Il massiccio del Matese
Le campagne estive
di Alberta Felici
È tempo di pensare dove fare il campo estivo: si mira ai Monti del Matese, versante campano. La Cassa per il Mezzogiorno ci ha affidato il compito di indagare su tutti i punti di assorbimento che insistono su quel versante, dato che l’Acquedotto Campano risulta inquinato, poiché l’acqua arriva torbida, specialmente dopo forti piogge. Quindi, non dovremo solo esplorare le cavità, ma dovremo segnare in carta tutti i possibili inghiottitoi, anche i più insignificanti.
Il 18 luglio Lucio Valerio ed Andrea Maniscalco vanno in avanscoperta: si deve decidere in quale località è possibile porre il campo, a chi rivolgersi per approvvigionarsi di cibo fresco quotidianamente e come ottenere due donne che pensino alla cucina (quest’anno, oltre che essere ricchi, vogliamo solo dedicarci alle grotte e, soprattutto vogliamo mangiare bene).
Contattano prima di tutto la Tenenza dei Carabinieri che consigliano un ottimo posto: una località, in riva al Lago del Matese, con terreno pianeggiante, ombreggiato e con delle fresche sorgenti che, con un torrente serpeggiante, alimentano il suddetto lago. Sulla cartina dell’IGM sono segnate col nome di "Acque di Santa Maria". Ma sono dentro la tenuta della Cirio; bisogna andare a Napoli alla Direzione della sezione Agricola a chiedere il permesso per accamparci e per transitare ogni giorno con le nostre macchine. Non c’è problema, rispondono a Napoli. Gli altri due erano già stati risolti con l’ausilio del messo comunale di San Gregorio Matese, il comune più vicino (si fa per dire) alla località prescelta.
Ora resta il problema più difficile: abbiamo a disposizione una ventina di giorni soltanto e bisogna battere a tappeto tutto il crinale del massiccio, dalla cima più alta, il Monte Gallinola con i suoi 2000m, fino alle sorgenti captate.
Non siamo tanti, raffrontati ai chilometri quadrati che dovremo percorrere in lungo e in largo; pazienza, non ci spaventeremo per così poco!
Rispondiamo presente, per tutto il periodo 1-20 agosto: Alberta Felici, Andrea Maniscalco, Pasquini Giorgio e Nietta Sinibaldi-Pasquini (sposi novelli appena rientrati dal viaggio di nozze in Spagna, che hanno ricevuto in regalo, dai genitori della sposa, una meravigliosa R4 e che diventerà la "nostra macchina sociale").
Resteranno fino a circa mezz’agosto: Iolanda Mascia, Carlo Casale, Lucio Valerio (capitalista, possessore di una 500 Fiat), Maurizio Polidori e Alberto Moretti (non socio, cugino di Casale).
L’ultima settimana ci raggiungono: Nino Toro, Renato Ribacchi, Carlo Bellecci, Pierpaolo Selleri, Pierantonio Bellogini.
Brevi visite da: Giovanna Romualdi, Giovanni Giudice, Malpieri e Massimo Monaci.
Abbiamo lasciato Roma e la sua calura, il 1° agosto dalla sede di Via della Madonna dei Monti 2, con due camion militari, messi a disposizione ancora una volta dal Comando Regionale Militare sempre disponibili e pronti a soddisfare ogni nostra necessità; un camion andrà direttamente a San Gregorio Matese, l’altro, invece, dovrà recarsi presso il "Comiliter" di Napoli per espletare alcune formalità inerenti il personale militare che resterà con noi per tutto il tempo e dovrà sostenerci nei contatti radio. Debbono consegnarci anche le tende ed altre suppellettili.
Giorgio, che ama molto stupire e non perde alcuna occasione per farlo, sa che io non sono da meno, perciò decide di portarmi, con lui e Carlo, in Caserma. Non dimenticate che siamo solo nel 1962: quante donne hanno la possibilità di arrivare, con un camion militare, in pantaloncini rossi corti e maglietta a righe multicolori, insieme ad un energumeno, anche lui in pantaloncini corti, Carlo ugualmente conciato, in stivali di gomma, da cui escono calzettoni da montagna, rigorosamente rossi, basco nero su capelli cortissimi e saltare dalla sponda di un OM, nel piazzale di una caserma?
Scompiglio generale (come! una femmina in caserma!) e compiacimento evidente di Giorgio, che saluta alla militare, battendo i tacchi e portandosi la mano destra alla fronte e, contemporaneamente, pronuncia la fatidica frase: "sono Giorgio Pasquini, figlio del Generale Pasquini: siamo qui per ritirare ecc …".
Arriviamo al campo e cominciamo a scaricare tutto; le tende personali, forse due, sono state già montate, ora dobbiamo montare le tendine canadesi, come al solito senza catino. Vengono messe a ferro di cavallo, poco distanziate, con al centro il grande tavolo; leggermente disassato, il cerchio di sassi che farà da focolare, intorno a cui ci sederemo la sera, dopo aver espletato tutto il lavoro dei dati raccolti durante le escursioni, relazioni battute a macchina comprese.
Dire soltanto che il luogo è bello non è sufficiente: questo aggettivo risulta inadeguato e riduttivo; è un posto da favola, incantevole, completamente immerso nel verde smeraldo dei prati, con pochi maestosi faggi secolari dalle chiome perfette. Poco distante da dove abbiamo piantato le tende, da una parete, alcuni metri da terra, sgorgano alcune sorgenti; l’acqua che ne scaturisce è la più fredda che abbia mai toccato. In una di queste bocche è stato infisso un tubo di almeno trenta centimetri di diametro, che provoca un getto impressionante.
Il primo giorno alcuni di noi, più temerari e impavidi (potevamo forse mancare Giorgio ed io!?), provammo ad andare sotto questa enorme massa d’acqua, ma venivamo respinti da questa forza della natura come se fossimo piccoli fuscelli, insignificanti piccoli fili fatti di nulla. Appena il nostro corpo arrivava a sfiorare il getto dell’acqua, il respiro si mozzava in gola; per poter restare non più di dieci secondi al limite dello spruzzo (non sotto, badate bene!), mi tennero di controspinta in tre. Ritornammo al campo violacei: non osammo più provarci. Andavamo, però, tutti a lavarci immergendoci nel ruscello formato da quelle sorgenti. L’acqua era sempre la stessa, ma non era la stessa cosa. Avevamo, però, per fedeli compagne una miriade di ranocchiette verdi; rimanemmo amiche per pochissimo tempo, perché Maurizio, ottimo pescatore, ci insegnò a pescarle e allora, tutte le sera avemmo cosce di ranocchie fritte, da sgranocchiare accanto al fuoco, assieme a tinche, carpe e tutti i funghi che incontravamo nel nostro peregrinare. E durante i rimanenti giorni di campo, avvenne un vero e proprio "genocidio" di piccole povere ranocchie.
Parliamo ora di speleologia e, soprattutto delle sgroppate che ci aspetteranno, quotidianamente per la montagna. Dovremo partire per le escursioni quasi sempre direttamente dal campo, anche perché, a quei tempi, sul Matese esistevano poche strade, per giunta abbastanza sconnesse. Noi abbiamo solo due macchine: una di esse deve restare di servizio al campo, per andare a San Gregorio a prendere le due donne e tutti i viveri loro ordinati; l’altra può solo accompagnare la squadra che si muove con più materiale o che va più lontano.
L’onore dell’inaugurazione della "Campagna Punti Assorbimento" è affidata agli scalpitanti: Andrea, Alberta, Iolanda e Franco: la meta ultima sarà la conca carsica di Campo Braca, ma, in verità, dobbiamo aggirare metà lago per raggiungere il passo del Prete Morto, ricognire tutto il versante nord di Serra Valle dei Ladri, capire che cosa siano e che aspetto abbiano gli inghiottitoi segnalatici dalla Cassa per il Mezzogiorno, quindi raggiungere un’altra volta la riva del lago opposta al campo, e, finalmente risalire verso Campo Braca.
Siccome sapevamo, già prima di partire da Roma, che avremmo dovuto girare come cani sciolti, decidemmo di farci assegnare alcune radio (non vorrei sbagliare, ma mi sembra che fossero "R300"; quello che sicuramente non dimenticherò mai è il loro eccessivo peso). Nostro intento era di rimanere il più possibile in contatto con le varie squadre, soprattutto con quelle in ricognizione, per sapere i loro scostamenti dagli itinerari prefissati ed intervenire, all’occorrenza, velocemente.
Toccò, quindi, alla nostra squadra sperimentare questa meraviglia tecnologica, che, dopo aver constatato che non riuscivamo ad effettuare il collegamento non appena si scendeva di pochi metri al di là di un crinale, fu, all’unanimità, mollata, appena appena nascosta sotto degli sterpi; è stata ripresa solo al ritorno (nessuno di noi era masochista!). Il giorno seguente provò anche qualche altra squadra: la sera, accanto ad un bellissimo fuoco, con addosso ancora la sensazione del peso sulle spalle, si brindò alle radio e … si misero a tacere per sempre.
Continuavamo a girovagare cercando di adempiere il nostro dovere, ma, il nostro pensiero era comunque rivolto ad un paio di "Grotticelle!" che erano state esplorate ad inizio secolo. I problemi, però, erano più di uno: non rientravano nel territorio che ci era stato assegnato, poiché erano site nell’altro versante, cioè quello adriatico del Matese propriamente detto; avevamo solamente le coordinate pubblicate sul Catasto della regione Abruzzo, tenuto a quei tempi dal Circolo insieme a quello del Lazio; sapevamo bene, soltanto che, vicino al grandioso imbocco, su di un faggio era stata incisa una data:"1955".
Nel frattempo si rilevavano gli inghiottitoi di Campo Braca, di Campo Rotondo; si batteva a tappeto M. Mutria, M. Raspalo, M. Maio, Vallone dell’Inferno, M. Giumenti, M. Cila. Intanto è trascorsa una settimana e Giorgio, smanioso, decide di fare un tentativo per ritrovare "Pozzo della Neve" portandosi Nietta. Noi tutti restiamo con il fiato sospeso finché non rientrano al campo: è andata male (per quei tempi!?!), dato che è stato reperito solo ( ! ) "Cul di Bove".
Proseguiamo nella conoscenza del territorio; percorriamo Valle Paterno; esploriamo la Grotta del Lesere nel Vallone di S. Michele sotto M. del Monaco; troviamo ed esploriamo una nuova grotta inghiottitoio di Vallone Cila.
Il 10 agosto, dopo aver prima piagnucolato, poi energicamente protestato, riusciamo a rompere i … laccioli che impastoiano noi tre piccole donne presenti al campo : Nietta, Iolanda, Alberta. Strappiamo il compiacente assenso del Capo Spedizione per fare "La Squadra Femminile": "Andrete ad esplorare e rilevare Cul di Bove", dice Giorgio. Non sanno i meschinelli che, alla Piscina omonima, incontreremo, (sarà solo fortuna!) una fiera Guardia Forestale a cavallo che, sorpreso nel trovare tre donne sole a spasso per la montagna, con una certa ammirazione ci porta a Costa del Carpine, dove dice di conoscere l’imbocco molto grande di un pozzo.
"Signori, prego, Pozzo della Neve è servito!!". Schiocco un sonoro bacio sulla ruvida corteccia del maestoso faggio che porta ancora la vistosa cicatrice della data che, ormai, non è più ad altezza d’uomo; la pianta è cresciuta durante questi quasi dieci anni, speriamo sia cresciuta anche la "pianta" della cavità, mi trovo a pensare in modo puerile. Memorizziamo bene la posizione e la strada, contando, quasi, i passi mentre si ritorna verso Cul di Bove. Intanto la Guardia, sempre a cavallo, sollecitata dalle nostre domande, accenna ad un buco dentro un torrente da cui spesso esce acqua. Mentre Nietta e Iolanda restano ad armare la cavità alla Piscina, io andrò a localizzare la nuova grotta in località Ianara: "Voilà, è servito anche il contorno, la Risorgenza Ianara!!"
Raggiunte le mie amiche, finiamo il nostro compitino, dopo di che, giulive e soddisfatte, ritorniamo al campo nel primo pomeriggio; gli uomini, escluso Carlo che oggi è di "corvée", sono andati tutti a finire l’esplorazione dell’inghiottitoio Cila ed a farne il rilievo. Andiamo al torrente a lavarci ben bene, battiamo a macchina la relazione ed aiutiamo le donne a finire di preparare la cena perché abbiamo ospiti: sono passati dalle nostre parti alcuni torinesi del GSP, diretti al Cervati, e facciamo assaporare loro i nostri succulenti pasti serali (domani De Matteis e Saracco andranno, con Andrea e Lucio, ad esplorare l’inghiottitoio di Letino e dintorni).
Solo dopo cena iniziamo il nostro "teatrino" fatto di frasi volutamente ambigue tipo, … quando ci decideremo ad andare a vedere sto benedetto fatidico Pozzo della Neve, … che forse si è squagliato con il caldo per cui riusciremo a trovarlo solo d’inverno, … che forse i miraggi non si hanno solo nel deserto, … che infatti oggi noi abbiamo avuto una visione costituita da una stupenda dolina, … che su un suo lato si trovava un enorme imbuto con una parete spettacolarmente verticale, mentre l’altra scendeva con un bellissimo scivolo verso una vistosa sella, … che stranamente l’albero vicino al ciglio in dolce pendenza aveva incisi alcuni caratteri, numeri arabici, si, proprio così, quattro! … "A Gio’, ma vatte ‘npo’ a legge la relazzione de oggi?".
È lapalissiano: da domani inizierà la nuova storica avventura di Pozzo della Neve e di sua sorella Risorgenza Ianara. Il loro bastardo fratellino Cul di Bove, invece, lascerà ben serrata la sua … porta (!?!), brutto figlio di … un cornuto futuro "Manzo"!
Sarà banale, ma, per noi dello Speleo Club Roma, il giorno 11 agosto 1962 è una data da incidere, a lettere cubitali, nell’albo d’oro. Quella sera, intorno al fuoco, fu festa grande; l’eccitazione fu sopita con canti e qualche gamellino di vino in più; non fu facile, per Giorgio, "suonare il silenzio". I prescelti non vedevano l’ora che sorgesse i sole; gli altri, un po’ invidiosi, li avrebbero aspettati per sentir raccontare e descrivere il "fantasma" ritrovato.
L’onore del primo approccio viene affidato a Nietta, Carlo, Nino e Alberto; scendono fino allo scivolo franoso. A Iolanda ed a me, dato che siamo magre e piccoline, viene riservata la "prima" esplorazione della Risorgenza Ianara, che verrà percorsa e rilevata solo per un piccolo tratto: la cavità è molto più importante di quanto potesse far immaginare la sua posizione e l’angusto ingresso.
Ora abbiamo troppi obiettivi da raggiungere; siamo pochi per portare avanti, velocemente, le esplorazioni, poiché dobbiamo ancora finire il lavoro per la Cassa del Mezzogiorno.
Dobbiamo dividere le nostre forze, fortunatamente rimpinguate da nuovi arrivi: Renato Ribacchi, Carlo Bellecci, Pierpaolo Selleri, Pierantonio Bellogini; sono già partiti Carlo Casale, Lucio Valerio e alcuni giorni prima, Maurizio Polidori; domani ci lascerà anche Nino Toro e, il giorno dopo Alberto Moretti, quindi resteremo soltanto in otto. Pazienza, ma non per questo molleremo; vorrà dire che faremo una squadra di esplorazione ed una di ricognizione. Ci aspettano giorni ancora più duri, quest’ultima settimana, ma nessuno se ne duole; la montagna è bella, si sta in un posto meraviglioso il tempo è stato sempre buono e il cibo, oltre ad essere abbondante, è leccornioso. In fin dei conti, abbiamo scelto noi di passare i nostri giorni di ferie in questo modo: andar per grotte e stare con amici amanti dallo stesso "vizio".
Eccoci al 12 agosto: noi donne, ancora una volta affrancate, ci faremo un bel giretto per ricognire la zona di M. Orso. Partiamo da Vallone Florio, passiamo per la località "Le Grotte", controlliamo i punti di assorbimento della "Piana delle tre Sogliette", la Valle delle Marianelle, Piana Vallarari e raggiungiamo il "Pianellone" che si presenta come un vasto bacino carsico. Nessuna cavità, purtroppo, solo un’orgia di punti di drenaggio di tutte le dimensioni. Ora non rimane altro da fare che scapicollarci in discesa per raggiungere il polje che ospita il lago e, da alcune settimane anche strani esseri molto irrequieti , percorrere un tratto di pianura vicino alla riva paludosa per raggiungere il campo e, finalmente, dare un po’ di respiro ai nostri piedi bollenti.
Pozzo della Neve, invece, subisce la seconda invasione: Giorgio, Andrea, Nino, Renato, Alberto, coadiuvati da Malpieri, finiscono di armare le ultime due verticali, oltremodo "rognose", perché tendono a scaricare sassi a pioggia. Scesi al vecchio fondo, Renato e Nino notano una diaclasi semiallagata, che fa pensare ad una probabile nuova prosecuzione. Per oggi dobbiamo accontentarci, ma domani … dovrà soccombere!
E così sarà: il 13 è un numero fortunato, almeno così dicono, dato che io non sono superstiziosa. Comunque è arrivato anche il mio momento insieme a Renato, Carlo, Pierpaolo e Alberto. Forse, dato che mi toccherà rimanere ad assicurare gli altri sull’ultimo salto da 22m, dovrei essere un pochino contrariata; passare un giorno intero in una nicchia, a cui abbiamo già appioppato il nome di "ghiacciaia", non è nelle mie aspirazioni; lo è ancora di meno se l’ultimo uomo che sta scendendo, non si sa per quale ragione, ha uno svenimento a circa metà percorso e ti accorgi che gli altri non sono più alla portata della tua voce.
Che fare? Finisco di calarlo fino al fondo? Sarebbe la cosa più facile, più logica e meno faticosa. E poi? E poi dovrei calarmi anch’io, ma non posso assolutamente abbandonare quel posto di sicura, rimarremmo tutti intrappolati e dovremmo aspettare il soccorso dall’esterno. Bando alle autodiscussioni, debbo solo recuperarlo; ma, tanto per non fare nomi, il meschinello è Pierpaolo e, quantunque sia magro, peserà almeno una settantina di chili ed io sono una "donnona" di ben quarantatre chili. Euh! Me misera!
I miei chili, però, escluse le ossa minute, sono solo "muscoletti" allenati da anni di arrampicate, di discese e salite su scale, di scarpinate da cammelli per le montagne sotto acquazzoni, neve e gelo. Poi, al corso di roccia, ci avevano insegnato come comportarci, per recuperare un compagno sfruttando la sola potenza dei muscoli delle gambe. E allora "Arbe’, datte da fa’, ’ntanto nessun’ artro te po’ aiuta’ ".
Così inizio la manovra imprecando e pregando nello stesso tempo; riesco a fargli riguadagnare l’orlo del pozzo; mi appresto ad assicurarlo al chiodo per essere libera di scendere il pozzetto di circa otto metri e capire come poter intervenire al meglio e … "Mollaaa! Perché mi tieni in questo modooo! Ma non ero già scesooo!" ed io serafica ribatto: "Pierpa’ vie’ su che me servi ’n attimo".
Finalmente Pierpaolo mi raggiunge, gli spiego cosa è successo; lui, infatti, afferma di sentirsi stanco, perché ha fatto un viaggio un tantino scomodo e decide di rimanere lì con me.
Avevamo lasciato il campo alle 6,30 ed iniziato a scendere alle 8,45; sapremo poi che Renato, Carlo e Alberto si sono inoltrati in una galleria meandriforme, superando laghi e rincorrendo l’acqua per almeno mezzo chilometro, e reputano di aver raggiunto i 140 metri di profondità. Ripiegano intorno alle 13,30 e alle 17,30 siamo all’esterno; raggiungeremo il campo solo alle 19, stanchi, affamati ma soddisfatti, anche se accompagnati da una fastidiosa pioggia.
La squadra di ricognizione, invece, formata da Nietta e Pierantonio, effettua un bel "giro turistico!" partendo da Passo del Prete Morto e raggiungendo Masseria Reale, M. Tagliaferro, Piana Tagliaferro, località Pisciarello, Bocca delle Fosse, il pianoro di Torre Piana; non viene, però, trovata le Grotta del Toro.
Rituale baldoria serale, poi presto a nanna, perché domani saremo di nuovo in marcia su quelli che, ormai consideriamo i "nostri Monti": Giorgio e Carlo al M. Mutria, partendo dalla base della cresta di Serra Macchia Strinata, riubicano il Pozzo di Ponte Arcicchiaro, ma non viene ritrovata la piccola cavità, già nota a Giorgio, nei pressi di Fonte del Corvo; Nietta va a rilevare la Grotta dell’Orso sul M. Porco lunga circa 24 metri, percorrendo due itinerari diversi, uno all’andata e l’altro al ritorno; Andrea ed io abbiamo assegnato il M. Stufo, risalendo il Vallone Paterno e raggiungendo Ferracciano, ma ritorniamo a mani vuote.
Siamo a Ferragosto: quale modo migliore di festeggiare se non andando a rilevare Pozzo della Neve? (A proposito, il nevaio in fondo allo scivolo ci tiene ancora compagnia; usiamo spesso la sua neve per lavare mani e viso, all’occorrenza). La squadra è composta da tutte le persone disponibili: Giorgio, Carlo, Renato, Andrea, Pierantonio ed io; mancano solo Nietta e Pierpaolo che andranno in ricognizione solo dopo aver espletato le faccende legate alla vita del campo.
Entrano per primi Giorgio e Carlo, squadra di punta, verso le otto; seguiamo a ruota Renato ed io, per iniziare il rilievo da – 70m in avanti; Andrea deve completare il rilievo del pozzo d’accesso e aspettare il ritorno delle due squadre, per collaborare con Pierantonio al nostro recupero. Giorgio e Carlo aggiungono circa cento nuovi metri esplorati, poiché vengono fermati da un pozzo, non scendibile in libera, per mancanza di materiale; ripiegando ci incontrano mentre stiamo rilevando, appena superato il lago dell’altimetro (così nomato perché Renato vi perde tale prezioso strumento), e tutti ritorniamo indietro, dopo avere, a malincuore, deciso di disarmare definitivamente la grotta. Per i giorni che ancora restano, prima che si smonti questo campo estivo, dobbiamo dire arrivederci a Pozzo della Neve, ma non addio; la sua sorellina reclama le nostre attenzioni, avendola vergognosamente quasi ignorata.
Intanto, Pierpaolo e Nietta hanno pensato di librarsi verso l’alto: raggiungono la vetta del M. Gallinola, per fare foto panoramiche. Al ritorno passando attraverso vari pianori si riempiono gli occhi di doline e dolinette di tutte le forme, ma niente grotte.
Siamo rientrati al campo un po’ tardi, ragion per cui la cena viene leggermente ritardata. Abbiamo voglia di festeggiare il Ferragosto e i buoni risultati finora conseguiti. Il banchetto preparato da Nietta, che molti di noi già conoscono come cuoca emerita, aiutata anche da Pierpaolo, è insuperabile, per bontà, qualità ed abbondanza. Il tutto viene annaffiato da un ottimo vinello; c’è anche il dolce, il gelato, la frutta, il caffè e l’ammazzacaffè, cioè un’ottima grappa. Gli ammazzaammazzacaffè sono strettamente personali, ossia, ognuno fuma quello che preferisce: sigari, pipe, sigarette.
Il fuoco è acceso e scoppietta allegramente; siamo tutti seduti, in cerchio, in terra e cantiamo a squarciagola; la nostra allegria è contagiosa e le altre persone, accampate lì vicino, ci raggiungono e si continua, tutti insieme, ad inneggiare alle montagne, al vino, e alle nostre reciproche città di provenienza.
L’indomani mattina l’impietoso Giorgio ci sveglia alla stessa ora, tant’è che Carlo ed io, che dobbiamo andare in avanscoperta alla Risorgenza Ianara, lasciamo il campo alle sette in punto. Abbiamo parecchia strada da percorrere, prima di raggiungere la grotta, che, già sappiamo, ci darà filo da torcere, pur essendo noi magri ed agili.
Riusciamo ad entrare solo alle dieci e ci contorceremo, anche strisciando come vermi, assecondando le sue assurde curve meandreggianti (ad un punto verrà affibbiato per nome "Il cappio"!), per circa quattro ore. Procediamo insieme e superiamo il precedente punto raggiunto e già rilevato (la biforcazione) di almeno ottanta metri, poi Carlo decide di aspettare; io vado avanti per altri cento metri, poi debbo ripiegare, perché abbiamo intenzione di rilevare da dove si è fermato Carlo fino a congiungerci con la tratta di rilievo già fatto da me e Iolanda nella precedente uscita.
Pierpaolo e Pierantonio sono andati alla ricerca del pozzo di M. Grassette, al di là del Vallone dell’Inferno, che dovrebbe trovarsi nella terza valle detta Tassetello; lo individuano sotto un ammasso di rovi, cosicché possono solo fare il punto e sondarlo.
È arrivato anche il 17 agosto: giorno fortunato o no? Dipende dai punti di vista: intanto siamo riusciti ad approntare tre squadre; la prima composta dal solo Giorgio e da un vicino di campo di Caserta, che andranno ancora una volta a ricognire il M. Mutria; la seconda composta da Andrea e Nietta, che vanno verso Guardiaregia a prendere informazioni e sondare la zona del Vallone Quirino; la terza composta da Carlo, Renato, Pierpaolo, ed io alla Ianara, dato che siamo sempre i più esili.
Noi quattro alle otto siamo già in azione nella risorgenza; abbiamo parecchi metri da rilevare, per giunta scomodi. Facciamo due gruppi: Carlo ed io, più agili, andremo in esplorazione, trascinandoci dietro il materiale (che purtroppo non avremo occasione di usare), mentre Renato e Pierpaolo seguiranno rilevando.
Raggiunto un lago d’acqua limpidissima e non eccessivamente profondo, tentiamo di trovare una qualche prosecuzione, ma (ecco perché precedentemente ho asserito che il numero 17 può o non può portare scarogna, a seconda di come lo si guarda) oggi siamo scarognati, la fata del lago non vuole che si passi. Reputiamo di essere arrivati al sifone terminale. Meschinelli!
Siamo tutti e quattro riuniti sulla spiaggetta e nessuno ha voglia di immergersi in quell’acqua freddissima, ma bisogna pur essere sicuri che ci si trovi davanti ad un vero sifone o no. Oggi (ariecco che arispunta er 17!) gli uomini si sentono molto "cavalieri", vogliono darmi la precedenza; ho capito l’antifona: o vado io a verificare, o chi se ne frega. Purtroppo mi conoscono troppo bene; sanno benissimo, i fetenti, che non riuscirò mai a sopportare di lasciare una cosa indubbia. Entro in acqua, è veramente fredda, stringo i denti per non rischiare di batterli, raggiungo la parete, mi immergo e dopo nemmeno trenta secondi sono di nuovo al pelo dell’acqua: è veramente un sifone!
Mollo i miei compagni e schizzo fuori come una freccia; mi metto i vestiti asciutti e aspetto che escano anche loro, godendo del riposo mentre so che loro, in quel momento soffrivano un po’ per riguadagnare l’uscita. Sono contenta e soddisfatta del risultato, anche perché considero questa grotta una quasi conquista personale.
Abbiamo ancora un giorno da dedicare alla ricerca di cavità; domani si inizierà a smontare tutte le suppellettili, perché il giorno venti arriveranno i camion militari per caricare noi e tutto ciò che ci hanno prestato.
Carlo e Renato verranno portati a Campochiaro e risaliranno lungo il letto del torrente fino al Vallone Sfischia; raccolgono segnalazioni di una Grotta dei Briganti, che per la difficoltà di penetrare in un bosco fittissimo, non verrà reperita, così come per le altre segnalazioni.
Nietta, Andrea, io ed il solito casertano, andiamo a discendere il Vallone Quirino, (cioè, facciamo, come si dice adesso, i forristi) e passiamo una divertente, rilassante giornata: ci voleva proprio!
Come ero solita fare in tutti i campi, ero in "bikini"; per quell’occasione era in bikini anche Nietta e sguazzavamo beatamente in tutte le pozze che incontravamo, mentre Andrea e l’altro cercavano, per quanto possibile, di passare sui bordi, dato che il nostro ospite non sapeva nuotare (lo aveva confessato solo dopo essersi reso conto che la gita non era solo una passeggiata qualunque). In conseguenza di ciò, arrivati ad una magnifica pozza lunga e profonda dobbiamo riguadagnare la strada, cosa molto facile a dirsi, ma non altrettanto a farsi; prima però, noi due vogliamo andare a vedere cosa c’è dopo.
Iniziamo la traversata, una vicina all’altra, e, giunte al di là vediamo una stupenda serie di piccole rapide; le guardiamo con cupidigia, ma, "la voce del padrone", il nostro Caposquadra, ci richiama al dovere: ritorniamo indietro. Mentre siamo immerse nei nostri cicalecci, ci raggiunge una voce concitata che ci fa cenno di guardare alla nostra destra. Una grotta, pensiamo; no, era un bellissimo esemplare di serpente che andava a zonzo per il lago, "serpeggiando" appunto. Non abbiamo paura dei serpenti, quando li si incontrano sul terreno, ma in acqua, coperte da due straccetti! Smettiamo di nuotare a "rana" e iniziamo, all’unisono, a battere un veloce "crawl".
Ritornati sulla strada per Guardiaregia, lasciando il vallone all’altezza di una chiesetta, non riusciamo più a riscendere.
I nostri lavori sul Massiccio del Matese si chiudono con una veloce escursione pomeridiana sul M. Gallinola di Pierpaolo e Massimo Monaci (arrivato il giorno prima), per andare a constatare "de visu" una cavità, individuata con il cannocchiale in parete, e che risulterà essere un semplice bel nicchione.
È giunta l’ultima sera che passeremo al campo a cantare tutti insieme intorno al fuoco; però non intoneremo il valzer delle candele dato che non dobbiamo dire "addio" a nessuno, bensì inneggeremo, ancora una volta all’amicizia, alle montagne, al vino e soprattutto alla "Speleologia" che ci accomuna e ci fa sognare grandi abissi da conquistare.
Non passa anno senza che si faccia una visita alla cavità, ma lei continua a respingerci: ci fa trovare il primo sifone inesorabilmente chiuso. Solo a settembre del 1963, appena rientrati dal campo del Bussento, riusciamo a passare e rilevare altri 200m dei tanti già percorsi durante il campo dell’anno precedente. Poi, più niente!
Finché, nel 1966, avviene il miracolo: Pozzo della Neve ha spalancato la sua porta … si parte all’assalto. Io, però, non sono della partita, poiché un altro sport è comparso nella mia vita: il Paracadutismo; trascorrerò tutto il mese di agosto a Pavullo nel Frignano (Modena), ad un corso di lancio ad apertura comandata.
Non racconterò, quindi, questa avventura, in prima persona; lascerò che sia ancora una volta Giorgio Pasquini a farlo, tramite la sua relazione di campo.
Relazione preliminare sul campo sociale 1966
Il Consiglio Direttivo dello Speleo Club Roma aveva deciso di dedicare il campo estivo del 1966 alla soluzione di 3 (o 4 eventualmente) problemi speleologici da lungo tempo noti e messi a fuoco dal gruppo e lasciati sempre in sospeso: Pozzo della Neve, Pozzo di Valle Mele, rilievo dell’Affondatoio di Vallivona, risalita della parete terminale del Bussento. In tal senso venivano date istruzioni ai soci in sede di assemblea estiva e mediante affisso. Il Presidente dello SCR |
Pozzo della Neve – Campo estivo 1971
Per ben quattro anni troviamo il primo sifone chiuso. Io, unica persona rimasta al gruppo che conosce la grotta, comincio a dare segni di impazienza; so che cosa vuol dire esplorare una cavità così bella, ma anche difficile e fredda; mi sono resa conto dalle descrizioni fatte da Giorgio, anche di cosa è nascosto nel ventre della montagna del Matese Molisano.
Insomma, tanto "rompo" i miei amici, che riesco a far decidere per il campo a Pozzo della Neve, anche se il sifone dovesse rimanere chiuso. Come? Nessuno di noi è sub; e allora? Troveremo un sub che ci insegni il minimo indispensabile per poter superare i circa 30m di un sifone "stupido, ma tanto stupido" che (fortunatamente) è di poco più alto di me.
Il "poverello" viene trovato nella persona di Paolo Picozzi, che ancora non sa bene cosa lo aspetta, dato che non conosce Pozzo della Neve. Così un paio di settimane prima di quella della partenza, presentiamo Paolo al sifone, che inesorabilmente rimane chiuso; Paolo si immerge e torna fuori in un attimo, e capisce il perché della mia titubanza, dato che alcuni vorrebbero essere accompagnati da lui, mentre lo superano. Il sifone è percorso per tutta la sua lunghezza da due banchine di fango alte più di un metro, quindi non è possibile che due persone passino affiancate; non parliamo poi di visibilità! Comunque Paolo è d’accordo per andare avanti con la pseudo-preparazione. Se si vuole parlare "seriamente" dovremmo dare il nome di "comiche" alle scene che ci vedono protagonisti in quel del Lago Albano! Ma nessuno di noi demorde, "semo propio tignosi" dicono a Roma.
Così il 2 agosto alle ore 20 iniziano le grandi manovre; entra il primo uomo della squadra di punta e, dislocate varie persone nei punti chiave, cominciano a passare i 20 sacchi, due bibombola più il contenitore stagno e maschere, pinne, erogatori, fino davanti al sifone. Durante tutto questo bailamme uno dei sacchi si sgancia e cade sul fondo, e scalogna delle scalogne, conteneva un paio di bomboline di gas da fornelletto da campo: un po’ di scompiglio si è creato, dato che l’odore era forte, però non è caduto su qualcuno, quindi siamo stati fortunati.
E la fortuna non ci abbandona; dalla parte del sifone arriva un urlo: è Paolo che comunica che il sifone è aperto, poiché il livello dell’acqua, in queste ultime due settimane è sceso di almeno 50cm. Più fortunati di così! Comunque decidiamo di portare tutti e due i bibombola al di là del sifone: non si sa mai!
Arriviamo al Lago dell’Altimetro alle 6 della mattina del 3 agosto. Io già sapevo che quello era l’unico posto per poter pernottare; conosco bene la grotta (ma non sono Giorgio, che otteneva ubbidienza con una sola parola e nessuno osava controbattere), così Maurizio decide di andare a vedere se trova qualche altro posto migliore. Scende il pozzo da 23m e chiede di essere raggiunto da Pierluigi con una scala da dieci e una cordella; quando ritornano indietro, senza aver ottenuto risultati, sono ormai le 9.
Approntiamo un campo base tentando di sistemarci (9 persone e 15 sacchi) in una spiaggetta fangosa, cercando di non calpestarci; per allestire i posti letto, costruendo muretti per spianare e sbancare il fango, preparare il mangiare e metterci a letto uno alla volta, impieghiamo più di quattro ore. Dopo di che alle 14, già tutti insaccati, passatella di cognac e cerchiamo di dormire (siamo svegli da 31 ore di cui 18 di movimento in grotta). Dormiamo 18 ore e, appena aperti gli occhi ripiombiamo nella cruda realtà: per vestirci dobbiamo muoverci come una catena di montaggio, uno alla volta, sgonfiando il materassino per fare spazio al secondo, poi il secondo al terzo e così via.
Solo alle 12 passate Franco, Dario, Pierluigi, Cristina e Fabrizio partono per continuare l’armamento; Paolo e Sergio partono verso il telefono per chiedere materiale personale asciutto e ritornano anche con un’altra muta; Maurizio ed io, ci fermiamo al campo a rattoppare le mute che si sono rotte.
Quando iniziamo ad andare incontro alla squadra di armamento per aiutarli nella risalita, gli altri ritornano alla spicciolata al campo portando la ferale notizia: hanno trovato il terzo sifone chiuso.
Alcuni vorrebbero proseguire e propongono di andare a prendere i bibombola e passare. Si discute animatamente, finché si decide con 6 no e due si (siamo due donne molto ma moolto … "morbide!") più un astenuto (il povero Paolo) si decide di mollare. Dopo aver tanto discusso alle ore 2 del 5 agosto si mangia e si va a dormire. Alle 11 si inizia ad imballare tutto e, solo alle 16, per Fabrizio e Sergio inizia la spola dal campo al sifone, mentre Franco, Cristina, Paolo, Pierluigi e Dario vanno a recuperare il materiale non usato per l’armamento.
Alle 18 Maurizio ed io iniziamo a rilevare verso il terzo sifone, fino ad incontrare la squadra di disarmo e ripieghiamo con loro aiutando nel trasporto dei sei sacchi; passiamo poi, a rilevare l’inizio del ramo fossile, subito dopo il Lago dell’Altimetro. Ci inoltriamo per più di un’ora, in un ambiente stupendo, e dato che gli altri hanno già un forte vantaggio, decidiamo di ritornare; nel percorso verso l’uscita portiamo fuori due pesanti zaini.
Lasciamo il campo alle 22,30 e alle 23,30 inizia il recupero sui salti d’ingresso; solo alle 0,30 io, l’ultima persona, sono fuori della grotta, mentre la squadra esterna d’appoggio continua a "spozzare" sacchi.
Dopo un giorno intero di riposo, rientriamo; due squadre per fare il rilievo composte da Antonello e Pierluigi che partiranno dal fondo, Maurizio ed io all’incontrario: tutti e quattro insieme ritorniamo disarmando fino sotto il salto da 23m, dove attendono Cristina e Paolo per assicurarci. Insieme si esce portando uno zaino a testa.
Così, a malincuore, almeno da parte mia, la grotta è tutta disarmata il giorno 7 agosto. Come è mai possibile abbandonare una grotta così importante, avendo un meraviglioso ramo, per giunta quasi asciutto che prosegue "alla grande". Saremo tutti puniti, perché l’anno successivo, il sifone è un’altra volta aperto, ma troveremo accampati davanti all’imbocco i nostri ex soci che hanno fondato un altro gruppo.
Anche questa volta i miei consoci non hanno voluto seguire i miei consigli (è chiaro che erano moolto battaglieri!) e ci siamo persi una delle più importanti grotte dell’Italia centro-meridionale.
© 1999 di Alberta Felici.
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