Alcune considerazione ed una succinta analisi storica della caratteristica peculiare dello S.C.R.: la guasconeria (*)
di Antonio Mariani
 

La verità è che noi dello speleo siamo stati sempre un po’ guasconi.
    Direi, se mi è consentito, che questa è stata la nostra caratteristica peculiare: una guasconeria alla romana, all’amatriciana e rugantineggiante. Un po’ smargiassi, un po’ cialtroni, niente affatto maliziosi e sempre pronti a farci fregare dalle acque chete, che zitti, zitti, hanno sempre agito silenziosamente, salvo poi promuoversi con le casse di risonanza delle pubblicazioni e delle comunicazioni ai congressi.
    Intendiamoci, non sto difendendo le nostre caratteristiche, sto semplicemente constatando, che per questi motivi, forse, non siamo mai stati particolarmente amati, e non abbiamo mai avuto particolari capacità di autopromozione. E dietro tutto questo ci sono, anche questa è una constatazione, delle motivazioni "genetiche".
    Prendiamo il padre carismatico del nostro sodalizio: Giorgio Pasquini.
    Sono certo che nessuno dissentirà da questa affermazione di paternità. Tanto è: non si può non prendere atto che, nel bene e nel male, - e non me ne vogliano tutti gli altri "socifondatori" o "socicontinuatori"- , lo "Speleo" è stato, è e sarà una sua creatura.
    Il Pasquini, da questo punto di vista, è stato il re dei guasconi. Nessuno come lui è stato capace di svalorizzare ribaldamente se stesso, gettando alle ortiche tutte le sue migliori occasioni e vivendo di rendita intellettuale. Sfruttando il dieci per cento delle sue potenzialità (e manco male!).
 
    Ma torniamo a noi dello speleo: nascemmo spavaldamente, per un atto di scapigliata ed orgogliosa ribellione a quell’aristocratico, antico e prestigioso sodalizio che era il Circolo Speleologico Romano.
    Giovani frementi e scalpitanti mal sopportavano la gestione un po’ parruccona dei vecchi saggi e, insidiati dal serpentone tentatore, vollero gustare i pomi della pianta del bene e del male. Dato che ciò non gli era consentito, prima di esserne scacciati, abbandonarono birbonescamente di propria iniziativa quell’"Eden" un po’ acciaccato e stantio.
    Il "serpentonetentatore" era, manco a dirlo, il Pasquini.
    Si iniziò allora la lunga stagione di libertà e di autonomia, disseminata di soddisfazioni, di successi ed anche di qualche dolore (grazie a Dio non molti per la verità).
    Fin dai primissimi anni sessanta lo S.C.R. si mise subito in luce in campo nazionale caratterizzandosi per la scelta di tattiche ed orientamenti dinamici, aggressivi e guasconi .
    Il nostro modo di andare per grotte ed in grotta era biasimato da molti speleocensori, attaccati probovirescamente e spesso, diciamolo, acriticamente alle tradizioni tecniche e culturali. Ma anche da molti giovani sodalizi italiani che prendevano atto un po’ acidamente dei nostri successi.
    "Quelli dello speleo sono pazzi scatenati che non tengono in alcun conto la sicurezza!". Questi erano i commenti fra i più benevoli che ci riservavano i nostri colleghi nelle varie occasioni nelle quali capitava di incontrarci. La verità è che il nostro modo di procedere in grotta era ispirato alla leggerezza ed alla velocità. Caratteristiche queste in seguito riconosciute da tutti, sia in alpinismo che in speleologia, come fondamentali proprio per la sicurezza. Questa "filosofia" faceva parte del nostro quotidiano vissuto, era il nostro modo spontaneo di procedere, ma non fu mai oggetto, o quanto meno non lo fu mai sufficientemente, di approfondite disamine o di pubblicazioni circostanziate. Negli altri gruppi, al contrario (ovviamente non intendo riferirmi a tutti, ci mancherebbe altro!), bastava che qualcuno inventasse il manico dell’ombrello o facesse una bella frittatina di aria, ed eccoti servita una bella pubblicazione distribuita ai quattro venti.
    Siamo stati i primi a procedere sulle scale superleggere, ad usare le sole corde per la progressione in discesa di tratte anche superiori ai cento metri.
    Questi mezzi, per la loro leggerezza, ci consentivano di muoverci agilmente e velocemente soprattutto se paragonati a quelli usati dagli altri (c’era chi in quei tempi usava ancora le gloriose e tenere scalette "Azario" di estrazione militare!). Poco a poco tutti gli altri si adeguarono a queste tecniche, dimenticando le aspre critiche nei nostri confronti.
    Ancora: nelle grotte con acqua, nei passaggi dei laghi e dei fiumi sotterranei, fummo i primi ad abbandonare i canotti ed a servirci delle ben più agevoli mute subacquee. Anche qui molti a criticare, salvo poi adottarle di lì a poco.
 
    Peraltro occorre dire che queste nostre scelte, propugnate e difese a sciabolate dal solito Pasquini, erano comunque passate ogni volta attentamente al vaglio e discusse con accanimento ed in profondità all’interno del gruppo. Come dimenticare gli accorati interventi in proposito della nostra buona coscienza, del nostro grillo parlante (spina nel fianco del Pasquini al quale rifaceva puntigliosamente le bucce in fatto di sicurezza), del carissimo "camerata" Valerio?! Lucio, che quanto a "fegato" non era secondo a nessuno (paracadutista della prima ora ed "antemarcia" della speleologia subacquea, quando ancora erano in pochissimi a praticarla) imponeva al recalcitrante Giorgio rigorosi controlli ed accuratissime prove (effettuate, rammento, presso un laboratorio sperimentale del Ministero dei Trasporti). Salvo poi, persuaso dai risultati inoppugnabili delle prove tecniche, inventare lui stesso dei modelli superleggeri ispirati, da buon pilota quale era, ai tiranti degli aeroplani.
    Malgrado questo, noi dello Speleo, non adusi ad una corretta autopromozione a mezzo stampa, siamo rimasti a lungo additati come pazzi temerari. E sì che nell’ambito del gruppo non pochi erano coloro che sapevano leggere, scrivere e far di conto. Basti dire che attualmente mezzo corpo docente di Geologia, alla Sapienza, è composto da Speleo Club Seniores (1), più altri professori universitari sparsi per l’Italia (per fare qualche nome, rigorosamente in ordine alfabetico e con l’assoluta certezza di dimenticarne non pochi: Angelucci, Biasini, Burragato, Camponeschi, Laureti, Lupia Palmieri, Negretti, Paolucci, Rampini, Ribacchi, Toro, Triglia... pardon! Trigila...).
    Per non parlare dei laureati in geologia o ingegneria mineraria (Befani, Casale, Chimenti, Maniscalco, Sinibaldi...). A quell’epoca eravamo senza dubbio il club speleologico con più alta percentuale di studiosi di discipline attinenti la speleologia. Tutta gente quindi che avrebbe potuto agevolmente pubblicare sia in termini scientifici che tecnici. Non dico che ciò non sia stato assolutamente realizzato: dico che lo sarebbe potuto essere enormemente di più e soprattutto con una ben maggiore promozione di immagine.
 
    Nel 1967, di ritorno dalla vittoriosa spedizione (prima squadra italiana) al Gouffre Berger, fummo i primi ad introdurre in Italia l’uso degli "spit" e delle tecniche di risalita con sola corda e con l’uso della specifica attrezzatura tecnica (2). Alcuni anni dopo altri, meno guasconi e più fattivi di noi, presentarono ad un congresso una pubblicazione nella quale si spiegava l’uso in grotta di alcuni attrezzi tipo discensori, prusik meccanici etc.: a noi venne da ridere perché ci sembrava paragonabile ad un manuale sull’uso del coltello per tagliare il burro. Il risultato però fu che probabilmente molti ignorano che anche questo è un nostro primato.
    Tutta la nostra storia è costellata di mancate occasioni. Facevamo molto, divulgando poco o con scarsa accortezza organizzativa. Senza pertanto raccogliere i meritati frutti ed anzi offrendo talvolta il fianco alle critiche (non raramente malevole). Come quando nel ’68 realizzammo a Roma il Congresso Nazionale di Speleologia. L’afflusso di studiosi e tecnici fu notevole e la riuscita della manifestazione fu totale. Anche l’aspetto operativo e conviviale ebbe un notevolissimo successo, con le uscite speleologiche e dimostrative dell’allora giovane Corpo di Soccorso Alpino... sezione speleologica. Unico neo (diciamolo pure, non di poco conto!), la mancata pubblicazione degli atti. Tuoni e fulmini! Ci fu un crucifige generale dalle Alpi alle Piramidi. Sembrava che fosse la fine del mondo speleologico.
    Ci furono in seguito altri Congressi organizzati da altri.
    Ci furono altri che non pubblicarono Atti... ci furono pochi fulmini, ancor meno saette... e il mondo speleologico è ancora lì!
 
    Ma tutto questo è acqua passata. Ora ci ritroviamo qui per festeggiare il nostro quarantennale e dobbiamo farlo gioiosamente. Ed anche per onorare come sarebbe loro piaciuto i carissimi Giorgio Pasquini e Lucio Valerio, appena venutici a mancare: lo faremo con un soprassalto di orgoglio guascone. Invitando a questa nostra caratteristica ribalderia anche i giovani, che mi sembrano un po’ troppo seri (si vede che con il passare del tempo si diluisce la virulenza del germe!). Quindi ben vengano le pubblicazioni e le mostre statiche ma, in questo favoriti ed ispirati dalla sacralità del luogo che ospiterà la nostra manifestazione (la sede dell’Associazione Nazionale degli Alpini di Roma, nostri carissimi amici), non dimentichiamoci di dedicarci coscienziosamente a più d’una sana "speleocrapula" e ad indirizzare una serie numerosa di brindisi:
 
    ai nostri amici non più fisicamente tra noi!
    alle migliori fortune dello Speleo Club Roma!
    alla faccia nostra!
 
 

(*) Le considerazioni del presente apporto sono frutto di una personale convinzione e non è detto siano condivise da altri. Guasconescamente aggiungo: se non lo sono, tanto meglio!
 


      (1) lo Speleo Club Seniores è un sodalizio di cui fanno parte "virtualmente", ovverosia di diritto e di dovere e senza obbligo di iscrizione, tutti coloro che hanno fatto parte dello S.C.R. durante il primo decennio. In realtà non è stato stabilito da nessuno il periodo nel quale si deve aver fatto parte dello Speleo, e quindi anche questo "primo decennio" è puramente virtuale. Presidente ne era, anzi ne è (lancio questa proposta da queste righe), manco a dirlo Giorgio Pasquini.
      (2) ricordo di essermi recato da Petzl nell’officina (forse sarebbe più esatto definirla una fumosa bottega di fabbro) nei pressi di Grenoble. Era mia intenzione chiedergli delle informazioni sulla grotta, avendo lui fatto parte, insieme a Giorgio Pasquini, della squadra internazionale che nel ’56 ne aveva raggiunto per la prima volta il fondo. In quell’occasione vidi su un banco di lavoro degli strani aggeggi in lega di alluminio. L’anziano speleologo mi spiegò che si trattava di prototipi di strumenti che stava progettando per la progressione in grotta. Ne acquistai alcuni esemplari che usammo al Berger e che seguitammo poi ad usare "silenziosamente" in Italia. Sono sopravvissuti per più di venti anni facendo il loro onorato servizio, anche se ormai superati dai nuovi modelli perfezionati in catena di montaggio. Erano diventati dei rari pezzi di archeologia industriale, si può dire cimeli che conservavo gelosamente. Fin quando, giunto ad una età adeguata, non ci mise le mani sopra mio figlio Giulio Clodio...
 


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