La vite e l'uomo: storia, cultura, scienza
La produzione del vino risale ad epoche antichissime ed è probabilmente
iniziata,
verso la fine del neolitico, in seguito ad una casuale fermentazione
di uva di viti
spontanee conservata in rudimentali recipienti. Presso alcuni insediamenti
umani
preistorici sono stati, infatti, trovati cumuli di semi di Vitis silvestris,
che
potrebbero essere i residui di primitivi processi di vinificazione
effettuati dentro
buche scavate nella terra, come veniva fatto ancora nel secolo scorso
in alcune
località del Caucaso. Precisi riferimenti storici al vino risalgono
alla civiltà dei Sumeri: nell'epopea di Gilgameš (3° millennio
a.C.) si legge, fra l’altro, che "vive presso il mare la donna della vigna,
colei che fa il vino; Siduri siede nel giardino sulla riva del mare con
la coppa d'oro e i tini d'oro che gli Dei le diedero". Si può supporre
che l'incontro di Gilgameš con la "donna della vigna" avesse un valore
simbolico: Gilgameš andava alla ricerca dell'immortalità, che potrebbe
essere, appunto, espressa dalla vite e dal vino, che, presso i Sumeri erano
simboli anche di immortalità.
In Egitto la vite era coltivata all’inizio del 3° millennio. Esistevano
differenti "razze"
di viti e diversi "tipi di vino", che era consumato dai sacerdoti,
dagli alti funzionari e
dai re. Numerose sono le pitture murarie egizie rappresentanti pratiche
di viticoltura
e di vinificazione, banchetti e anche persone in stato di ubriachezza.
Presso i Greci la vitivinicoltura, già nota nel minoico medio, aveva
raggiunto in epoca omerica una notevole importanza, come può dedursi
anche dall'esistenza di numerose varietà di vite e di precise pratiche
di vendemmia e di vinificazione, che Esiodo descriveva in "Le opere e i
giorni". In Italia semi di Vitis silvestris sono stati trovati nelle terramare,
risalenti all'età del bronzo, situate tra il Po e le pendici dell'Appennino.
In Sicilia la produzione di vino venne probabilmente introdotta in epoca
minoica, come documentato dal rinvenimento in una tomba presso Siracusa
di vasi per uso vinario risalenti a circa 2000 anni a.C. La viticoltura
si diffuse notevolmente nell'isola ed in altre aree meridionali, alimentando
anche una intensa esportazione di vino, soprattutto verso i mercati cartaginesi.
Nell’VIII-VII secolo a.C. la vite era molto estesa nel meridione, tanto
che i coloni greci denominarono Enotria questa terra.
Presso gli Etruschi la coltivazione della vite raggiunse un notevole
progresso,
favorito anche da evolute conoscenze tecniche e da materiale ampelografico
di varia
origine, raccolto attraverso gli ampi rapporti commerciali di questo
popolo. Sembra
che il toponimo Chianti, sia derivato dall'etrusco "Clante" e che lo
stesso vocabolo
vinum non sia di origine greca, ma derivi da oinos, che compare in
vari reperti
archeologici etruschi ed anche sulle bende della mummia conservata
nel museo di
Zagabria. Il vino fu oggetto da parte degli Etruschi, come dei Greci,
di un'attiva
esportazione, non solo nei Paesi del Bacino Mediterraneo, ma anche
oltralpe,
stimolando il perfezionamento dei mezzi di trasporto, il miglioramento
della viabilità
terrestre e la produzione su vasta scala di contenitori di dimensioni
idonee alla
spedizione del vino. Sembra infine, secondo Livio, che l’attrazione
per questa
bevanda abbia contribuito ad indurre i Celti ad invadere l'Etruria
nel IV sec. a.C
I Romani, nei loro rapporti di incontro e scontro politico, economico
e culturale con
gli Etruschi, appresero le tecniche vitivinicole fino dall'epoca dei
primi re. Dopo la
conquista del Lazio e la fine delle guerre puniche, la viticoltura
si sviluppò al punto
da indurre Catone il Censore (234 - 149 a.C.) a suggerire, nell'acquisto
di un buon
podere, di dare importanza prioritaria alla vite e quindi, prima dell'olivo,
alla
coltivazione dei salici per produrre i vimini necessari per le legature
dei tralci.
Nel periodo compreso tra Catone e Plinio il Giovane (61-113 d.C.) la
vitivinicoltura
raggiunse livelli molto elevati ed il vino era consumato anche in locali
pubblici di
vendita (thermopolia). Molto rilevante era l'esportazione, tanto che
il porto di Ostia
divenne un vero emporio vinario.
Agli inizi dell'età imperiale la viticoltura era molto estesa
ed era praticata anche in
terreni fertili per ottenere più elevate produzioni, necessarie
per soddisfare
l’esportazione e l’aumento del consumo interno. La conseguente riduzione
di altre
coltivazioni, quali quella dei cereali, secondo quanto riferisce Svetonio
nel De vita
Caesarum, indusse Domiziano a vietare nel 92 la costituzione di nuovi
vigneti e ad
imporre lo spiantamento della metà delle vigne esistenti nelle
"provinciae" romane
(le attuali normative sul blocco degli impianti dimostrano che "nulla
è nuovo sotto il
sole"!). La coltivazione della vite forniva redditi in genere maggiori
di altre colture, come risulta fra l’altro dal fatto che all'epoca di Diocleziano,
ai fini della tassazione, la superficie di vigneto per comporre un jugum
o caput millena era la più bassa di
tutte le colture (tab. 1). Il progresso tecnico vitivinicolo venne
illustrato e favorito anche da un'ampia letteratura, la quale, arricchita
dalle conoscenze ed esperienze di altri popoli del Bacino Mediterraneo,
raggiunse livelli significativi con importanti opere, quali quelle di Marco
Porcio Catone - De agricultura , di Marco Terenzio Varrone – Res rusticae
- di Publio Virgilio Marone - Georgica - e, soprattutto, di Lucio Moderato
Columella - De re rustica -, in cui sono esposti anche concetti biologici
e direttive tecniche tuttora validi ed interessanti. Notevole era anche
il patrimonio varietale, suddiviso in vitigni da tavola e da vino, quest'ultimi
distinti in tre classi a seconda della qualità del vino ottenibile.
Columella indicava 58 vitigni, di cui 12 da tavola; Plinio il Vecchio ne
elencava 80 e riferiva che nel mondo ne esistevano 190. L'industria enologica
era praticata anche separatamente dall'azienda agraria, come dimostrato
da varie notizie di vendita all'asta di uve pendenti. Nel territorio dei
municipia di Arretium e di Cortona sono state trovate vasche per la pigiatura
dell'uva, in muratura e monòliti, di notevole capacità e,
quindi, destinate ad un impiego industriale. Nei Paesi del Mediterraneo,
tra la fine della Repubblica e l'inizio dell'Impero erano prodotti numerosi
vini come risulta dalla Geographica di Strabone e dalla Naturalis Historia
di Plinio il Vecchio, il quale ricorda 50 diversi tipi di vini pregiati.
Il vino era utilizzato anche in molteplici ricette della cucina romana.
Esistevano, inoltre, vini particolari, variamente profumati ed aromatizzati,
ottenuti con l'infusione di varie specie di piante e con l’aggiunta di
particolari sostanze, a taluni dei quali erano attribuiti specifici effetti,
quali indurre l'aborto, rendere feconde le donne, determinare impotenza
negli uomini. Esisteva anche un vinum murratum,
che veniva dato ai condannati a morte per annebbiare la loro coscienza
prima
dell'esecuzione. Si potrebbe pensare che fosse questo la "mistura di
vino e fiele"
(Mt 27, 34) o il "vino con mirra" (Mr 15, 23), o il "vino aspro" (Lc
23, 36) che
venne offerto a Gesù nel suo supplizio? Nel III-IV secolo d.C.,
con la crisi dell'Impero iniziò anche il declino della viticoltura.
Il latifondo, l'affidamento del lavoro agli schiavi, la crisi monetaria,
le lotte interne, le invasioni dei barbari, il disordine politico e amministrativo,
l'insicurezza pubblica, soprattutto nelle campagne, crearono condizioni
sfavorevoli all'agricoltura e in particolare alla viticoltura. Molti agricoltori,
inoltre, estirpavano i vigneti per non subire le forti tasse cui erano
assoggettati, tanto che nel IV secolo l'imperatore Teodosio, per frenare
questo fenomeno, decise la pena di morte per chi - sacrilega falce - tagliava
le viti.
Verso la fine dell’impero romano di Occidente, la superficie viticola
aveva subíto
una sensibile riduzione, mantenendosi in prevalenza nelle aree vicine
alle città e
meglio collegate alle coste, dove più intensi e più facili
erano gli scambi
commerciali. Tra il V e il X secolo un importante contributo alla conservazione
ed al
miglioramento del patrimonio vitivinicolo venne dato in Europa dai
vescovi, dai
monaci, dagli ordini religiosi cristiani e dalla nobiltà laica.
Il vino, oltre ad essere
consentito nell'alimentazione delle comunità religiose, presso
le quali veniva anche
offerto ai pellegrini, era indispensabile per la Messa e per la comunione
dei fedeli
che, fino al XII secolo, consumavano sia il pane, che il vino consacrati.
Le proprietà
agricole dei monasteri e dei vescovi, spesso notevolmente accresciute
dai lasciti,
divennero centri di coltivazione della vite, mentre gli ordini monastici,
fino da quelli
più antichi, quali i Basiliani e i Benedettini, portarono la
coltura della vite in Europa
ai limiti estremi di latitudine ed altitudine. In questo è stato
visto il ripetersi del ruolo
fondamentale della religione nella storia della vite: l’uso del vino
nei rituali delle
antiche religioni avrebbe, infatti, determinato la diffusione della
viticoltura; nell’Alto
Medioevo sarebbe stata ancora la religione il fattore determinante
della sua
sopravvivenza. Si sviluppò una viticoltura "ecclesiastica",
alla quale, peraltro,
soprattutto in Francia, si affiancò una viticoltura "signorile",
praticata da principi e
feudatari, che sentivano il fascino della vite e del vino, anche come
simboli di
prestigio e di livello culturale. Rotari, re dei Longobardi, nel suo
famoso Editto del
643, comminò pene severe a chi rubava più di tre grappoli
d'uva o danneggiava le
viti. Il Capitulare de villis, fatto redigere da Carlo Magno tra il
770 e l'800, dettava
disposizioni per la cura delle viti e del vino. Anche lo statuto del
1327 di Arezzo
conteneva norme che stabilivano l'inizio della vendemmia, proibivano
la caccia nei
vigneti, prevedevano punizioni per chi danneggiava le siepi e obbligavano
a tenere i
cani legati nel periodo della maturazione dell’uva. Poiché
le campagne erano insicure, spesso i vigneti venivano fatti in vicinanza
o dentro le mura delle città, dei monasteri e dei castelli, come
emerge anche un'ampia toponomastica giunta in parte fino ad oggi. A Firenze
esistono ad esempio "Via della vigna vecchia" e "Via della vigna nuova".
La viticoltura, inoltre, si estese in Europa in territori attraversati
da grandi fiumi navigabili, quali il Reno e la Mosella, la Senna ed i suoi
affluenti, che consentivano il trasporto del vino a lunghe distanze ed
a bassi costi. Fino al VII secolo la viticoltura ebbe una certa importanza
anche nei Paesi del Mediterraneo orientale. Verso la fine del mille, però,
essa era diminuita a causa dell’espansione dell’Islam, mentre si estendeva
verso il nord, giungendo fino alla parte meridionale dell’Inghilterra.
Tra la fine del Basso Medioevo ed il Rinascimento iniziò lo sviluppo
della viticoltura "borghese". I ceti arricchiti con l'artigianato ed il
commercio investirono le loro risorse finanziarie nella viticoltura, che
risultava economicamente conveniente, anche perché il consumo del
vino era in aumento per l'incremento demografico, l’accentramento della
popolazione nelle città e le aumentate disponibilità economiche
di più ampie classi sociali. Inoltre la maggiore sicurezza nelle
campagne e la diffusione della mezzadria e di altre forme di compartecipazione,
stabilizzando i contadini sulla terra, consentivano la coltivazione di
specie arboree a lungo ciclo biologico, quali la vite, che richiedono notevoli
investimenti finanziari e frequenti, diligenti cure colturali. Durante
il Rinascimento la viticoltura fu favorita anche dallo sviluppo di un'ampia
letteratura dedicata alla vite, caratterizzata da uno spirito nuovo che,
esistente allo stato embrionale già nel "Liber Commodorum Ruralium",
scritto da Pietro de Crescenzi nel 1308-1309, si manifestò pienamente
nelle opere di Bacci, Porta, Alamanni, Soderini, Del Riccio, Micheli. In
esse si rileva, infatti, l'intento di osservare e descrivere i fenomeni
con l'esperienza valorizzata dalla ragione, secondo una nuova concezione
filosofica, che recuperava la dimensione terrestre dell'uomo, il quale
aspirava a realizzare se stesso, senza trascurare il valore del corpo e
dei beni di consumo. Contemporaneamente si sviluppavano i germi della
ricerca sperimentale e nasceva l'ampelografia, destinata a divenire
una delle basi
fondamentali per il futuro progresso della viticoltura. Nel XVI secolo
la coltura della vite venne introdotta anche nel Nuovo Mondo, all’inizio
con finalità soltanto religiose e, cioè, per produrre vino
per la Messa. La vite divenne però ben presto importante, tanto
che, nel 1524, pochi anni dopo lo sbarco sulle coste dello Yucatan, Cortes,
con una delle Ordinanzas Municipales per Città del Messico, decretò
che in ogni concessione di terreno dovevano essere piantate mille viti
e Carlo V stabilì appositi premi per favorire la diffusione della
vite nelle colonie della Corona. Dal Messico la viticoltura si diffuse
rapidamente verso il sud dell’America ed il vino divenne in breve tempo
bevanda comune, richiesta soprattutto dai conquistatori spagnoli. Alla
fine del XVI secolo, la viticoltura risultava talmente estesa che Filippo
II ritenne necessario proibire l’impianto di nuovi vigneti Durante
il secolo scorso e l'attuale la viticoltura ha vissuto vicende molto importanti
e subíto profonde modificazioni. Nella seconda metà dell'Ottocento
due gravissime malattie hanno minacciato l'estinzione della Vitis vinifera.
La prima fu il "mal bianco" causato dall’oidio, il quale, osservato nel
1845 in Inghilterra, dopo pochi anni andava distruggendo tutti i vigneti
europei. La viticoltura stava risollevandosi dalla gravissima crisi causata
dal "mal bianco", risolta dopo affannosi studi con l'impiego dello zolfo,
quando venne colpita da un nuovo e forse ancor più pesante flagello,
la fillossera che, comparsa in Europa nel 1869, si diffuse rapidamente
in molti Paesi viticoli. Anche il problema della fillossera venne risolto
dopo un intenso periodo di ricerca, rinnovando la viticoltura su portinnesti
resistenti, derivati da alcune specie di viti americane: dall'America venne
il malanno e successivamente anche il suo rimedio! La fillossera, tuttavia,
non è stata ancora del tutto debellata: in alcuni territori, infatti,
costituisce tuttora un non trascurabile problema. Alla seconda metà
del secolo scorso risalgono, inoltre, le prime acquisizioni nei settori
della microbiologia, della chimica enologica, della nutrizione e della
concimazione della vite, della biologia e dell’ampelografia, dell’entomologia
e della patologia viticola, con le quali iniziò il graduale passaggio
della tecnica vitivinicola dal tradizionale empirismo alla moderna impostazione
su precise conoscenze scientifiche.
Fu ancora nel secolo scorso che si accentuò il processo iniziato
nel XVI-XVII
secolo dell’investimento di capitale nel commercio del vino e quindi,
in misura
crescente, nell’azienda viticola e negli impianti enologici. Questo
processo si è
intensificato nel secolo attuale, fino ad assumere, durante gli ultimi
decenni,
dimensioni notevoli a livello sia territoriale, anche con varie forme
associative, sia
mondiale, con le società multinazionali ad integrazione verticale.
Nel corso degli ultimi decenni è avvenuta, in Europa e soprattutto
in Italia, una
profonda modificazione della viticoltura, determinata dalla necessità
di adeguare le
strutture produttive e la tipologia dei vini ai cambiamenti avvenuti
negli assetti
sociali, economici, culturali e nei modelli di vita e di alimentazione
di vasti strati di
popolazione. Tali cambiamenti hanno determinato nei Paesi di antica
tradizione
viticola una sostanziale riduzione dei consumi individuali di vino
ed un continuo
aumento della richiesta dei prodotti garantiti al consumatore dalle
leggi sulla
"denominazione di origine". E’ questo uno degli avvenimenti che hanno
maggiormente influito sulla produzione e sul mercato del vino, modificando
sensibilmente la cultura dei produttori e dei consumatori.
Per quanto riguarda, infine, le prospettive future della vitivinicoltura
esistono fondati
motivi per attendersi notevoli evoluzioni, rappresentate, anzitutto,
dalla possibilità di
ulteriori progressi tecnici resi possibili dalle continue acquisizioni
della ricerca
sperimentale. E’ inoltre certo che il consumo continuerà ad
orientarsi verso vini di
elevata qualità, per cui la coltura della vite tenderà
a concentrarsi in territori con
condizioni ambientali che consentono tali produzioni. E’ fondato anche
pensare ad
una consistente espansione del mercato del vino verso nuovi Paesi,
quali quelli
dell’estremo Oriente. E' inoltre prevedibile un aumento della vitivinicoltura
nei Paesi
dell’Europa dell’est e dell’emisfero meridionale, che potranno anche
presentarsi nel
mercato mondiale con una non trascurabile capacità concorrenziale
nei confronti
della vitivinicoltura europea.
Durante la loro storia millenaria la vite ed il vino hanno esercitato
sulla cultura
dell’uomo un’influenza rilevante e sotto molteplici aspetti superiore
a quella di altri
prodotti agroalimentari. Ciò è da attribuire principalmente
ad alcune particolari
caratteristiche di questa bevanda. All’uomo primitivo la fermentazione
del mosto
dovette apparire senz’altro un fenomeno misterioso, determinato da
forze
extraterrestri, alle quali egli collegò anche lo stato di euforia
e di ebbrezza causato
dal vino. Non è inoltre da escludere che il colore del vino,
richiamando quello del
sangue, abbia indotto l'uomo ad attribuirgli, già in epoche
anteriori alla religione
cristiana, elevati valori simbolici ed in particolare la funzione di
stabilire una
connessione tra l’uomo e la sfera della trascendenza.
In Grecia, già in età micenea, era diffuso il mito di
Diòniso, dio della vegetazione,
della fertilità, della procreazione, della vite e del vino,
il cui culto era originario della
Tracia, della Frigia, oppure della Lidia (il nome Bakcos è di
origine lidia). Il vino era
usato nella liturgia delle feste dionisiache, nei culti orfici ed era
presso i Romani
consumato in abbondanza nei rituali di Bacco (o Libero).
Gli Etruschi annettevano alla vite e al vino notevole importanza sul
piano religioso:
Voltumna, il dio nazionale di questo popolo, era anche il protettore
della vite. Nella
liturgia etrusca, il vino era offerto agli dei ed era utilizzato nelle
cerimonie e nei
banchetti funebri.
I Romani usavano il vino nei sacrificia: nella prefatio venivano offerti
sul focolare
incenso e vino; nella immolatio la fronte dell'animale da sacrificare
veniva bagnata
con vino; carne e vino erano offerti alle divinità; sangue,
latte e vino erano versati
sulle tombe nelle libagioni per i defunti, con un evidente simbolismo
cromatico del
rosso, del bianco e del nero. Il vino era usato anche nei rituali religiosi
delle
popolazioni tosco-umbre: dalla "tavola veliterna", risalente al IV
sec. a.C., risulta
che, prima del sacrificio, la vittima veniva purificata con vino per
trasferirla dalla
sfera del materiale a quella del trascendentale e del sacro.
La vite, ritenuta sacra nell'antica Cananea, fu dagli Ebrei considerata
albero
messianico. E' stato anche ipotizzato che l'albero del Paradiso fosse
la vite.
Nell’antico Testamento Israele è la vigna del "Signore delle
schiere", che sarà
abbandonata "allo squallore, non sarà più né potata,
né sarchiata", perché, mentre
Dio aspettava che "facesse uve, fece invece lambrusche" (Isaia, 5).
Centinaia sono le citazioni della vite e del vino nell’antico e nel
nuovo Testamento.
La parola Yayin, con la quale viene indicato il succo di uva fermentato,
compare
oltre 140 volte nell’antico Testamento. Il vino è stato, inoltre,
protagonista di celebri
avvenimenti biblici: da Noè (Gn 9, 20-25), che piantò
la vite con la conseguenza
della più famosa ubriacatura della storia, a Lot, che, ubriacato
dalle figlie, venne
indotto all'unione incestuosa da cui nacquero Noab e Ben-Ammi, capostipiti
delle
tribù dei Noabiti e degli Ammoniti (Gn 19, 1-11); dal grappolo
d’uva di enormi
dimensioni, simbolo della fertilità della terra della Valle
di Escol (Nm 13, 23), a
Cristo, che paragona se stesso alla vite e gli uomini ai tralci (Gv
15, 5) e che nel
miracolo delle nozze di Cana trasforma l’acqua in vino (Gv 2, 1-12).
Nell’ultima
cena, infine, Gesù affidò al pane ed al vino, attraverso
il mistero della
transustanziazione, il ritorno agli uomini del suo corpo e del suo
sangue.
La Chiesa cattolica ha sempre considerato con attenzione la viticoltura.
Nel 1562
l'Arcivescovo di Parigi scomunicò i "diablotinos", insetti che
danneggiavano le viti, e
fino al XVIII secolo il Municipio di Torino comprava a Roma una "maledittione",
che l'Arcivescovo, in una cerimonia pubblica, scagliava contro i parassiti
delle vigne.
Nel 1987 è stato fondato in Italia un Gruppo di Studio Internazionale
denominato
"Il vino sull’altare", che svolge studi sulla storia, la liturgia e
la scienza del "Vino da
Messa" e sul ruolo delle religioni nella diffusione della vite. Il
Gruppo organizza
seminari di studio e promuove ricerche per la produzione di un "Vino
da Messa
ideale". Recentemente è stato ottenuto con la "Malvasia di Schierano",
un vino
denominato "Malvaxia Sincerum". E’ anche allo studio un altro vino
da Messa di
"Moscato d’Asti", che sarà chiamato "Alleluia".
Anche nel Corano si trovano vari riferimenti alla vite ed al vino,
che è condannato
come opera di Satana (Sura, "La Tavola imbandita", 90-91); nel paradiso,
però,
scorrono "ruscelli di un'acqua che mai sarà malsana e ruscelli
dal gusto inalterabile,
e ruscelli di un vino delizioso a bersi… " (Sura, 47, Muhammed).
I valori simbolici, religiosi e culturali della vite e del vino sono
stati espressi, fino
dalle epoche più remote, in una serie vastissima di raffigurazioni.
Qualsiasi
esemplificazione o tentativo di sintesi di questo grandissimo patrimonio
artistico
risulterebbe riduttiva. Si può, infatti, supporre che siano
rari i musei, le chiese, i
luoghi archeologici in cui non siano presenti opere d’arte attinenti
alla vite ed al
vino. Tra i recipienti usati per il vino, oggetto in tutti i tempi
di produzione artistica
molto ampia e diversificata, è la coppa, alla quale sono stati
attribuiti particolari
valori simbolici: vaso dell'abbondanza (il seno materno che produce
il latte);
emisfero del cranio umano; recipiente della bevanda dell'immortalità.
Secondo la
nota leggenda medievale, il "Graal" era la coppa usata da Cristo nell'ultima
cena,
nella quale Giuseppe d'Arimatea raccolse il sangue del Salvatore crocifisso.
Altri recipienti usati per bere, conservare, trasportare e commerciare
vino, costruiti
in forme e dimensioni diverse, costituiscono un vastissimo settore
in cui l’uomo ha
espresso la sua ispirazione artistica: dalle anfore, ai vari contenitori
di terracotta, di
ceramica, di vetro, fino alle botti di legno con la faccia scolpita,
tipiche della
tradizione dei Paesi germanici, ed ai moderni, raffinati bicchieri,
in cui si
compendiano la bellezza artistica e le condizioni fisiche più
adatte per la valutazione
visiva ed organolettica dal vino.
L'arte è stata espressa anche in altri oggetti quali bottiglie,
etichette ed anche
cavatappi, di cui esiste una collezione di oltre 1200 esemplari costruiti
durante gli
ultimi tre secoli in vari Paesi del mondo.
Molto vasta e di antichissima origine è inoltre la poesia ispirata
alla vite ed al vino,
fiorita in tutti i tempi e presso le varie civiltà: dalle raffinate
espressioni del Cantico
dei cantici ai poemi omerici; dagli eleganti versi di Alceo, fino ai
vari poeti latini, e
successivamente, ai "Carmina Burana", stupendamente musicati da C.
Orff nel
1937; dalle composizioni goliardiche di Morando da Padova al "Bacco
in Toscana"
di Redi che, fra l’altro, condannava duramente altre bevande, quali
il caffè, la
cioccolata e soprattutto la birra, ai poeti contemporanei, sia italiani
(Carducci,
Pascoli, Pavese, Trilussa ed altri), sia stranieri, tra cui Petöfi,
il poeta della
rivoluzione ungherese, che assimilava il vino alla poesia e in particolare
Baudelaire,
che al vino dedica cinque poesie, in cui esprime i diversi, profondi
sentimenti che
legano l'uomo a questa bevanda. Il vino ha ispirato anche poeti di
culture orientali,
di cui l'esempio più celebre è Omar Khayyam, vissuto
in Persia tra il 1000 ed il
1100, che al vino dedicò molte delle sue celebri "quartine".
Vari sono, infine, i
riferimenti alla vite e soprattutto al vino anche nell’antica poesia
cinese.
Nella cultura popolare l'interesse per la vite ed il vino è
documentato anche
dall’esistenza di numerosissimi proverbi, tramandati da secoli nei
vari Paesi viticoli
molti dei quali giocosi, caricaturali o sarcastici, altri didascalici
attinenti alle tecniche
viticole ed enologiche, altri ancora moraleggianti. In una recente
pubblicazione sono
stati raccolti e commentati circa 5.500 proverbi italiani, molti dei
quali comuni a
varie regioni e spesso espressi in forma dialettale.
Il vino, il quale, come abbiamo visto, ha profonde radici nella nostra
cultura, mentre
un tempo era componente abituale dell'alimentazione, è attualmente
sempre più
bevanda "d'occasione", passando dalla damigiana, dal barile e dal fiasco,
alle
eleganti bottiglie ornate da artistiche etichette, alle sofisticate
confezioni da regalo, ai
raffinati incontri gastronomici, nei quali compassati sommelier fungono
da officianti
di un rito profano; dal boccale e dagli anonimi bicchieri sul banco
delle osterie, agli
artistici bicchieri studiati per esaltare le sue caratteristiche organolettiche
ed i suoi
profumi, i quali nel linguaggio dei degustatori vengono assimilati
ai frutti di bosco,
alla vaniglia, alla violetta, alla mostarda, all’erbaceo, alle spezie,
al cuoio vecchio.
Il vino è, oggi, divenuto anche messaggero della storia, cultura
e tradizione del
territorio di produzione. Infatti nessun altro prodotto della terra
come il vino viene
determinato e personalizzato nelle sue caratteristiche qualitative,
dall'influenza dei
fattori pedoclimatici del territorio, dalla tradizionale tecnica colturale,
dal binomio
varietà-ambiente.
La viticoltura riveste attualmente una notevole importanza a livello
mondiale per
l’estensione della superficie investita, per la quantità di
vino prodotto e per il valore
del suo commercio internazionale (Tab. 2 e 3)
Il futuro più o meno prossimo prospetta ulteriori evoluzioni
della vitivinicoltura,
legate soprattutto al sempre più rapido progresso scientifico
e tecnologico. Lo stesso
superamento delle distanze, con la concorrenza diretta tra i vini prodotti
nei due
emisferi, spesso dai medesimi tecnici ed imprenditori, rappresenta
una nuova realtà,
che non mancherà di produrre i suoi effetti su un mercato globale.
Le incognite
sono molteplici; fra l’altro quelle derivanti dai mutevoli assetti
politici internazionali,
dai vincoli delle direttive e norme che imbrigliano sempre più
le libertà
imprenditoriali, dai mutamenti sociali e dalle mode dei consumatori.
Vi sono però
concreti motivi di ottimismo, basati sulla fiducia nelle capacità
di adeguarsi in tempi
utili ai cambiamenti, anche se i vigneti sono strumenti che richiedono
anni, per
rinnovarsi per entrare in produzione. Fra i principali motivi di ottimismo
molto
importanti sono le capacità della ricerca scientifica di offrire
le basi per procedere
alle necessarie innovazioni tecniche.
La ricerca è attualmente impegnata ad affrontare una vasta serie
di problemi
complessi e multidisciplinari tra i quali: la fisiologia vegetale (per
comprendere e
controllare i meccanismi ed i fattori che regolano l’attività
vegetativa e produttiva
della vite), la genetica (per ottenere piante dotate di migliori caratteristiche,
avvalendosi anche delle prospettive aperte dall’ingegneria transgenica),
la biologia
molecolare (per la diagnostica varietale e per le ricerche ampelografiche
tramite
l’analisi del DNA), le biotecnologie (per la micropropagazione, la
coltura in vitro,
nonchè, in prospettiva, per la salvaguardia della biodiversità
e la conservazione del
germoplasma viticolo), la microbiologia, la biochimica, l’enzimologia
(per
controllare i processi di fermentazione, maturazione e conservazione
del vino),
l’enochimica (per ottenere i migliori rapporti tra i molteplici componenti
del vino e
le loro caratteristiche gustative), la pedologia , l’idrologia, la
meteorologia,
l’agronomia (per conseguire, mediante una razionale tecnica colturale,
le migliori
produzioni nel rispetto dell’ambiente), la meccanica (per la gestione
meccanizzata
del vigneto e della cantina, che consente di rendere più agevole
e rapida la tecnica
viticola ed enologica), la patologia vegetale e l’entomologia (per
difendere la vite
con metodi efficienti e rispettosi dell’ambiente), l’economia (per
affrontare i
problemi organizzativi della produzione, e dei consumi).
Un settore di ricerca oggi in notevole espansione è anche quello
sanitario (per il
rapporto tra vino e salute dell’uomo). E’ forse superfluo ricordare
che l'abuso del
vino esercita anche effetti negativi che sono stati riconosciuti e
condannati fino da
epoche molto remote: nella Bibbia il vino e venne interdetto ai sacerdoti
(Levitico,
10,9) e a chi faceva voto di nazirato (Numeri, 6, 14); presso i Romani
il vino era
proibito alle donne ("temetum mulier nec bibitum") per il timore che
nuocesse alla
gravidanza.
Fino dall’antichità era stato, peraltro, ipotizzato un effetto
benefico del vino sulla
salute, come emerge fra l’altro dalle numerose ricette mediche riportate
nei papiri
egiziani, nelle "tavolette" dei Sumeri, prescritte da Ippocrate di
Coo (V-IV sec.
a.C.), da Celso (I sec. d.C.), da Dioscoride, da Galeno (130-201 d.C.),
dalla Scuola
Salernitana, da Paracelso (1493-1541).
Gli effetti positivi esercitati sulla salute da un moderato consumo
di vino sono stati
chiaramente accertati da numerose recenti ricerche mediche, le quali
hanno in
particolare verificato la presenza in questa bevanda di un polifenolo,
il resveratrolo,
che riduce il rischio di cardiopatie ed ischemie, diminuisce l’insorgenza
di alcune
forme tumorali, della stessa cirrosi epatica, del morbo di Alzheimer,
potenzia la
memoria, rallenta i processi dell’invecchiamento ed esercita un'azione
antibatterica
ed antiossidante.
E' evidente l'impossibilità di illustrare in questa sede, anche
sinteticamente, l'attività
di ricerca sulle tematiche vitivinicole. Alcuni dati possono, tuttavia,
fornire un'idea
della sua ampiezza ed intensità. Nel 1997 sono stati recensiti
negli Horticultural
Abstracts quasi 500 lavori degni di rilievo sulla viticoltura con più
di 1330 autori.
Sempre a livello mondiale, secondo dati statistici riportati nell’ultima
edizione
dell’Horticultural research international, esistono, in 25 diverse
nazioni, 46
istituzioni scientifiche dedite esclusivamente al settore vitivinicolo.
A queste è da
aggiungere un numero ancor più elevato di istituzioni che contemporaneamente
svolgono ricerche anche su altre colture arboree da frutto. L’Italia
dispone di un ampio numero di Istituzioni impegnate in ricerche di interesse
vitivinicolo. Purtroppo, non sono adeguatamente coordinate fra loro, afferendo
a
diversi Ministeri o Enti pubblici e privati. Questo determina, fra
l’altro,
un’improvvida dispersione delle già modeste risorse disponibili,
un sovrapporsi di
iniziative ed attività analoghe, un disorientamento tra i partners
di programmi
multidisciplinari internazionali. Nel solco di una antica tradizione,
che nell’ultimo quarto di millennio ha avuto in Toscana un costante ed
importante punto di riferimento nell’Accademia dei Georgofili, la ricerca
e la didattica nel settore vitivinicolo sono attualmente oggetto di particolare
impegno presso la nostra Università. Unitamente ad una didattica
sviluppata su una ampia serie di discipline del corso di laurea in Scienze
agrarie e dello specifico Diploma universitario in "Viticoltura ed Enologia",
l’attività di ricerca, è articolata in numerosi progetti
sperimentali presso i laboratori di varie strutture di questo Ateneo, nelle
sue aziende sperimentali, presso Consorzi vitivinicoli ed in proprietà
agricole private, situate sia in Toscana, sia in altre regioni. Nel complesso
si tratta di una attività scientifica importante e d’avanguardia,
frequentemente oggetto di pubblicazioni nelle riviste più significative
a livello internazionale. Mi sia consentito di manifestare l’orgoglio di
essere cresciuto nella scuola dell’Università fiorentina, alla cui
attività ho avuto l’onore di partecipare fino a quest’anno accademico,
che viene oggi ufficialmente inaugurato e con il quale concluderò
la mia vita accademica.