Calma in barca
Gita invernale a Porto Ercole
di Pierpaolo Selleri
 

In ricordo di Massimo Monaci, tragicamente scomparso in mare

"Saltaaa!!!!"
    Il grido piombò sulla barca. Ci fu un’esplosione di frenetica "frenesia"
    Le grida, gli ordini si inseguivano, intrecciavano fra loro, come i nostri corpi, perché tutti volevano fare tutto.
    Tutto di quel giorno era dimenticato. Ed anche altro. Il motore arrugginito che non partiva, la barca piccola e malandata, il tempo grigio, gli scrosci di pioggia che ci avevano infreddoliti e bagnati, il mare oltre la punta veramente mosso, tanto da farci ridossare sull’isola per la solita tuffatina e sotto di pesce niente. Acqua sporca, questa tanta.
    Risalgo in barca, mi cambio sbattendo di qua e di là e mentre sono con la muta a metà gambe, volo in acqua. Qualcuno per salire si è attaccato al bordo della barca e non a prua o a poppa. Risalgo rassegnato e con una gran voglia di terra sotto i piedi. Ed invece acqua da tutte le parti, acqua salata e dolce, acqua dal cielo e... Sento i piedi bagnati, troppo bagnati.
    Il pagliolo non galleggia perché sopra ci stiamo noi, ma l’acqua è sopra il pagliolo. Il solito Massimo afferra con uno sguardo la situazione e con una mano il panino che stavo abboccando.
    "Addio pane e marmellata sorgenti dal sacco e sprofondati in un buco, più non vi gusterò. Addio!"
    "Mejo lui che noi" È Massimo che dopo aver infilato l’impasto di pane, companatico e non so che altro, cerca di confortarmi. Anche il tappo si doveva sfilare e chissà dove è andato a finire. Speriamo che resista. Io alla fame naturalmente.
    Ora siamo tutti a bordo, sacchi a prua con uno di noi che li tiene fermi, due a poppa, uno al motore ed uno che blocca il serbatoio, il quarto sdraiato per traverso in mezzo alla barca.
    Lucio si accende la milionesima sigaretta, che subito bagnata, butta a mare.
    Vedo il mio viso negli altri.
    Depressi, grigi, immusoniti. Decidiamo di tornare al porto circumnavigando l’isolotto.
    Non vedo il mare, ma le pareti si muovono, su e giù, giù e su, forse è così che si muove la terra durante un terremoto. Mi vien sonno, chiudo gli occhi.
    "Lega un capo al sedileee!!" - "Allungate questa sagola!".
    "La macchina, il binocolo!" - "Avanti col motore!!"
    "Là! Là!" "Svelti maledetti! Gli sparo! Gli sparo! Rovino il fucile, ma gli sparo dalla barca!". La voce di Massimo sovrasta tutti.
    Ora c’è il sole, il mare è calmo, fa caldo, lo scafo scivola veloce, il motore batte perfetto.
    Sono teso, siamo tesi verso quel meraviglioso corpo che salta a pochi metri da noi, sempre a pochi metri da noi.
    Massimo si tende in fuori. Sono pronto allo sparo. Voglio fotografare il momento cruciale dell’azione.
    Lucio è in piedi, la barca furiosa batte le onde. Il pesce da un guizzo e sparisce tra la spuma.
    Metto via la macchina. Massimo il fucile. La sigaretta si accende. Torniamo a terra facendo un largo giro. Non sentiamo più niente, né freddo, acqua, stanchezza, tristezza, tutto è sparito e tutto è riapparso con quel guizzo.
    Forse non era un pesce, sicuramente non lo era. Forse una sirena, chissà forse l’anima del mare, la nostra anima.
    Siamo in pace con il mare, con noi stessi.
    Guardo gli altri e li vedo contenti sorridere.
    "Aoh!! E ce l’hai fatta co’ sti spaghetti!!!!".


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