Flash di vita speleologica
di Maurizio Polidori
 
Speleo Club Roma, una sigla che mi riporta molto indietro nel tempo e che risveglia in me molti piacevoli ricordi, che sarebbe troppo lungo (e poco interessante) scrivere. Lasciando ad altri amici, più preparati di me, i resoconti tecnici delle brillanti imprese compiute, mi limiterò a ricordare alcuni episodi che mi sono rimasti particolarmente impressi, dei piccoli flash di vita speleologica.
 
Prima uscita in grotta - 1960
Arrivo a Jenne in pullman di linea, enorme zaino (residuato militare), il tutto coperto a mo’ di mantella da telo mimetico militare; due ore di salita sotto pioggia scrosciante, per fortuna poi il tempo migliorò ... e iniziò una fitta nevicata. Arrivo a notte in un rifugio gelido sul Monte Autore, del quale ci era stata concessa la chiave. La prima squadra entra nel pozzo della Creta Rossa, mentre io e altri compagni pernottiamo nel gelido rifugio (mezzo metro di neve fuori e niente legna dentro: si conferma che i rami verdi non bruciano nonostante i reiterati tentativi e per non asfissiare apriamo porte e finestre, qualcuno sostiene di aver sentito un lupo ...).
    All’alba giunge una richiesta di aiuto, Sergio Mainella è "volato" e si è fatto male ad una gamba. Breve marcia nella neve alta e arrivo all’imboccatura del pozzo, dove, data la corporatura robusta, vengo adibito alle manovre di forza. Sergio, imbragato e tirato da due corde, viene estratto dal pozzo a "tappo di spumante": ha una frattura del perone; mi incaricano di accompagnarlo al rifugio nella mia qualità di studente di medicina ed eseguo, sostenendolo adeguatamente. L’infortunato per "tirarsi su" aveva scolato un’intera bottiglia di Centerbe Toro, 72°, non dimenticherò mai la puzza atroce che emanava mentre si trascinava nella neve alta in quella gelida alba; però non sentiva dolore ... e canticchiava inni goliardici!
 
L’invasione delle rane
Campo estivo al Matese, 1962; le tende erano in un luogo splendido, in prossimità di un fiumicello pieno di carpe, tinche e ... rane. Ero di turno per servizio al campo e pensai di dedicarmi alla pesca delle rane, da friggere poi per cena agli amici. Detto fatto: basta un bastone, un filo e una lumaca; la pesca fu assai fruttuosa e dopo poche ore avevo un grande sacco di plastica pieno di rane vive e molto agitate. Tornando alla base, proprio in mezzo alle tende, il sacco si sfondò completamente, di colpo.
    L’invasione delle rane che flagellò l’Egitto, di biblica memoria, fu una cosa da ridere in confronto a quello che successe nel nostro campo. Una piccola quantità ne ricuperai e le mangiammo a cena, ma la maggior parte si installò nelle tende o nelle loro immediate vicinanze e ci rallegrarono fino alla data di partenza.
    Solo ora oso confessare agli amici di essere il responsabile della misteriosa invasione, per la quale al momento qualcuno suggerì anche di rivolgersi ad un esorcista locale ...
 
Risalita della risorgenza di Morigerati
Campo estivo del Bussento, si tenta la risalita della risorgenza di Morigerati: immersione totale in acqua.
    Eravamo attrezzati con mute stagne in foglia di gomma Pirelli; sotto indossavamo un completo di lana e sopra una tuta di stoffa per proteggere la gomma (molto sottile). Infilai sotto la muta la scatola metallica con le pile per la lampada dell’elmetto. Nello scendere in acqua la sporgenza della scatola strusciò sulla roccia e provocò uno squarcio della muta del quale non mi accorsi.
    Dopo pochi minuti ero pieno d’acqua, le pile erano bagnate e quindi ero senza luce; continuai la risalita: laghetti, rapide, cascate e così via; dopo due ore ero pressoché assiderato e la mia muta conteneva decine di litri di acqua gelida, sembravo l’omino della Michelin.
    Fu opportunamente deciso di lasciarmi appollaiato su una roccia affiorante da un laghetto, a monte di una cascata, in attesa del ritorno dei compagni che proseguivano l’esplorazione. Mi lasciarono anche dei viveri: una scatoletta di Simmental e una di marmellata. Per l’acqua non c’era problema ... Dopo un po’ non ne potevo più e non trovai niente di meglio che praticare due buchi sui piedi della muta, che si svuotò con due alti zampilli e mi permise di recuperare un po’ di calore.
    I soci addetti alla riparazione delle mute ancora mi cercano ... A me è rimasto anche il ricordo della atroce e fulminante gastrite che mi colpì dopo l’ingestione della carne e della marmellata.
 
Campo del Gargano e necessità fisiologiche
Per il campo del Gargano ero partito in avanscoperta con altri quattro amici; tutto il materiale e i bagagli personali sarebbero venuti dopo con i camion dell’Esercito ... che non arrivarono mai. Per fortuna la Forestale ci mise a disposizione una baracca nella Foresta Umbra, davanti c’era un pozzo con relativo secchio per attingere acqua. Mentre eravamo intenti alle abluzioni mattutine, un compagno molto disinibito, avendo impellenti necessità fisiologiche, si accoccolò a poca distanza dal pozzo, sul prato.
    Pierpaolo Selleri non esitò, afferrò il secchio pieno d’acqua poggiato sull’orlo del pozzo e con un urlo belluino partì a razzo per fare una doccia primitiva allo sporcaccione. Però la corda che legava il secchio al pozzo finì prima di raggiungere l’obbiettivo e il povero Pierpaolo compì un perfetto salto mortale completato da doccia e secchiata in testa: nemmeno nei film di Ridolini si era mai vista una scena simile!
 
Spluga della Preta
Partenza con due Cinquecento e due R4, senza il sedile posteriore, sedevamo su un verricello pieno di cavo d’acciaio ... morbidissimo. Dopo sole 20 ore di viaggio arrivammo sui Monti Lessini e trovammo la strada bloccata dalla neve.
    Ci accampammo sulla neve con la tenda di Giorgio Pasquini (dono di nozze dei soci dello Speleo Club) in tela da copertone di camion e con fondo, ma senza doppio telo. Prima della partenza Pierpaolo Selleri mi aveva prestato il sacco letto, ma quando cercai di infilarmici si scoprì che era strettissimo perché il proprietario, dal fisico filiforme, l’aveva fatto restringere, per cui al massimo potevo infilarci solo le gambe; per evitare l’assideramento indossai il cappotto di Giorgio al contrario, con l’abbottonatura dietro.
    La mattina dalla tenda pendevano ghiaccioli di notevole bellezza e per rimettere in moto le mie articolazioni furono necessarie robuste dosi di grappa. Non riuscimmo mai a scendere in grotta.
 
Gita di ricognizione al Gargano
Solita R4 del Pasquini stracarica e senza sedile posteriore, tappe in ogni paese per riempire le borracce di vino ... Dovevamo passare la notte a casa di un socio, Terenzio Sacchi Lodispoto, proprietario di latifondo nella zona di Corato. A tarda notte non eravamo ancora arrivati e l’ "autista", completamente sbronzo, era andato già due volte fuori strada. Il socio che doveva ospitarci ci comunicò che era troppo tardi per arrivare in paese, e troppo pericoloso visto il tasso alcolico di tutti i presenti, ma ci guidò in una piccola costruzione in mezzo ad un oliveto di sua proprietà: una stalla dove, dopo aver sfondato la porta, ci buttammo a dormire nei sacchi letto.
    Dopo pochissime ore fummo svegliati dallo spalancarsi della porta con relativa luce abbagliante del sole, un omone truce con forcone ci distribuiva calci sui piedi urlando: "Di grazia chi siete? Che fate a quà?" Non avemmo nemmeno la forza di parlare, ma indicammo all’unanimità il sacco dove il nostro anfitrione stava allora aprendo gli occhi; il villico strabuzzò gli occhi: "Don Terenzio! Voi!" e si ritirò precipitosamente insieme agli altri contadini che facevano capolino dalla porta, chiudendo affrettatamente e lasciandoci riprendere sonno.
    Credo che sia rimasto nelle leggende del paese che Don Terenzio, impazzito, stava dormendo sul letame insieme a degli altri tipi molto equivoci e avvinazzati. Oh decadenza delle antiche famiglie!!
 
    Con ciò smetto perché temo che i miei ricordi siano interessanti solo per chi ha vissuto questi episodi.
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