Campi estivi al Bussento: 1960 e 1963 (parte I)
di Alberta Felici
 

Prima di iniziare questo articolo debbo puntualizzare che, al primo campo del Bussento 1960, non ero presente; lo ero, invece nel secondo del 1963, quindi riesco a scrivere sugli eventi basandomi, soprattutto, sulle relazioni di campo che, da bravi "scolaretti", venivano battute a macchina ogni fine uscita e, aggiungendo i miei personali ricordi.
    Voglio, anche, precisare che il campo del 1960 era stato chiamato
"Raduno Internazionale Bussento"; nel 1963 eravamo solo soci dello Speleo Club Roma.

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Come è nostra consuetudine, una quindicina di giorni prima di partire per il campo estivo, alcuni soci raggiungono la località prescelta, per contattare tutte le persone che possono aiutarci, affinché tutto sia ben programmato e deciso ancor prima di arrivare.
    Tale compito viene svolto da Antonello Angelucci e Lamberto Laureti dello Speleo Club Roma (SCR), accompagnati da Lucio Valerio del Gruppo Grotte Roma (GGR), nei due primi giorni d’agosto.
    La prima tappa è Napoli, per contattare il Tempo e la Coca Cola; proseguono per Salerno per incontrare i dirigenti dell’EPT; fanno una puntata a Capo Palinuro per trovare Giancarlo Costa e strappargli la promessa della sua presenza al campo; passano a Caselle in Pittari per parlare con sindaco, carabinieri, parroco; tutti assicurano la loro disponibilità, ed il signor Pellegrino si mette a disposizione per fornirci gli alimenti e la collaborazione di due donne cuciniere. Vengono accompagnati anche nella località "Clivo Arzente" dove sarà possibile campeggiare dato che si raggiunge comodamente con una vecchia stradetta carreggiabile, costruita alcuni anni prima dalla S.M.E. Per ben completare l’opera, danno anche un’occhiata all’Inghiottitoio, per constatare l’effettivo apporto idrico del fiume.
 

RADUNO INTERNAZIONALE "BUSSENTO"
18 agosto÷3 settembre 1960

Quest’anno ci sono molti ospiti italiani e stranieri; gli italiani sono i soci del GGR: Lucio Valerio, Carlo Bellecci, Pierpaolo Selleri, Nino Conte, Sandro Barghini, Tormo?; gli stranieri sono: Adolfo Eraso Romero, Juan Antonio Bonilla, Antonio Sainz de Baranda, Miguel Angel Ullibarri. Dello SCR sono presenti: Michelangelo (Ninni) Maddaluno, Beniamino (Nino) Toro, Giorgio Pasquini, Giancarlo Costa, Carlo Casale, Antonello Angelucci, F. Sarno, Raffaello Trigila, Lamberto Laureti, Gianni Befani, Maurizio Polidori e Silvio Iovane, un caro amico ed ottimo arrampicatore del CAI Roma
 

L’inghiottitoio del fiume Bussento
(Giorni 17÷25 agosto)

    Il primo approccio con l’Inghiottitoio del Bussento, è di Valerio e Maddaluno, che non stanno più nella pelle e vogliono entrare la sera stessa dell’arrivo. Infatti il pomeriggio del 17 agosto (data spesso ricorrente ai campi dello SCR), alle ore 18,45 lasciano il campo con uno spuntino dentro il sacco, percorrono l’accidentato sentiero che porta giù nella forra del fiume, ormai quasi asciutto, rispetto al precedente regime, ossia prima che venisse fatta la diga a monte. In compenso, però, indossano le mute "Pirelli", completamente stagne, sotto cui si possono indossare almeno due strati di lana, per non sentire tanto freddo e per non tenere bagnato di sudore lo strato a contatto della pelle. Gli anni precedenti, invece, il modo migliore per non morire assiderati era cospargersi il corpo di grasso di foca, ed entrare in costume da bagno. I due, giunti rapidamente al fondo, al cospetto del lago sifone, riguadagnano l’uscita e poi il campo all’1,30 del 18 agosto.
 
    La diga è stata utile per rendere più facile il percorso ipogeo del fiume, ma ha creato non pochi problemi per raggiungere il maestoso portale d’ingresso alto almeno 50 metri e largo circa dieci (cito a memoria, ma non credo di sbagliare di molto le misure; temo, anzi, di aver errato per difetto!). Il percorso epigeo, quindi, è lunghissimo ed accidentato; saranno all’incirca trecento metri, spesso con lunghi laghi, anche di trenta metri da passare a nuoto; una volta scesi, superato un certo punto, non è più possibile lasciare l’alveo del Fiume Bussento.
    Entrati finalmente nella grotta, diventa tutto più semplice, perché non ci sono cascate e salti da affrontare; solo sul pavimento enormi massi rendono difficoltoso l’avanzamento in un’enorme galleria alta anche più di trenta metri; lascia spesso con il fiato sospeso constatare che, lì su in alto, sono incastrati non semplici rami, ma interi tronchi d’albero di dimensioni spropositate. Solo allora riesci ad immaginare come doveva essere spaventoso quando si verificava il fenomeno detto "uti mare", cioè quando la portata del fiume era tale che l’Inghiottitoio non era sufficientemente grande per far passare l’enorme massa d’acqua e, davanti all’ingresso e per svariate centinaia di metri lungo il fiume, si formava un enorme lago, essendosi intasato il tratto sifonante.
    Quando poi, all’improvviso, finite le piogge, il tappo, sollecitato da tutta la massa d’acqua, cedeva, il lago esterno cominciava a ribollire e, con enormi ruggenti boati, veniva inghiottito dalla grotta.
 
    Ma ritorniamo al campo del 1960. Il mattino del 18, entrano, per ricognire il lago sifonale, Bellecci, Toro, Costa e lo spagnolo Baranda. Sorpresa? No c’era da aspettarselo, il lago è pieno di tronchi d’albero di tutte le misure e a diverse profondità. Inizia l’operazione "bonifica" dei tronchi che possono essere tratti a riva: altro che fatica di Sisifo! Ci vorrebbe anche Ercole e tutti i Titani! Alla fine bisogna desistere.
    Intanto l’acqua si è intorbidita, è ormai inutile immergersi, oltre che pericoloso, sempre a causa dei tronchi marciti che non galleggiano, ma flottano non visibili; ci si accontenta di constatare che, a circa mezzo metro sotto il livello dell’acqua, c’è un probabile sifone che, però, dopo circa soli settanta centimetri, si restringe a poco più di trenta, con andamento suborizzontale. Si ritorna fuori e … Amen. Intanto si è, comunque, riusciti ad armare la forra con un paio di scalette, in modo da accorciare il tragitto per l’ingresso; infatti, questa mattina hanno impiegato una sola ora.
 
    19 agosto: altro giorno, stessa danza. Pasquini, Bellecci, Bonilla, Casale e Tormo balleranno al Bussento, con un certo timore, poiché il tempo è minaccioso; portano anche un canotto per poter seguire nel lago chi tenterà d’immergersi. Prova inutilmente Pasquini, tuffandosi più volte, ma deve rinunciare sempre per la stessa ragione: il pericolo dei tronchi. Tentare la risalita? Non è possibile, senza un’adeguata attrezzatura: conviene uscire e mettersi a mangiare, ma è una magra consolazione. Il giorno 22 agosto Pasquini, Conte e Iovane raggiungono velocemente il lago terminale del Bussento; Iovane ha intenzione di tentare la risalita della parete che si diparte circa al centro del lago, in riva sinistra. La attacca direttamente dal canotto, assicurato da Pasquini, anche lui sul canotto tenuto fermo da Conte, immerso nell’acqua con la muta a secco. Iovane riesce a risalire per circa 20m, poi deve rinunciare, perché la roccia, oltre ad essere bagnata è anche marcia. La sala del sifone viene dedicata al fondatore del GGR Franco Consolini. Ripiegano rilevando per almeno 350m la grande galleria, che tra il sifone e il ponte calcitico viene dedicata al primo esploratore del Bussento nel 1952: il barone Carlo Franchetti.
    Smettono solo perché "sopraggiungeva, in equipaggiamento leggero (costume da bagno), Carlo Casale che avvertiva di uscire subito per andare incontro all’imminente RAI-TV. Ci si fermava presso l’imbocco, attendendo gli operatori che arrivavano accompagnati da Angelucci e Ullibarri. Terminate le riprese dentro la cavità, tutti concorrevano al trasporto di macchine e batterie fino al campo". Così scrisse nella relazione di campo Giorgio Pasquini.
    Bisogna finire di rilevare e campionare; il 25 assumono questo compito Laureti, Barghini e Polidori. Dal fondo veniva effettuata la campionatura e le misure stratimetriche fino al punto in cui si deve iniziare il rilievo, che veniva completato. Erano entrati, un po’ più tardi, Eraso ed Ullibarri per eseguire misure meteorologiche e chimiche. Il lavoro è terminato, per ora; ma la cavità non verrà abbandonata, bisogna cercare di risolvere i problemi rimasti in sospeso.
 

post scriptum

    Lo Speleo Club Roma torna nel 1968 all’inghiottitoio del Bussento con l’intento di completare l’esplorazione della probabile prosecuzione soprastante il sifone terminale.
    Il 21 aprile entrano R. Trigila, M. Sagnotti, A. Felici, C. Mancini, C. Santini: ... "raggiunto il fondo nel più breve tempo possibile, la squadra cominciava la risalita verso la presunta prosecuzione. Trigila e Sagnotti in cordata iniziavano per un diedro subito a sinistra delle scale (lasciate da Saiza). Per raggiungere le stesse Trigila traversava verso destra, assicurato da Sagnotti. Raggiuntele, piantava un chiodo e poi cominciava a salire. Dopo circa 4 metri agganciava un cordino e continuava la salita sempre sulla scala. A circa 5 metri dalla fine della scala, la medesima si spezzava di colpo provocando un volo di una diecina di metri. Cadendo il Trigila si feriva lievemente alla testa e al malleolo sinistro. Malgrado la gravità dell’accaduto, la squadra in piena efficienza usciva all’aperto, Trigila aiutato da Sagnotti e Mancini, mentre le due donne portavano tutto il materiale possibile. Alle ore 20 si raggiungeva finalmente la macchina che, guidata da Sagnotti, raggiungeva velocemente l’ospedale di Polla (pronto soccorso) e quindi Roma alle ore 4 del 22/4".
    Avendo rinunciato a proseguire nel tentativo, per evitare ulteriori rischi, il 25 aprile tornano G. Pasquini, A. Maniscalco, F. Burragato, M. Monaci e P. Langosco: "Raggiunta velocemente Caselle e riposatisi in un breve addiaccio, si procedeva per la grotta. Raggiunto il lago terminale Pasquini e Monaci provvedevano a recuperare tutto il materiale variamente appeso in parete e ad effettuare una ricognizione in camino".
 

La Risorgenza di Morigerati
(Giorni 18 agosto÷1 settembre)

    18 agosto: un’altra squadra, composta da Angelucci, Casale, Selleri, e lo spagnolo, Bonilla, raggiungono la Risorgenza di Morigerati, sita nel paese omonimo. Dopo aver constatato che l’acqua che ne esce è molta di più di quella che entra al Bussento, entrano e percorrono circa 50 metri; sono fermati dalla corrente impetuosa provocata da una rapida. A malincuore, dopo vari infruttuosi tentativi, desistono.
    Siamo al 23 agosto quando Pasquini, Bellecci, Eraso e Iovane si presentano davanti al bellissimo e rumoroso antro; indossano le mute, percorrono i circa 50m che portano alla rapida. Il piccolo saltino di neanche mezzo metro è "rognosetto", ma, parlando per frasi fatte "l’unione fa la forza", riescono a passare; superano in parete una bella cascata di 4m, ma vengono bloccati dall’altra di circa 3,5m. Mentre studiano la parete, notano la scritta del CAI Napoli del 1958, che non è riuscito a proseguire per lo stesso problema. Il giudizio unanime, anche del rocciatore, il sestogradista Iovane, è di tornare con un … "palo di risalita!" per cercare di raggiungere una marmitta sventrata che si nota a metà della parete a destra della cascata. Durante il ritorno Eraso continua a prendere le misure chimiche dell’acqua.
    Vogliamo, per curiosità, esplicitare in che consiste questo fantomatico palo nell’anno del Signore 1960!?! Semplice: si taglia nel più vicino bosco un alberello della misura che approssimativamente occorre e che, in alto, finisca con una biforcazione tipo fionda, e … il primo passo è fatto. Ora serve un bell’uncino da macellaio da legare, con il fil di ferro, ad uno dei due corni, e il gioco è fatto: basterà attaccare all’occhiello dell’uncino una graziosa scaletta e … trovare il "kamikaze" compiacente (!?).
    Dato che la cascata da superare raggiunge almeno i 5m, essendo difficoltoso riuscire a trascinare, per giunta nuotando controcorrente, un palo di quella lunghezza si decide di portare due spezzoni da inchiodare al momento opportuno, non appena arrivati sotto la cascata.
    Tale momento matura verso le ore 11 del giorno 24 agosto; l’agnello sacrificale sarà Carlo Bellecci, mentre Barghini, Selleri, Valerio e Conte reggeranno la trappola paliforme. Tutto procede come dovuto: l’uncino raggiunge l’orlo della marmitta, Bellecci la raggiunge, ancora la scaletta con un cavetto ad un appiglio, gli altri salgono e "l’esplorazione proseguiva ancora superando altri piccoli salti e lunghi tratti a nuoto. Giunti davanti ad una grossa marmitta in cui l’acqua ribolle violentemente per la presenza di una cascata, veniva ritenuto opportuno rinunciare alla prosecuzione dell’esplorazione non avendo a disposizione una corda con cui fare sicura al primo.
    Le caratteristiche della grotta, nel nuovo tratto, si presentano uguali a quelle del tratto fino ad ieri conosciute, se si fa eccezione di un meandro ad angoli retti e di una maggiore profondità dell’acqua.
    Il ritorno veniva compiuto molto velocemente nuotando in filo di corrente. Si portavano indietro i due pali ed il gancio, mentre veniva lasciata armata la cascata di circa sei metri".
Con queste parole Carlo terminava la sua relazione dell’uscita.
    Il giorno dopo (25 agosto) una squadra veloce (Pasquini, Bellecci e Selleri) raggiunge e supera la rapida, che aveva solo bisogno di essere "presa" per il verso giusto; altra piccola rapida, poi un lungo lago (15m) nel quale si getta una fragorosa cascata alta almeno 3,5m. Fatti vari infruttuosi tentativi, si deve prendere la via del ritorno; numerose tavole, anche con chiodi, sparse in questo tratto di cavità, ricordano il marciume legnoso del lago-sifone del Bussento.
    Il 26 agosto viene formato un altro trio; in verità cambia solo Selleri con Valerio: l’intento è superare la cascata facendo una piramide umana: la prova fallisce miseramente, così come il tentativo di chiodare la parete. Ci vuole il solito palo con l’uncino. Basta perdere tempo, meglio portare avanti il rilievo; la giornata di lavoro finisce presto, perché l’involucro salva-strumenti si fora e … alle 14,30 … al campo.
    L’ultima uscita di questo campo viene dedicata alla regina delle grotte di questa zona, l’unica "risorgenza": la superba "Morigerati", che non aveva svelato tutti i suoi segreti. Lascio ancora una volta descrivere l’esplorazione da Giorgio Pasquini.
    "Lasciato Polidori con i viveri e due scalette eccedenti prima del lago sotto la cascata, dalla marmitta precedentemente raggiunta, mediante il palo cui era agganciata una scala ad un chiodo veniva raggiunto da Bellecci che lo assicurava nel passaggio dalla cengia ad un tronco incastrato sull’orlo della cascata. Portatosi per una cengia formata dalle solite marmitte sventrate un quattro metri sopra la verticale di Bellecci, Pasquini ancorava una seconda scala che permetteva agevolmente il superamento del salto. Seguiti tosto da Valerio, che nel frattempo aveva preso da Polidori le scalette, i tre proseguivano nell’esplorazione della galleria che si rivelava ampia ed insolitamente ricca di concrezioni. Veniva ricognito un piccolo diverticolo completamente asciutto molto adatto per un eventuale campo interno.
    La cavità continua con modesti salti quasi tutti superabili senza ausilio di scale, alternati a tratti di acque profonde in genere lungo meandri corrispondenti a diaclasi ortogonali al sistema lungo il quale si è sviluppata la grotta, con tendenza ad allagarsi in rari ambienti di crollo. Dopo un primo abbassamento della volta ed una sala ingombra di legname l’esplorazione si arrestava davanti ad un lago con pareti chiuse da cui originano mediante sifone le acque. Lungo il ritorno la grotta veniva totalmente disarmata e veniva eseguito un rilievo speditivo. All’uscita attendeva la squadra Selleri."

 

L’Inghiottitoio di Orsivacca
(Giorni 18÷24 agosto)

    Pasquini, Eraso, Barghini, Sarno e Trigila hanno per meta Orsivacca, altro inghiottitoio della zona, in cui, fortunatamente, si riversa pochissima acqua, molta di meno di quella che, ricorda Pasquini, vi entrava nel 1952, quando l’aveva esplorata con Carlo Franchetti, allora Presidente del Circolo Speleologico Romano (CSR). Vi si accede da un piccolo scivolo che immette ad una galleria costituita da una serie di marmitte sfondate; un altro tratto ortogonale al precedente, in diaclasi, si getta, con un salto di una decina di metri, in una sala; ne segue un’altra, quindi un sifone, che si passa con circa mezzo metro di aria, per accedere ad un’ulteriore galleria molto più ampia, a volta spesso altissima, che ogni tanto si restringe a causa di forte concrezionamento a colate.
    La cavità prosegue con piccoli dislivelli, per sale ampie, in cui arrivano altri condotti, fino a raggiungere, dopo un centinaio di metri, un saltino di circa 5m, su un lago sifonale, la cui prosecuzione sembra essere ad un solo metro di profondità. Durante il ritorno vengono provate alcune risalite, ma, per ora, senza ottenere risultati.
    L’ultima parte della grotta viene esplorata il giorno 19 agosto da Eraso e Barghini; la cavità viene lasciata armata. I salti che si susseguono dall’ingresso sono: 15m di Azario; 15m di Azario; 5m leggere; 10m leggere; 5m leggere; qualche corda fissa per facilitare alcuni passaggi.
    Contemporaneamente Angelucci, Valerio e Maddaluno iniziano il rilievo, che viene proseguito il giorno seguente, 20 agosto, da Angelucci, Casale, Trigila e Ullibarri; Trigila decide anche di campionare un buon tratto e venivano tirati fuori 14 campioni.
    La grotta ha altri due visitatori d’eccezione: Eraso e Turmo, che entravano con uno psicrometro e dei misuratori chimici per effettuare osservazioni di meteorologia ipogea. Si accorgono, però, che la grotta, per le sue caratteristiche, non si presta a questo scopo; riescono comunque a fare quattro misure psicrometriche e tre chimiche. Inoltre, in ogni punto di misura, prendono appunti sulla morfologia litogenetica, i quali, comparati con gli altri dati, e quelli dell’anidride carbonica presente nell’aria della grotta, molto probabilmente potrebbero portare a conclusioni che farebbero luce sulla genesi della cavità.
    Laureti, Toro, Bonilla e Baranda sono di rilievo ad Orsivacca; lo portano avanti fino sull’orlo del saltino da 5m. Alcuni passaggi in acqua, specialmente quello del sifone, creano un po’ di patema a Laureti e Baranda, perché non sapendo nuotare hanno dovuto usare due salvagente!! (È d’uopo mettere due punti esclamativi). "Alla progressiva DD si nota un bel contatto tra calcari bianchi a rudiste e calcari grigi anch’essi fossiliferi", riferisce Laureti, nella relazione del giorno 22.
    Il 24 agosto Angelucci, Befani, Eraso, Iovane e Polidori vanno all’attacco delle risalite e, chiaramente, a proseguire il rilievo. La prima risalita (Iovane - Angelucci) dà per risultato un galleria lunga circa 50m, ricca di concrezioni, soprattutto sul pavimento.
    Mentre Eraso e Iovane sono intenti a ricognire tutti gli anfratti, gli altri continuano a rilevare. All’improvviso "si udivano delle voci che lasciavano presumere l’arrivo di una nuova squadra. Eraso e Iovane ripiegavano incontro ai sopraggiungenti e potevano così costatare che si trattava della squadra che doveva curare l’esplorazione dell’inghiottitoio della Bacuta.
    Le due grotte infatti comunicano in corrispondenza della concrezione a botte dando luogo ad un salone (punto QD del rilievo) che si decideva di chiamare Salone De La Hidalga".

    Assicurati da Pasquini, i due liberi battitori Eraso e Iovine risalgono la concrezione "a botte", poi Iovane prosegue fino alla sommità dello spigolo per piantare un chiodo, poiché viene deciso di lasciare armata Orsivacca dal salone fino al sifone terminale, disarmando invece tutto verso l’ingresso. Gli altri tre rilevatori procedono fino al sifone terminale, inutilmente tentato. Durante il ripiegamento Eraso e Befani risalgono uno scivolo calcitico che però risulta senza prosecuzione.
    Così finisce l’esplorazione di Orsivacca, gemella "siamese" della Bacuta.
 

Il Pozzo Cozzetto
(Giorno 19 agosto)

    Toro, Sarno e Ullibarri vanno a ritrovare il Pozzo Cozzetto (così era per il CSR), ma ai nuovi esploratori non sembra lo stesso; comunque armano e scendono, con 15m di Azario, il primo salto; percorrono uno scivolo sassoso per circa 5m, poi scendono un pozzetto di 2m in roccia. Fine, e altre tre ore di passeggiata per ritornare al campo
 

L’Inghiottitoio di Sanza
(Giorni 20÷26 agosto)

    Sempre lo stesso giorno, 20 agosto, altre due squadre vengono distaccate, con compiti diversi, ma nella stessa zona. La prima, composta da Casale, Valerio, Bonilla, de Baranda, Selleri e Maddaluno va a localizzare l’Inghiottitoio di Sanza ed a portare materiale per la futura esplorazione, aiutati anche dai componenti dell'altra squadra; la seconda, con Bellecci, Barghini e Selleri va alla ricerca di vari pozzi, per localizzarli e, possibilmente, esplorarli.
    Il paese di Sanza è abbastanza lontano da Caselle in Pittari; in macchina si impiega circa mezz’ora, perciò, quantunque accompagnati con la "campagnola", si raggiunge il ciglio della dolina in cui si apre l’ingresso dell’Inghiottitoio (chiamato dai locali "Affondatoio"), solo dopo più di tre ore di cammino, per cui si ha appena il tempo di ammassare tutto il materiale appena varcato il vero l’ingresso, per non perdere l’appuntamento, alle ore 19 con la seconda squadra e, quindi, con la campagnola.
    Il 23 agosto inizia l’esplorazione con Bonilla, Baranda, Valerio, Selleri e Befani; data la lontananza, si entra alle ore 12, però si riesce ad armare circa mezzo chilometro di grotta usando 50m di scale.
    Questa bellissima grotta, trascurata per l’eccessiva distanza dal campo, viene rivisitata il 26 agosto, per tentare l’ultima punta e poi disarmare. Non ci sarebbe alcunché di strano se non si avesse a disposizione "solo", dico, "solo" 10m di scale. Perciò, scendendo, Befani, Trigila, Casale e Toro, controllavano ogni salto, sperando di trovarne qualcuno che potesse essere sceso in roccia. Solo l’ultimo salto armato nella precedente uscita fa guadagnare i 10m di scale: pazienza, meglio 20m che 10m.
    "Avendo aumentato così il materiale a disposizione, la squadra proseguiva per la parte sconosciuta, attraversando piccoli salti con cascata e laghetti. L’esplorazione si è fermata, essendo finito tutto il materiale, dopo un salto di sette, otto metri che immetteva ad un laghetto di dimensioni notevoli (diametro 9m circa), senza altro superiori a tutti i precedenti. Quest’ultima sala è un ambiente a largo respiro; con una spiaggetta di deposito nel punto in cui il filone della corrente fa una curva per rigettarsi, con un piccolo salto di 3m, in uno stretto corridoio alla fine del quale, a 20m circa, è visibile una parete di roccia di grandi proporzioni. Il ritorno, ostacolato dall’armamento, avveniva senza incidenti". Gianni Befani scripsit, ritornato al campo alle ore 20,15; erano partiti soltanto alle ore 7,30
 

La Grotta Inghiottitoio di Riotorto
(Giorni 20÷22agosto)

    20 agosto - Il bottino riportato dalla seconda squadra, composta da Bellecci, Barghini e Selleri è di buona qualità: esplorano la Grotta di Riotorto. Riescono ad avanzare per circa trenta metri, e si fermano davanti un laghetto, molto probabilmente sifonante: bisognerà ritornare con più calma e provare a forzarlo. Raccolgono anche alcune segnalazioni: Fossa Lamperia, e La Grotta dei Varroncelli (o Vallicelli).
    22 agosto - Bellecci, Selleri, Valerio, Befani, Eraso e Tormo hanno un appuntamento con la Grotta di Riotorto e il suo sifone. Ripercorrono per circa 30m la larga galleria (4m) dell’inghiottitoio del piccolo rio (l’altezza della volta varia da 2 a 10m), fino al laghetto finale. Bellecci, dopo aver constatato che è profondo 3m, si immerge più volte, finché a circa mezzo metro di profondità riesce ad individuare una galleriola rettilinea che supera in "apnea", riemergendo in un laghetto simile a quello di partenza, per quanto concerne la profondità. La sorpresa si ha, invece, per ciò che galleggia per tutta la profondità del lago: sulla superficie ci sono almeno due centimetri di minutaglia di legno, a tutti i livelli, per i tre metri di profondità rami incastrati in tutte le posizioni (è forse strano per i sifoni degli inghiottitoi della zona? Assolutamente normale!). Impossibile proseguire: sono costretti a ripiegare, decidendo di fare il rilievo.
    Mentre si rileva, Eraso esegue misure meteorologiche.
    Osservando le pareti di tutta la grotta, si notano vari livelli che evidenziano come, in alcuni periodi, la cavità viene completamente sommersa ed allagata dalle piene. Interpellati, gli abitanti del luogo affermano che, dopo grandi piogge, davanti alla grotta si forma un piccolo lago, con durata massima di un giorno. È stata misurata la portata del rio: poco a monte del lago sifone, risulta di 12 litri al secondo.
    Data l’ora presta, si decide di andare a constatare che cosa è la cavità, segnata in carta come "Grotta del Lago". Si trovano alla presenza di un probabile pozzo, pieno di rifiuti, in cui si versa l’acqua di un piccolo rio; i locali asseriscono che anche qui, in conseguenza di forti piogge, si formi un laghetto.
 

L’Inghiottitoio della Bacuta
(Giorni 23÷31agosto)

    23 agosto - Lasciano il campo alle ore 7,30 cinque uomini: Casale, Conte, Toro, Trigila e Ullibarri; debbono derimere una "vexata questio": il Pozzo indicato dal CSR col nome di Cozzetto e che Cozzetto non è, che cosa sarà? Ragion per cui, raggiunta Orsivacca, la squadra si divideva: "Trigila ed Ullibarri ricercavano la grotta in località Lanzalune, Casale e Toro verso il rio della Bacuta, mentre Conte rimaneva a guardia del materiale. Sapendo che la grotta era vicino al Caravo, Casale e Toro chiedendo di quest’ultima riuscivano, dopo una faticosa marcia, a farsela indicare da un indigeno, mentre allo stesso risultato giungevano Trigila ed Ullibarri dopo una marcia ancora più lunga e faticosa. Fatta una prima ricognizione all’imbocco si ritornava ove Conte era rimasto con il materiale e, caricatisi, si ritornava alla grotta. La grotta aveva un accesso difficile in fondo ad una forra con le pareti ripide e coperte di cespugli spinosi; si presenta con un ingresso maestoso a tetto come già giustamente rilevato dal CSR."
    L’esplorazione iniziava solo alle ore 11, armando il primo pozzo con 10m di scale e, superate alcune marmitte si armava il seconda salto di 8m, che terminava su una marmitta profonda; si era costretti, per mancanza di chiodi, ad ancorare le scale del terzo salto a quelle del precedente. Così veniva raggiunto un bel lago lungo 8m, che veniva traversato a nuoto da Ullibarri; egli constatava la presenza di un altro salto; si ripiegava lasciando il materiale in loco.
    Il 24 agosto Pasquini, Casale, Toro ed Ullibarri lasciano il campo alle 7,30 e, raggiunto rapidamente il punto della precedente esplorazione, superano con un canotto il grande marmittone e armano il quarto salto di 10m; esso dà accesso ad una serie di ampi saloni e gallerie ingombre di fango, legname muffito, forse ultime testimonianze di un vecchio lago sifonale. "Sul punto di ripiegare per scarsezza di luci e per mancanza di scale (una scala da 20m era stata abbandonata dopo i primi salti) i quattro venivano sorpresi dall’udire l’eco di un mormorio di voci nel salone. Dopo alcuni richiami appariva la luce dello spagnolo Eraso che si aggirava in una località più bassa del fondo del salone stesso che era la galleria principale di Orsivacca. Scendendo per una scaletta sostenuta a braccia da Casale ed Ullibarri, Toro e Pasquini utilizzando una corda fissa scendevano ancora una parete inclinata di circa 40m fino al fondo del salone dal quale si affacciavano in Orsivacca sopra la concrezione detta la botte. Sopraggiunto da Orsivacca Iovane questi veniva con Eraso issato nel salone. Chiodato l’orlo della botte Iovane saliva in cima allo scivolo a chiodare la scaletta iniziale. Indi riuniti tutti e sei nel grande salone si brindava con il centerbe di Toro al felice ricongiungimento e si decideva di intitolare il salone stesso alla memoria dello spagnolo basco De La Hidalga, amico di Eraso e recentemente scomparso. Dopo la separazione delle squadre, Pasquini risaliva lo scivolo a corda fissa e, corso a recuperare la scala da 20m la poneva in luogo della corda per facilitare la risalita degli altri. In vista del rilievo la cavità veniva lasciata armata". Parole di Giorgio Pasquini.
    Che cosa ci sarà dopo il salone "De La Hidalga"? Provano a scoprirlo Angelucci, Conte, Iovane, Trigila e Valerio il giorno seguente: Iovane, assicurato da Trigila, tenta la risalita, ma si rende conto che non si può proseguire, su quello scivolo fangoso, senza il solito palo con gancio; Valerio viene spedito a disarmare il fondo di Orsivacca, poiché i 20m di scala sono utili per armare meglio lo scivolo, e, senza muta, ritorna bagnato come un pulcino; non resta altro da fare che rilevare più grotta possibile. Intanto passano sette lunghe ore.
    26 agosto: ormai la Bacuta si è abituata alle visite giornaliere degli amici speleologi. Angelucci, Barghini, e Selleri entrano per fare il rilievo; Eraso per le misure termometriche. Il lavoro viene facilitato dalle lunghe battute che la galleria permette, cosicché riescono ad arrivare fino all’ingresso.
    Nuovo giorno, nuova fatica. La grotta reclama i pali di risalita, che vengono portati dentro da Bellecci, Trigila e Valerio; lo scopo è tentare di superare lo scivolo fangoso situato oltre l’intersezione della Bacuta con Orsivacca. Riescono ad armare due spezzoni di 5m di scale ad altrettanti chiodi da roccia; viene lasciato tutto in loco, dato che non si dispone di altro materiale: bisogna ritornare ancora.
    Il giorno 29 nasce sotto una cattiva stella, che per fortuna, cambia man mano che passano le ore. Lasciano il campo alle ore 8, Pasquini e Trigila, con la ferma volontà di chiudere con la Bacuta. Li accompagnano, per il primo tratto asciutto, il Professor Accordi e Colacicchi assistiti da Angelucci. I due hanno già superato i primi tre salti quando vengono "mollati" dal canotto. Ritornati velocemente al campo per fornirsi di mute, rientrano solo alle ore 13,30.
    "Raggiunto in meno di un’ora il punto di lavoro, si saliva all’ultima cengia armata, da dove Pasquini assicurato da Trigila traversava sulla sinistra fino a raggiungere ciò che si presumeva l’imbocco della galleria superiore, e che risultava essere una sottile cresta tra due saloni comunicanti inferiormente con Orsivacca. Procedendo sempre in cordata si aggirava in parete l’ampio salone fino ad imboccare una galleria a sezione caratteristica di condotta forzata col fondo ricoperto di fango disseccato, tronchi marciti e muffe (ambiente caratteristico della Bacuta e non di Orsivacca). La galleria dopo sette-otto metri si conclude con un pozzo verticale di 17m al fondo del quale uno scivolo fangoso risale ad una galleria allagata d’acqua limpidissima parzialmente ricognita da Trigila. Proseguendo in discesa lo scivolo i due si trovavano sull’orlo di un cengione lungo una vasta galleria che riconoscevano come Orsivacca. Dopo essersi rifocillati, lasciato in posto l’armamento, si faceva ritorno all’esterno".
    30 agosto... Oggi vanno in quattro: Pasquini, Casale, Valerio e Selleri Passando dallo scivolo che sale da Orsivacca raggiungono, in un’ora e mezza, la base del salto da 17m, procedono fino alla galleria allagata, vista il giorno prima.
    "La squadra esplorava oltre uno sbarramento calcitico sopra un lago che costituiva quasi un sifone, una galleria di modeste dimensioni che conservava il profilo di condotta forzata ed il suolo fangoso pur sotto la ricopertura calcitica che qua e là costituiva dei veri e propri gours. La galleria aveva termine con un lago tra colate stalattitiche oltre le quali a causa delle strette dimensioni restava un passaggio impercorribile".
    Durante il ripiegamento viene rilevato il nuovo tratto, e si disarma facendo una serie di acrobazie e qualche scivolone, fortunatamente senza conseguenze; il materiale viene lasciato all’esterno, verrà recuperato domani. Sono le 20 passate quando ritornano al campo; lo avevano lasciato alle 8,30 della mattina.
    La parola fine viene messa da Pasquini e Casale, il 31 agosto con queste scarne frasi: "Recupero Bacuta: Pasquini e Casale varcando a nuoto il terzo lago si portavano alla sommità della sala Hidalga, da cui riportavano quattro scale Azario. Subito dopo il loro transito verso l’esterno, il materiale dei primi quattro salti della cavità veniva filato all’esterno dal Bellecci, Polidori e Selleri scaglionati di piano in piano. Il materiale recuperato in questa e nella precedente giornata veniva ammassato in un punto presso la mulattiera sopra il ciglione Nord del Rio della Bacuta." Tale materiale verrà caricato da un mulattiere insieme a quello del Caravo.
 

L’Inghiottitoio del Càravo
(Giorni 27÷31 agosto)

    La prima visita a questa grotta, già nota, viene fatta da Toro, Befani, Eraso e Polidori. Il fiume è in secca, quindi non ci sono problemi sul primo pozzo, in cui vengono usate le quattro scale da 5m di Azario. Per proseguire, bisogna portarsi altri 70m di scale, per fortuna leggere. Raggiunto l’orlo del secondo salto, usano tutto il materiale; scende Befani e constata che il dislivello è di soli 59m. Risale prendendo le temperature dell’aria e dell’acqua, fermandosi anche sulla cengia a –35m, assicurato da Eraso e Toro. Escono tutti, lasciando la grotta armata.
    La profondità totale della cavità dovrebbe aggirarsi sui 110m, bisogna ritornare per raggiungere il terzo pozzo. Quante scale converrà portare? Almeno 30m, pensano. Così Befani, Selleri e Valerio, scendono il primo salto e, lasciando Selleri alla sicura sul secondo, iniziano a percorrere ogni piccola galleria, finché imboccano quella giusta, che li portava al salto. Ancorate le scale, scende Befani, ma, con rabbia, si accorge che mancano almeno altri 7m per toccare il fondo. Lasciano ancora una volta tutto armato, sperando di poter tornare.
    Ritornano, ma solo per disarmare, gli stessi che avevano già disarmato la Bacuta: Pasquini, Bellecci, Casale, Selleri e Polidori.
    "Restando all’esterno Casale, gli altri discendevano il primo salto di 20m. Bellecci assicurato da Pasquini e Polidori raggiungeva solo il fondo del pozzo di 61m (sul rilievo Zanera 1952 di 70m) e recuperate le scale del pozzo successivo le agganciava in coda alle altre e ne collegava l’estremo ad una corda gettata da sopra. Salito ad una cengia intermedia il recupero delle scale avveniva con qualche difficoltà a motivo di imbrogli tra le scale e le varie corde: a mano a mano che il materiale raggiungeva l’orifizio del pozzo veniva direttamente filato all’esterno con l’appoggio di Selleri e di Casale. Nel contempo era arrivato il mulattiere Florindo per trasportare al campo i materiali della Bacuta e del Caravo".

© 1999 di Alberta Felici.

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