La mia prima grotta
di Maurizio Sagnotti
Come sono arrivato alla Speleologia? Tramite il Paracadutismo, cosa per altro assai frequente in quel periodo.
Era l’anno 1965 e precedentemente mi ero dedicato a vari sport, alcuni solo a livello conoscitivo, altri a livello agonistico; era quindi giunta l’ora di lanciarmi. Mi iscrissi al corso di paracadutismo dell’ANPDI di Roma.
La "segretaria paracadutista" e speleologa era Alberta. La simpatia fu subito reciproca e lei mi portò allo Speleo Club, ove mi si rovesciò addosso una ulteriore carica di simpatia e di stimoli da parte di Giorgio.
Il presidente mi prese a benvolere, forse per la mia sportività a tutto campo, e mi diede subito fiducia, pensando addirittura, per il mio battesimo in grotta, all’Abisso Consolini.
Ricordo benissimo, pochi giorni dopo esserci conosciuti eravamo in trattoria, naturalmente, e Giorgio col bicchiere in mano, rivolto ad Alberta, che arrossì tutta, disse col suo vocione baritonale: "Bene, bene, hai trovato un ragazzo polisportivo! Speriamo che si appassioni alle grotte, dovrebbe andare forte!".
Mi sono appassionato e come!
L’idea di esplorare le grotte, in verità, l’avevo avuta fin da ragazzo. Intorno ai quindici anni, facendo il Boy Scout, assieme ad altri tre o quattro scapestrati, organizzai varie uscite di esplorazione in quelle che noi chiamavamo grotte e che altro non erano che le vecchie cave di ghiaia di Grottarossa.
Le raggiungevamo in bicicletta o con il trenino delle ferrovie Roma Nord, carichi di tutte le nostre carabattole.
L’attrezzatura era ridicola: chiodi da carpentiere (da ficcare chi sa dove e con quale speranza di tenuta!), cordella di canapa, canotti residuati bellici comprati a Porta Portese, torce allo zolfo "fregate" in Parrocchia, elmo militare (Adrian della prima Guerra Mondiale). Sul mio avevo attaccato con il cerotto (il nastro adesivo ancora non c’era) una piccola torcia tascabile.
E via per cunicoli e laghetti sotterranei a poche decine di metri dall’ingresso, che però a noi sembrava lontanissimo e ci metteva il batticuore non vederne più la luce e si combattevano in noi l’ansia di andare avanti e la paura di non ritrovare l’uscita o di ficcarci in qualche guaio, ben sapendo che nessuno, né genitori né capi Scout, erano al corrente di dove fossimo!
Anche se ero allenatissimo dalla palestra, 91 metri erano sempre un bel po’.
La sera del sabato, prima di andare a letto, presi una bella camomilla e mi sforzai di pensare che se l’esperta Alberta e il capo Pasquini mi giudicavano idoneo, probabilmente non dovevo preoccuparmi. Comunque non dormii molto.
La mattina seguente Alberta tardò all’appuntamento con me e naturalmente, quando arrivammo in sede, gli altri se ne erano andati (i cellulari mica c’erano e a casa all’alba non si poteva certo telefonare per non svegliare tutti).
Che fare? Alberta affermò che sicuramente in tre non sarebbero andati al Consolini, ma che comunque saremmo andati all’imbocco a vedere.
Così la mia prima uscita speleologica si risolse in una splendida passeggiata: Pian della Faggeta, Semprevisa, Consolini, Sella delle Salere con vista sul mare e poi... trattoria dalla Sora Nanna!
Giorgio e gli altri due, rinunciato al Consolini, erano andati in ricognizione nella zona di Orvinio-Scandriglia e ci diedero, il martedi successivo, un paio di indirizzi di grotticelle da reperire e rilevare.
La domenica dopo partimmo Alberta, Virginio Di Lanzo ed io; ricognimmo la zona indicata e trovammo una piccola grotta orizzontale, dall’ingresso alto poco più di 50cm, nascosto da una fratta. Dentro era un po’ più alta; mi infilai per primo e, dopo pochi metri, trovai i resti di un cranio umano, l’osso occipitale per l’esattezza, che portai via perché fosse studiato.
Ma io ero ansioso di provare quelle benedette scalette che tutti mi dicevano faticose, ondeggianti e difficili da "capire".
Tanto ruppi le scatole che Alberta decise di andare, nel pomeriggio, al pozzo di Cineto.
Virginio scese per primo, si fermò su una cengia ove c’erano due bombe da mortaio e, prima di ricominciare a salire, ci stette un buon quarto d’ora. Non poteva sentire i moccoli che tiravo mentre scalpitavo in attesa del mio turno.
Quando riemerse disse candidamente che aveva voluto provare il fornelletto in grotta e che si era fatto un the!
Legai la corda di sicura alla vita, sgusciai tra i tondini di ferro messi a chiusura dell’imbocco e mi ritrovai sull’ondeggiante scaletta. Trovai quasi subito la giusta posizione, scesi per 50m (le scale non arrivavano al fondo), e ricominciai a salire.
Provai con la sicura avanti, di lato e di dietro; con i piedi di punta, di tacco, uno di punta e uno di tacco.
Arrivai in cima quasi senza "tiro", senza aver fatto soste e senza fiatone. Avevo capito il meccanismo!
Era iniziato il mio ventennio speleologico!
{Articolo precedente} | {Sommario} | {Articolo successivo}