Le sedi dello Speleo Club Roma
Storie di vita metropolitana
di Alberta Felici
La nostra prima sede è ubicata in Via dei Simmachi 10, alle pendici del Celio, vicino al Colosseo. È un magazzino dello zio di Antonello Angelucci, che lo usa come deposito di materiali edili. Oltre alle stanze a piano terra, c’è anche uno scantinato che comunica, tramite una botola, con il piano superiore. Quale modo migliore di sfruttarla che metterci una scaletta per allenarsi? Sarà usata anche per far vedere ai nuovi soci come si sale e come si scende. Agli inizi del 1960 comincio a frequentarla anch’io. Tutti, più di una volta, vanno su e giù, giù e su; io perché no? Perché a quei tempi ero una elegante signorina: usavo vestire abitini graziosi ed attillati; portavo tacchi a spillo, calze e guanti anche in estate, e così via. Una sera dissi basta e... scesi la scaletta, così come ero. Solo le calze ebbero la peggio! I miei nuovi amici cominciarono a capire di che pasta ero fatta.
Una sera Biagio Camponeschi, per gli amici "Baffo", ha voglia di far pazzie: scende la scaletta a testa in giù. Provo anch’io e... "patapumfete!" mi ritrovo in mezzo ad un cumulo di filagne. Tutti i presenti si precipitano verso il basso, chi con la scaletta, chi con la scala normale; risate generali: non ho nemmeno un graffio, ma non ho più neanche le calze! E due!
Arrivo in sede e trovo uno che sta spazzando il pavimento. "Oh!, finalmente qui dentro qualcuno scopa!". Vedo almeno sei paia di occhi che mi guardano fissi. Noto qualcosa di strano, ma non capisco il perché. Finalmente Giorgio mi spiega il significato a doppio senso della frase. Come ero ingenua, a quei tempi!. Qualcuno, però, benignamente malizioso, si domanda ancora "se c’ero o se ce facevo". "C’ero... c’ero!".
Dobbiamo sloggiare; veniamo, provvisoriamente, ospitati nel garage di Sergio Mainella, in Piazzale Santa Croce in Gerusalemme, vicino a San Giovanni ed a Porta Maggiore. Ma, fortunatamente, continuiamo ad aumentare di numero; bisogna trovare una vera Sede.
Non ricordo come, ma la nuova sede la troviamo in Via della Madonna dei Monti 2, una parallela di Via Cavour, verso Via dei Fori Imperiali. Il locale, grazioso e comodo, è al piano basso di un vecchio palazzo; ne fa parte anche un piccolo cavedio, che può essere percorso per svariati metri, soprattutto in salita, in cui è stato ricavato un piccolo servizio. Questa specie di vecchio camminamento ospiterà, per alcuni mesi, anche una bomba da Mortaio, che ho tirato fuori dall’Ouso delle bombe; la sto amorevolmente lucidando, per ricavarci una lampada da comodino; una sera arrivo in sede e non trovo più il "mio tesoro". Giorgio fa passare parecchi giorni prima di avere il coraggio di confessarmi che la "mia" bomba giace sul fondo del "Biondo Tebro".
Vi rimanemmo di sicuro per almeno due, forse anche tre, anni; finché un giorno, nel periodo in cui frequentavo il corso di Paracadutismo (quindi nell’inverno 1963-64), seppi che ci eravamo trasferiti.
Ora eravamo in Via in Piscinula, verso Trastevere, nel vecchio rione Ripa, di fronte all’Isola Tiberina. Io non ho fatto in tempo a frequentarla, perciò non posso descriverla; so solo che abbiamo dovuto abbandonarla, perché era molto umida e stava andando in malora tutto: mobili, libri e materiali.
Nuova sede in Via Catullo, nel quartiere Prati. Ricordo un locale bellino ed asciutto, con una entrata a scale che partivano direttamente dal piano di calpestio della strada stessa. Avevamo anche inventato un detto: "L’Inglese s’impara in Via Lucullo, la Speleologia in Via Catullo" Questo perché proprio in quel periodo a Roma era stata aperta la prima sede della "British School" in cui venivano tenuti corsi di lingua Inglese. Credo sia stata lasciata perché il padrone doveva utilizzarla come magazzino merci.
Siamo, nel vero senso della parola, per strada?. Nooo, ci accasiamo, soltanto dagli "Scopini", stessa via, ma di fronte, angolo Via Terenzio. Si, da quel momento e per svariati anni a seguire, il nostro punto d’incontro sarà una piccola trattoriola, così soprannominata perché è anche, continuamente, frequentata da un gruppo di pulitori di strade che, negli anni sessanta, vestiti con una specie di camice grigio cenere, percorrevano le vie di Roma, spingendo una specie di carriola costituita da un grosso bidone con affianco un trespolo, su cui poggiavano una scopa fatta di rami di erica oppure di altri alberelli cespugliosi. Vi ho presentato gli "Scopini".
Sono stati la nostra sede fino al 1971, se ricordo bene, finché Maurizio Sagnotti, tramite un suo nuovo conoscente che lavora all’Istituto Case Popolari di Roma, riesce a farci assegnare uno scantinato in Via Andrea Doria 79, scala F. Chi non ebbe la sfortuna di vederlo, la prima volta che vi entrammo, non potrà, mai e poi mai, immaginare cosa vi trovammo. Era stato usato come rifugio antiaereo durante l’ultima guerra (infatti sulle pareti si potevano ancora leggere le classiche scritte, ed erano anche piene di disegni dei vari tipi di aerei: alcuni erano ben fatti, tanto che ci dispiacque di doverli coprire, ma le pareti erano troppo malandate); poi era stato adibito a carbonaia (questo era evidenziato dai "montarozzi" di rimasugli sparsi dappertutto); era anche senza infissi (né vetri, né intelaiature). Era veramente disastrato, ma la nostra fantasia la aveva già trasformata in una reggia; non ne potevamo più di essere girovaghi: materiali da una parte, libri da un’altra!... Basta era ora di finirla! Una bella sede vogliamo e una bella sede sarà.
Iniziamo a spalare il carbone, supponendo che prima o poi si arrivi al pavimento; così è nella prima stanza, non lo è, invece, nella seconda. "Cacchio! E mo’ che famo?". Mi viene spontaneo chiedere aiuto ad un carissimo amico Franco Cappucci, di Carpineto Romano, compagno di tante esplorazioni e ricerche di nuove cavità, ma anche ottimo muratore e scalpellino.
Partimmo per Carpineto Romano, Cristina Semorile ed io; ci incontrammo con Franco e chiedemmo come doveva essere mescolata e in che proporzione, sabbia, ghiaia e cemento per poter fare il pavimento. Lui non si meravigliò più di tanto (ormai ci conosceva bene e sapeva che se ci mettevamo in testa di fare qualcosa, nessuno ci avrebbe fatto cambiare idea); volle che gli spiegassimo bene la situazione, poi decise che era meglio che venisse a Roma, per valutare con i suoi occhi il problema.
Entrato nella futura sede, si mise le mani nei capelli, ebbe conferma che eravamo pazze da legare; ebbe anche molta compassione di noi meschinelle e, (viva l’amicizia!), promise di venirci ad aiutare, nei limiti della libertà dai propri impegni lavorativi.
© 1999 di Alberta Felici.
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