Laboratorio Teatro Settimo
    AB ORIGINE: LUOGHI PER DURA MADRE MEDITERRANEA

    TESTI TEATRALI
    I principali testi e materiali letterari elaborati nel corso del laboratorio
    a cura di Bruno Tognolini

    PADRE MARZIALE

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    MIA MADRE NACQUE PIU' DI CINQUANT'ANNI FA

    Questa versione, la seconda realizzata dall'attore su impulso e correzione del regista, è basata su brani tratti da "Infelicità senza desideri", di Peter Handke.



    Mia madre nacque più di cinquant'anni fa, nello stesso luogo in cui anche è morta. Tutto ciò che in quella zona si poteva sfruttare apparteneva alla chiesa o alla nobiltà terriera. Nascere donna era allora, a priori, nefasto. Ma lei si consolava: almeno, non aveva alcun timore per il futuro. Nessuna probabilità, tutto era già previsto: piccole galanterie, risolini, un'ebbrezza breve, (poi repentinamente la faccia severa), riservata, diventava subito un'abitudine, i primi figli, stare ancora un po' lì dopo le faccende di cucina, non essere ascoltata mai fin dall'inizio, fingere lei stessa di non udire, parlare da sola, reggersi poi a fatica, le vene varicose, niente più che un mormorio nel sonno, cancro all'utero, (e con la morte la predizione alla fine si avvera. Le varie fasi di un gioco che facevano le bambine di quei posti, si chiamavano:) Stanca - Debole - Malata - Moribonda - Morta.

    Mia madre era la penultima di cinque figli. A scuola era brava, gli insegnanti le davano le pagelle migliori, lodavano soprattutto la sua scrittura ordinata: ed ecco gli anni di scuola erano già finiti. Studiare era stato soltanto un gioco. Nessuna paura, salvo quella creaturale del temporale e del buio, solo un alternarsi di caldo e di freddo, d'umido e di secco, di benessere e di fastidio. Stanca - Debole ...

    Tuttavia la gente aveva un rispetto secolare per i fatti compiuti. Una gravidanza, la guerra, lo stato, le usanze e la morte. Così mia madre, semplicemente se ne andò via di casa a

    quindici o sedici anni: la vita di città, vestiti corti, scarpe coi tacchi alti, la voglia di vivere e persino un soggiorno all'estero, come cameriera! Il lavoro, il piacere, cuore pesante, cuore leggero, il potere alla radio aveva una bella voce.

    Il primo amore.

    Così, vestito da ufficiale era fantastico; e presto la mise incinta: "Aveva tante attenzioni per me e io non avevo paura di lui come degli altri uomini...". Era lui che decideva e lei acconsentiva. Una volta le regalò qualcosa: un profumo. Le prestò anche una radio per la sua stanza, ma poi se la riprese.

    Cadevano già le prime bombe quando nacqui io. Mio padre partì subito dopo. Anche quando vennero al modo i miei fratelli, dopo i suoi improvvisi e brevi ritorni a casa lui era in guerra, quale non sapevamo neppure. Del resto lui non sa che il quarto figlio mia madre lo abortì con un ferro da calza. Raccontava già dei "suoi tempi" anche se non aveva neppure trent'anni.

    Eravamo ridotti alla fame: poveri ma puliti. Non "ero povero", ma "ero figlio di povera gente". Salvare la forma in tutto, tenere insieme la famiglia almeno esteriormente; non una lieta povertà, ma una miseria formalmente perfetta. Forse ci si sarebbe sentiti meglio in una miseria senza forma. Ma noi non eravamo figli di un padre qualunque.

    Andare di ufficio in ufficio, per farsi certificare lo stato di indigenza; il certificato di povertà, da rinnovare ogni anno per i figli ormai studenti; richieste di sussidio per malattia, di sovvenzione per noi figli, di riduzione delle tasse ecclesiastiche: il più a graziosa discrezione, ma anche quello cui si aveva diritto per legge doveva essere dimostrato con tanta precisione, che si finiva per ringraziare sempre, di tutto, come per grazia ricevuta. Stanca, debole...

    Mia madre non si buttava nel lavoro, lo eseguiva semplicemente e quindi era scontenta. Il dolore universale della religione cattolica le era estraneo, lei credeva solo in una felicità terrena, che a sua volta era solo qualcosa di casuale, casualmente lei aveva avuto sfortuna.

    Oggi. Stanca. Ieri. Debole. Già trascorsa una giornata. Moribonda morta. Finita una settimana. Stanca malata. Un bell'anno nuovo. Debole malata. Che c'è da mangiare per domani? Morta morta. E' già venuto il postino? Moribonda morta. Mettere in tavola e sparecchiare. Moribonda. Tutti serviti? Stanca debole malata. Tendine aperte tendine chiuse. Stanca. Luce accesa luce spenta. Debole. Non lasciate sempre la luce accesa in bagno. Malata. Ripiegare spiegare. Moribonda. Vuotare riempire. Morta morta. Spina dentro spina fuori. Stanca debole malata moribonda morta.

    Leggeva i giornali e ancora più volentieri quei libri di cui poteva confrontare le storie con la propria vita. "Io però non sono mica così", diceva qualche volta, come se l'autore avesse voluto descrivere proprio lei. "Leggendo torno giovane". In realtà leggeva quei libri soltanto come storie del passato, mai come sogni del futuro.

    Le vennero dei forti dolori alla testa. La testa le rintronava tanto che se la toccava solo piano piano con la punta delle dita. Il medico le faceva ogni settimana un'iniezione che la stordiva per un po'. Poi anche le iniezioni non servirono più. Il medico le diceva che doveva tenere la testa al caldo, così lei girava sempre con in testa un fazzoletto.

    Non riusciva a prendere gli oggetti che tentava di afferrare. A volte il mal di testa era così forte che non riconosceva nessuno. Non voleva vedere più niente. Quando la testa le rintronava così bisognava parlarle a voce molto alta. Perdeva il senso del suo corpo, urtava gli spigoli, cadeva dalle scale. Piegava la testa sulla spalla , ma il dolore la seguiva anche là. "Non sono più un essere umano."

    Diventò insensibile, non si ricordava più di niente, non riconosceva neanche più i consueti utensili domestici. Mi raccontò... Temeva di perdere la ragione. In fretta, prima che fosse troppo tardi, scrisse qualche lettera d'addio.

    Sapeva non solo quello che faceva, ma anche perché non poteva più fare altro. "Tu non capirai," mi scrisse in seminario. "Ma a continuare a vivere non c'è nemmeno da pensarci". Era una raccomandata, con la copia del testamento, per giunta espresso.

    Il giorno dopo andò in città con la corriera e servendosi della ricetta permanente che le aveva fatto il medico di famiglia si procurò un centinaio di pastiglie di sonnifero. Si comprò poi un ombrello rosso, con il manico un po' storto. Ma non pioveva.

    Poi a casa sua si mise davanti al televisore. Il giorno prima era andata dal parrucchiere e si era fatta la manicure. Spense il televisore, andò in camera da letto e appese all'armadio un vestito marrone in due pezzi. Prese tutte le pastiglie analgesiche insieme a tutti i suoi antidepressivi. Indossò le mutandine igieniche, vi infilò ancora degli assorbenti, in più altre due paia di mutandine, si legò stretto il mento con un foulard e si mise a letto, con una camicia da notte lunga fino alle caviglie. Si distese completamente e si mise le mani una sull'altra. Alla fine della lettera, che del resto conteneva solo disposizioni per il funerale, mi scriveva che era tranquilla e felice di addormentarsi finalmente in pace.

    Ma sono sicuro che non è vero.



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    Questa pagina è stata aggiornata il 6 maggio 1997.