poi a metà del I secolo la produzione si ridusse nella zona di Fiuggi perché Nerone aveva fatto costruire un canale e bonificato la palude, distruggendo i vigneti.
Cere: ottimo secondo Marziale e molto simile al vino che si produceva a Sezze.
Ervulo: vino nero in origine, ma sottoposto a lungo invecchiamento si schiariva.
Falerno: il vino più famoso nel mondo antico, era forte e rosso: veniva descritto come un vino forte e durevole, ma se giovane talmente aspro da non poterlo bere, piaceva solo dopo alcuni anni di maturazione. Si pretendeva che la maturazione durasse dai 10 ai 20 anni. E ne erano prodotti due tipi uno secco ed uno semidolce. Quest’ultimo si otteneva per caso a seconda dall’andamento della vendemmia, il vento soffiava da sud le uve si asciugavano di più e la loro concentrazione zuccherina aumentava.
Formiano: simile al vino bianco che si produceva a Priveno (centro abitato
a pochi chilometri da Formia) ricavato da uve dello stesso tipo, corposo
di non eccelsa qualità da bere ancora giovane.
Fundano: il vigneto deve essere lo stesso che dava il Priverno e il
Formiano. Anche questo vino era corposo massiccio e inebriante, del vitigno
del tempo non ne rimangono tracce.
Labicano: prodotto tra il Tuscolo e l’odierna Palestrina, vino dolce di buon corpo da bere dopo lungo invecchiamento di almeno 10 anni.
Mamertino: prodotto nella zona di Messina, dolce di un bel colore dorato, apprezzato nell’antichità, anche se Plinio non lo teneva in alta considerazione; pare che invecchiato poteva essere scambiato per qualsiasi altro vino pregiato. Divenne di moda quando Giulio Cesare lo offerse per festeggiare il suo terzo consolato nel 46 a.C. Il nome è dovuto al fatto che gli abitanti di Messina erano chiamati Mamerini in onore di Marte il dio da cui avevano preso forza.
Marsiglia: era il nome dato ai vini invecchiati artificialmente sfruttando il calore e affumicandoli in anfore poste sopra un fuoco di legna. Quella di affumicare il vino era un’usanza usata a Marsiglia e diffusasi in varie regioni.
Nomentano: vino bianco abboccato prodotto nella zona di Nomentum, da vitigno di origine greca e cretese.
Opimiano: denominazione d’ogni vino sigillato sotto Opimio (121 a.C.) un’annata eccezionale per il vino tanto che si diceva potesse invecchiare 100 anni; e ciò lo conferma anche Petronio Arbitrio.
Passum: si riferiva inizialmente ad un vino passito proveniente da Creta
(Giovenale parla di “pingue Passum”), dalla Cilicia e dal nord Africa.
Anche quelli prodotti in Italia erano considerati ottimi, si ottenevano
da uve fatte appassire al sole o immerse brevemente in olio bollente, erano
poi pigiate. I vini passiti erano molto usati in
medicina e a tavola, con gli antipasti.
Peligno: secondo Marziale un vino di poco conto adatto a malapena ai liberti.
Priverno: vino bianco, leggero da bere giovane, prodotto sulle pendici dei monti Lepini nel Lazio.
Sabino: vino bianco leggero, prodotto con uve coltivate nelle terre dei Sabini lungo la Via Salaria fino all’odierna Rieti.
Setino: da uva setino coltivata lungo la Via Appia, era il vino preferito di Augusto perché non era indigesto. Silio Italico lo giudicava leggero e delicato; Orazio troppo debole e insapore; Marziale afferma che tra i vini di vecchia produzione è uno dei migliori.
Signino: Vino bianco caratterizzato da un’asprezza che secondo Plinio era eccessivo per poter piacere, ma necessaria come medicinale; prodotto con uve coltivate a Segni città cinta da mura ciclopiche, vicino a Velletri.
Spoleto: dolce, dall’intenso colore dorato, ma ritenuto di qualità mediocre, solo Marziale lo difende dicendo che per lo meno è migliore del Falerno giovane.
Statano: vino rosso prediletto da chi trovava il Falerno troppo forte.
Sorrento: vino poco corposo, asprigno, dissetante, prodotto con uve
provenienti dalla Grecia come la Malvasia Nera e Negro Amara; un vino che
poteva essere invecchiato a lungo.
Tarragona: vino rosso iberico di cui l’unico a parlarne bene è Marziale che lo trova buono quasi come i vini etruschi, ma molto inferiore a quelli campani.
Tiburtino: un vino bianco leggero e giovane.
Trifolino: nominato spesso ottiene consensi contrastanti, a parte Marziale il quale lo definisce il settimo tra i vini.
Ulbano: un vino proveniente dalla Campania, da bere giovane, non oltre i 5 anni di produzione.
Velletri: i romani lo trovano dolce e salubre.
Venafro: un rosso leggero che prende il nome dalla città di Venafro
al confine tra Campania e Molise, nella zona abitata dai Sanniti, famosa
anche per la produzione delle olive e quindi dell’olio utilizzato anche
in profumeria.